Società: la tutela dei soci di minoranza
Spesso accade che i soci di minoranza di una società, per diverse ragioni, non valutino adeguatamente le conseguenze di una conflittualità con i soci di maggioranza. Il Codice civile garantisce ai soci di minoranza alcuni diritti, che li tutelano nei confronti della maggioranza. Tali diritti tuttavia non sempre sono sufficienti a tutelare adeguatamente i soci di minoranza e a valorizzarne adeguatamente l’investimento, e in ogni caso, non sono in grado di evitare il sorgere di un conflitto con gli altri soci, e dunque di un contenzioso. Sono invece molto più efficaci per i soci di minoranza forme di tutela preventive, consistenti nell’inserimento di opportune clausole, nello statuto o in un patto parasociale. In particolare, il socio di minoranza ha normalmente interesse a modificare i quorum deliberativi su talune materie, nonché di essere rappresentato nell’organo amministrativo, inserendo una apposita previsione nello statuto o in un patto parasociale. È inoltre possibile prevedere nello statuto la possibilità di recedere dalla società per cause ulteriori rispetto – quelle previste dalla legge, nonché un diritto di exit dalla società, attraverso clausole di tag along e opzione put. Infine, i soci di minoranza hanno a loro disposizione strumenti di tutela successivi, in via giudiziaria, quali il diritto di impugnazione delle delibere assembleari (in particolare di bilancio), il diritto di revocare e esperire azioni di responsabilità nei confronti degli amministratori, e la possibilità di denunzia ex art. 2409 c.c.
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1. Cosa si intende per “socio di minoranza”?
Come è noto, i soci di una società godono di capacità decisionale diversa, principalmente in funzione della misura in cui partecipano al capitale sociale. Possono definirsi soci di minoranza i soci che non sono in grado di esercitare una influenza determinante, attraverso il proprio voto in assemblea, nell’approvazione delle delibere che riguardano le decisioni più importanti della società.
A tal proposito, è opportuno riepilogare sinteticamente i quorum costituivi e deliberativi di S.p.A. e S.r.l.
Per quanto riguarda le S.p.A. (chiuse, cioè non quotate), ai sensi degli artt. 2368 e 2369 cod. civ. salvo diversa disposizione dello statuto:
- l’assemblea ordinaria, in prima convocazione, si costituisce regolarmente con la presenza di almeno la metà del capitale sociale e delibera a maggioranza assoluta, nelle convocazioni successive, invece, essa delibera con il voto favorevole della maggioranza del capitale rappresentato in assemblea, qualunque ne sia la percentuale;
- l’assemblea straordinaria, in prima convocazione, delibera con il voto favorevole di più della metà del capitale sociale, nelle convocazioni successive, si costituisce validamente con la partecipazione di oltre un terzo del capitale sociale e delibera con il voto favorevole di almeno i due terzi del capitale rappresentato.
Per quanto riguarda le S.r.l., ai sensi dell’art. 2479-bis cod. civ., salva diversa disposizione dello statuto:
- l’assemblea è regolarmente costituita con la presenza di almeno la metà del capitale sociale e delibera con il voto favorevole della maggioranza assoluta degli intervenuti, salvo che per le delibere che comportino una modifica all’atto costitutivo od operazioni tali da determinare una sostanziale modifica dell’oggetto sociale o dei diritti dei soci, per le quali è richiesto il voto favorevole di almeno la metà del capitale sociale;
- ai sensi dell’art. 2479, sesto comma, cod. civ., le decisioni extra-assembleari sono prese con il voto favorevole di una maggioranza che rappresenti almeno la metà del capitale sociale.
2. I diversi diritti dei soci in funzione del grado di partecipazione al capitale sociale
Ciò premesso, esaminiamo sinteticamente quali sono i diversi diritti dei soci di minoranza, in funzione della misura della partecipazione detenuta nella società.
Nelle S.p.A., la titolarità di almeno il 5% del capitale sociale consente al socio di minoranza di:
- impugnare la delibera assembleare che non sia conforme alla legge o allo statuto sociale (art. 2377, terzo comma, cod. civ.);
- denunziare all’organo di controllo fatti ritenuti censurabili, obbligando lo stesso ad indagare senza ritardo a riguardo e a presentare le proprie conclusioni ed eventuali proposte all’assemblea dei soci (dell’art. 2408 cod. civ.).
Una partecipazione di almeno il 10% del capitale sociale consente al socio di minoranza di:
- chiedere agli amministratori la convocazione dell’assemblea (art. 2367, primo comma, cod. civ.) (v. par. 4);
- agire ai sensi dell’art. 2409 cod. civ. in caso di fondato sospetto di gravi irregolarità nella gestione che possano arrecare danno alla società.
Una partecipazione di almeno il 20% del capitale sociale consente al socio di minoranza di esercitare l’azione di responsabilità contro gli amministratori e i sindaci (art. 2393-bis, primo comma, cod. civ.).
Una partecipazione di almeno il 33% del capitale sociale consente infine al socio di minoranza di:
- chiedere il rinvio dell’assemblea (art. 2374 cod. civ.) (v. par. 4);
- porre il veto nell’assemblea straordinaria in seconda convocazione (art. 2369, quinto comma, cod. civ.).
Nelle S.r.l.:
- tutti i soci, indipendentemente dalla loro partecipazione nella società, possono esercitare i diritti di informazione sull’andamento della società e di consultazione dei documenti societari, ai sensi dell’art. 2476 comma 2 c.c.;
- tutti i soci, indipendentemente dalla loro partecipazione nella società, possono impugnare le delibere assembleari (art. 2779-ter cod. civ.), e proporre l’azione di responsabilità nei confronti degli amministratori (dell’art. 2476 cod. civ.);
- i soci che detengono almeno i 2/3 del capitale sociale possono rinunziare o transigere l’azione di responsabilità contro gli amministratori, sempre che non si oppongano tanti soci che ne rappresentano almeno il 10% (dell’art. 2476, quinto comma, cod. civ.);
- i soci che rappresentano il 33% del capitale possono chiedere la convocazione dell’assemblea per deliberare su determinate materie (’art. 2479, quarto comma, cod. civ.).
3. La tutela “preventiva” del socio di minoranza
3.1 I quorum deliberativi rafforzati nello statuto o nel patto parasociale
Spesso accade che i soci di minoranza di una società, per molte ragioni – tra cui una sottovalutazione del ruolo dello statuto e dei patti parasociali ed una iper-valutazione delle proprie capacità di prevenire o risolvere i conflitti con gli altri soci – non valutino adeguatamente le conseguenze di una conflittualità con i soci di maggioranza.
Gli svantaggi tipici del socio di minoranza sono costituiti essenzialmente da:
- l’esclusione dalla distribuzione degli utili (qualora la maggioranza preferisca non distribuirli o reinvestirli);
- l’esclusione dalla partecipazione alle cariche sociali (generalmente riservate alla maggioranza);
- la carenza di informazione circa l’andamento della società (salvo i diritti garantiti dalla legge, soprattutto per i soci di S.r.l.);
- la possibile uscita “forzosa” dalla società, in caso di riduzione del capitale sociale o delibera di scioglimento anticipato (salva la possibilità di impugnazione della delibera per abuso ai danni della minoranza).
Il Codice civile garantisce ai soci di minoranza alcuni diritti, che li tutelano nei confronti della maggioranza, quali in particolare:
- il diritto di intervento in assemblea;
- il diritto di chiedere un rinvio dell’assemblea per mancanza di informazioni (art. 2374 c.c.);
- il diritto di convocare l’assemblea (art.2479 comma 1 c.c.);
- il diritto all’informazione e consultazione;
- il diritto ad impugnare le delibere illegittime;
- il diritto di deliberare e promuovere l’azione sociale di responsabilità contro gli amministratori;
- il diritto di recesso.
Tali diritti tuttavia non sempre sono sufficienti a tutelare adeguatamente i soci di minoranza e a valorizzarne adeguatamente l’investimento, e in ogni caso, non sono in grado di evitare il sorgere di un conflitto con gli altri soci, e dunque di un contenzioso. Sono invece molto più efficaci per i soci di minoranza forme di tutela per così dire preventive, consistenti nell’inserimento di opportune clausole, nello statuto o in un patto parasociale.
Purtroppo, spesso i soci – in particolare di minoranza – non prestano la dovuta attenzione al momento della costituzione della società, ed accettano proposte di adesione a società regolate da statuti standard “preconfezionati”, che non tengono conto di quanto è necessario per la protezione dei soci minoritari. Viceversa, una opportuna attenzione e consapevolezza in sede di redazione dello statuto – naturalmente previa opportuna trattativa e negoziazione con i soci di maggioranza – eviterebbe o comunque limiterebbe notevolmente il sorgere di successivi contrasti con i soci di maggioranza.
In primo luogo, è possibile prevedere – nello statuto o nei patti parasociali – quorum rafforzati per le delibere attinenti materie di particolare rilievo, quali in particolare:
- nomina e revoca delle cariche sociali;
- approvazione del bilancio;
- aumenti di capitale;
- operazioni straordinarie.
In tal modo, il socio di minoranza è in grado di impedire l’adozione di delibere che possono recare un pregiudizio ai propri interessi, modificando i quorum deliberativi su talune materie, in modo da acquisire maggior peso decisionale all’interno della società ed esercitare così un potere di veto. Naturalmente, l’individuazione del quorum in grado di assicurare tale influenza al socio di minoranza varia in relazione ai rapporti interni tra i soci.
Inserire tale previsione nello statuto o in un patto parasociale non è equivalente. Lo statuto è dotato di efficacia reale, e quindi vincola anche i terzi. Viceversa, il patto parasociale ha efficacia obbligatoria, cioè vincola solo i soci che lo hanno sottoscritto (o eventualmente anche altri soggetti non soci che lo abbiano anch’essi sottoscritto), e non la società.
Di conseguenza, qualora una clausola di rafforzamento di un determinato quorum deliberativo venga inserita in un patto parasociale, la delibera eventualmente adottata non conformemente a quanto previsto dal patto non potrà essere impugnata (come invece quella che non sia stata presa nel rispetto di quanto previsto dallo statuto) ma, al più, essa sarà fonte di responsabilità contrattuale per il socio inadempiente, il quale sarà tenuto al risarcimento del danno nei confronti degli altri soci.
Per quanto concerne la durata, il termine dei patti parasociali – seppur rinnovabili alla scadenza- è determinato dalla legge in cinque anni per le S.p.A. (tre anni per le società quotate). Nelle S.r.l. è possibile che il patto parasociale venga stipulato a tempo determinato (per un periodo anche superiore a cinque anni) purché la durata risulti “congrua” in relazione alla necessaria limitazione del vincolo, o a tempo indeterminato, purché venga attribuito in tal caso un diritto di recesso esercitabile con un preavviso di 180 giorni. Le clausole statutarie, invece, non sono soggette a limiti temporali e mantengono la propria efficacia per tutta la durata della società.
L’inserimento di tali forme di tutela in un patto parasociale è in linea di massima preferibile (rispetto all’inserimento nello statuto) quando vi sono esigenze di riservatezza, oppure è opportuno coinvolgere soggetti terzi rispetto ai soci, o quando i soci intendono adattare o modificare il patto alla sopravvenienza di future circostanze, senza essere costretti a ricorrere all’assemblea ed all’atto pubblico (necessari invece per modificare lo statuto).
Inoltre, determinati risultati possono essere conseguiti solo attraverso la stipula di un patto parasociale; ad esempio, nelle S.p.A. lo statuto può stabilire delle norme particolari per la nomina delle cariche sociali ma non può prevedere quorum deliberativi rafforzati per la nomina e la revoca delle stesse (art. 2369, quarto comma, cod. civ.), mentre un patto parasociale consente di accordarsi preventivamente sulla nomina dell’organo amministrativo e sul voto in assemblea.
Tornando al tema delle assemblee, una ulteriore forma di tutela per il socio di minoranza (di S.r.l.) può consistere nel diminuire la soglia minima per la convocazione dell’assemblea.
L’art. 2479, comma 1 c.c., prevede infatti che l’assemblea dei soci di s.r.l. può essere convocata da tanti soci che rappresentano almeno un terzo del capitale sociale. Lo statuto potrebbe abbassare tale soglia, inserendo la possibilità per i soci di chiedere la convocazione dell’assemblea anche titolari di una quota inferiore del capitale (ad esempio, il 20 o il 25 %).
3.2 La rappresentanza nell’organo amministrativo della società e il diritto agli utili
Con riferimento alle decisioni dell’organo amministrativo della società, il socio di minoranza ha generalmente interesse a regolamentare la possibilità di essere rappresentati nell’amministrazione della società – oltreché nell’organo di controllo, se istituito – escludendo la possibilità (solitamente prevista negli statuti) di un organo amministrativo monocratico.
Ciò, naturalmente, sempre che i soci di maggioranza siano interessati a gestire la società in prima persona; qualora invece siano interessati esclusivamente a trarne un profitto, essi potranno affidare la gestione esclusivamente alla minoranza, limitandosi ad assicurarsi la distribuzione degli utili eventualmente generati ed una vigilanza sulla corretta gestione dell’impresa attraverso l’organo di controllo.
In una S.p.A., il diritto alla partecipazione all’organo amministrativo potrà essere garantito dall’introduzione, in statuto, di un meccanismo di voto di lista; minor tenuta è invece offerta dalla sottoscrizione di un patto parasociale, che obblighi i soci di maggioranza e di minoranza ad accordarsi preventivamente sulla nomina delle cariche sociali.
In una S.r.l. è inoltre possibile attribuire, nello statuto, diritti particolari riguardanti l’amministrazione della società , ai sensi dell’art. 2468, terzo comma, c.c. Tale norma prevede la possibilità di derogare al principio generale di proporzionalità delle partecipazioni sociali – in base al quale tutti i soci godono dei medesimi diritti, in misura proporzionale alla misura della partecipazione – attribuendo particolari diritti a singoli soci, indipendentemente dalla misura delle quote dagli stessi detenute nella società; ciò consente appunto ai soci di minoranza di avere diritti maggiori rispetto a quelli che agli stessi spetterebbero in relazione alla quota di partecipazione.
In questo modo è quindi possibile attribuire al socio di minoranza:
- il diritto di designare le persone nell’ambito delle quali i soci devono scegliere gli amministratori o alcuni di essi;
- il diritto di esprimere il gradimento circa le persone designate o nominate dagli altri soci o di revocarli;
- il diritto di nominare uno o più amministratori in via diretta, e cioè in modo extra-assembleare o senza decisione dei soci;
- il diritto di ricoprire, anche personalmente, la carica di amministratore per un determinato periodo di tempo (o senza limiti di tempo), ed eventualmente anche senza alcuna nomina (come avviene per i soci nelle società di persone).
Possono altresì essere attribuiti ai soci di minoranza diritti in ordine al compimento di atti di gestione, quali ad esempio:
- il diritto a rilasciare autorizzazioni preventive, diritto di veto o, addirittura, di decisione, in ordine al compimento di determinate operazioni gestorie (come l’acquisto o alienazione di immobili o diritti reali immobiliari, l’iscrizione di ipoteche su beni immobili sociali, la cessione o affitto di azienda o di rami di essa), a prescindere dal fatto che si ricopra o meno la carica di amministratore; in tal caso, peraltro, vi possono essere ricadute per il socio sotto il profilo della responsabilità;
- il diritto di opporsi a determinati atti di gestione, ancorché il socio non sia investito del potere di amministrare, analogamente a quanto previsto dall’art. 2257 c.c. nelle società personali per l’amministrazione disgiuntiva.
I diritti particolari assegnati ai soci di S.r.l. possono inoltre riguardare anche la distribuzione degli utili eventualmente generati dalla società, in modo da prevenire che il socio di maggioranza attui una politica di accantonamento degli utili generati e privi così la minoranza di una qualche forma di ritorno sull’investimento, incentivandola – nel caso di dissidio – a cedere la propria partecipazione.
Lo statuto può quindi prevedere che – in deroga alla regola generale di cui all’art. 2468, comma 2 c.c., secondo la quale ciascun socio beneficia dei diritti che gli derivano dalla sua partecipazione al capitale sociale in relazione alla misura della propria di partecipazione – uno o più soci (di minoranza) abbiano il diritto di vedersi attribuita una quantità di dividendi (in termini di utili distribuibili o di utili conseguiti) maggiore rispetto a quella gli spetterebbe in base all’entità della propria quota di partecipazione.
3.3 Il recesso
Un altro efficace strumento di tutela per il socio di minoranza è costituito dal diritto di recesso dalla società.
L’art. 2437 c.c. prevede che un socio possa recedere dalla società in alcuni casi, che si riferiscono a modifiche statutarie (adottate con delibera assemblare alla quale il socio non abbia concorso) di notevole importanza, ovvero:
- la modifica dell’oggetto sociale, quando implica un cambiamento significativo dell’attività della società;
- la trasformazione della società;
- il trasferimento della sede sociale all’estero;
- la revoca dello stato di liquidazione;
- l’eliminazione di una o più cause di recesso;
- la modifica dei criteri di determinazione del valore dell’azione in caso di recesso;
- le modificazioni dello statuto concernenti i diritti di voto o di partecipazione.
Al di là di tali ipotesi, previste dalla legge, lo statuto può prevedere ulteriori casi che legittimano l’esercizio del diritto di recesso (c.d. recesso convenzionale), consentendo in tal modo al socio di minoranza di fuoriuscire più agevolmente dalla società.
E’ quindi possibile prevedere nello statuto che un socio possa recedere dalla società, ad esempio, nei seguenti casi:
- mancato raggiungimento da parte della società di determinati risultati economici;
- raggiungimento da parte del socio di una determinata età;
- revoca o mancato rinnovo di licenze, accordi commerciali o diritti di proprietà industriale;
- modifica del sistema di amministrazione della società;
- tipula di contratti di finanziamento per importi superiori ad una determinata percentuale del capitale sociale;
etc.
3.4 Il diritto di exit: clausole tag along e opzione put
Infine, un’altra forma di tutela “preventiva” utile al socio di minoranza è costituita dall’ottenimento di diritti di exit (cioè di uscita) dalla società (diversa dal recesso, di cui abbiamo parlato prima).
A tal proposito, sono utili alcune clausole, ricorrenti nei patti parasociali – ma spesso presenti anche negli statuti di società – che consentono di regolare l’exit del socio-quali:
- le clausole di co-vendita (“tag along”), che consentono al socio di minoranza di tutelarsi nel caso in cui la maggioranza voglia cedere la propria partecipazione ad un terzo che non gli sia gradito come futuro socio o, comunque, a condizioni economiche d’interesse anche per il socio di minoranza stesso; grazie a tale clausola, la minoranza può vendere la propria partecipazione al terzo – fermo il consenso di quest’ultimo – unitamente a quella della maggioranza. La clausola di tag along diventa ancor più opportuna quando sia presente una clausola di trascinamento, che obbliga la minoranza a vendere la propria partecipazione al terzo unitamente a quella della maggioranza, in modo da massimizzare il valore del propria partecipazione in previsione di una futura cessione della stessa ad un terzo interessato ad acquisire il controllo dell’intera società (clausola di drag along);
- le clausole di opzione put, che attribuiscono alla minoranza il diritto di vendere alla maggioranza la propria partecipazione al ricorrere di determinate circostanze; tale diritto funge da contraltare a quello di acquisto in capo alla maggioranza (opzione call).
4. I diritti dei soci di minoranza in sede assembleare
La legge attribuisce ai soci di minoranza una serie di diritti, inderogabili (e quindi non sopprimibili dallo statuto), rispetto alla loro partecipazione all’assemblea.
In primo luogo, la minoranza (qualificata) dei soci che hanno diritto ad intervenire nell’assemblea può chiedere la convocazione dell’assemblea, in caso di inerzia dell’organo amministrativo (cui spetta in via generale tale potere); tale diritto si configura in modo parzialmente diverso per le S.p.A. e le S.r.l.
Nella S.p.a., la convocazione dell’assemblea può essere chiesta dai soci che detengono almeno il 10% del capitale sociale, ai sensi dell’art. 2367, primo comma, c.c. Tale soglia può essere diminuita (ma non aumentata) dallo statuto, fino al punto di riconoscere il diritto in oggetto in capo a ciascun socio quale che sia l’entità della propria partecipazione azionaria.
L’istanza di convocazione deve essere inoltrata al presidente del CdA, al quale spetta, di norma, il compito di convocare il CdA; ricevuta la richiesta – o comunque al superamento della soglia minima, in caso di richieste non contestuali – gli amministratori o il consiglio di gestione devono convocare senza ritardo l’assemblea.
Il diritto di richiedere la convocazione dell’assemblea da parte dei soci non ha peraltro natura assoluta, in quanto tale diritto non è ammesso per argomenti sui quali l’assemblea delibera, a norma di legge, su proposta degli amministratori o sulla base di un progetto o di una relazione da essi predisposta, ai sensi dell’art. 2367, ultimo comma c.c.
I soci non possono quindi chiedere la convocazione dell’assemblea su materie quali modifiche statutarie, approvazione del bilancio di esercizio, fusione, scissione, trasformazione, aumento e riduzione del capitale sociale, distribuzione di utili, emissione di obbligazioni. Gli argomenti per i quali è esercitabile la richiesta di convocazione sono pertanto sostanzialmente limitati a:
- nomina, revoca o esercizio dell’azione di responsabilità nei confronti degli organi sociali (amministratori, sindaci, revisore contabile);
- inserimento o soppressione di limiti alla circolazione delle azioni;
- liquidazione volontaria o proroga della durata della società.
Nella domanda di convocazione dell’assemblea devono essere indicati gli argomenti da trattare; non trattarsi necessariamente di temi che dovranno formare oggetto di deliberazione. Pertanto la convocazione può essere chiesta anche soltanto per ottenere informazioni su specifici argomenti d’interesse sociale, purché circoscritti.
Ai sensi dell’art. 2367 comma 2 c.c., nelle S.p.A., in caso di inerzia degli organi sociali, ovvero in caso di rifiuto della convocazione espresso da questi ultimi, i soci possono rivolgersi al Tribunale, il quale, sentiti i componenti degli organi amministrativi e di controllo, può ordinare con decreto la convocazione dell’assemblea, designando la persona che deve presiederla.
L’illegittimo rifiuto da parte degli amministratori di convocare l’assemblea a seguito della richiesta della minoranza, li espone altresì al rischio della revoca giudiziale, ai sensi dell’art. 2409, comma 4, c.c. (v. par. 5.2), e a un’eventuale azione di responsabilità ai sensi dell’art. 2393-bis c.c.
Tuttavia, a fronte della richiesta di convocazione dell’assemblea ai sensi dell’art. 2367 c.c., gli amministratori di S.p.A. possono e devono rifiutarsi di provvedere qualora ritengano che la richiesta non sia corretta dal punto di vista formale, o verta su argomenti illeciti, impossibili o estranei alla competenza della assemblea, o, ancora, qualora ritengano che tale richiesta sia infondata nel merito, in quanto meramente dilatoria o ostruzionistica, ovvero preordinata esclusivamente ad ostacolare il corretto svolgimento della vita societaria. In tali casi, anche il Giudice di fronte alla richiesta del socio cui sia stato negato il diritto alla convocazione si esprimerà in modo negativo.
Il diritto di convocazione dell’assemblea, infatti, non può essere esercitato dalla minoranza in modo strumentale, a fini dilatori o di mero disturbo, o comunque in modo tale da intralciare la gestione societaria, trattandosi in tal caso di una ipotesi di abuso di potere della minoranza. Ciò in quanto i diritti dei soci di minoranza non possono essere esercitati per una finalità diversa da quella prevista dalla legge – ovvero la tutela rispetto all’assunzione delle decisioni da parte della maggioranza – cioè, con l’esclusivo intento di sabotare e intralciare lo svolgimento dell’attività assembleare, o comunque di ledere diritti o interessi dei soci di maggioranza o della società, ovvero per perseguire interessi extrasociali.
Nelle S.r.l., i soci che rappresentano almeno il 33% del capitale possono direttamente convocare l’assemblea, in caso di inerzia o ritardo degli amministratori (art. 2479, comma 1 c.c.). I soci di minoranza delle S.r.l. non possono invece ricorrere al tribunale perché disponga la convocazione, non essendo applicabile analogicamente l’art. 2367 c.c. dettato per le S.p.A.
La convocazione diretta dell’assemblea da parte dei soci presuppone che:
- sia stato previamente e inutilmente sollecitato l’esercizio del relativo adempimento all’organo amministrativo;
- l’assemblea venga convocata con comunicazione per iscritto che riporti una descrizione precisa dell’ordine del giorno, nonché del luogo e dell’ora della riunione;
- l’avviso di convocazione venga inviato a tutti i soci, agli amministratori e all’organo di controllo (ove presente) con preavviso di almeno 8 giorni.
Sempre in tema assembleare, ai sensi dell’art. 2374 c.c. i soci di S.p.A. intervenuti che riuniscono un terzo del capitale rappresentato dall’assemblea, se dichiarano di non essere sufficientemente informati sull’oggetto all’ordine del giorno, possono chiedere che l’assemblea venga rinviata a non oltre cinque giorni. Tale diritto può essere tuttavia esercitato solo una sola volta per lo stesso oggetto.
La norma è posta a tutela della minoranza e ha la funzione di garantire un approfondito dibattito assembleare e di consentire all’avente diritto una partecipazione consapevole ed il conseguente
consapevole esercizio del voto. La richiesta di rinvio può essere esercitata senza alcuna formalità, purché si tratti di richiesta motivata e non generica.
Il diritto di rinvio dell’assemblea è un vero e proprio diritto potestativo, al quale la maggioranza deve uniformarsi; in caso di esercizio di tale diritto, pertanto, il presidente è obbligato a rinviare l’assemblea, pena l’invalidità della delibera comunque adottata. Tale diritto non è riconosciuto anche ai soci di S.r.l., non essendo applicabile ad essi analogicamente l’art. 2374 c.c.
5. La tutela del socio di minoranza in via giudiziaria
5.1 L’impugnazione delle delibere assembleari
Al di là delle forme di tutela preventiva sopra descritte, la legge accorda al socio di minoranza degli strumenti di tutela successivi, in via giudiziaria, che costituiscono dei limiti al principio generale della maggioranza, sul quale si basa il diritto societario. Tali strumenti sono essenzialmente costituiti da:
- la possibilità di impugnare le delibere assembleari invalide;
- la possibilità di revocare e/o di esperire un’azione di responsabilità, nei confronti dell’organo amministrativo;
- la possibilità di denunzia ex art. 2409 c.c. (v. par. 5.2).
Per quanto concerne la possibilità di impugnazione delle delibere assembleari, fermo restando che i soci di minoranza possono impugnare qualunque delibera che ritengano invalida, in occasione della quale siano rimasti assenti abbiano votato in senso contrario (come, ad esempio, delibere di aumento del capitale sociale, distribuzione utili, attribuzione di compensi agli amministratori, etc.), un’occasione particolarmente importante in occasione della quale i soci possono far sentire la propria voce e far valere il proprio diritto di impugnazione è l’approvazione del bilancio.
A tal fine, è opportuno che il socio di minoranza richieda la bozza del bilancio con congruo margine prima dell’assemblea (tenuto conto che gli artt. 2429 e 2478-bis c.c. impongono il deposito di tale bozza presso la sede sociale almeno 15 giorni prima della data fissata per l’assemblea), la esamini attentamente (eventualmente con l’ausilio di un consulente esperto) e formuli le opportune richieste di chiarimento al CdA.
Durante l’assemblea convocata per l’approvazione del bilancio, il socio di minoranza, sulla base della conoscenza preventiva del bilancio e delle eventuali informazioni aggiuntive ottenute dagli amministratori, può suscitare un dibattito sull’andamento della società e sulle politiche di bilancio, formulando precise censure su quanto di illegittimo (o anche solo di inopportuno) si ravvisi nel bilancio e nell’attività degli amministratori.
Infine, concluso il dibattito assembleare, il socio di minoranza, qualora sia stato dissenziente e qualora non siano state apportate le rettifiche richieste al bilancio (ad es. nessun aumento del dividendo, nessuna diminuzione del compenso degli amministratori, etc.) potrà impugnare la relativa delibera in sede civile, ed eventualmente presentare contro gli amministratori denuncia penale per i reati di falso di cui agli articoli 2621 e ss. c.c.
5.2 La denunzia ai sensi dell’art. 2409 c.c.
Rimandando ad altro articolo per un approfondimento sulle azioni di revoca e responsabilità nei confronti degli amministratori, soffermiamoci sulla denunzia di gravi irregolarità ai sensi dell’art. 2409 c.c. Tale norma consente ai soci (anche e soprattutto di minoranza) di attivare l’intervento dell’Autorità giudiziaria all’interno della vita della società, allo scopo di ripristinare la legalità dell’amministrazione della società stessa, alterata da una illecita attività di gestione da parte degli amministratori.
La norma prevede infatti che, se vi è fondato sospetto che gli amministratori, in violazione dei loro doveri, abbiano compiuto gravi irregolarità nella gestione che possono arrecare danno alla società, i soci che rappresentano 1/10 del capitale sociale (o 1/20 nelle società che fanno ricorso al mercato del capitale di rischio), possono denunziare i fatti al Tribunale, il quale può attivarsi per rimuovere le irregolarità rilevate, scongiurando il pericolo di futuri danni e preservando l’integrità del patrimonio sociale.
L’art. 2409 c.c. è dettato solo per le S.p.A.; il Codice della Crisi di Impresa e dell’Insolvenza (D. Lgs. n. 14/2019), modificando l’art 2477 c.c., ha (re)introdotto la possibilità (dapprima ammessa dalla giurisprudenza, ma poi negata nella riforma delle società del 2003) di ricorrere all’azione di cui all’art 2409 c.c. anche nei casi di c.d. mala gestio degli amministratori di S.r.l.
La nozione di “gravi irregolarità” nella gestione amministrativa è notevolmente elastica; in generale, si ritiene che le gravi irregolarità, affinché possano assumere rilevanza, debbano consistere in fatti o atti compiuti dagli amministratori, con dolo o con colpa e debbano presentare i seguenti caratteri:
- riguardare la sfera societaria e non quella personale degli amministratori;
- rivestire il carattere dell’attualità;
- assumere un carattere dannoso, nel senso che deve trattarsi di violazioni di norme civili, penali, tributarie o amministrative, capaci di provocare un danno al patrimonio sociale e di conseguenza agli interessi dei soci e dei creditori sociali o un grave turbamento dell’attività sociale.
In ogni caso, il controllo è limitato alla valutazione della legittimità delle scelte di gestione da parte degli amministratori, non essendo prevista la possibilità di estendere l’indagine giudiziaria anche sul merito di tali scelte, in ossequio alla c.d. business judment rule.
Per l’esperibilità dell’azione di controllo giudiziario, infine, è necessaria la sussistenza di due presupposti:
- il “fondato sospetto” della commissione, da parte degli amministratori, di gravi irregolarità nella gestione della società (non è quindi necessario dimostrare le gravi irregolarità di gestione, essendo sufficiente documentare l’esistenza di elementi che concorrono a delineare un fondato sospetto delle medesime);
- la sussistenza di una probabile realizzazione di un danno a carico della società, che sia conseguenza di tali irregolarità.
A seguito della proposizione della denuncia ai sensi dell’art. 2409 c.c., l’Autorità Giudiziaria deve valutare, in base ad un giudizio prognostico, se vi sia la ragionevole probabilità della realizzazione di un danno sofferto dalla società a causa del compimento di atti di mala gestio ascrivibili agli amministratori. Qualora il denunciato sospetto di irregolarità sussista, il Tribunale, previa audizione degli amministratori, può:
- ordinare l’ispezione dell’amministrazione della società, a spese dei soci ricorrenti, subordinandola, ove ritenuto opportuno, alla prestazione di una cauzione;
- sospendere il procedimento per un determinato periodo, in modo che l’assemblea sostituisca gli amministratori con soggetti di adeguata professionalità, che sono tenuti ad accertare la sussistenza delle violazioni denunciate e, in caso positivo, eliminarne le conseguenze.
Qualora, invece, i ricorrenti abbiano presentato, contestualmente alla denuncia, la prova dell’effettiva esistenza delle irregolarità, oppure se la stessa emerge dagli esiti dell’ispezione, il Tribunale ha la facoltà di: disporre gli opportuni “provvedimenti provvisori”, di carattere essenzialmente cautelare, necessari per impedire la reiterazione delle irregolarità rilevate o l’aggravarsi degli effetti dannosi che da esse sono derivati. Tali provvedimenti possono prevedere:
- la limitazione di poteri;
- la sospensione di un’assemblea, di un amministratore o di un dirigente;
- l’inibizione del compimento di un atto;
- l’affidamento della tenuta della contabilità ad un esperto;
- la convocazione dell’assemblea per l’adozione delle misure più opportune;
- nei casi più gravi, la revoca degli amministratori e la nomina di un amministratore giudiziario, il quale è legittimato, ove ne ricorrano i presupposti, a proporre l’azione di responsabilità contro gli amministratori.
La tutela dei soci di minoranza
Tutele previste dalla legge | Tutele preventive (in statuto/patti parasociali) | Tutele successive (giudiziarie) |
Richiesta di convocazione/rinvio dell’assemblea | Inserimento di quorum deliberativi rafforzati su alcune materie | Impugnativa delle delibere societarie invalide |
Diritto di intervento in assemblea | Diritto di convocare l’assemblea (al di sotto del 33% della quota di capitale) | Azione di revoca/responsabilità nei confronti degli amministratori |
Diritti di informazione sull’andamento della società e consultazione dei documenti societari | Diritti particolari sull’amministrazione della società e gli utili (art. 2468 comma 3 c.c.) | Denunzia di gravi irregolarità ex art. 2409 c.c. |
Diritto di recesso | Diritto di recesso convenzionale (oltre le cause previste dalla legge) | |
Diritti di exit (clausole di tag-along, opzione put) |
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Avv. Valerio Pandolfini
Avvocato specializzato in Diritto Societario
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