La responsabilità degli amministratori di S.r.l.: l’azione per danni e la revoca
Ai sensi dell’art. 2476 c.c., gli amministratori di S.r.l. sono solidalmente responsabili verso la società dei danni derivanti dall’inosservanza dei doveri ad essi imposti dalla legge e dall’atto costitutivo per l’amministrazione della società; tuttavia la responsabilità non si estende a quelli che dimostrino di essere esenti da colpa e, essendo a conoscenza che l’atto si stava per compiere, abbiano fatto constare il proprio dissenso. La violazione degli obblighi degli amministratori rappresenta un presupposto necessario, ma non sufficiente per affermare la responsabilità risarcitoria degli amministratori inadempienti: occorre provare l’esistenza del danno subìto dalla società e la riconducibilità causale di detto danno alla condotta omissiva o commissiva degli amministratori. I diversi modelli di amministrazione della S.r.l. prescelti dai soci influenzano il regime di responsabilità degli amministratori.. Gli amministratori possono essere altresì revocati, indipendentemente dall’esercizio di un’azione di responsabilità, in via giudiziale o extragiudiziale. Uno strumento molto efficace a disposizione dei soci di minoranza è la denuncia al Tribunale di gravi irregolarità ai sensi dell’art. 2409 c.c., che nei casi più gravi può condurre anch’essa alla revoca degli amministratori e alla nomina di un amministratore giudiziario.
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1. La responsabilità degli amministratori di S.r.l.
La responsabilità degli amministratori nella S.r.l. è disciplinata dall’art. 2476 c.c . Il primo comma della norma prevede che gli amministratori sono solidalmente responsabili verso la società dei danni derivanti dall’inosservanza dei doveri ad essi imposti dalla legge e dall’atto costitutivo per l’amministrazione della società. Tuttavia la responsabilità non si estende a quelli che dimostrino di essere esenti da colpa e, essendo a conoscenza che l’atto si stava per compiere, abbiano fatto constare il proprio dissenso.
L’amministratore, nel gestire un patrimonio che non gli appartiene (o che al più, se è socio, gli appartiene pro quota), deve osservare una serie di doveri; qualora violi tali doveri, risponde nei confronti della società. L’obbligo di risarcire il danno ha dunque non solo una funzione “riparatoria”, una volta che il danno si è verificato, ma anche una funzione “preventiva”, finalizzata a far sì che l’amministratore adotti tutte le cautele necessarie per evitare che il patrimonio della società venga danneggiato.
Dunque, la responsabilità dell’amministratore di S.r.l. si fonda su tre elementi:
- l’inosservanza di un dovere, cioè un atto o un’omissione in violazione di un obbligo imposto dalla legge o dall’atto costitutivo;
- il verificarsi di un danno;
- il nesso di causalità fra il comportamento dell’amministratore e le conseguenze dannose per la società.
La responsabilità dell’amministratore di Srl – a differenza del socio – è illimitata: l’amministratore risponde infatti dell’adempimento delle obbligazioni con tutti i suoi beni presenti e futuri, secondo la regola stabilita dall’art. 2740 comma 1 c.c.
Si noti tuttavia che, in alcuni casi, anche i soci della S.r.l. possono essere responsabili, illimitatamente e in solido con gli amministratori, qualora abbiano intenzionalmente deciso o autorizzato il compimento di atti dannosi per la società (art. 2476, comma 7°, c.c.). Il tema è stato affrontato in altro specifico contributo.
2. Poteri e doveri degli amministratori
I poteri gestori degli amministratori di S.r.l. non derivano, come nelle S.p.A., dalla legge (art. 2380-bis, comma 1, c.c.), bensì dell’atto costitutivo, il quale può attribuire ai soci le decisioni in ordine a tutte quelle materie che non rientrano nella prerogativa degli amministratori, privandoli, quindi, di specifici poteri decisori, dei quali possono essere investiti direttamente i soci.
La S.r.l. si caratterizza infatti per una spiccata flessibilità organizzativa e decisionale, che per molti aspetti ricalca quella tipica delle società di persone, fermo restando che, in ogni caso, il potere di rappresentanza della società attiene pur sempre al ruolo degli amministratori.
Alcune specifiche decisioni sono tuttavia riservate ai soci, ovvero:
- l’approvazione del bilancio;
- la ripartizione di utili;
- la nomina degli amministratori;
- le modifiche dell’atto costitutivo, dell’oggetto sociale o dei diritti dei soci.
Per ciò che concerne il potere di gestione degli amministratori, è possibile distinguere:
- il potere di iniziativa, ovvero il compito di convocare l’assemblea nei casi previsti dalla legge e in base alle previsioni dell’atto costitutivo:
- la gestione esecutiva, ovvero il potere e il compito di dare esecuzione alle delibere dei soci;
- la gestione in senso stretto, cioè il potere di compiere tutti gli atti che rientrano nell’oggetto sociale.
Collateralmente all’espletamento del potere gestorio, gli amministratori devono necessariamente adempiere obblighi specifici posti in capo agli stessi dal Codice civile, tra i quali in particolare:
- la redazione del progetti di bilancio di esercizio e del progetto di fusione e scissione;
- la tenuta dei libri sociali (art. 2478 c.c., comma 1 c.c.);
- l’effettuazione degli adempimenti pubblicitari previsti dalla legge presso il registro delle imprese;
- la convocazione dell’assemblea nei casi previsti dalla legge;
- l’accertamento del verificarsi di una causa di scioglimento della società (art.2485 c.c.).
Anche se, contrariamente a quanto previsto dall’art. 2476 c.c. per le S.p.a., non vi è una disposizione che sancisca in modo specifico che gli amministratori di S.r.l. devono comportarsi secondo diligenza, si ritiene che il criterio della diligenza debba comunque rilevare nella valutazione della responsabilità dell’amministratore di S.r.l.
Come si è visto, infatti, ai sensi dell’art. 2476, comma 1°, c.c. gli amministratori sono tenuti a osservare i “doveri ad essi imposti dalla legge e dall’atto costitutivo per l’amministrazione della società”; nell’adempimento di tali doveri essi devono operare con la diligenza richiesta per l’adempimento di obbligazioni inerenti all’esercizio di un’attività professionale (art. 1176 c.c.), cioè con il grado di diligenza determinato dall’incarico e delle loro specifiche competenze.
Gli amministratori sono tenuti ad osservare le disposizioni di legge, nonché quei doveri, aggiuntivi rispetto alla legge, che sono stabiliti nell’atto costitutivo.
Il dovere fondamentale dell’amministratore è quello di gestire la società, ovvero di svolgere l’attività d’impresa per la quale la società è stata costituita. Si tratta di un dovere dal contenuto generico, che si concretizza a seconda delle circostanze del caso e delle caratteristiche della società governata; è evidente che gestire una piccola attività imprenditoriale in forma societaria richiede comportamenti ben diversi da quelli che deve tenere l’amministratore di una grossa impresa industriale che dispone di più stabilimenti, magari anche all’estero, e realizza fatturati milionari.
3. Le scelte gestionali degli amministratori e la business judgement rule
Come principio generale, gli atti gestori degli amministratori sono insindacabili (c.d. business judgement rule). L’amministratore di una società non può infatti esser chiamato a rispondere per aver posto in essere scelte imprenditoriali che si siano poi rivelate inopportune dal punto di vista economico, atteso che la valutazione preventiva sulla opportunità della scelta attiene alla discrezionalità imprenditoriale e, sebbene possa essere posta alla base di una revoca dell’incarico, non può costituire fonte di responsabilità contrattuale nei confronti della società.
Tuttavia, il principio della insindacabilità delle scelte di gestione non è assoluto e la sua operatività trova dei limiti. Se è vero infatti che l’attività di amministrazione di una società comporta sempre dei rischi, tali rischi devono essere limitati, assumendo decisioni ragionevoli e informate.
La discrezionalità dell’amministratore con riferimento alle scelte di gestione della società trova un limite nella valutazione di ragionevolezza delle stesse, da compiersi secondo i parametri della diligenza professionale richiesta all’amministratore stesso e tenendo conto in particolare della mancata adozione delle cautele, verifiche e informazioni preventive normalmente richieste per una scelta di quel tipo, ovvero della diligenza mostrata dall’amministratore nell’apprezzare preventivamente i margini di rischio connessi all’operazione da intraprendere.
In questo senso, l’art. 2381, comma 6°, c.c. – norma dettata per le S.p.a., che si ritiene pacificamente applicabile anche alla S.r.l. – prevede che gli amministratori sono tenuti ad agire in modo informato.
Affinché possa escludersi la responsabilità degli amministratori di S.r.l. per il compimento di attività gestorie è pertanto necessario che gli stessi si informino adeguatamente prima di compiere una determinata operazione e che effettuino appropriate valutazioni circa vantaggi e svantaggi derivanti dalle operazioni che hanno in progetto di compiere. La raccolta di un quantitativo sufficiente d’informazioni è infatti espressione della diligenza che deve informare il comportamento degli amministratori.
All’amministratore di S.r.l. non è vietato effettuare operazioni rischiose, a condizione che vi sia consapevolezza del rischio e un ragionevole controllo dello stesso. Ciò significa che l’amministratore deve identificare ex ante – cioè prima del compimento delle operazioni – le possibili conseguenze negative delle decisioni imprenditoriali e identificare possibili alternative meno rischiose. Effettuata la scelta, l’amministratore deve poi porre essere gli accorgimenti idonei a ridurre il rischio.
Ad esempio, se l’amministratore di un’azienda che produce e vende macchinari sta per concludere contratti di compravendita, egli, per operare in modo “diligente”, dovrà assumere le opportune informazioni sull’acquirente (in particolare sulla sua solvibilità) e chiedere una forma di garanzia per il pagamento del prezzo.
4. La responsabilità degli amministratori derivante dall’obbligo di istituire adeguati assetti organizzativi, amministrativi e contabili
Ai sensi dell’art. 2086 secondo comma e 2475 c.c., così come modificati dal D.lgs. n. 14/2019, gli amministratori hanno l’obbligo di curare l’adeguatezza dell’assetto organizzativo, amministrativo e contabile della società.
Poiché la gestione societaria spetta agli amministratori, è dovere dei medesimi istituire un assetto organizzativo, amministrativo e contabile della società che sia idoneo a consentire il tempestivo rilevamento di una situazione di crisi dell’impresa e di perdita della continuità aziendale e – qualora l’azienda sia già in uno stato di crisi – i medesimi amministratori debbono anche attivarsi ricorrendo agli strumenti previsti dall’ordinamento per il recupero della continuità aziendale.
La funzione organizzativa rientra pur sempre nel più vasto ambito della gestione sociale e deve necessariamente essere esercitata discrezionalmente dagli amministratori; in questo senso, la predisposizione di un assetto organizzativo non costituisce l’oggetto di un obbligo a contenuto specifico, ma, al contrario, di un obbligo non predeterminato nel suo contenuto, che acquisisce concretezza solo avuto riguardo alla specificità dell’impresa esercitata e del momento in cui quella scelta organizzativa viene posta in essere.
Tuttavia, l’insindacabilità delle scelte di gestione non ha carattere assoluto, in quanto tali scelte possono essere sindacabili sia sul modo che sulla razionalità in cui sono state assunte. E’ possibile, quindi, configurare una responsabilità degli amministratori per avere adottato degli assetti organizzativi inadeguati, qualora, essendosi poi verificata l’insolvenza senza la tempestiva adozione di misure previste per il superamento della crisi, non sia stata attuata un’adeguata istruttoria, ovvero si siano adottati assetti non coerenti, anzi irragionevoli, rispetto agli esiti dell’istruttoria stessa.
Qualora gli amministratori delle S.r.l. non abbiano ottemperato ai doveri previsti dall’art. 2086 c.c., essi rispondono nei confronti dei creditori sociali qualora ciò si ripercuota sulla conservazione del patrimonio sociale.
Infatti, se è dovere specifico degli amministratori quello di conservare il patrimonio sociale, l’osservanza di un tale dovere viene garantita prevedendo la responsabilità dell’amministratore verso i creditori sociali, allorquando il patrimonio sia divenuto insufficiente al soddisfacimento di questi ultimi.
5. Il danno e il nesso di causalità
Condizione necessaria affinché possa essere fatta valere la responsabilità degli amministratori da parte della società è la sussistenza di un danno; occorre cioè che vi sia una qualsiasi riduzione del patrimonio sociale, in conseguenza di azioni od omissioni poste in essere in violazione degli obblighi che fanno capo agli amministratori. I comportamenti dei membri dell’organo amministrativo non possono invece essere sindacati, anche se contrari ai loro doveri, se non hanno determinato alcun danno.
Fra la violazione del dovere posta in essere dall’amministratore e il danno deve inoltre sussistere un nesso di causalità; occorre cioè accertare che il danno non si sarebbe verificato se il comportamento dell’amministratore fosse stato conforme ai suoi obblighi. Se invece risulta che il danno si sarebbe realizzato comunque (cioè indipendentemente dalla condotta illegittima dell’organo amministrativo), il nesso di causalità è escluso, e l’amministratore non può essere ritenuto responsabile.
All’amministratore di una S.r.l, che si sia reso responsabile di una condotta illecita non può essere imputato ogni effetto patrimoniale dannoso che la società abbia subito, ma solo quello che si pone come conseguenza immediata e diretta della violazione degli obblighi incombenti sull’amministratore stesso. La società deve quindi dimostrare non solo la condotta dell’amministratore contraria ai suoi doveri nell’esecuzione del mandato, ma anche la sussistenza di un danno effettivo e direttamente ricollegabile a tale condotta.
Secondo la giurisprudenza, le mere irregolarità contabili commesse dall’amministratore non sono di per sé produttive di un danno e non costituiscono autonoma fonte di un obbligo, perché la responsabilità dell’amministratore non deriva dalla sola irregolarità della tenuta dei libri contabili, se da questo fatto non dipende un pregiudizio economico della società. In particolare, un bilancio falso non implica automaticamente un danno al patrimonio degli acquirenti delle quote, ma incombe sugli attori l’onere di dimostrare che il prezzo è stato determinato in relazione alla rappresentazione della situazione della società contenuta nel bilancio.
Occorre peraltro segnalare che l’art. 2486 terzo comma c.c., aggiunto dal D.lgs. n° 14/2019 (Codice della Crisi d’Impresa) prevede una presunzione legale di danno causato dagli amministratori (salvo prova contraria), pari alla “differenza tra il patrimonio netto alla data in cui l’amministratore ha cessato dalla carica o, in caso di apertura di una procedura concorsuale, alla data di apertura di tale procedura concorsuale, e il patrimonio netto determinato alla data in cui si è verificata una causa di scioglimento di cui all’art. 2484, detratti i costi sostenuti e da sostenere, secondo un criterio di normalità, dopo il verificarsi della causa di scioglimento e fino al compimento della liquidazione”.
La norma prevede altresì che, nel caso in cui sia aperta una procedura concorsuale e manchino le scritture contabili o quando queste siano tenute in modo irregolare o per qualsiasi altra ragione i netti patrimoniali non possano essere determinati, il danno è liquidato in misura pari alla “differenza tra attivo e passivo accertati nella procedura”.
6. La responsabilità solidale degli amministratori
Qualora vi sia una pluralità di soggetti investiti del potere di amministrare una S.r.l., la responsabilità degli amministratori ha carattere solidale (art. 2476, comma 1°, c.c.).
Il meccanismo della solidarietà consente di aumentare le probabilità per il danneggiato di ottenere soddisfazione, in quanto chi agisce in giudizio può chiedere l’intero danno a ciascuno degli amministratori.
Il fatto che vi siano più amministratori non significa che essi siano tutti automaticamente responsabili nei confronti della società. La responsabilità dell’amministratore è personale e, in linea di principio, colpisce il solo soggetto che compie l’atto e che cagiona il danno.
In questo senso, l’art. 2476, comma 1° prevede che “la responsabilità non si estende a quelli che dimostrino di essere esenti da colpa e, essendo a cognizione che l’atto si stava per compiere, abbiano fatto constare del proprio dissenso”.
Pertanto, un amministratore non risponde solidalmente con gli altri qualora:
- sia esente da colpa (come quindi, ad esempio, subentri a un precedente amministratore e non sia a conoscenza dell’inosservanza di un dovere da parte di un altro amministratore, da cui è derivato il danno);
- se a conoscenza dell’atto, faccia risultare il proprio dissenso.
Se quindi, ad esempio, gli amministratori colpevoli sono due e il danno ammonta a 100.000 Euro, la società potrà chiedere l’intera somma a entrambi (come accadrà normalmente, per aumentare le probabilità che l’importo possa essere recuperato almeno da uno di essi) oppure a uno solo di essi (ad esempio perché si ha la certezza della sua solvibilità, mentre si reputa non solvibile l’altro). Una volta ottenuto il pagamento integrale anche da uno solo degli amministratori, l’obbligazione risarcitoria nei confronti della società si estingue, e l’amministratore che ha pagato l’intero ha diritto di rivalersi pro quota (nell’esempio fatto: 50.000 Euro) nei confronti dell’altro.
7. La responsabilità dell’amministratore di fatto
Talvolta, la gestione della S.r.l. viene esercitata da soggetti che non sono stati formalmente nominati amministratori. Secondo la giurisprudenza, le norme che disciplinano l’attività degli amministratori di una S.r.l., dettate al fine di consentire un corretto svolgimento dell’amministrazione della società, sono applicabili non soltanto ai soggetti immessi, nelle forme stabilite dalla legge, nelle funzioni di amministratori, ma anche a coloro che si siano, di fatto, ingeriti nella gestione della società in assenza di una investitura da parte dell’assemblea. I responsabili delle violazioni di tali norme devono essere infatti individuati non sulla base della loro qualifica formale, bensì sulla base del contenuto delle funzioni concretamente esercitate.
Ad avviso della giurisprudenza, la responsabilità può tuttavia essere addossata solo a chi svolge con continuità il ruolo di amministratore di fatto, cioè al soggetto che si ingerisce stabilmente, e non occasionalmente, nelle funzioni gestorie, eventualmente in concorso con l’attività dell’amministratore di diritto.
Non possono invece addossarsi all’amministratore di fatto condotte distrattive riguardanti attività contabilizzate e non rinvenute nella procedura né il mancato esperimento di azioni giudiziarie per il recupero dei crediti, trattandosi di violazioni normalmente imputabili all’amministratore di diritto della società, il quale ha il compito di redigere i bilanci.
8. I diversi modelli di amministrazione della S.r.l. e la responsabilità
Ai sensi dell’art. 2475 c.c., possono esservi diversi modelli di amministrazione della S.r.l., in base a quanto i soci hanno previsto nell’esercizio della propria autonomia contrattuale. Il modello di amministrazione prescelto dai soci influenza il regime di responsabilità degli amministratori.
Quando sono previsti sistemi di decisione degli amministratori all’unanimità, in base ai quali le decisioni richiedono il consenso di tutti gli amministratori, non si pongono problemi di responsabilità dei singoli amministratori; la decisione deve essere presa da tutti e tutti ne rispondono, senza che alcuno di essi possa esprimere un dissenso (altrimenti non vi sarebbe nemmeno decisione, per mancanza di unanimità).
Diverso è il caso dei modelli di amministrazione in cui le decisioni possono essere prese da singoli amministratori, oppure da una pluralità di amministratori, ma comunque non da tutti insieme e dunque al di fuori dal meccanismo della unanimità dei consensi.
Nell’amministrazione disgiuntiva, in cui ciascun amministratore decide da solo per la società, risponde esclusivamente l’amministratore che ha preso la decisione. Una responsabilità degli altri amministratori potrebbe tuttavia sussistere in caso di omessa opposizione a fronte di un’operazione pregiudizievole. L’art. 2257, comma 2°, c.c., stabilisce infatti che “se l’amministrazione spetta disgiuntamente a più soci, ciascun socio amministratore ha diritto di opporsi all’operazione che un altro voglia compiere, prima che sia compiuta”.
Quindi se, ad esempio, in una S.r.l. con tre amministratori e con un modello di amministrazione disgiuntiva, l’amministratore Tizio ha intenzione di acquistare un immobile a un prezzo più elevato del suo valore reale, e comunica agli altri due amministratori, Caio e Sempronio, tale intenzione, se essi non si oppongono rispondono in via solidale con Tizio per il danno arrecato alla società. Qualora invece Caio e Sempronio si oppongano, la decisione verrà rimessa alla maggioranza dei soci, determinata secondo la parte attribuita a ciascun socio negli utili (art. 2257, comma 3°, c.c.). A questo punto, se i soci vietano l’operazione, non si può evidentemente realizzare alcun danno; se invece essi autorizzano l’operazione proposta da Tizio, nonostante l’opposizione di Caio e Sempronio, questi ultimi andranno comunque esenti da responsabilità.
Nel caso poi di amministrazione congiuntiva a maggioranza (art. 2258, comma 2°, c.c.), in cui la decisione viene assunta dalla maggioranza degli amministratori, per andare esente da responsabilità l’amministratore interpellato in ordine a una certa decisione deve, se non è d’accordo, far constare il proprio dissenso.
Infine, nel caso del consiglio di amministrazione, dove le decisioni vengono prese secondo il modello collegiale, l’amministratore dissenziente deve fare risultare il proprio dissenso per andare esente da responsabilità.
9. La responsabilità degli amministratori senza deleghe
Qualora all’interno del consiglio di amministrazione della S.r.l. certe competenze siano state delegate ad alcuni amministratori, si ritiene che, in applicazione analogica dell’art. 2392, comma 1°, c.c., dettato in tema di S.p.A., rispondono in line di principio solo gli amministratori delegati per le decisioni assunte nel proprio ambito di competenza.
Tuttavia, gli amministratori privi di delega hanno l’obbligo di vigilare sull’operato dei delegati, essendo loro richiesto, secondo la diligenza esigibile dal momento dell’accettazione della carica, di informarsi ed essere informati, anche su propria sollecitazione, degli affari sociali e di trarne le necessarie conseguenze.
Il dovere di controllo dei deleganti consiste nell’obbligo di informazione attiva e passiva, nonché di conseguente attivazione (c.d. dovere di agire informato). Concretamente ciò significa che i deleganti devono valutare i rapporti dei delegati (art. 2381, terzo comma, c.c.) e ingerirsi nella delega attraverso l’esercizio dei poteri, di spettanza del consiglio, di direttiva e di avocazione.
In definitiva quindi, l’obbligo di agire informato dell’amministratore delegante ha un duplice contenuto:
- l’obbligo di agire, cioè di attivarsi esercitando tutti i poteri connessi alla carica al fine di prevenire, di eliminare o di attenuare le situazioni di criticità di cui l’amministratore sia o debba essere a conoscenza;
- l’obbligo di informarsi affinché la scelta di agire o non agire sia fondata sulla conoscenza della situazione aziendale che l’amministratore possa procurarsi esercitando tutti i poteri di iniziativa cognitoria connessi alla carica.
Ne consegue che l’amministratore non esecutivo è solidalmente responsabile, ai sensi dell’art. 2392, comma 2°, c.c. se, essendo a conoscenza di fatti pregiudizievoli, non ha fatto quanto poteva per impedirne il compimento o eliminarne o attenuarne le conseguenze dannose.
10. L’azione di responsabilità nei confronti dell’amministratore di S.r.l.
L’art. 2476 comma 3 c.c. prevede che ciascun socio, indipendentemente dall’entità della propria quota di partecipazione e senza necessità di previa deliberazione assembleare, può promuovere l’azione sociale contro gli amministratori che, nella gestione della società ed in violazione ai loro doveri, hanno provocato un danno al patrimonio sociale.
Il diritto di esercitare l’azione di responsabilità nei confronti degli amministratori di S.r.l. spetta a ciascun socio. Il socio che agisce contro gli amministratori opera nell’interesse della società, e solo indirettamente nel proprio interesse: l’azione di responsabilità mira difatti ad accertare che l’amministratore ha cagionato danni alla S.r.l., non al singolo quotista, il quale peraltro subisce un danno indiretto, dal momento che i soci sono titolari pro quota del patrimonio sociale.
Tuttavia, nonostante l’assenza di un’esplicita indicazione in tal senso, si ritiene che la legittimazione all’esercizio dell’azione spetti anche alla società che, comunque, è litisconsorte necessaria nel giudizio instaurato dal socio.
Infine, ai sensi dell’art. 2476 sesto comma c.c., introdotto dal D.lgs. n° 14/2019 (Codice della Crisi d’Impresa), gli amministratori di una S.r.l. sono responsabili anche verso i creditori sociali qualora non abbiano osservato gli obblighi inerenti alla conservazione dell’integrità del patrimonio sociale; l’azione di responsabilità nei confronti degli amministratori di S.r.l. può quindi essere esercitata anche dai creditori sociali, qualora il patrimonio sociale risulti insufficiente al soddisfacimento dei crediti sociali. È inoltre previsto che, qualora la società rinunci all’azione di responsabilità contro l’amministratore, ciò non impedisce che la stessa possa essere intrapresa da parte dei creditori sociali.
L’esercizio dell’azione di responsabilità è volto ad ottenere il risarcimento dei danni provocati alla società dall’inosservanza, da parte degli amministratori, dei doveri loro imposti per l’amministrazione della medesima, dalla legge e dall’atto costitutivo.
La responsabilità degli amministratori è inquadrabile come responsabilità da inadempimento, in quanto il rapporto di amministrazione è assimilabile funzionalmente al rapporto di mandato, in considerazione della relazione fiduciaria che caratterizza la gestione di interessi altrui.
Vertendosi in materia di responsabilità da inadempimento, si applicano i principi generali che regolano gli inadempimenti contrattuali; pertanto:
- ai sensi dell’art. 1218 c.c., spetta agli amministratori dimostrare l’inesistenza del danno ovvero la non imputabilità del fatto dannoso;
- è onere del socio dimostrare che la condotta censurata dell’amministratore abbia cagionato effettivamente un danno al patrimonio sociale.
Ai sensi dell’art. 2393 c.c. (applicabile anche alle S.r.l.), l’azione di responsabilità nei confronti degli amministratori è soggetta a un termine di prescrizione di 5 anni, a decorrere dalla data di cessazione dell’incarico dell’amministratore nei cui confronti è esercitata.
11. La revoca degli amministratori di S.r.l.
11.1 La revoca degli amministratori in via giudiziale/cautelare
Le S.r.l. sono di solito composte da pochi soci, spesso legati da qualche forma di vincolo (ad esempio familiare, di parentela o di amicizia). Inoltre, come si è visto gli stessi soci della S.r.l. assumono frequentemente la funzione di amministratore, mentre il ricorso a gestori esterni non è particolarmente frequente. Quando sorgono, per le più diverse ragioni, tensioni fra i soci, una delle prime azioni che viene fatta è quindi quella volta a destituire l’amministratore non gradito dalla sua carica, cioè di revocarlo.
La disciplina della revoca degli amministratori nella S.r.l. è molto scarna. L’art. 2479 comma2 c.c. prevede che sono riservate alla competenza dei soci, fra le altre cose, la nomina degli amministratori, senza disciplinare tuttavia la revoca degli stessi.
L’unica disposizione che fa riferimento alla revoca degli amministratori di S.r.l. è l’art. 2476, comma 3, c.c., secondo cui può essere chiesta, in via giudiziale e cautelare, la revoca degli amministratori solo in caso di gravi irregolarità nella gestione della società che abbiano inciso negativamente sul patrimonio della società.
Nella prassi, la revoca degli amministratori viene sempre chiesta in via cautelare, ai sensi dell’art. 700 C.p.c..; i contrasti fra soci e amministratori devono infatti poter essere risolti velocemente, al fine di garantire il buon funzionamento della società. A tal fine occorrerà che si verifichino i presupposti del fumus boni juris e del periculum in mora (quest’ultimo rappresentato dalla probabilità che l’amministratore, restando in carica, possa aggravare il danno già prodotto alla società).
L’accoglimento della domanda di responsabilità degli amministratori per danni non ne determina la loro revoca automatica. Le due azioni di responsabilità e di revoca hanno infatti scopi diversi: la prima ha l’obiettivo di ottenere il risarcimento del danno patito dalla società – e quindi presuppone l’esistenza di un danno cagionato dall’amministratore – mentre la seconda mira a porre termine alla relazione fra S.r.l. e amministratore, e quindi a destituirlo immediatamente dalla sua carica, in caso di gravi irregolarità nella gestione, indipendentemente dall’esistenza di un danno.
Non vi è uniformità di vedute in ordine al rapporto tra l’azione di responsabilità e la richiesta di provvedimento cautelare di revoca degli amministratori. Secondo la giurisprudenza prevalente, il provvedimento cautelare di revoca può essere chiesto anche prima dell’inizio della causa avente ad oggetto la responsabilità degli amministratori, in presenza di un danno anche solo potenziale (prescindendo quindi dall’azione di responsabilità che, come si è visto, ha natura risarcitoria). Questa soluzione appare preferibile anche perché la protezione legislativa dei soci di S.r.l. è inferiore alla tutela garantita dalla legge ai soci di S.p.a., non potendo gli stessi presentare la denunzia al Tribunale di cui all’art. 2409 c.c.
In caso di revoca dell’amministratore, secondo la giurisprudenza prevalente non è possibile procedere alla nomina di un amministratore giudiziario; pertanto, venuto meno un amministratore, resta dell’assemblea dei soci il potere di nominare un amministratore nuovo, secondo le previsioni dello statuto e in applicazione dell’art. 2479 c.c. L’eventuale inerzia di tutti i soci dà luogo all’impossibilità di funzionamento della società per vuoto gestorio, con conseguente scioglimento e liquidazione della stessa.
11.2 La revoca degli amministratori in via stragiudiziale
Al di là dell’ipotesi di revoca in via giudiziale, l’atto costitutivo può senz’altro contenere disposizioni concernenti la revoca degli amministratori. L’art. 2463 comma 2 c.c. stabilisce infatti che l’atto costitutivo della S.r.l. deve indicare, fra le altre cose, le norme relative al funzionamento della società, tra cui quelle concernenti l’amministrazione e la rappresentanza. I soci possono dunque disciplinare in sede di atto costitutivo anche le condizioni e le modalità di revoca degli amministratori, stabilendo:
- i presupposti che determinano la revoca degli amministratori;
- il procedimento con cui gli amministratori vengono destituiti dalla loro carica.
Nella prassi, spesso l’atto costitutivo della S.r.l. prevede che gli amministratori possono essere revocati a determinate condizioni, in modo da garantire loro una maggiore stabilità e attirare persone esterne alla società; ad esempio, può essere previsto che gli amministratori possono essere revocati solo in presenza di gravi motivi, e/o di giusta causa.
In ordine alla valutazione della giusta causa di revoca degli amministratori, la giurisprudenza ritiene che valgano in linea di massima i principi vigenti in tema di revoca del mandato, e che quindi che essa possa essere individuata, oltre che nell’inadempimento delle prestazioni dovute dall’amministratore, anche in circostanze o fatti che, incidendo sul rapporto fiduciario fra società ed amministratore, non consentano neppure in via provvisoria la prosecuzione del mandato.
In questo senso, si è ritenuto che non sussista una giusta causa di revoca (con conseguente diritto al risarcimento del danno per l’amministratore revocato) nelle seguenti ipotesi:
- mero disaccordo sulla gestione all’interno del CdA;
- esigenze di riorganizzazione dell’organo amministrativo per ragioni economiche dell’azienda, quali ad esempio la riduzione del numero dei consiglieri di amministrazione oppure la modifica dell’assetto dell’organo amministrativo, da collegiale a monocratico;
- il mutamento della compagine sociale, sul presupposto della neutralità del mutamento della maggioranza rispetto al rapporto società amministratore;
- la mancata realizzazione delle prospettive di sviluppo, richiamate in modo generico e/o non imputabili all’amministratore revocato e/o non sopravvenuta ma preesistente allo svolgimento dell’incarico di amministratore.
Secondo la giurisprudenza prevalente, anche la revoca della delega all’amministratore delegato decisa dal CdA deve essere assistita da giusta causa, sussistendo, in caso contrario, il diritto del revocato al risarcimento dei danni eventualmente patiti.
Se l’atto costitutivo non prevede nulla in materia di revoca degli amministratori di S.r.l., si ritiene che, nonostante la mancanza di una norma espressa nella disciplina della S.r.l., sia possibile che la maggioranza dei soci possa comunque revocare gli amministratori, anche qualora non vi siano i presupposti per l’esercizio di un’azione di responsabilità in via giudiziale (in quanto l’amministratore non ha causato danni), qualora venga meno il rapporto di fiducia con gli altri soci.
Ai sensi dell’art. 2479 comma 1 c.c., infatti, i soci della S.r.l. decidono sulle materie riservate alla loro competenza dall’atto costitutivo e sugli argomenti che uno o più` amministratori o tanti soci che rappresentano almeno un terzo del capitale sociale sottopongono alla loro approvazione. Nel generale potere decisorio dei soci rientra quindi anche la possibilità di decidere sulla revoca degli amministratori.
In questo senso, si ritiene che, in applicazione analogica dell’art. 2383 comma 3 c.c., in assenza di specifiche previsioni nell’atto costitutivo, si ritiene che gli amministratori siano revocabili in qualunque tempo, salvo il diritto al risarcimento dei danni per lo più parametrato all’entità degli emolumenti perduti, se la revoca avviene senza giusta causa o in difetto di un congruo preavviso.
A differenza della revoca degli amministratori per via giudiziaria cautelare, che come si è visto, è consentita espressamente al singolo socio (art. 2476, comma 3, c.c.), la revoca dell’amministratore in via extra-giudiziale è consentita ai soci che dispongano della necessaria maggioranza. Pertanto, il socio che riscontri gravi irregolarità nella gestione della società non ha necessità di raccogliere il consenso della maggioranza dei quotisti per revocare l’amministratore, ma può rivolgersi direttamente al giudice al fine di ottenerne la rimozione; viceversa, per ottenere questo risultato in via extra-giudiziale è necessario il consenso della maggioranza dei soci.
Se l’assemblea dei soci della S.r.l. deve deliberare in merito alla revoca di un amministratore che è anche socio della società, l’amministratore si trova in una situazione di conflitto d’interessi, in quanto l’interesse della società (alla rimozione dalla carica) è diverso dall’interesse del socio (al mantenimento della stessa). In tal caso, il socio-amministratore di S.r.l., della cui revoca si discute in assemblea, non è obbligato ad astenersi dalla votazione; tuttavia, ai sensi dell’art. 2479 ter, comma 2, c.c. la decisione assunta con la partecipazione determinante del socio in conflitto di interessi è impugnabile.
Per quanto attiene al risarcimento del danno dell’amministratore ingiustamente revocato, secondo la giurisprudenza prevalente il danno patrimoniale consiste nel lucro cessante, pari ai residui compensi non percepiti per il periodo in cui l’amministratore avrebbe conservato il suo ufficio se non fosse intervenuta la revoca. L’importo concretamente risarcibile deve essere comunque determinato applicando le regole di cui agli artt. 1223-1227 c.c.
12. La denuncia di gravi irregolarità ai sensi dell’art. 2409 c.c.
Un altro strumento molto efficace a disposizione dei soci di minoranza è la denuncia al Tribunale di gravi irregolarità, prevista dall’art. 2409 c.c. Tale strumento è stato recentemente reintrodotto per le S.r.l. dal Codice della Crisi di Impresa e dell’Insolvenza (D.lgs. n. 14/2019), dopo che la riforma delle società del 2003 l’aveva negato, riservandola alle sole S.p.A.
Ai sensi dell’art. 2409 c.c., i soci che rappresentano almeno 1/10 del capitale sociale (o anche il collegio sindacale) possono, con apposito ricorso, di denunziare al Tribunale, in presenza di “fondato sospetto che gli amministratori, in violazione dei loro doveri, abbiano compiuto gravi irregolarità nella gestione che possono arrecare danno alla società o a una o più società controllate”, i fatti che abbiano dato luogo alle irregolarità medesime. Presupposti per l’operatività della norma sono quindi:
- il compimento da parte degli amministratori di gravi irregolarità nella gestione, derivanti dalla violazione dei doveri che gravano sugli stessi;
- il possibile danno per la società, derivanti da tali irregolarità.
Le irregolarità devono essere ancora in atto (non rilevando quindi irregolarità pregresse che abbiano esaurito il loro effetto) e devono riguardare l’intera attività sociale, cioè la gestione della società nel suo complesso, e non singoli atti autonomamente impugnabili. Il rimedio di cui all’art. 2409 c.c. ha infatti carattere residuale, cioè può essere esperito solo laddove non siano possibili altri rimedi più specifici, quali ad esempio l’impugnazione di delibere assembleari o consiliari. Possono essere oggetto di denuncia al Tribunale ai sensi dell’art. 2409 c.c. fatti gravi commessi dagli amministratori, come:
- la violazione delle norme tributarie e previdenziali;
- le operazioni in conflitto di interessi;
- l’ uso di beni sociali a fini privati;
etc.
Non è necessario che il socio denunziante fornisca una vera e propria prova delle irregolarità, essendo sufficiente un “fondato sospetto”, ovvero gravi indizi, affinché il Tribunale si attivi.
Anche se il procedimento ex art. 2409 c.c. non è finalizzato ad ottenere la condanna degli amministratori al risarcimento dei danni subiti dalla società, le gravi irregolarità devono avere carattere dannoso, seppure potenzialmente; devono, cioè, integrare violazioni di legge o dello statuto sociale, tali da procurare un danno al patrimonio sociale.
A seguito di una denuncia ex art. 2409 c.c. può accadere che la società si attivi subito sostituendo gli amministratori con soggetti dotati di adeguata professionalità che si adoperino subito per rimediare alle irregolarità; se, per esempio, venga denunciata la sistematica omissione di versamenti fiscali e previdenziali, i nuovi amministratori si dovranno attivare subito per regolarizzare i relativi pagamenti. In tali casi, il procedimento ex art. 2409 c.c. è sospeso.
Se invece la società, a seguito della denuncia ex art. 2409 c.c., non si attiva, il Tribunale può, alternativamente:
- disporre l’ispezione della società e quindi, all’esito della medesima, gli opportuni provvedimenti;
- nei casi più gravi, revocare gli amministratori (ed eventualmente anche i sindaci), e nominare un amministratore giudiziario, determinandone poteri e tempo di durata.
Il controllo giudiziario, attivato dal sospetto di gravi irregolarità, può dunque arrivare ad una ingerenza molto penetrante nell’organizzazione aziendale, dato che il Tribunale può nominare un ispettore giudiziario o, qualora vi siano danni potenziali ingenti per la società, revocare gli amministratori e sostituirli con un amministratore giudiziario.
In quest’ultimo caso, l’amministratore giudiziario gestisce la società nel rispetto dei compiti allo stesso attribuiti dal Tribunale. Così, ad esempio, se le irregolarità consistono nella redazione del bilancio di esercizio in maniera non conforme ai criteri di cui agli artt. 2423 e ss. c.c., l’amministratore giudiziario dovrà predisporre un nuovo bilancio e sottoporlo all’approvazione dell’organo assembleare.
L’amministratore giudiziario può anche proporre l’azione di responsabilità nei confronti degli amministratori (e del collegio sindacale), indipendentemente dai compiti conferitigli dal Tribunale, essendo tale potere attribuitogli direttamente dalla legge (art. 2409, comma 5, c.c.).
Prima della scadenza dell’incarico l’amministratore giudiziario deve rendere il conto della gestione compiuta al tribunale (art. 2409, comma 6, c.c.). Ultimato l’incarico, l’amministratore giudiziario dovrà convocare l’assemblea dei soci per la nomina del nuovo organo amministrativo (e, se revocato, del collegio sindacale). L’organo assembleare potrà essere convocato anche al fine di deliberare sullo scioglimento e la messa in liquidazione della società o sulla richiesta di ammissione ad una procedura concorsuale.
La denunzia ex art. 2409 c.c. rappresenta quindi per i soci di minoranza un efficace strumento che consente di superare alcuni limiti dell‘azione di responsabilità contro gli amministratori ex art. 2476 c.c., ovvero in particolare:
- i notevoli costi da sostenere (la denuncia ex art. 2409 c.c. dà infatti luogo ad un giudizio di volontaria giurisdizione, che ha costi inferiori);
- la difficoltà di ricostruire i fatti ed acquisire le prove (dati gli ampi poteri istruttori concessi al Giudice a seguito di denunzia ex art. 2409 c.c.);
- la durata del giudizio (salva la possibilità di un ricorso cautelare);
- l’impossibilità per il Tribunale adito in sede di azione di responsabilità ex 2476 c.c. di nominare un amministratore indipendente in via provvisoria, con conseguente possibilità dei soci di maggioranza, di rinominare, a seguito della revoca disposta dal Giudice, un organo gestorio compiacente.
E’ possibile scaricare un modello di verbale dell’assemblea revoca amministratore unico di S.r.l. cliccando qui, con l’avvertenza che è necessario procedere alle opportune modifiche in rapporto alle specificità del singolo caso.
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Avv. Valerio Pandolfini
Avvocato specializzato in Diritto Societario
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