Il recesso del socio dalla società
Il recesso è l’atto unilaterale con il quale un socio ottiene la fuoriuscita dalla società, con cessazione della propria qualità di socio. Il diritto di recesso del socio costituisce una sorta di contrappeso al principio maggioritario che governa il funzionamento delle società, e consente al socio che si veda imposta la modifica delle basi essenziali dell’organizzazione societaria di liquidare il proprio investimento. Il recesso da una società ha natura eccezionale, e può essere legittimamente esercitato solo per alcune precise motivazioni previste dalla legge – che variano a seconda del tipo di società – e dallo statuto della singola società. Il recesso del socio ha effetto in momenti diversi a seconda della motivazione del recesso stesso, della tipologia di società e dei soggetti nei cui confronti viene comunicato (società, soci, terzi). La cessazione dello stato di socio fa venir meno tutti i diritti sociali ma attribuisce al recedente il diritto al rimborso della partecipazione.
Ascolta il riassunto audio dell’articolo:
1. Cos’è il recesso del socio da una società e quali conseguenze provoca
Il recesso è un atto con il quale un socio ottiene lo scioglimento del vincolo sociale, cioè la fuoriuscita della società con cessazione della propria qualità di socio.
Il diritto di recesso del socio costituisce una sorta di contrappeso al principio maggioritario che governa il funzionamento delle società, e consente al socio che si veda imposta la modifica delle basi essenziali dell’organizzazione societaria di liquidare il proprio investimento. Il diritto di recesso costituisce infatti il principale limite legale al funzionamento del principio maggioritario che regolamenta i rapporti tra i soci, e che si esprime nella formula per cui le deliberazioni dell’assemblea, prese in conformità della legge e dell’atto costitutivo, vincolano tutti i soci, ancorché non intervenuti o dissenzienti.
In particolare, il recesso del socio da una società assolve due funzioni fondamentali:
- la prima, di carattere giuridico, consiste nella possibilità del socio di far valere i propri interessi, garantendogli uno spazio di libertà e di dissenso nei confronti della maggioranza, attraverso l’esercizio di un diritto di exit;.
- la seconda, di carattere economico è invece quella di attenuare i vincoli futuri del socio risparmiatore, agevolando il disinvestimento effettuato al momento dell’ingresso in società.
A differenza di altre forme di uscita del socio dalla società (come la cessione della quota o l’accordo di tutti i soci), il recesso è un atto di volontà unilaterale, in quanto attraverso di esso il socio fuoriesce dalla società (perdendo quindi la sua qualità di socio) attraverso una sua comunicazione volontaria e unilaterale.
Oltre ad essere un atto unilaterale del socio, il recesso presenta le seguenti caratteristiche:
- è limitato, in quanto è ammesso nei casi e nei modi stabiliti dalla legge o dal contratto sociale;
- è potestativo, in quanto può essere esercitato a discrezione del socio nei casi previsti e determinata i suoi effetti indipendentemente dal consenso degli altri soci;
- è irrinunciabile preventivamente;
- è insurrogabile, non essendo consentito il suo esercizio da parte di terzi in luogo del socio stesso;
- è individuale, perché compete a qualunque socio e non solo ad alcuni di essi;
- è indivisibile, in quanto ritenuto esercitabile per l’intera partecipazione sociale con la conseguente uscita del socio dalla società.
Il recesso da una società ha natura eccezionale, e come tale è esercitabile solo per alcune precise motivazioni previste dalla legge – e che variano a seconda del tipo di società – e dallo statuto.
Una volta esercitato il recesso da parte del socio, questi perde la sua qualità di socio, con effetto in momenti diversi a seconda della motivazione del recesso, della tipologia di società e dei soggetti nei cui confronti viene comunicato (società, soci, terzi).
La cessazione dello stato di socio fa venir meno tutti i diritti sociali (partecipazione alle decisioni, voto, impugnativa, ecc.), ma attribuisce al recedente il conseguente diritto di credito al rimborso della partecipazione.
Secondo l’opinione prevalente, infatti, dato il carattere unilaterale e recettizio della dichiarazione di recesso, quest’ultimo ha effetto immediato, al momento della ricezione da parte della società della dichiarazione di recesso. In tale momento, dunque, il rapporto sociale si scioglie, con la conseguente definitiva perdita da parte del receduto della qualità di socio.
2. Il recesso nelle società di persone (Società semplici, S.n.c., S.a.s.)
Nelle società di persone (società semplici, S.n.c., S.a.s.) il recesso rappresenta lo strumento principale che consente al socio di uscire dalla società senza che vi sia necessità di trovare un socio o un terzo disposti a rilevare la quota.
La cessione della quota a un terzo nelle società personali (ancor più che nelle società di capitali) è infatti alquanto problematico. Tali società come è noto, si fondano sul rapporto fiduciario esistente tra i soci, i quali decidono di realizzare i propri obiettivi con soggetti accomunati dagli stessi interessi, scelti per le proprie qualità personali, professionali ed anche caratteriali. La fuoriuscita di un socio da tali società tramite cessione della quota a terzi comporta quindi, oltre ad una difficoltà iniziale nel trovare un soggetto che accetti di entrare in società ed assumerne i rischi, una ulteriore difficoltà consistente nell’accettazione del nuovo socio da parte di quelli rimasti a far parte della società.
Peraltro, il recesso di un socio è un evento di particolare rilievo nelle società di persone. In particolare, qualora il socio recedente sia una figura preminente nella società, la sua uscita potrebbe determinare, oltre all’obbligo di liquidazione della quota, un forte ridimensionamento del volume d’affari della società, o addirittura lo scioglimento della stessa, allorquando non sia possibile proseguire l’attività sociale in sua assenza.
In caso di recesso del socio la società è innanzitutto tenuta a liquidare la sua quota, con tutto ciò che questo comporta in termini di fuoriuscite finanziarie e di perdita di liquidità della società stessa.
In secondo luogo, si pone il problema di sostituire il socio receduto, il che può essere molto complicato ad esempio nel caso di società composta da due soli soci, venendo in tal caso meno il presupposto stesso della permanenza in vita della società, rappresentato dalla pluralità dei partecipanti. Tale problema deve essere risolto in tempi brevi, in quanto, ai sensi dell’art. 2272 c.c., per evitare lo scioglimento della società la pluralità dei soci deve essere ricostituita entro i sei mesi successivi al momento in cui la stessa è venuta a mancare.
Anche in presenza di più di due soci, in caso di recesso dell’amministratore unico, lo scioglimento della società, ancorché non previsto legislativamente, è una conseguenza inevitabile della paralisi causata dal venir meno dell’organo gestorio il quale, pertanto, dovrà essere immediatamente sostituito. La stessa conseguenza si verificherà qualora in una S.a.s. vengano a mancare tutti i soci accomandatari, anche se in tal caso il codice civile impone la nomina di un amministratore provvisorio che cesserà dalle sue funzioni non appena vi sia almeno un socio accomandatario in grado di compiere le operazioni di ordinaria e straordinaria amministrazione.
Nelle società di persone il recesso è disciplinato dall’art. 2285 c.c., che, pur riferendosi specificamente al recesso del socio nella società semplice, si applica anche alle altre società personali in forza del rinvio operato dall’art. 2293 c.c. Tale norma prevede alcuni limiti all’esercizio del diritto di recesso da parte del socio, per non pregiudicare gli interessi della società.
Il primo comma dell’art. 2285 c.c. prevede due casi in cui è consentito al socio recedere senza necessità di fornire una motivazione, col solo obbligo di un congruo preavviso:
- quando la società sia contratta a tempo indeterminato;
- quando la società ha durata pari a tutta la vita di uno dei soci.
Il secondo comma dell’art. 2285 c.c. prevede invece due ulteriori cause di recesso, che implicano una particolare motivazione ma che non sono sottoposte a preavviso:
- il recesso con giusta causa;
- il recesso convenzionale.
Infine, vi sono due ulteriori casi di recesso non disciplinate dall’art. 2285 c.cc., ovvero:
- il recesso del socio minore o incapace;
- il recesso per proroga tacita della scadenza della società.
Al di fuori di tali casi, un socio può recedere da una società solo con il consenso degli altri soci.
2.1 Il recesso dalle società a tempo indeterminato o per tutta la vita di un socio
Il recesso da una società contratta a tempo indeterminato (art. 2285 primo comma c.c.) è finalizzato ad impedire che il socio non sia vincolato alla società in modo perpetuo; in tal caso, un socio può esercitare il diritto di recesso ad nutum (cioè senza necessità di motivazione) e in qualsiasi momento.
Tale ipotesi può verificarsi solo per la società semplice, in quanto la società in accomandita semplice e la società in nome collettivo prevedono l’indicazione di un termine di durata, ai fini della validità del contratto sociale; tuttavia, anche per tali società può applicarsi l’ipotesi di recesso in esame qualora i soci continuino ad operare anche dopo la scadenza del termine di durata indicato nell’atto costitutivo.
Questa ipotesi di recesso si applica anche in altre situazioni nelle quali, nonostante che la società non sia a tempo indeterminato, producono ugualmente l’effetto di vincolare il socio in modo perpetuo, ovvero:
- termine di durata della società così lontano nel tempo da superare l’aspettativa di vita di uno dei soci (tale criterio è dinamico ed in continua evoluzione, in base all’aspettativa di vita);
- durata della società stabilita in funzione dell’accadimento di un evento possibile ma non certo;
- società contratta per un tempo pari a quello necessario affinché si realizzi l’oggetto sociale;
- clausola che include il diritto di recesso tra quelli spettanti al socio per tutta la durata della sua vita.
In questi casi, è possibile limitare il diritto di recesso del socio sotto il profilo temporale, per salvaguardare l’interesse della società, soprattutto quando vi sia un socio di particolare rilevanza; è quindi possibile apporre un termine finale entro il quale esercitare il diritto, ad esempio quando per la realizzazione dell’oggetto sociale i soci abbiano bisogno di garanzie circa la presenza o meno dei soggetti interessati, oppure stabilire un termine iniziale a partire dal quale il recesso può essere esercitato (ad esempio quando l’apporto personale di uno dei soci, nel primo periodo di esercizio dell’attività, appare necessario o comunque molto utile).
Il recesso previsto nel primo comma dell’art 2285 c.c. deve essere comunicato con un preavviso di almeno tre mesi. Tale termine minimo è inderogabile (a prescindere dalla diversa data di efficacia riportata nella dichiarazione di recesso del socio), in quanto finalizzato a salvaguardare l’affidamento che ciascun socio ha fatto sulla continuità dell’attività comune; durante tale periodo gli altri soci possono valutare se sia più opportuno proseguire l’attività sociale, ovvero liquidare l’intera società con conseguente partecipazione alla ripartizione del residuo attivo.
Durante il termine di preavviso, il socio che ha esercitato il recesso resta tale a tutti gli effetti di legge. I soci possono prevedere un termine maggiore di preavviso rispetto a quello minimo di 3 mesi; non è comunque richiesta l’accettazione degli altri soci affinché il recesso sia efficace.
2.2 Il recesso per giusta causa
L’art. 2285 secondo comma c.c. regolamenta il recesso del socio per giusta causa, senza peraltro prevedere i criteri in base ai quali può individuarsi una giusta causa.
Tali criteri sono stati elaborati dalla giurisprudenza, la quale ha adottato un approccio molto restrittivo, identificando la giusta causa nella legittima reazione ad un comportamento scorretto di altri soci, tale da rendere obiettivamente difficile la prosecuzione del rapporto e da incrinare ogni caso trattarsi di atti e condotte e idoneo a incrinare la fiducia del socio. Non è quindi sufficiente un semplice disaccordo o un motivo pretestuoso di dissenso, occorrendo che il recesso si colleghi all’altrui violazione di obblighi contrattuali o di doveri di fedeltà, lealtà, diligenza o di correttezza che incidono sulla natura fiduciaria del rapporto.
A differenza delle ipotesi relative a società a tempo indeterminato o per una durata pari a tutta la vita di uno dei soci, pertanto, il recesso per giusta causa necessita di una motivazione espressa, in base alla quale desumere e valutare la validità delle ragioni che spingono il socio ad esercitare il suo diritto.
Sono state ritenute giusta causa di recesso in giurisprudenza tra l’altro le seguenti ipotesi:
- mancata comunicazione da parte dei soci amministratori del bilancio d’esercizio e del rendiconto, così come previsto dall’art. 2320 comma 3, c.c.;
- mancata o irregolare tenuta della contabilità civilistica e fiscale da parte degli amministratori;
- non diligente gestione della società da parte degli amministratori;
- mancata esclusione del socio quando se ne verificano i presupposti;
- mancata autorizzazione all’esercizio di un’attività concorrente con quella della società, concessa precedentemente ad altri soci con consenso unanime;
- mancata autorizzazione all’utilizzo di beni sociali a fini personali mentre agli altri soci era stata accordata con consenso unanime;
- impedimenti al socio nella consultazione dei documenti amministrativi e contabili o mancata o insufficiente informativa sullo svolgimento degli affari sociali per i soci non amministratori;
- furto di beni sociali commessi da uno o più soci;
- mancato coinvolgimento dei soci non amministratori in decisioni di rilievo per la vita sociale;
- scarso impegno nell’esecuzione della prestazione lavorativa dei soci;.
Il recesso per giusta causa ha efficacia immediata non appena la relativa comunicazione giunge agli altri soci, non essendo previsto alcun termine di preavviso, salvo che tale termine sia indicato volontariamente dal socio che recede.
2.3 Il recesso convenzionale
Un socio può infine recedere dalla società nei casi (ulteriori rispetto a quelli disciplinati dalla legge) previsti nell’atto costitutivo della società. I soci possono infatti ampliare le possibilità di exit dalla società, prevedendo ad esempio la possibilità di recedere nei seguenti casi:
- raggiungimento dell’età pensionabile;
- modifiche al sistema di amministrazione;
- perdita del capitale sociale;
- mancata distribuzione di utile per un certo periodo di anni;
- avere un certo numero di figli;
- trovarsi in gravi e precise difficoltà familiari,
etc.
In questi casi, il termine di efficacia del recesso è liberamente disciplinato dai soci; può essere quindi con effetto immediato, oppure può essere previsto un periodo di preavviso. È possibile richiedere una somma di denaro da versare come corrispettivo per l’introduzione di una particolare possibilità di recesso in favore di un socio.
Non è invece possibile prevedere la possibilità di recesso ad nutum, cioè senza alcuna motivazione. La presenza di un recesso ad nutum determinerebbe infatti per la società un rischio imprevedibile, esponendola a costi derivanti dalla necessità di effettuare pagamenti ai soci che intendono recedere, con conseguente possibile impoverimento della società, a fronte delle esigenze di affidamento dei terzi e delle garanzie di solvibilità.
2.4 L’efficacia del recesso
Nei confronti della società e degli altri soci, il recesso ha effetto dal momento in cui essi hanno conoscenza del recesso esercitato dal socio, o al più tardi alla scadenza dell’eventuale periodo di preavviso.
Il recesso deve essere comunicato a tutti i soci personalmente e non può essere successivamente revocato dal socio; diversamente, infatti, si toglierebbe agli altri soci la libertà di scegliere se proseguire collettivamente l’attività economica oppure sciogliere la società. Secondo la giurisprudenza prevalente, tuttavia, la ricostituzione del vincolo sociale dopo il recesso è possibile, ma solo in seguito all’accettazione da parte di tutti gli altri soci della revoca del recesso, manifestata dal socio receduto.
Nei confronti dei terzi invece il recesso del socio non è opponibile finché non ne sia stata data adeguata pubblicità; fino a tale momento, il socio risponde delle obbligazioni contratte dalla società, anche dopo avere esercitato il recesso.
Per le società semplici non è prevista modalità particolare di pubblicità, essendo sufficiente che il recesso sia posto a conoscenza dei terzi con mezzi idonei (ad esempio una semplice comunicazione scritta). Per le S.a.s. e le S.n.c. è invece richiesta l’iscrizione presso il registro delle imprese, da eseguirsi entro 30 giorni dalla comunicazione del recesso agli altri soci.
Ai sensi dell’art. 2300 c.c., l’onere di richiedere l’iscrizione del recesso presso il registro delle imprese spetta agli amministratori, nel termine di 30 giorni dal momento in cui il recesso stesso si è perfezionato; nel caso in cui non provvedano all’iscrizione o vi provvedano oltre il termine previsto dalla legge , gli amministratori sono soggetti a sanzione amministrativa.
Anche il socio receduto può tuttavia sostituirsi all’amministratore che non agisca in modo tempestivo, ed è quindi legittimato a presentare la domanda di iscrizione del suo recesso nel registro delle imprese in qualunque tempo, purché successivamente al momento in cui il recesso si è perfezionato ed ha prodotto i suoi effetti.
L’opponibilità ai terzi del recesso è importante nel caso di impresa in crisi. Il recesso del socio di società di persone, di cui non sia stata data pubblicità, ai sensi dell’art. 2290, comma 2, c.c., non produce i suoi effetti al di fuori dell’ambito societario; conseguentemente, il recesso non adeguatamente pubblicizzato non è idoneo ad escludere l’estensione del fallimento ai sensi dell’art. 147 L. fall. A tal proposito è irrilevante che il recesso sia avvenuto oltre un anno prima della sentenza dichiarativa di fallimento, posto che il rapporto societario, per quanto riguarda i terzi, a quel momento è ancora in atto.
Anche sotto il profilo tributario, la mancata regolarizzazione del recesso in termini di iscrizione presso il registro delle imprese può provocare effetti negativi, in quanto residuano in capo al socio receduto tutti gli obblighi fiscali maturati fino al periodo di imposta nel quale si sia provveduto all’adeguata pubblicizzazione del recesso.
2.5 La liquidazione della quota
Ai sensi dell’art. 2289 c.c., il socio receduto ha diritto alla liquidazione della propria quota da parte della società, ovvero ad una somma di denaro che rappresenti il valore della quota; non sono invece ammesse restituzioni in natura, per evitare che il socio recedente possa pretendere la dismissione di beni aziendali necessari all’attività sociale, minando l’integrità del patrimonio comune.
In sede di liquidazione deve tenersi conto della situazione patrimoniale della società aggiornata al momento del recesso, ossia al giorno in cui lo scioglimento diventa efficace (il che, come si è visto, potrà a seconda dei casi avvenire contestualmente alla comunicazione od al termine del periodo di preavviso).
Il socio resta tale fino allo scioglimento effettivo del vincolo, essendo quindi obbligato di rispondere, in termini di diminuzione od aumento del patrimonio sociale, anche delle operazioni commerciali compiute durante il periodo del preavviso.
Per la liquidazione è necessaria la valutazione del patrimonio netto, con la quale si individua il valore di mercato dell’intera azienda posseduta dalla società. La giurisprudenza ritiene a tal fine necessario un bilancio straordinario della società, redatto tenendo conto del valore di funzionamento dell’azienda sociale. Mentre infatti i dati del bilancio d’esercizio non sono generalmente in grado di fornire una fotografia esatta del valore del patrimonio sociale, i principi che occorre seguire per valorizzare la quota del socio receduto devono mostrare con esattezza il valore corrente dei beni costituenti il patrimonio comune.
Una voce fondamentale di questo particolare prospetto è costituita dall’avviamento, inteso come attitudine di un complesso organizzato di beni a produrre reddito. Per la determinazione dell’avviamento si potrà tener conto del reddito degli ultimi anni dell’azienda, congiuntamente ad una valutazione prospettica dei possibili incrementi futuri.
Una volta determinato l’ammontare complessivo dei beni aziendali, materiali od immateriali che siano, occorre suddividere il patrimonio tra i soci. La quota spettante al socio receduto è di regola commisurata all’entità dei conferimenti. Qualora il socio uscente abbia concesso in godimento un bene di sua proprietà per tutta la durata della società, nel determinare la quota a lui dovuta occorrerà considerare anche il beneficio che la società ha ricevuto dal diritto di godimento sul bene in questione, senza per questo determinarne il valore di mercato, trattandosi pur sempre di un bene di proprietà del socio.
Il socio receduto ha diritto di ottenere un prospetto delle operazioni attraverso le quali si è giunti alla determinazione della quota a lui spettante. In caso di contrasti sull’interpretazione dei criteri e delle poste contabili, il socio può rivolgersi all’autorità giudiziaria, e, nelle more del giudizio, ha diritto ad ottenere ex art. 186-bis c.p.c., il pagamento della somma spettategli sulla base del prospetto rilasciato dalla società, in quanto somma dichiarata come dovuta e non contestata dallo stesso debitore.
In assenza di contenzioso, il termine massimo entro il quale la somma liquidata quale controvalore della quota dev’essere versata al receduto è positivamente stabilito in sei mesi dalla data di efficacia del recesso (art. 2289, comma 4°, c.c.).
Nel tempo intercorrente tra il valido esercizio del diritto di recesso e la liquidazione della quota, il socio recedente resta titolare dei diritti sociali non incompatibili con la dichiarazione di recesso e per l’esercizio dei quali vanti un concreto interesse ad agire, anche relativo al pericolo che dal depauperamento del patrimonio sociale derivi un rischio attuale per l’effettivo rimborso della quota oggetto di recesso.
Ai sensi dell’art. 2289 terzo comma c.c., sono a carico del socio receduto gli utili e le perdite inerenti ad “operazioni in corso”, cioè a tutte le transazioni e gli affari iniziati mentre il socio era partecipe alla società e non ancora conclusi al momento in cui lo stesso ha deciso di sciogliere il vincolo societario, i quali continuano a produrre effetti giuridici e patrimoniali.
Concorrono quindi alla valorizzazione della quota del socio receduto le sopravvenienze attive e passive che trovano la loro fonte in situazioni già esistenti a quella data, quali ad esempio le somme versate dalla società in base a condono fiscale attinente a violazioni commesse precedentemente al recesso, anche se richiesto in epoca successiva; ciò in quanto la relativa istanza e gli ulteriori adempimenti connessi sono rivolti ad estinguere un debito già sorto.
La partecipazione agli utili e alle perdite conseguenti alle operazioni in corso dovrà avvenire nella stessa misura in cui il socio receduto partecipava ai risultati economici dell’attività sociale quando era ancora parte della compagine societaria.
Tuttavia, è possibile che l’atto costitutivo e lo statuto deroghino a tele disciplina, prevedendo, ad esempio, che la liquidazione della quota avvenga solo sulla base dell’ultimo bilancio approvato, ovvero che la determinazione del valore della quota sia rimessa ad un terzo in veste di arbitratore, o infine una liquidazione forfettaria degli utili o delle perdite risultanti dalle operazioni in corso.
Qualora nel termine di sei mesi entro il quale si deve procedere alla liquidazione della quota, gli effetti delle operazioni in corso non si siano ancora esauriti, dovrà farsi luogo ad una c.d. liquidazione provvisoria, provvedendo ai relativi conguagli allorché le stesse transazioni si siano concluse.
Dato l’interesse del socio uscente all’esito delle operazioni in corso, idoneo a riflettersi sul valore della quota spettategli, egli ha diritto di esigere che gli amministratori rendano il conto della gestione di suddetti affari, al fine di consentire la formazione, in nome e per conto della società, di una situazione patrimoniale straordinaria aggiornata, nel rispetto dei criteri di redazione del bilancio ed ai fini dell’assolvimento dell’onere della società di provare il valore della quota. In ogni caso, tuttavia, il socio receduto, avendo perso lo status di socio per effetto del recesso, non concorre in alcun modo alla gestione degli affari, né può esercitare alcuna forma di ingerenza sugli stessi.
3. Il recesso nelle S.p.A.
La riforma delle società di capitali del 2003 ha come è noto rinnovato l’assetto della disciplina delle società. Per ciò che attiene al recesso, il legislatore ha tutelato maggiormente la partecipazione del socio, sia con riguardo alla possibilità di scioglimento del vincolo, sia con riferimento all’adozione di criteri di liquidazione della quota più convenienti.
Un socio di S.r.l. o S.p.A. non può recedere dalla società se non per una delle cause previste dalla legge o dall’atto costitutivo.
3.1 Le cause di recesso previste dalla legge e inderogabili
Le cause legali e ineliminabili di recesso nelle S.p.A. previste dal primo comma dell’art. 2473 c.c. sono le seguenti.
1) La modifica dell’oggetto sociale, se essa comporta un cambiamento significativo dell’attività e dell’oggetto della società.
E’ idonea a giustificare il recesso del socio di S.p.A. una modifica “significativa”, tale cioè da incidere sulla sostanza dell’oggetto sociale (e di riflesso sulle condizioni di rischio dell’investimento da parte del socio), ad esempio sostituendo l’oggetto sociale originario con uno totalmente diverso, alterando le condizioni di rischio sulla base delle quali il socio aveva inizialmente deciso di aderire alla società, o riducendo l’oggetto sociale in modo da rendere non più conveniente la partecipazione alla società e da indurre il socio a preferire il disinvestimento.
La modifica dev’essere disposta con apposita delibera, la quale non deve necessariamente avere ricevuto concreta attuazione. il recesso spetta ai soli soci assenti o dissenzienti, che rivestano tale qualità da data antecedente rispetto all’assemblea che ha deliberato la modificazione statutaria.
2) La trasformazione della società
Spetta il diritto di recesso al socio azionista in caso di trasformazione della società. Non è invece prevista per le S.p.A. la possibilità di recesso in caso di fusione e scissione, diversamente da quanto avviene per le S.r.l. (v. par. 4.1), dato che nella S.p.A. il socio è inteso come il mero investitore di capitale, disinteressato dalla gestione sociale. La fusione e la scissione possono tuttavia legittimare l’esercizio del diritto di recesso anche per le S.p.A. qualora tali operazioni:
- abbiano anche un effetto trasformativo (c.d. fusione o scissione eterogenea); il socio di S.p.A. può quindi esercitare il diritto di recesso quando la società sia incorporata da una S.r.l. (o altro ente di diverso tipo sociale)
- abbiano anche un effetto modificativo dell’oggetto sociale, il che si verifica quando non vi è specularità tra l’oggetto sociale della società incorporata e di quello della incorporante.
Dato che le operazioni di fusione e scissione sono fattispecie a formazione progressiva che si sviluppano in fasi e producono i propri effetti solo a seguito della stipulazione ed iscrizione al Registro delle Imprese dei relativi atti, si ritiene che l’evento legittimante l’esercizio del diritto di recesso sia costituito dalla delibera assembleare del progetto di fusione o scissione, e non dalla stipula dell’atto; pertanto, i termini per l’esercizio del diritto di recesso (15 giorni) decorrono dalla data d’iscrizione della delibera assembleare nel competente Registro delle Imprese.
Qualora il diritto di recesso venga esercitato dal socio non consenziente prima del perfezionamento dell’operazione di fusione o scissione, la sua efficacia (e quindi il maturarsi del diritto di credito alla liquidazione della partecipazione) è sospensivamente condizionata al perfezionamento del procedimento, per cui fino a tale momento la società può sempre revocare la delibera di fusione o scissione, qualora rilevi che, per effetto dell’esercizio del diritto di recesso da parte di uno o di un gruppo di soci, il potenziale depauperamento del patrimonio sociale che implicherebbe la liquidazione dei soci recedenti sia superiore alle aspettative e che quindi non sia conveniente portare a termine l’operazione.
Si ritiene che la determinazione della quota di liquidazione da parte degli amministratori sulla base della consistenza patrimoniale della società e delle sue prospettive reddituali e del valore di mercato della partecipazione (art. 2437-ter, 1° comma, c.c.) debba compiersi già al momento della deliberazione assembleare e non al successivo momento della stipula dell’atto di fusione o scissione.
Una specifica ipotesi di recesso è prevista all’art. 5 D.lgs. n. 108/2008 sulle fusioni transfrontaliere, secondo cui “nel caso in cui la società risultante dalla fusione transfrontaliera sia una società di altro Stato membro, ha diritto di recedere dalla società italiana partecipante alla fusione transfrontaliera il socio non consenziente. Le modalità di esercizio del recesso e di determinazione del valore delle azioni o delle quote sono disciplinate dalle norme del codice civile applicabili alla società da cui si recede. Sono salve le altre cause di recesso previste dalla legge o dallo statuto”.
La norma individua la causa del recesso nella circostanza che la società risultante dalla fusione transfrontaliera sia regolata dal diritto di uno Stato diverso dall’Italia. In proposito, si ritiene che l’art. 5 D.lgs. n. 108/2008 legittimi l’esercizio del diritto di recesso non tanto nell’ipotesi di incorporazione di una società italiana in una società straniera – visto che in tal caso il recesso spetterebbe già di per sé in quanto assimilabile al trasferimento della sede all’estero – bensì in quella in cui la società incorporante italiana, all’esito della fusione transfrontaliera, scelga di essere regolata dal diritto di uno Stato diverso da quello italiano.
3) La revoca dello stato di liquidazione, l’eliminazione di una o più cause di recesso previste dal successivo comma ovvero dallo statuto (ad esempio introduzione o rimozione di vincoli alla circolazione delle azioni statutariamente previste), il mutamento dei criteri di determinazione del valore dell’azione in caso di recesso, le modificazioni dello statuto concernenti i diritti di voto o di partecipazione.
In queste di ipotesi, il recesso è volto a tutelare il diritto del socio al disinvestimento della propria partecipazione, nel caso di operazioni che comportino una variazione significativa delle condizioni patrimoniali e finanziarie del gruppo. Per queste decisioni non è necessaria l’unanimità, stante il diritto del socio non concorde di esprimere in modo netto il proprio dissenso uscendo dalla società.
Per quanto concerne l’ipotesi di recesso in caso di modificazioni dello statuto concernenti i diritti di voto e di partecipazione (art. 2437, 1° comma, lett. g), c.c.), si ritiene che l’espressione “diritti di voto” rinvii alla norma cui all’art. 2351 c.c., secondo cui ogni azione attribuisce il diritto di voto salvo le eventuali limitazioni ivi previste, e dunque le modificazioni dello statuto concernenti i diritti di voto sono quelle che intervengono su tali limitazioni, mentre l’espressione “diritti di partecipazione”, si riferisce ai diritti di natura economica, cioè di partecipazione agli utili. Ne consegue che tra i diritti di voto e di partecipazione non rientrano gli altri diritti amministrativi spettanti al socio diversi dal diritto di voto e dai diritti patrimoniali (quali, ad es., il diritto all’impugnativa delle delibere assembleari, il diritto di chiedere la convocazione dell’assemblea degli azionisti, il diritto di richiederne il rinvio, il diritto all’ispezione dei libri sociali etc.)) e, dunque, l’eventuale emissione di azioni riguardanti tali diritti non dovrebbe, in linea di principio, legittimare il recesso del socio.
Si ritiene inoltre che una modificazione dei diritti di voto e di partecipazione sia rilevante ai fini dell’operatività del recesso solo relativamente alle c.d. modificazioni dirette, cioè quelle il cui oggetto formale è costituito dalla modifica dei diritti incorporati nelle azioni (ad es. rispetto ai diritti di voto, la deliberazione che trasforma le azioni senza diritto di voto in azioni con diritto di voto, oppure che modifica l’ambito degli argomenti riguardo ai quali il diritto di voto può essere esercitato ovvero, rispetto ai diritti di partecipazione, la delibera che abbassa l’entità percentuale della maggiorazione all’utile delle azioni privilegiate) e non relativamente alle c.d. modificazioni indirette, cioè quelle il cui oggetto, sebbene non interessi formalmente detti diritti, sia sostanzialmente idoneo ad incidere su di essi (ad es., rispetto ai diritti di voto, la modifica statutaria dei quorum assembleari, oppure la modifica della modalità di nomina degli amministratori della società). Infatti, ai fini del recesso si richiede una vera e propria modifica dello statuto, ossia un atto formale che espressamente e direttamente incida sui diritti di voto e di partecipazione incorporati nelle azioni, e non già che genericamente nuoccia all’azionista, senza che detti diritti siano in nessuna misura intaccati dalla delibera.
4) Le società costituita a tempo indeterminato
Nel caso di società per azioni non quotate in un mercato regolamentato, l’art. 2437 c.c., dispone che, in caso di società contratta a tempo indeterminato, il socio potrà recedere con un preavviso di almeno centottanta giorni, ferma restando la possibilità di prevedere statutariamente un termine maggiore ma comunque non superiore ad un anno.
In un primo tempo, la giurisprudenza aveva esteso la possibilità ad un socio di recedere anche quando la durata della società, pur non essendo a tempo indeterminato, era stata prevista per un lasso di tempo molto lungo, tale da superare la normale durata della vita umana. Successivamente, la giurisprudenza ha mutato indirizzo, aderendo alla tesi restrittiva secondo cui la possibilità per il socio di recedere sussiste solo nel caso in cui la società sia contratta a tempo indeterminato e non anche a tempo determinato, sia pure lontano, data l’esigenza di tutelare l’aspettativa dei terzi di stabilità e di garanzia del patrimonio sociale (v. Cass. n. 26060/2022).
5) Le società soggette a direzione e coordinamento
Ai sensi dell’art. 2497-quater c.c., il socio ha diritto di recedere in tre ipotesi:
- quando la società o l’ente che esercita l’attività in questione ha deliberato una trasformazione implicante il mutamento dello scopo e/o dell’oggetto sociale con una variazione sensibile delle condizioni economiche o patrimoniali della società;
- quando a favore del socio è stata emessa sentenza di condanna esecutiva verso chi esercita attività di direzione e coordinamento, purché il disinvestimento riguardi l’intera partecipazione;
- all’inizio o alla fine dell’attività di direzione e coordinamento, ove ne consegua un’alterazione delle condizioni di rischio.
6) L’introduzione o eliminazione di una clausola compromissoria
Per le delibere che sopprimono o modificano clausole compromissorie, il diritto di exit potrà essere esercitato solo dal socio dissenziente e non da quello astenuto.
E’ possibile scaricare un modello di lettera di recesso cliccando qui ,con l’avvertenza che è necessario procedere alle opportune modifiche in rapporto alle specificità del singolo caso.
3.2 Le cause di recesso previste dalla legge e inderogabili
L’art. 2347 comma 2 prevede che, qualora lo statuto non disponga diversamente, spetta al socio di S.p.A. il diritto di recesso in caso di proroga del termine di durata e di introduzione o rimozione di vincoli alla circolazione dei titoli azionari.
In tali casi il diritto di recesso non spetta se lo statuto abbia previsto diversamente. L’ipotesi di proroga del termine di durata riguarda la proroga deliberata prima dello spirare del termine di durata, ed è volto ad impedire ulteriori e strumentali rinvii della liquidazione della quota spettante al socio,
Spetta inoltre il recesso qualora vengano introdotti o rimossi eventuali vincoli alla circolazione delle azioni, attraverso l’adozione di clausole di gradimento, di prelazione o di liquidazione degli eredi del socio defunto, nonché per effetto di pattuizioni che incidano sulla negoziabilità delle azioni al fine di aumentare o consolidare la partecipazione societaria.
In questi casi è legittimato al recesso chi ha preso parte alla deliberazione esprimendo voto contrario, chi si è astenuto oppure chi è privo di diritto di voto, ma non agli assenti, salvo diversa previsione statutaria.
3.3 Le cause di recesso previste dallo statuto
Lo statuto delle società non quotate può prevedere ulteriori ipotesi di recesso del socio rispetto a quelle previste dalla legge, quali ad esempio:
- l’ingresso della società in mercati regolamentati od il trasferimento della sede in altri continenti;
- la conclusione di determinati affari;
- il mancato ottenimento o la revoca di specifiche licenze ed autorizzazioni necessarie per l’avvio di particolari attività;
- la rottura di importanti alleanze commerciali;
- la conclusione o il mancato rinnovo di un accordo;
- la concessione di garanzie o fideiussioni ai soci;
- il raggiungimento o meno di determinati fatturati entro precisi limiti di tempo;
- il compimento di determinate operazioni;
- il mutamento del capitale di comando o dei soci amministratori;
- un comportamento illegittimo da parte degli amministratori;
- l’arresto degli amministratori o la dimissione del consiglio;
- la modifica delle regole di amministrazione;
- la costituzione di patrimoni destinati a specifici affari;
- l’assunzione di decisioni relative ad operazioni che impegneranno la società ad un acquisto superiore ad un determinato ammontare;
- limitazioni di diritti e facoltà del socio;
- raggiungimento di una certa età;
- elezione ad una particolare carica amministrativa o politica;
- possesso continuativo di azioni per un certo numero di anni,
etc.
In questi casi, le parti sono libere di determinare la disciplina da applicare; in difetto, si applicherà la regola generale dell’estensione del recesso a tutti i soci.
3.4 La legittimazione all’esercizio del diritto di recesso
Ai sensi dell’art. 2437 c.c., la legittimazione al recesso spetta ai soci che non hanno concorso alle deliberazioni che hanno determinato scelta del socio di uscire dalla società.
Per concorso si intende non solo la manifestazione di un voto favorevole ma anche la semplice votazione sul tema oggetto dell’assemblea che ha assunto la delibera; legittimato al recesso è quindi sia il socio dissenziente che quello assente.
In assenza di diverse previsioni statutarie, fra i legittimati possono comprendersi anche i titolari di azioni senza diritto di voto o con diritto di voto limitato, i titolari delle azioni di godimento e i proprietari di azioni sottoposte a pegno, sequestro od usufrutto il cui diritto di voto è esercitato dal creditore pignoratizio.
3.5 La revoca della delibera di legittimazione del recesso e lo scioglimento della società
Ai sensi dell’art. 2347-bis c.c. il recesso non può essere esercitato o se già esercitato non produce effetto se, entro 90 giorni, la società revoca la delibera che ne è stata la causa ovvero decida lo scioglimento della società.
La ratio della norma consiste nell’esigenza di eliminare l’impatto negativo che può avere il recesso in termini di rimborso della quota azionaria, attraverso la revoca della delibera che ha causato l’uscita del socio.
L’eventuale impugnazione della delibera non sospende l’efficacia del recesso in attesa della sentenza definitiva. In caso contrario, infatti, il socio sarebbe costretto ad attendere le lungaggini del procedimento giudiziario prima di ottenere la liquidazione, senza considerare che potrebbero essere proposte pretestuose impugnazioni, al solo scopo di ritardare la liquidazione e il rimborso delle azioni.
Si ritiene che il termine di 90 giorni per la revoca decorra dal giorno in cui la deliberà è iscritta nel Registro delle imprese, o altrimenti dal giorno dell’adozione della delibera. Qualora, tuttavia, in precedenza di tali termini, venga liquidata la quota del socio, la società non può più adottare la delibera di revoca, essendosi stato ormai soddisfatto il diritto di credito del socio receduto.
3.6 Modalità di esercizio del recesso e conseguenze
Ai sensi dell’art. 2437-bis c.c., le azioni per le quali il socio esercita il recesso debbono essere depositate presso la sede sociale. Il deposito deve essere eseguito contestualmente all’invio della comunicazione di recesso ai soci.
Il deposito delle azioni è volto a tutelare le legittime aspettative di terzi potenziali acquirenti, impedendo che le azioni vengano alienate, subito dopo il recesso e prima di ottenere il rimborso della quota, a coloro che, pur essendo allettati dall’idea di entrare a fare parte della compagine, non siano ancora a conoscenza dell’avvenuta comunicazione di recesso.
Secondo l’indirizzo prevalente della giurisprudenza, il recesso è efficace dal momento in cui la relativa comunicazione giunge alla società. Ciò implica importanti conseguenze anche sulla liquidazione della quota, poiché determina il socio receduto è estraneo ad eventuali operazioni di trasformazione, fusione o aumento di capitale che si verifichino nel periodo intercorrente tra la dichiarazione di recesso e la liquidazione della quota, nonché rispetto agli effetti che tali operazioni possono provocare sul patrimonio societario.
Ai sensi dell’art. 2437-bis c.c., la dichiarazione di recesso deve essere fatta con raccomandata spedita entro 15 giorni dall’iscrizione nel registro delle imprese dalla livera che lo legittima o entro 30 giorni dalla conoscenza del fatto legittimante il recesso quando questo sia diverso da una delibera. La raccomandata di recesso deve contenere le generalità del socio recedente, il domicilio eletto per le comunicazioni correlate al procedimento, il numero e la categoria di azioni per cui il diritto sia esercitato.
Tuttavia, ai fini dell’efficacia del recesso è sufficiente che la relativa comunicazione sia comunque idonea a determinare la conoscenza del destinatario della dichiarazione; è quindi sufficiente a tale scopo la lettera consegnata a mano, la comunicazione a mezzo di posta elettronica con modalità che rendono inequivoci mittente e destinatario, o la comunicazione resa in assemblea in coda ad una deliberazione che legittima l’esercizio del diritto di recesso.
A differenza di quanto previsto per le società personali, per le società di capitali l’art. 2437 primo comma c.c. consente che il diritto di recesso venga esercitato anche parzialmente, senza investire l’intera partecipazione. Il socio, pertanto, esercitando il diritto di recesso, può, anziché uscire definitivamente dalla compagine societaria ottenendo una somma di denaro corrispondente al valore delle proprie azioni, semplicemente modificare la tipologia o ridurre l’entità del proprio investimento, conservando almeno in parte lo status di socio.
Ai sensi dell’art. 2437-bis c.c., per esercitare il diritto di recesso il socio deve inviare una lettera raccomandata entro quindici giorni dall’iscrizione nel registro delle imprese della deliberazione che la legittima, ovvero dal momento in cui il socio è venuto a conoscenza del fatto che giustifica l’uscita, indicando le sue generalità, il domicilio per le comunicazioni inerenti al procedimento, numero e della categoria delle azioni per le quali recesso viene esercitato.
Secondo la giurisprudenza prevalente, il recesso può essere revocato solo entro gli stessi termini previsti per la comunicazione di recesso, mentre non ha effetto se espressa dopo tale scadenza predetta, dato che la dichiarazione non può essere subordinata a condizioni che ne rendano incerti gli effetti nel tempo a garanzia dell’esigenza di certezza che sottende alla rapida definizione degli assetti societari.
3.7 La liquidazione delle azioni
Ai sensi dell’art. 2437-ter c.c. ,il socio ha diritto alla liquidazione del valore delle azioni per le quali esercita il recesso.
Per scongiurare il pericolo di sottostima del valore della quota del socio recedente, quinto comma dell’art. 2437- ter, c.c. riconosce a quest’ultimo il diritto di ottenere copia a proprie spese e di visionare la documentazione relativa alla determinazione del valore delle azioni, nei quindici giorni precedenti la convocazione dell’assemblea, in modo da verificare il metodo ed i criteri scelti per la valutazione delle azioni di sua appartenenza. Tale diritto spetta al socio anche nei casi di recesso derivante da fatto diverso da una delibera assembleare e nei casi di recesso convenzionale.
In ipotesi di recesso inderogabile dovuto a delibera assembleare, la valutazione dovrà essere resa nota al socio quanto prima e comunque non oltre la data fissata dall’assemblea, in modo da garantire una partecipazione consapevole finalizzata ad un’eventuale azione di opposizione.
I documenti accessibili al socio sono costituiti dai prospetti contabili redatti degli amministratori, dal collegio sindacale e dal soggetto incaricato della revisione legale dei conti e devono essere idonei a evidenziare l’iter logico seguito nella stima per la valutazione delle azioni.
Per le società non quotate, il valore delle azioni viene determinato dagli amministratori, sentito il parere dei sindaci e dell’eventuale soggetto incaricato della revisione contabile, in considerazione di tre parametri (art. 2437-ter, secondo comma c.c.):
- la consistenza patrimoniale della società, cioè il valore effettivo della società al di là dei valori storici e delle valutazioni prudenziali, stabilito non solo con riguardo agli elementi patrimoniali attivi e passivi, materiali ed immateriali, iscritti nell’ultimo bilancio di esercizio, risultanti dalle scritture contabili, bensì a tutte le poste attive e passive registrabili al momento della stima;
- le prospettive reddituali della società, cioè i correttivi della situazione patrimoniale attuale, basati sulla capacità della società di produrre reddito nel futuro determinabile attraverso l’attualizzazione dei flussi di reddito previsti per l’epoca nella quale avverrà la valutazione;
- l’eventuale valore di mercato delle azioni, in modo da esprimere in modo più concreto il valore della quota, con riferimento a transazioni non lontane dalla data di determinazione del valore delle azioni.
La dottrina prevalente ritiene che ai fini della valutazione della quota del socio recedente debba essere applicato il premio o lo sconto in forza dell’entità delle diverse partecipazioni, ancorando il valore delle azioni del socio receduto al presumibile valore di mercato o comunque con esso comparabile. In altri termini, occorre tener conto del fair value nella determinazione delle azioni oggetto di recesso. Il valore della partecipazione del socio receduto è quindi assimilabile al valore della partecipazione liberamente negoziabile nel mercato, dipendendo dal gioco della domanda e dell’offerta, il quale, a sua volta, dipende dalla somma di poteri e benefici che la quota, oggetto di trasferimento, consente di ottenere.
La società potrà anche avvalersi di criteri di liquidazione convenzionali stabiliti tra i soci al momento della costituzione o in un momento successivo. Dovranno in tal caso essere indicati tutti gli elementi dell’attivo e del passivo del bilancio che possono essere rettificati rispetto ai valori risultanti dal bilancio medesimo, oltre ai criteri di rettifica ed agli altri elementi suscettibili di valutazione patrimoniale che devono essere tenuti in considerazione. I criteri convenzionali di liquidazione non potranno comunque condurre a valori inferiori rispetto a quelli che si sarebbero ottenuti con il criterio legale.
L’art. 2437-quater c.c. prevede un procedimento di rimborso del valore delle azioni al socio uscente a tappe successive, nella quale le azioni vengono offerte agli altri soci secondo un ordine predeterminato e rigoroso che ha come scopo principale quello di mantenere integro il patrimonio.
Il primo passaggio consiste nell’offerta delle azioni del recedente agli altri soci od ai possessori di obbligazioni convertibili, in proporzione al numero di azioni possedute o al rapporto di cambio.
Esercitano dunque il recesso, il socio deve depositare le azioni presso la sede sociale, non potendo più disporne (art. 2437-bis ult. co., c.c.), e gli amministratori devono provvedere all’offerta in opzione agli altri soci e/o agli obbligazionisti convertibili, rispettivamente, in proporzione alle partecipazioni sociali e sulla base del rapporto di cambio. Gli amministratori devono poi depositare l’offerta d’opzione presso il competente Registro delle imprese, entro 15 giorni dalla determinazione definitiva del valore di liquidazione.
Poiché i soci possono conoscere il valore della liquidazione dalla quota prima dell’assemblea legittimamente il recesso, e devono contestarne eventualmente l’ammontare contestualmente alla dichiarazione di recesso, il valore della determinazione della quota in base al quale gli amministratori depositano l’offerta diventa definitivo al ricorrere di una delle seguenti ipotesi:
- in base ad una dichiarazione congiunta degli organi sociali e del recedente;
- qualora il socio recedente non abbia contestato il valore fissato dagli amministratori in sede di comunicazione di recesso;
- tramite la relazione giurata di cui all’articolo 2437-ter, ult. co., c.c., redatta entro 90 giorni dall’esercizio del diritto di recesso, qualora il socio recedente abbia contestato il valore fissato dagli amministratori.
Per l’esercizio del diritto di opzione deve essere concesso un termine non inferiore a 30 giorni dal deposito dell’offerta. I soci, o gli obbligazionisti convertibili, che esercitano il diritto di opzione, purché ne facciano contestualmente richiesta, hanno diritto di prelazione nell’acquisto delle azioni rimaste inoptate. Il diritto di prelazione dell’inoptato è affidato all’autonomia privata del soggetto che lo esercita, il quale dunque, potrà quindi riservarsi l’inoptato, secondo la necessità del suo investimento, in quantità minori, eguali o maggiori del rapporto di proporzionalità della partecipazione sociale. Qualora vi sia una richiesta maggiore del rapporto di proporzionalità della partecipazione sociale. Qualora vi sia una richiesta maggiore delle quantità disponibili, si ritiene che valga il criterio della priorità della richiesta del socio; se un socio o un obbligazionista abbia, ad esempio, opzionato l’intero inoptato al momento dell’esercizio della sua opzione, la sua riserva prevale su tutte quelle successive.
Nel caso in cui i soci (o gli obbligazionisti convertibili) non esercitino il diritto d’opzione o, comunque, restino azioni inoptate per mancata prelazione, gli amministratori possono collocare le azioni presso terzi. La scelta degli amministratori di collocare le azioni del socio receduto presso i terzi è quindi discrezionale (a differenza dell’offerta ai soci o obbligazionisti convertibili).
Tempi e modalità di tale offerta non sono disciplinati (salvo il limite massimo dei 180 giorni dalla comunicazione del recesso), per cui gli amministratori hanno ampia discrezionalità; fermo restando che, in ogni caso, il prezzo deve coincidere sempre e comunque (sia per i soci, che per gli obbligazionisti convertibili, che per i terzi) con il valore di liquidazione della quota divenuto definitivo, non essendo modificabile dall’organo amministrativo, e deve essere attribuito al socio receduto a titolo di liquidazione della quota nel più breve tempo possibile, in seguito al perfezionamento dei trasferimenti delle azioni (ovvero, di solito, con la girata).
Qualora né i soci, né i terzi, acquistino in tutto o in parte le azioni del recedente, gli amministratori sempre entro 180 giorni dalla comunicazione del recesso, devono procedere ad un acquisto di azioni proprie, mediante l’utilizzo di utili o riserve disponibili, anche in deroga a quanto previsto dal terzo comma dell’art. 2357 c.c.
Secondo l’opinione prevalente, non occorre, al fine della legittimità dell’acquisto, il rispetto delle norme di cui al primo e secondo comma dell’art. 2357 c.c. Pertanto, la società può acquistare azioni proprie con utili o riserve disponibili, anche se tali utili non sono distribuibili (ad esempio, utili di periodo) o se tali voci di netto non risultano da un bilancio regolarmente approvato, e non occorre l’autorizzazione assembleare.
In tale ipotesi non è prevista alcuna riduzione del capitale, dato che l’acquisto viene eseguito con riserve o utili, ossia con voci contabili che escludono l’esistenza di una perdita. Nulla esclude, peraltro, che dopo l’acquisto la società possa ridurre il capitale annullando le azioni proprie acquistate dal socio precedente.
Infine, in mancanza di utili o riserve disponibili, ai sensi dell’art. 2374-quater c.c. deve essere convocata l’assemblea straordinaria per deliberare la riduzione del capitale sociale (art. 2445, secondo, terzo e quarto comma c.c.), ovvero lo scioglimento della società. Tale ultima conseguenza si avrà anche nel caso in cui i creditori propongano opposizione alla riduzione del capitale, ai sensi degli artt. 2445 e 2482 c.c., e tale opposizione venga accolta.
4. Il recesso nelle S.r.l.
4.1 Le cause di recesso previste dalla legge
Il legislatore ha distinto la disciplina del recesso dalla S.r.l. da quella dettata in tema di S.p.A.; tuttavia alcune delle cause di recesso nelle S.r.l., elencate nell’art. 2473 c.c., coincidono con quelle delle S.p.A. In particolare, sono identiche per entrambe le tipologie di società le seguenti cause (per le quali si rimanda al capitolo precedente sul recesso nelle S.p.A.):
- il trasferimento della società all’estero;
- la revoca dello stato di liquidazione;
- l’eliminazione di una preesistente causa statutaria di recesso;
- il cambiamento del tipo di società;
- la società costituita a tempo indeterminato;
- le società sottoposte ad attività di direzione e coordinamento;
- l’ introduzione o soppressione di clausole compromissorie.
In tutti questi casi- per i quali si rimanda a quanto già esposto in tema di S.p.A.- la legittimazione a recedere spetta al socio che non abbia consentito alla delibera o al compimento dell’operazione, ovvero, al socio dissenziente, assente o astenuto.
Altre ipotesi di recesso previste dall’art. 2473 c.c., che non hanno invece riscontri nella disciplina della S.p.A., sono:
- il compimento di operazioni che comportino sostanziali modificazioni dell’oggetto della società così come indicato nell’atto costitutivo;
- il compimento di operazioni che comportano sostanziali modificazioni dei particolari diritti attribuiti ai soci in merito all’amministrazione della società e la distribuzione degli utili;
- il cambiamento dell’oggetto sociale;
- la fusione o scissione della società.
Per quanto riguarda il recesso motivato dall’intervenuto cambiamento dell’oggetto sociale, la disciplina è differente rispetto a quella corrispondente prevista per le S.p.A., in quanto l’art. 2473 c.c. si riferisce al cambiamento dell’oggetto sociale tout court, senza la precisazione che lo stesso debba implicare un cambiamento significativo dell’attività della società (come invece indicato invece alla lett, a) del primo comma dell’art. 2437 c.c.).
Tuttavia, anche con riferimento alle S.r.l., si ritiene che la modifica dell’atto costitutivo relativa all’oggetto sociale legittimi il socio non consenziente ad esercitare il recesso solo se accompagnata da un adeguato grado di sostanzialità e significatività, non essendo sufficiente una qualsiasi modifica dell’oggetto, anche se di lieve entità. Si ritiene in tal senso sufficiente ad integrare i presupposti di un cambiamento “significativo” dell’oggetto sociale una modifica che comporti una variazione del rischio d’impresa e quindi della convenienza dell’investimento per i soci, come ad esempio nel caso del passaggio di una società da operativa a holding, di una modifica nell‘oggetto dei prodotti, etc. Viceversa, modifiche secondarie dell’oggetto sociale, come ad esempio la sua estensione a settori accessori della produzione o la riduzione degli originari settori di intervento, non danno luogo al diritto di recesso dei soci.
In particolare, la deliberazione di cambiamento dell’oggetto sociale deve apportare una modifica concreta alla clausola statutaria sull’oggetto sociale, ampliamento o riducendo il novero delle attività esercitabili dalla società; pertanto, ai fini di valutare la significatività del cambiamento nelle attività sociali legittimante il recesso, occorre confrontare le diverse formulazioni della clausola sull’oggetto sociale, individuando sia le attività prima indicate in statuto e poi escluse, sia le attività prima non ricomprese e successivamente aggiunte con deliberazione assembleare.
Il mutamento dell’oggetto sociale idoneo a legittimare il recesso del socio può verificarsi anche in via di fatto, se in concomitanza con atti gestori che, pur non incidendo sul dato formale relativo all’oggetto sociale determinato dallo statuto, ne comportano una modifica sostanziale, tale da rendere l’oggetto dell’impresa effettivamente diverso da quello precedente; come accade ad es. quando una holding, avente come oggetto sociale l’assunzione di partecipazioni in altre società, e il compimento di operazioni immobiliari solo in via strumentale e comunque non prevalente, ceda l’unico asset, costituito dalla totalità del capitale di altra società, conservando solo i beni immobiliari di proprietà di quest’ultima.
Con riferimento invece al compimento di operazioni che determinino un cambiamento sostanziale dell’oggetto della società, il socio può recedere non solo quando la modifica abbia origine da una regolare delibera assembleare alla quale non abbia consentito o partecipato, bensì anche e soprattutto a seguito di decisioni autonome degli amministratori (per le quali potrebbe esperire l’azione di responsabilità) o di decisioni dei soci adottate in violazione della legge. A tal proposito, possono giustificare il recesso del socio quelle deliberazioni che modificano sostanzialmente l’oggetto sociale, quali l’aggiunta, la riduzione o la variazione di attività complementari che generalmente coincidono con operazioni di ristrutturazione, la cessione dell’azienda sociale o l’acquisizione di un’azienda che operi in settori diversi.
Ai sensi dell’art. 2473, 1° comma, c.c., spetta il diritto di recesso in caso di fusione o scissione, in ragione della rilevanza della persona del socio nella S.r.l., e quindi all’interesse al mantenimento della composizione della compagine sociale.
Per quanto concerne la scissione mediante scorporo (art. 2506 comma 1 c.c.) si ritiene che non spetti al socio il diritto di recesso, in quanto i soci della società scissa non diventano titolari di partecipazioni sociali rappresentative del capitale di un soggetto di diritto avente un diverso assetto organizzativo. Nella scissione mediante scorporo, infatti, la società scissa assegna parte del suo patrimonio a una o più società di nuova costituzione e a sé stessa le relative azioni o quote, continuando la propria attività; la peculiarità di questa variante di scissione consiste nel fatto che vengono assegnate partecipazioni della società beneficiaria alla medesima società scissa e non anche ai soci della stessa come accade nella scissione ordinaria. I soci della società scissa non vengono quindi direttamente coinvolti nell’operazione in quanto, all’esito della stessa, non acquistano la qualifica di soci della società beneficiaria e le loro partecipazioni nella società scissa rimangono invariate.
Infine, con riferimento al compimento di operazioni che comportano una rilevante modifica dei diritti attribuiti ai soci, l’art. 2468 c.c. dispone che, fermo restando il divieto di rappresentare le partecipazioni dei soci tramite azioni e la regola generale per cui i diritti sociali spettano in proporzione alla partecipazione posseduta da ciascuno, l’atto costitutivo può sempre prevedere l’attribuzione a singoli soci di particolari diritti riguardanti l’amministrazione della società o la distribuzione degli utili; qualora lo statuto preveda che tali diritti e facoltà sono modificabili con il consenso della maggioranza (anziché con il consenso di tutti i soci), il socio dissenziente avrà diritto di recedere.
Nel Codice civile vi sono poi altre due disposizioni che prevedono cause di recesso del socio dalla S.r.l. Si tratta in particolare di:
- l’art. 2469 c.c., secondo comma, che prevede il diritto di recesso del socio l’atto costitutivo della cui società preveda l’intrasferibilità delle partecipazioni o ne subordini il trasferimento al gradimento di organi sociali, di soci o di terzi senza prevederne condizioni e limiti, o ponga condizioni o limiti che nel caso concreto impediscono il trasferimento a causa di morte;
- l’art. 2481-bis, primo comma, c.c. secondo il quale i soci esclusi dalla sottoscrizione dell’aumento di capitale sociale tramite offerta di quote di nuova emissione a terzi possono esercitare il diritto di recesso.
Per quanto concerne tale ultima ipotesi, la possibilità di esercitare il diritto di recesso si ha nei casi di:
- offerta di nuove partecipazioni a terzi;
- offerta di nuove partecipazioni solo ad alcuni soci o a tutti i soci in misura non proporzionale;
- offerta di nuove partecipazioni a fronte di conferimenti diversi dal denaro.
L’effetto della previsione è quello di impegnare i soci a trovare in prima battuta all’interno della compagine sociale i mezzi per ricapitalizzare la società, per non correre il rischio che, a fronte dell’apporto di nuovi mezzi da terzi, possa derivare un’emorragia di risorse, considerata la potenziale necessità di liquidare i soci recedenti.
Si ritiene in proposito che il diritto di recesso spetta al socio che non abbia acconsentito alla deliberazione di aumento di capitale non solo nel caso di esclusione del diritto di sottoscrizione, ma anche nel caso di semplice limitazione dello stesso, in quanto con la sottoscrizione dell’aumento verrebbero alterati gli originali rapporti di forza tra soci.
Dato che l’aumento di capitale a pagamento è una fattispecie a formazione progressiva, che non si esaurisce nella semplice deliberazione assembleare bensì in fasi ben distinte (deliberazione di aumento, sottoscrizione, versamento, attestazione di avvenuta sottoscrizione da parte degli amministratori, iscrizione presso il Registro delle Imprese), si ritiene che gli effetti della dichiarazione di esercizio del diritto di recesso non decorrano dalla data della deliberazione assembleare, bensì dalla conclusione del procedimento di aumento; ne deriva che in caso di mancato perfezionamento dell’aumento deliberato, l’eventuale recesso esercitato dal socio cessa di produrre effetti, analogamente a quanto previsto dall’art. 2473, ult. comma, c.c. nell’ipotesi di revoca della delibera che legittima il recesso.
4.2 Le cause di recesso previste nello statuto
L’art. 2437 c.c. prevede che i soci possono stabilire nell’atto costitutivo della società quali possano essere le cause di recesso, mediante l’inserimento di un’apposita clausola nello statuto.
Anzitutto, è possibile ampliare i casi in cui il recesso sia collegato al dissenso dei soci di minoranza. Così, ad esempio, può essere stabilito il recesso a seguito di deliberazioni riguardanti gli amministratori: loro nomina o revoca, attribuzione ad essi della delega in sede di atto costitutivo per l’aumento del capitale sociale (art. 2481 c.c.). Ugualmente, in caso di deliberazioni riguardanti l’approvazione del bilancio o la destinazione degli utili, o anche il trasferimento della sede non già all’estero ma in altra provincia o regione. La decisione di prorogare il termine della società costituisce un’altra causa tipica di recesso che può essere prevista nello statuto delle S.r.l.
Il recesso può essere altresì previsto in dipendenza di eventi che non hanno a che fare con l’adozione di deliberazioni da parte dei soci, come ad esempio in caso di performance economiche negative della società, o di fatti gestionali specifici come ad esempio il mancato rinnovo di contratti sociali, il mancato rilascio o la revoca di autorizzazioni amministrative per lo svolgimento di determinate attività, l’ingresso della società in nuovi mercati e l’alienazione o l’acquisto di determinate attività.
Infine, possono essere previste nello statuto della S.r.l. anche ipotesi di recesso per giusta causa, quali il dissidio insanabile insorto fra i soci, o altri fatti soggettivi come la trascuratezza o l’incapacità degli amministratori, la condotta immorale dei soci, la mancata esclusione di un socio al verificarsi dei presupposti previsti nell’atto costitutivo, o il verificarsi di situazioni che portino ad escludere la possibilità di una proficua prosecuzione dell’attività sociale, come l’uscita dalla compagine sociale di determinati soci con perdita in misura notevole dei conferimenti.
E’ invece discussa la possibilità di inserire nello statuto anche ipotesi di recesso ad nutum. L’orientamento prevalente ammette tale possibilità nelle S.r.l. – essendo tra l’altro legalmente previsto il recesso ad nutum anche in caso di intrasferibilità delle quote e di società contratta a tempo indeterminato – purché sia previsto un termine congruo di preavviso.
Le clausole dello statuto che stabiliscono il divieto o il mero gradimento per la costituzione del pegno o dell’usufrutto sulla quota non comportano il diritto di recesso.
Se la società è a tempo determinato, il recesso è ammesso se lo statuto limita la circolazione delle quote, cioè se prevede l’intrasferibilità (anche mortis causa) delle quote, o ne subordini la cessione al mero gradimento di organi sociali, di soci o di terzi (ovvero se il gradimento non è soggetto ad alcuna condizione o limite).
Il comma sesto dell’art. 2437 c.c. pone comunque il divieto di eliminare o rendere più gravoso l’esercizio delle cause di recesso previste al comma 1, consentendo invece di agevolarne l’esercizio con l’adozione di clausole statutarie più vantaggiose.
Anche in assenza di previsione statutaria, si ammette il c.d. recesso consensuale, cioè la possibilità di consentire al socio l’uscita dalla società in forza del consenso unanime manifestato da tutti gli altri soci. In questo caso, dunque, il recesso si basa sull’accordo unanime tra i soci – indipendentemente da una causa giustificativa – e trova, dunque, la sua giustificazione nel principio del mutuo consenso di cui all’art. 1372 c.c., secondo cui il contratto può essere sciolto anche in forza del consenso unanime manifestato dalle parti.
In caso di recesso consensuale:
- i criteri di determinazione del valore di liquidazione sono rimessi alla libera negoziazione delle parti;
- non trovano applicazione le formalità per l’esercizio del diritto di recesso, né si richiede il rispetto di una determinata forma per l’accordo intervenuto tra i soci sullo scioglimento del singolo rapporto sociale.
4.3 Legittimazione e modalità di comunicazione del recesso
Ai sensi dell’art. 2473 c.c., sono legittimati al recesso i soci che non hanno consentito all’adozione della delibera addotta a giustificazione della volontà di uscire dalla compagine nei casi ivi previsti. Come nella S.p.A., sono quindi legittimati i soci assenti, astenuti e dissenzienti.
In ipotesi di recesso per causa non derivante da una delibera assembleare ma dalla legge o dall’atto costitutivo, ciascun socio ha diritto al recesso, a prescindere da una valutazione negativa della gestione dell’impresa o della decisione dei soci; si pensi ad esempio alla società costituita a tempo indeterminato, dalla quale chiunque può decidere di uscire al solo fine di disinvestire la propria quota e non restare vincolato ad libitum ad un’attività che può non rispondere più alle sue esigenze.
La stessa regola vale ovviamente nel caso di recesso ad nutum, statutariamente non vincolato ad un determinato atto o fatto ma rimesso all’insindacabile valutazione del socio recedente.
A differenza delle S.p.A., il legislatore non ha dettato alcuna modalità per l’esercizio del diritto di recesso per i soci di S.r.l. In assenza di una disciplina analitica nello statuto (auspicabile), si ritiene applicabile analogicamente alle S.r.l. la disciplina dettata dall’art. 2437 bis c.c. per le S.p.A. (v. par 3.6).
Pertanto, il diritto di recesso può essere esercitato con comunicazione spedita entro 15 giorni dall’iscrizione nel Registro Imprese della delibera che lo legittima; se invece il fatto che genera il recesso è diverso da una delibera (ad es. compimento di operazioni che sostanzialmente modificano l’oggetto sociale) il termine è di 30 giorni dalla sua conoscenza da parte del socio. In ogni caso, qualora lo statuto disciplini i termini e le modalità di recesso, si ritiene che il termine per l’esercizio decorra non prima della data dell’iscrizione della delibera, in quanto questo è l’evento che la rende efficace.
Di regola il recesso non è un atto formale, ma può risultare anche da un comportamento concludente (art. 2473 c.c.). Il recesso, quindi, si attua e diviene efficace per effetto della sola manifestazione di volontà unilaterale del socio recedente, senza che occorra alcuna accettazione da parte della società. Tuttavia, è opportuno avere prova dell’avvenuta comunicazione del recesso, ad esempio inviandolo per iscritto a mezzo raccomandata a/r, PEC, notifica per ufficiale giudiziario, comunicazione scritta firmata per ricevuta dal rappresentante legale della società.
Secondo la giurisprudenza prevalente, il recesso diventa efficace nel momento in cui la dichiarazione del socio giunge alla società, in quanto il recesso è un negozio giuridico unilaterale recettizio, con conseguente applicazione della norma di cui all’art. 1334 c.c. Di conseguenza, il socio che esercita il diritto di recesso perde i diritti sociali dal momento della ricezione della dichiarazione di recesso da parte della società; da questo momento, i diritti che spettano al socio in quanto titolare della partecipazione restano “congelati” e non più esercitabili. Tuttavia la partecipazione sociale esiste ed il socio ne è solo formalmente titolare, tanto che la stessa può anche essere ceduta dopo l’esercizio del recesso, nel qual caso il cessionario acquista solo un credito nei confronti della società, avente ad oggetto quanto spettante al cedente in dipendenza del recesso, ma non certo il diritto a divenire socio della società.
Secondo questo orientamento, pertanto, dal momento della ricezione della dichiarazione di recesso da parte della società il socio non può più partecipare alle assemblee né impugnare le delibere sociali, ma ha solo un diritto di credito nei confronti della società per la liquidazione della quota. Secondo parte della giurisprudenza il socio receduto sarebbe tuttavia legittimato, in via eccezionale, ad impugnare la sola delibera che lo abbia indotto ad esercitare il proprio diritto di recesso, cosicché l’eventuale annullamento di tale delibera avrebbe l’effetto di restituirgli ipso iure la partecipazione sociale; in tal caso, il socio che intenda impugnare la delibera può sottoporre la dichiarazione alla condizione sospensiva dell’accertamento giudiziale della validità della delibera stessa.
Secondo un diverso orientamento (sostenuto ad es. dal Tribunale di Milano), il recesso del socio è efficace solo alla fine dell’iter di rimborso delle quote, data l’incertezza che incombe sul socio circa la propria posizione e, più esattamente, a proposito della possibilità o meno di realizzare la propria volontà di uscita, attesa la possibilità che i soci impugnino il recesso, l’eventualità che la delibera che ha provocato il recesso venga revocata, nonché quella che la delibera di riduzione del capitale sociale conseguente all’uscita venga impugnata dai creditori a garanzia del proprio credito. La dichiarazione di recesso non determinerebbe, quindi, da sola lo scioglimento del rapporto sociale, ma avvierebbe un iter a formazione progressiva, solo a conclusione del quale si realizzerà la modifica della posizione giuridica del socio recedente.
Di conseguenza, secondo tale diverso orientamento, fino alla liquidazione della quota (v. par. 4.4) il socio recedente è titolare dei diritti sociali, ma ridotti a quelli strettamente connessi al diritto alla liquidazione della quota e strumentali alla salvaguardia dell’integrità del patrimonio sociale; nel tempo intercorrente tra l’esercizio del diritto di recesso e la liquidazione della quota, il socio recedente resta titolare dei soli diritti sociali non incompatibili con la dichiarazione di recesso e per l’esercizio dei quali vanti un concreto interesse ad agire, anche relativo al pericolo che dal depauperamento del patrimonio sociale derivi un rischio attuale per l’effettivo rimborso della quota oggetto di recesso, essendo quindi legittimato ad impugnare tutte le delibere assembleari che possano incidere con la liquidazione della quota, anche diverse da quella da cui è scaturito il recesso. Del resto, il socio receduto non perde del tutto l’interesse alle vicende societarie, ad es., perché potrebbe trovarsi nuovamente a far parte della società nel caso in cui la delibera che ha determinato il recesso venga revocata, o perché egli stesso ha impugnato detta delibera, oppure perché abbia promosso o intenda promuovere un’azione di responsabilità nei confronti degli amministratori.
In questo senso, secondo tale orientamento si ammette che il socio receduto sia legittimato:
- ad esperire azione di responsabilità o di revoca dell’organo amministrativo, in presenza di atti di depauperamento del patrimonio sociale, la cui compromissione potrebbe in concreto pregiudicare il diritto di credito alla liquidazione;
- a far valere la nullità della delibera di approvazione del bilancio in base al quale è stata determinata la somma da rimborsare in sede di recesso.
- a partecipare alle assemblee e a sottoscrivere l’aumento di capitale che sia eventualmente deliberato; tale sottoscrizione non esprime infatti una volontà incompatibile rispetto al recesso, ma è un atto necessitato dall’esigenza di non vedere annacquato il valore della propria partecipazione sociale.
La ratio della limitazione dei diritti sociali del socio recedente, cui viene di fatto concesso, secondo questo diverso orientamento, di prolungare sine die la permanenza nella società, mantenendo invariata la sua posizione rispetto a quella di tutti gli altri soci, è quello che di evitare che venga minata la stabilità e la buona gestione dell’impresa, non essendo consentito al socio recedente di esercitare una costante minaccia nei confronti della società, che potrebbe diventare prigioniera del socio uscente, in proporzione tanto maggiore quanto è il peso di questi all’interno della struttura societaria. In altri termini, senza alcun depotenziamento dei diritti sociali del socio recedente nelle more del procedimento di exit, si creerebbe il rischio di comportamenti opportunistici da parte di questi, contrari ai principi di correttezza e buona fede di cui agli artt. 1175 e 1375 c.c. Una volta ricevuta la dichiarazione di recesso, la società può impedirne l’operatività (evitando così una liquidazione che potrebbe rivelarsi dannosa) (art. 2473 ult. co. c.c.):
- decidendo di sciogliere la società, qualora il recesso sia senza causa (ad nutum) o collegato a fatti diversi da una decisione dei soci;
- revocando la delibera che legittima il recesso (qualora lo stesso sia legittimato da una decisione dei soci).
Poiché l’art. 2473 ult. co, c.c. non fissa alcun termine per l’adozione della deliberazione di revoca o di scioglimento della società, secondo l’opinione prevalente si applica analogicamente l’art. 2437 bis c.c. in tema di S.p.a., e pertanto la revoca della delibera o l’adozione della deliberazione di scioglimento della società devono intervenire entro il termine di 90 giorni dalla dichiarazione di recesso. Secondo una diversa opinione, la S.r.l. può revocare la delibera che legittima il recesso fino al centottantesimo giorno dall’iscrizione nel registro delle imprese, ovvero entro il termine ultimo per eseguire la liquidazione della quota al recedente ai sensi dell’art. 2473 c.c. (v. par. 4.4). Decorso tale termine, il recesso del socio diviene definitivo e il diritto alla liquidazione della sua quota non può più venire meno.
Per quanto concerne lo scioglimento della società, esso costituisce un’alternativa alla revoca della delibera, nel caso in cui la maggioranza non intenda rinunciare alle proprie scelte economiche e alle proprie strategie di sviluppo, ritenendo più conveniente pervenire allo scioglimento della società. In sostanza, la società può deliberare lo scioglimento della stessa per due ragioni:
- perché vuole rendere inefficace il recesso già esercitato dal socio;
- perché è costretta a farlo, nel senso che, a causa del recesso, non ci sono soci o terzi disponibili ad acquistare la partecipazione del recedente e non ci sono riserve tali da coprire le spese derivanti dalla liquidazione della quota del socio receduto; in tal caso quindi e i soci superstiti decidono di “recuperare” quanto investito nella società ponendola in liquidazione, in modo da poter investire quanto recuperato in altre forme d’investimento o in altre imprese.
A seguito dello scioglimento della società, se non si è ancora proceduto alla liquidazione della quota del socio receduto, il recesso viene meno, e ciò anche nel caso in cui lo scioglimento non rappresenti una diretta conseguenza del recesso e si verifichi per riduzione del capitale sociale al di sotto del minimo legale per perdite preesistenti al recesso e non connesse alla domanda di liquidazione dei soci receduti. Successivamente allo scioglimento, il socio receduto non ha diritto a vedersi rimborsato il valore della quota di partecipazione, ma è coinvolto nella procedura di liquidazione della società al pari degli altri soci. Si ritiene che la successiva revoca dello scioglimento è possibile solo qualora il socio originario recedente abbia manifestato il suo consenso, rinunciando al rimborso della partecipazione, o abbia ottenuto il rimborso della partecipazione.
Per quanto attiene alla revoca della delibera che ha legittimato il recesso, essa è possibile solo nel caso in cui questa possa ancora essere attuata (il che non accade quando ad es. siano stati compiuti atti di amministrazione finalizzati al perseguimento del diverso oggetto sociale deliberato e poi revocato, o il fatto che ha generato il recesso sia stato compiuto), e non dopo che sia stato liquidato al socio recedente il valore della quota.
Il recesso è revocabile fino a che la dichiarazione non è pervenuta alla società; secondo l’opinione prevalente, invece, dopo tale momento il recesso non è più revocabile, trattandosi, come si è visto, di un atto unilaterale recettizio che si perfeziona e produrre i propri effetti dal momento in cui la dichiarazione perviene alla società destinataria. Dopo avere esercitato il diritto al recesso, dunque, il socio non può rinunciarvi (jus poenitendi) e la società̀ non può̀ esimersi dalla liquidazione della quota eccependo l’avvenuta rinuncia, a prescindere dalle modalità̀ (espressa o tacita) con cui tale rinuncia si sia manifestata.
La rinuncia al recesso da parte del socio è infatti incompatibile con la ratio legis dell’attribuzione del diritto, come possibilità̀ di apprezzare un mutamento delle condizioni di rischio, nelle ipotesi legislativamente previste, e di liquidare l’investimento. Il socio può̀, in altri termini, continuare a sottoporsi al rischio imprenditoriale, partecipando agli utili e alle perdite, oppure estraniarsi dal rischio della società̀, assumendo la veste di creditore della quota di liquidazione, ma non può̀ assumere al contempo l’una e l’altra qualità̀, riservandosi di stare a vedere, per rientrare nella società̀ o uscirne definitivamente, secondo che i rischi si verifichino o meno.
Altrimenti, la società (e i soci di maggioranza) sarebbe impossibilitata a conoscere in modo incontrovertibile le conseguenze economiche causate dal recesso, e non potrebbe così valutare l’opportunità della revoca della deliberazione nel termine concesso dalla legge.
In ogni caso, gli effetti del recesso possono venire meno in presenza di un accordo fra il socio e la società, trattandosi di diritti disponibili
È controversa la possibilità per un socio di S.r.l. di recedere parzialmente dalla società. Secondo la tesi prevalente, dato che la quota di s.r.l. è frazionabile e quindi è possibile trasferire per atto inter vivos o mortis causa parte della quota, il socio è legittimato a recedere parzialmente dalla società, a prescindere dall’esistenza di un’apposita clausola statutaria e fatta salva l’ipotesi in cui lo statuto preveda l’indivisibilità delle partecipazioni sociali.
Si ritiene che il diritto di recesso possa essere esercitato anche qualora la società si trovi in fase di liquidazione, qualora durante tale fase ricorra una causa legale o statutaria di recesso. Durante la liquidazione, i liquidatori devono seguire il procedimento di liquidazione della quota del socio receduto di cui all’art. 2473 c.c. (v. par. 4.4), offrendo agli altri soci e ai terzi la quota del socio stesso; qualora ciò non sia possibile, e la società non abbia disponibilità per liquidare con riserve né abbia possibilità di ridurre il capitale sociale se non pregiudicando il pagamento dei creditori sociali, il socio receduto dovrà attendere la fase finale della liquidazione per partecipare in sede di riparto alla distribuzione del residuo attivo, non potendo essere destinatario di acconti sul risultato della liquidazione, salvo che dai bilanci risulti che la ripartizione non incida sulla disponibilità di somme idonee alla integrale e tempestiva soddisfazione dei creditori sociali (art. 2491 comma 2 c.c.).
Si ritiene infine che, stante l’oggettiva incertezza di risultato che caratterizza il procedimento di determinazione del valore di liquidazione della partecipazione del socio recedente – incertezza che si traduce in una difficile valutazione dell’opportunità di esercitare il diritto al disinvestimento – sia possibile per il socio recedente – nel rispetto del procedimento legale di determinazione del valore di liquidazione (v. par. 4.4) – condizionare risolutivamente la propria dichiarazione di recesso all’ottenimento di una valutazione minima; non appare invece possibile che tale dichiarazione possa essere sospensivamente condizionata al verificarsi dei medesimi eventi.
4.4 La liquidazione della quota del socio che ha esercitato il recesso.
A seguito dell’esercizio del recesso, il socio ha diritto di ottenere dalla società la liquidazione della propria quota detenuta nella società stessa.
Per quanto attiene alla determinazione del valore della quota del socio che ha esercitato il recesso, l’art. 2473, comma 3, c.c. prevede che la stessa deve essere determinata tenendo conto del suo valore di mercato al momento della dichiarazione di recesso. La quota del socio che ha esercitato il recesso deve essere quindi liquidata in base al valore economico effettivo della quota stessa, al momento del recesso.
Non sono, quindi, vincolanti i valori indicati nel bilancio dell’ultimo esercizio, in quanto si ispirano ad un’ottica prudenziale di continuazione dell’impresa. Qualora, ad esempio, il patrimonio sociale risulti contabilmente composto da valori non effettivi, in quanto riferiti a beni strumentali di tipo informatico e/o comunque ad alto contenuto tecnologico, soggetti a rapida obsolescenza, tali poste andranno valutate ai valori correnti – ovvero secondo il principio del c.d. fair value – e non già secondo i valori esposti in bilancio.
Dottrina e giurisprudenza prevalenti escludono che – diversamente da quanto normalmente avviene nella negoziazione per la compravendita di una quota – siano rilevanti, ai fini della liquidazione della quota del socio receduto, sconti di minoranza o premi di maggioranza, in base al tenore letterale del comma 3 dell’art. 2743 c.c., secondo il quale il rimborso della partecipazione del socio deve avvenire “in proporzione” al patrimonio sociale. Il “valore di mercato”, di cui all’art. 2473, comma 3, c.c. non si riferisce infatti alla quota, bensì al patrimonio sociale, per cui la valutazione della quota si ricava suddividendo il valore del patrimonio sociale per la percentuale della quota detenuta dal socio che ha esercitato il recesso, mediante un semplice calcolo matematico.
La liquidazione comprende anche la partecipazione al risultato economico delle operazioni in corso alla data del recesso. Occorrerà quindi considerare, ad esempio, le trattative o l’assunzione di impegni per la vendita di merci in magazzino, anche se la cessione è perfezionata successivamente alla data di scioglimento del rapporto del singolo socio.
Lo statuto non può prevedere criteri di valutazione della quota diversi da quello indicato dalla legge, ma può prevedere criteri per determinare in modo oggettivo il valore di mercato della partecipazione, ad esempio determinando il valore dell’avviamento calcoli matematici rapportati alla redditività degli esercizi precedenti. Sono invece, da ritenersi illecite le clausole che determinano il rimborso della partecipazione in misura pari al valore nominale della stessa o che tengano in considerazione i soli valori contabili, o che rimettono ad una decisione periodica dei soci, anche unanime, la predeterminazione del valore delle partecipazioni ai fini di un eventuale recesso.
Il valore di mercato di cui all’articolo 2473 c.c. si riferisce alle quote sociali oggetto di recesso, non ai singoli beni che costituiscono il patrimonio sociale. Il valore di mercato potrebbe risultare superiore o inferiore al patrimonio sociale; la prima ipotesi si verificherà quando emergano beni immateriali non contabilizzati a bilancio, ovvero in presenza di un avviamento; la seconda ipotesi si verificherà ad esempio quando un’impresa sia in perdita, o il bilancio contenga significative minusvalenze non contabilizzate.
La valutazione della quota segue quindi regole in parte diverse da quelle impiegate per la valutazione del patrimonio netto sociale, previste dalla legge per la formulazione del bilancio di esercizio.
Così, ad esempio, l’avviamento, a meno che non sia un importo originato dal pagamento a terzi per l’acquisto di un’azienda, non viene espresso nel bilancio di esercizio, e quindi non trova espressione nel patrimonio societario, mentre è considerato in sede di determinazione del valore della quota. Ugualmente accade qualora siano presenti elementi immateriali, ma non contabilizzati a bilancio, quali brevetti o marchi.
All’inverso, qualora siano presenti minusvalenze non contabilizzate (valori di magazzino gonfiati, crediti inesigibili non svalutati, fondi rischi non evidenziati, perdite permanenti di valore sugli immobilizzi etc.) il valore della quota sarà proporzionalmente minore rispetto alla quota di patrimonio netto desumibile dal bilancio.
Poiché la legge non indica specifici criteri di valutazione da adottare per la valutazione delle quote sociali, nella prassi vengono adottati diversi criteri, tratti dalla scienza aziendalistica. Il criterio più utilizzato è il modello patrimoniale, semplice o complesso, integrato da modelli reddituali o finanziari (metodo discounted cash flow), nella misura in cui siano praticabili e/o applicabili. Si ritiene inoltre che ai fini del calcolo del valore della partecipazione del socio nella società non si debba tener conto di premi di maggioranza o sconti di minoranza, né di eventuali diritti particolari del socio.
L’ art. 2473 c.c. dispone che il rimborso della quota al socio deve avvenire secondo una ben determinata procedura, che si articola in steps successivi.
In primo luogo, la quota deve essere liquidata al socio receduto mediante acquisto da parte dei soci proporzionalmente alle loro partecipazioni.
Il socio di S.r.l., una volta comunicato il recesso, non può quindi trasferire la propria partecipazione sociale, sussistendo una opzione legale a beneficio degli altri soci ai quali è riconosciuto il diritto all’acquisto proporzionalmente alle rispettive partecipazioni sociali. Si ritiene che il socio, nell’esercitare il diritto ad acquistare la quota del recedente in proporzione alla propria partecipazione sociale, possa dichiarare di voler profittare dell’eventuale inoptato; tale dichiarazione può avere ad oggetto tutto l’inoptato.
Nel caso in cui i soci non esercitino l’opzione o, comunque, restino partecipazioni inoptate, l’organo amministrativo può provvedere al trasferimento delle stesse ad una o più terzi individuati dai soci medesimi, senza il concorso della volontà del socio receduto. Sul piano applicativo deve ritenersi che:
- le partecipazioni inoptate si possono offrire ai terzi ancorché lo statuto non preveda che terzi possano acquisire capitale sociale in sede di aumento ai sensi dell’art. 2481 c.c.;
- l’individuazione dei terzi spetta agli altri soci con procedura extra collegiale e decisione da adottarsi all’unanimità;
- i soci possono individuare un terzo specifico o, più semplicemente, ammettere la collocazione della partecipazione presso terzi, riconoscendo ampia autonomia all’organo amministrativo in ordine alla concreta individuazione dei soggetti.
L’offerta al terzo deve avvenire al medesimo prezzo coincidente con il valore della liquidazione della quota.
Qualora l’acquisto da parte dei soci o di terzi non avvenga, il rimborso della quota del socio receduto è effettuato utilizzando riserve disponibili. Poiché la S.r.l. non può detenere partecipazioni proprie, la stessa non può acquistare le quote del recedente, e pertanto a seguito del rimborso operato tramite l’utilizzo delle riserve i soci restanti vedranno corrispondentemente aumentare la rispettiva misura della partecipazione. Si ritiene legittimo che la società contragga prestiti per liquidare la partecipazione del socio receduto con l’utilizzo nominale di riserve disponibili (che potrebbero di fatto essere illiquide), poiché in tal caso non si verifica un’ipotesi di acquisto di partecipazioni cui all’art. 2474 c.c.
In mancanza di riserve disponibili, dovrà essere corrispondentemente ridotto il capitale sociale. Ai sensi dell’art. 2482 c.c., la riduzione può avvenire sia mediante il rimborso delle quote ai soci, sia mediante liberazione di questi ultimi dall’obbligo di effettuare i versamenti ancora dovuti, con il solo divieto di riduzioni che scendano al di sotto del minimo legale di diecimila Euro. La misura della riduzione imposta dal legislatore in tale occasione è pari al valore nominale della partecipazione del socio receduto che viene annullata e non all’importo che deve essere liquidato al receduto. Qualora, a seguito di tale riduzione, il capitale sociale si riduca al di sotto del minimo legale, la società dovrà contestualmente deliberare la trasformazione in un diverso tipo sociale compatibile con la ridotta misura del capitale ovvero procedere alla ricostituzione del capitale alla misura minima richiesta.
Qualora infine non sia possibile il rimborso della partecipazione del socio receduto secondo le modalità di cui sopra, la società dovrà essere sciolta e posta in liquidazione.
4.5 Il contenzioso sulla determinazione del valore della quota
Ai sensi dell’art. 2473 c.c., il rimborso della partecipazione per cui è stato esercitato il diritto di recesso deve essere eseguito entro 180 giorni dalla comunicazione del medesimo alla società.
Non è infrequente, tuttavia, il caso in cui questo termine venga superato, considerato anche che non vi sono sanzioni o effetti conseguenti al suo superamento. Spesso, infatti, sul valore delle quote nascono dispute che si protraggono nel tempo e che danno luogo ad un contenzioso.
Sulla valutazione della quota del socio che ha esercitato il recesso si riscontra un notevole contenzioso, derivante dalla presenza di due interessi contrapposti: da una parte il diritto del socio ad ottenere una somma corrispondente al valore reale della propria quota, e dall’altra l’interesse della società a conservare un patrimonio sufficiente alla prosecuzione dell’attività sociale. D’altra parte, la valutazione effettuata dagli amministratori della società rischia di non essere sempre equa e imparziale, in quanto la società è parte interessata al processo valutativo.
In assenza di una clausola compromissoria nello statuto della società che regolamenti la materia, qualora – come spesso accade – vi sia divergenza sul valore della quota la valutazione della società e quella del socio, si aprirà un contenzioso presso il Tribunale sulla determinazione del valore delle quote.
In tal caso, ai sensi del 3° comma dell’art 2473 c.c., in caso di disaccordo sul valore, la sua determinazione viene effettuata tramite relazione giurata di un esperto nominato dal Tribunale, il quale, peraltro, dovrà effettuare tale valutazione prendendo come riferimento la data in cui è stato esercitato il recesso (distante nel tempo da quella in cui il perito effettua la valutazione stessa).
La determinazione del valore delle quote del socio che ha esercitato il recesso implica pertanto valutazioni notevolmente complesse, e richiede l’applicazione di tecniche specialistiche che vanno al di là delle conoscenze possedute normalmente da un socio, anche informato, sull’attività aziendale. È quindi essenziale avvalersi, fin da prima della comunicazione del recesso, di uno studio legale specializzato in diritto societario.
E’ possibile scaricare un modello di lettera di recesso cliccando qui, con l’avvertenza che è necessario procedere alle opportune modifiche in rapporto alle specificità del singolo caso.
Per approfondire i nostri servizi di assistenza e consulenza in tema di diritto societario, visionate la pagina dedicata del nostro sito.
Avv. Valerio Pandolfini
Avvocato Diritto Societario Consulenza Legale
Per altri articoli di approfondimento su tematiche attinenti il diritto d’impresa: visitate il nostro blog.
Le informazioni contenute in questo articolo sono da considerarsi sino alla data di pubblicazione dello stesso; le norme regolatrici la materia potrebbero essere nel frattempo state modificate.
Le informazioni contenute nel presente articolo hanno carattere generale e non sono da considerarsi un esame esaustivo né intendono esprimere un parere o fornire una consulenza di natura legale. Le considerazioni e opinioni riportate nell’articolo non prescindono dalla necessità di ottenere pareri specifici con riguardo alle singole fattispecie.
Di conseguenza, il presente articolo non costituisce un (né può essere altrimenti interpretato quale) parere legale, né può in alcun modo considerarsi come sostitutivo di una consulenza legale specifica.