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responsabilità amministratori e l'assetto organizzativo

La responsabilità dell’amministratore nella predisposizione della struttura organizzativa societaria

23 Settembre 2022/in Diritto societario, News

L’art. 2086 c.c., modificato nel 2019, stabilisce che tutte le società devono istituire un assetto organizzativo, amministrativo e contabile adeguato alla natura e alle dimensioni dell’impresa, anche in funzione della rilevazione tempestiva della crisi e della perdita della continuità aziendale, e devono attivarsi senza indugio per l’adozione e attuazione di uno degli strumenti previsti dall’ordinamento per il superamento della crisi e il recupero della continuità aziendale. Un obbligo analogo è previsto dall’art. 3 del Codice della crisi, entrato in vigore nel maggio 2022. Gli organi delegati devono curare l’ade­guatezza degli assetti organizzativi e contabili alla natura e alle dimensioni dell’im­presa; tale adeguatezza è poi oggetto di valutazione da parte del CdA e di vigilanza da parte del Collegio Sindacale. In tal modo, l’adeguatezza organiz­zativa diviene il parametro della legalità dell’azione della società e dei suoi ammini­stratori, ed entra a far parte dei principi di corretta amministrazione. Le imprese italiane, e in particolare alle PMI, sono quindi chiamate ad un vero e proprio processo di crescita, non solo organizzativo ma anche culturale, basato sull’adozione di un modello di indirizzo della gestione (corporate governance) tale da favorire il costante monitoraggio dell’andamento aziendale, la possibilità di tempestiva rilevazione delle criticità e la previsione di interventi a garanzia della continuità.

Indice

1. Il dovere di istituire un assetto organizzativo, amministrativo e contabile

L’art.2086 comma 2 c.c., nel testo modificato dall’art. 375 del Codice della crisi di impresa e dell’insolvenza (“CCII”), introdotto dal D.lgs. 12 gennaio 2019, n. 14, stabilisce che tutti gli imprenditori che operano in forma societaria o collettiva hanno il dovere di istituire un assetto organizzativo, amministrativo e contabile adeguato alla natura e alle dimensioni dell’impresa, anche in funzione della rilevazione tempestiva della crisi dell’impresa e della perdita della continuità aziendale, nonché di attivarsi senza indugio per l’adozione e l’attuazione di uno degli strumenti previsti dall’ordinamento per il superamento della crisi e il recupero della continuità aziendale.

È stato allargato a tutti gli imprenditori operanti in forma societaria o collettiva l’obbligo, originariamente previsto per le sole S.p.A. dall’art. 2381 c.c., di dotarsi di adeguanti assetti organizzativi, amministrativi e contabili.

L’obbligo di dotarsi di adeguati assetti è stato confermato dal CCII, entrato in vigore il 15 luglio 2022, più volte modificato, da ultimo con il D.lgs. 17 giugno 2022, n. 83, di attuazione della Direttiva UE 20 giugno 2019, n. 10231. L’art. 3 primo comma del CCII, definendo i doveri del debitore, stabilisce che l’imprenditore individuale deve attivarsi per adottare misure idonee a rilevare tempestivamente lo stato di crisi e assumere le iniziative necessarie a farvi fronte, e al secondo comma conferma l’obbligo in capo all’imprenditore collettivo di adottare un assetto organizzativo adeguato ai sensi dell’articolo 2086 c.c., ai fini della tempestiva rilevazione dello stato di crisi e dell’assunzione di idonee iniziative.

Tale dovere di attivazione si estende anche al verificarsi di quelle situazioni di squilibrio patrimoniale o economico-finanziario che rendono probabile una situazione di crisi. L’organo amministrativo, in attuazione di un principio di corretta gestione societaria, è dunque tenuto a valutare e ad attivarsi in uno spettro di situazioni di difficoltà dell’impresa che vano dalla pre-crisi sino all’insolvenza, secondo una valutazione discrezionale dello strumento più adatto alla situazione concreta.

Nel complesso, tali norme impongono alle imprese italiane, in particolare a di piccole e medie dimensioni, un vero e proprio processo di crescita, non solo organizzativo ma anche culturale, tale da favorire la rimozione o, quantomeno, l’attenuazione di frequenti e comuni fattori critici quali il sottodimensionamento, il capitalismo familiare, il personalismo autoreferenziale dell’imprenditore, la debolezza degli assetti di corporate governance, le carenze nei sistemi operativi e l’assenza di monitoraggio e di pianificazione, anche a breve termine.

Le imprese italiane, di qualsiasi dimensione, devono dunque compiere un deciso salto di qualità, in termini di adozione di un modello di indirizzo della gestione (corporate governance) che consenta loro di prendere le distanze dai comportamenti del passato, frequentemente caratterizzati da un diffuso disordine organizzativo. e che favorisca il costante monitoraggio dell’andamento aziendale, la possibilità di tempestiva rilevazione delle criticità e la previsione di interventi a garanzia della continuità.

Gli artt. 2086 c.c. e 3 CCII costituiscono delle clausole generali, individuando nella predisposizione di assetti adeguati una caratteristica consustanziale all’impresa, che consiste appunto nell’essere un’attività organizzata. La predisposizione di adeguati assetti organizzativi è funzionale a promuovere un’efficiente e corretta gestione dell’impresa costituendone una sorta di difesa preventiva volta a ridurre la possibilità di errore. In altri termini, una corretta gestione dell’impresa dipende necessariamente dalla predisposizione a monte di adeguanti assetti organizzativi, nonché dal loro corretto funzionamento e dalla capacità degli organi sociali di curarne, valutarne e vigilarne l’adeguatezza.

Tutte le società sono dunque tenute a curare l’istituzione di regole e procedure che consentano, oltre una gestione efficace, di identificare e misurare, per tempo, i rischi di crisi o l’assenza di prospettive di continuità. L’obbligo per l’impresa di dotarsi di “adeguati assetti” rappresenta infatti un perno centrale del sistema di early warnings, finalizzato a favorire l’emersione tempestiva della crisi di impresa.

Ciò sul presupposto che affrontare tardivamente tale situazione, quando ormai si è verificata la perdita della continuità aziendale, rappresenta un danno per l’intero sistema economico e per gli stessi creditori, che vedono in tal modo azzerarsi il residuo valore dell’azienda, oltre che le stesse opportunità occupazionali e di fare impresa, anche a causa della perdita di credibilità sul mercato.

Come si vedrà meglio in seguito (v. par. 4), ai sensi dell’art. 2381, comma 5 c.c., gli organi delegati curano l’ade­guatezza degli assetti organizzativi e contabili alla natura e alle dimensioni dell’im­presa. Tale adeguatezza, secondo il disposto dell’art. 2381, co. 3 c.c., diviene poi oggetto, sulla base delle informazioni ricevute, di valutazione da parte del CdA e di vigilanza da parte del Collegio Sindacale (art. 2403, co. 1 c.c.). In tal modo, l’adeguatezza organizzativa diviene il paramento della legalità dell’azione della società  e dei suoi amministratori, ed entra a far parte dei principi di corretta amministrazione.

In tale contesto si inseriscono, inoltre, quale specificazione del generale obbligo di adottare un’adeguata struttura organizzativa, i doveri previsti da varie normative di settore, tra le quali in particolare:

  • le norme in materia ambientale (D.lgs. 3 aprile 2006, n. 152, e successive modifiche);
  • il Testo Unico sulla Salute e Sicurezza sul Lavoro (D.lgs. 9 aprile 2008, n. 81, e successive modifiche);
  • le normative antiriciclaggio (D.lgs. 21 novembre 2007, n. 231, e successive modifiche).

Assai rilevante in questo ambito è inoltre il modello di organizzazione e di controllo di cui al D.lgs. 8 giugno 2001, n. 231 (su cui infra, par. 7).

2. Le previsioni del Codice della crisi e dell’insolvenza

Come si è accennato, il CCII ha specificato, all’art. 3, gli obiettivi che l’assetto organizzativo, amministrativo e contabile della società deve raggiungere. Dato che, infatti, il legislatore non offre una descrizione precisa degli assetti da istituire, è solo analizzando le finalità da perseguire che si può delineare il contenuto concreto. Tali obiettivi sono sostanzialmente due:

  • consentire all’amministratore di prevedere tempestivamente l’emersione della crisi;
  • assumere le idonee iniziative per superare la crisi o quanto meno affrontarla.

La finalità del dovere di adottare adeguati assetti organizzativi è, quindi, duplice: di rilevazione della crisi e di intervento per risolverla, ed entrambi devono essere tempestivi.

Sotto il primo profilo, gli assetti di cui si deve adottare l’impresa devono quindi essere in grado di rilevare gli indizi che precedono la crisi di impresa, ovvero consentire una prognosi che ne anticipi l’emersione.

A tal fine, viene attribuito rilievo, ad una ampia gamma ampia di situazioni di difficoltà dell’impresa, che comprendono non solo le situazioni di crisi ma anche quelle di probabilità di crisi (gli squilibri patrimoniali, economici o finanziari), le prospettive di continuità aziendale così come più in generale i dati consuntivi e previsionali da utilizzare nel test per la composizione negoziata. Tali informazioni, tra l’altro, riguardano:

  • l’entità del debito e i flussi annui al servizio del debito che l’impresa genera;
  • la situazione debitoria;
  • la situazione dei crediti commerciali;
  • le rimanenze di magazzino;
  • le passività potenziali;
  • le proiezioni dei flussi finanziari (stima di ricavi, costi variabili, costi fissi, investimenti, etc.)

Vengono individuati specifici segnali che contribuiscono a evidenziare la non sostenibilità del debito e che devono indurre gli amministratori a valutare le azioni necessarie da intraprendere. Al riguardo costituiscono situazioni debitorie significative:

  • l’esistenza di debiti per retribuzioni scaduti da almeno 30 giorni e pari a oltre la metà dell’ammontare complessivo mensile delle retribuzioni;
  • l’esistenza di debiti verso fornitori scaduti da almeno 90 giorni di ammontare superiore a quello dei debiti non scaduti;
  • l’esistenza di esposizioni nei confronti di banche e intermediari finanziari che siano scadute da più di 60 giorni o che abbiano superato da almeno 60 giorni il limite degli affidamenti ottenuti purché rappresentino complessivamente almeno il 5% del totale delle esposizioni;
  • l’esistenza di crediti nei confronti di soggetti pubblici qualificati ai sensi dell’art. 25 – novies del CCII (Inps, Inail, Agenzia Entrate e Riscossione).

In sintesi, il complesso di mezzi e strumenti di cui si compongono gli assetti organizzativi deve consentire un monitoraggio dell’andamento aziendale, che renda consapevoli gli amministratori di tutte quelle situazioni che potrebbero giustificare un loro intervento per la prevenzione o il superamento della crisi, nonché permettere di disporre dei dati idonei per formulare un piano di risanamento.

Gli assetti devono inoltre affrontare l’emersione della crisi e quindi di dotare sin da subito gli organi gestionali e di controllo di tutte le informazioni ed i dati necessari per una reazione tempestiva ed appropriata. 

Se, infatti, gli assetti devono consentire di rilevare le informazioni necessarie per redigere la lista particolareggiata e il test per verificare la ragionevole perseguibilità del risanamento dell’impresa, dagli stessi devono ricavarsi tutte le informazioni utili a valutare, non solo se il risanamento è possibile e ragionevole, ma anche il modo attraverso cui si può pensare di raggiungere un simile obiettivo.

3. L’adeguatezza degli assetti organizzativi

Per assetto organizzativo si intende il preciso e dettagliato sistema di funzioni, poteri, deleghe di firma, procedure e processi decisionali in cui viene strutturata internamente la società, idoneo ad individuare con chiarezza compiti e responsabilità dei soggetti coinvolti nella gestione sociale.

L’assetto organizzativo si differenzia dall’assetto amministrativo e dall’assetto contabile, anch’essi richiamati dalla norma di cui all’art. 2086 c.c. Per assetto amministrativo si intende l’insieme di procedure interne finalizzate ad assicurare un corretto ed ordinato svolgimento dell’attività aziendale e delle fasi di cui è composta (si pensi, ad esempio, agli iter autorizzativi relativi ai pagamenti o alle procedure di carico e scarico delle merci in magazzino). Per assetto contabile si intende, invece, l’insieme delle procedure finalizzate ad una corretta rilevazione dei fatti contabili (si pensi, ad esempio, alla predisposizione periodica di budget o ai programmi di contabilità).

Gli assetti amministrativi e contabili sono quindi fortemente correlati a quelli organizzativi, rappresentando, di fatto, un sottosistema di questi ultimi, che consentono di determinare e verificare, a livello previsionale e/o consuntivo l’andamento della gestione e i risultati dalla stessa prodotti in termini economico-finanziari, favorendo la tempestiva rilevazione di situazione di crisi e perdita di continuità aziendale.

Come si è accennato, l’assetto amministrativo di cui deve dotarsi la società deve essere “adeguato”. L’adeguatezza degli assetti deve essere misurata in relazione alla natura dell’attività esercitata e alle dimensioni dell’impresa: le società, pertanto, sono tenute a dotarsi di procedure che siano proporzionate alle caratteristiche, alla complessità dell’attività svolta e alle dimensioni dell’impresa. Solo calandosi nella concreta realtà imprenditoriale, del resto, è possibile valutare ed apprezzare l’adeguatezza degli strumenti prescelti.

Manca, peraltro, come si è accennato, una definizione legislativa generale di adeguatezza degli assetti orga­nizzativi.

Alcune normative e regolamenti di settore (quali ad esempio quelle riguardanti le società che operano nel settore banca­rio, assicurativo e finanziario) prevedono specifiche norme organizzative e presidi (si pensi in particolare alle funzioni di compliance, di risk management e di internal audit), cui le società appartenenti a tali settori devono adeguarsi, sotto il controllo delle rispettive Autorità di Vigilanza. Le regole e i principi stabiliti da tali normative di settore in tema di assetti organizzativi sono in buona misura estendibili a tutte le società.

Sono inoltre rilevanti in proposito le Norme di Comportamento del Collegio Sindacale, redatte dal Consiglio Nazionale dei Dottori Commercialisti e degli Esperti Contabili (CNDCEC) (l’ultima edizione risale al gennaio 2021), le quali contengono una serie di precisi riferimenti per valutare l’adeguatezza dell’assetto organizzativo delle società non quotate.

Un altro importante documento di riferimento per la definizione degli assetti organizzativi è il Codice di Corporate Governance per le società quotate, che, seppure appunto rivolto alle società quotate, è applicabile anche a società diverse da quelle di grandi dimensioni.

I citati documenti collegano l’adeguatezza dell’assetto organizzativo alla puntuale individuazione dei principali fattori di rischio aziendale e delle conseguenti attività di buona gestione e regolare monitoraggio.

L’assetto organizzativo è composto essenzialmente da:

  • la struttura organizzativa, che organizzativa definisce ed individua i necessari livelli gerarchici e i conseguenti rapporti formali di dipendenza, a sua volta articolata nella struttura organizzativa di base (rappresentata dalle unità organizzative, dai compiti e dalle relazioni), nella struttura delle unità organizzative (con evidenza di mansioni e responsabilità) e nell’assegnazione dell’autorità e delle modalità di applicazione del potere. La struttura.
  • i sistemi operativi, la componente in grado di definire il grado di relazione tra le unità organizzative, consistenti nel sistema dei processi, nella determinazione degli obiettivi, delle strategie e all’assegnazione delle risorse (sistema di pianificazione programmazione e controllo), nel sistema di controllo interno e di gestione dei rischi, in quello di gestione del personale, nel sistema di autoregolamentazione e in quello informativo.

In linea generale, le Norme di comportamento del CNDCEC prevedono che un sistema amministrativo-contabile risulta adeguato se permette:

  • la completa, tempestiva e attendibile rilevazione contabile e rappresentazione dei fatti di gestione;
  • la produzione di informazioni valide e utili per le scelte di gestione e per la salvaguardia del patrimonio aziendale;
  • la produzione di dati attendibili per la formazione del bilancio d’esercizio.

Secondo le Norme di comportamento del CNDCEC, un assetto organizzativo adeguato deve basarsi essenzialmente sui seguenti elementi:

  • un’organizzazione gerarchica;
  • un organigramma aziendale che definisca in modo chiaro le funzioni, i compiti e le linee di responsabilità;
  • l’effettivo esercizio dell’attività decisionale e direttiva della società da parte dell’amministratore delegato e dai soggetti ai quali sono attribuiti specifici poteri;
  • procedure che assicurino: (i) l’efficacia e l’efficienza della gestione dei rischi aziendali; (ii) l’efficacia e l’efficienza del sistema di controllo interno; (iii) la completezza, la tempestività e l’attendibilità dei flussi informativi, inclusi quelli inerenti alle società controllate;
  • procedure in grado di assicurare la presenza di personale in possesso dell’adeguata professionalità e competenza necessarie allo svolgimento delle funzioni assegnate;
  • direttive e procedure aziendali, periodicamente aggiornate e diffuse ai vari livelli della struttura organizzativa, con particolare riferimento al sistema dei processi aziendali, al sistema di definizione degli obiettivi strategici (pianificazione strategica e programmazione), al sistema di controllo interno e di gestione dei rischi aziendali, al sistema di gestione del personale, al sistema di autoregolamentazione e al sistema informativo.

Sia le Norme di comportamento del CNDCEC che il Codice di Corporate Governance prevedono quale elemento essenziale di un adeguato assetto organizzativo il sistema di controllo interno, inteso quale “insieme delle regole, delle strutture organizzative e delle procedure volte a consentire, attraverso un adeguato processo di identificazione, misurazione, gestione e monitoraggio dei principali rischi, una conduzione dell’impresa sana, corretta e coerente con gli obiettivi prefissati”.

Il sistema di controllo interno deve essere in grado di raggiungere:

  • obiettivi strategici, volti ad assicurare la conformità delle scelte del management alle direttive ricevute e all’oggetto che la società si propone di conseguire, nonché a garantire la salvaguardia del patrimonio aziendale e a tutelare gli interessi degli stakeholders;
  • obiettivi operativi, volti a garantire l’efficacia e l’efficienza delle attività operative aziendali;
  • obiettivi di reporting, volti a garantire l’attendibilità e l’affidabilità dei dati;
  • obiettivi di conformità, volti ad assicurare la conformità delle attività aziendali, alle leggi e ai regolamenti in vigore.

Molto importante, tanto in una prospettiva di migliore funzionamento degli assetti, quanto di verifica di eventuali responsabilità dell’amministratore, è in ogni caso la procedimentalizzazione delle attività dell’apparato organizzativo, mediante la predisposizione di regole scritte che definiscano funzioni, poteri e modus operandi del personale addetto.

Gli esiti di questa attività di monitoraggio impongono valutazioni non agevoli, nonché di ricavare informazioni complesse quali quelle indispensabili per redigere la lista particolareggiata ed il test di ragionevole perseguibilità di risanamento previsto per accedere alla composizione negoziata.

Fermo restando che gli assetti adeguati devono essere, comunque, interni all’azienda – non essendo possibile esternalizzarli, incaricando professionisti esterni di effettuare verifiche periodiche sull’andamento patrimoniale ed economico – finanziario dell’impresa – la struttura organizzativa, amministrativa e contabile dell’imprenditore può utilizzare contributi esterni. Per la maggioranza delle imprese, pertanto, ad una elaborazione interna dei dati dovrà seguire una periodica verifica da parte di un soggetto esperto, che sarà più o meno frequente in ragione delle caratteristiche dell’impresa e del suo andamento.

Il contributo di professionisti esterni (in particolare commercialisti ed avvocati) sarà poi imprescindibile qualora dall’attività di monitoraggio emerga un segnale di crisi, ovvero un segnale che faccia prevedere l’emersione della crisi, dato che in tal caso l’amministratore dovrà attuare con tempestività le misure per ovviare alla crisi e quindi scegliere ed attivare uno dei numerosi strumenti di regolazione della crisi di impresa previsti dal CCII.

4. Gli obblighi dei diversi soggetti nell’adozione dell’assetto amministrativo

Organi competenti a predisporre gli adeguati assetti organizzativi sono, ai sensi e dell’art. 2381, comma 5 c.c., gli organi delegati, mentre organo competente a valutarne l’adeguatezza è, ai sensi e dell’art. 2381, comma 3 c.c., l’organo delegante. In assenza di organi delegati, gli obblighi di cui sopra gravano sull’amministratore unico o sul CdA nel suo complesso.

La legge prevede quindi la seguente una ripartizione di competenze in seno all’organo amministrativo:

  • sugli organi delegati ricadono gli obblighi di istituire e curare che l’assetto organizzativo, amministrativo e contabile risulti adeguato alla natura e alle dimensioni dell’impresa;
  • al CdA, sulla base delle informazioni ricevute dai delegati, spetta la valutazione dell’adeguatezza e al collegio sindacale spetta la vigilanza sull’adeguatezza dell’assetto organizzativo, amministrativo e contabile adottato dalla società e sul suo concreto funzionamento.

Una corrispondente ripartizione di competenze viene mantenuta nell’ambito del gruppo di società, in cui gli organi delegati della capogruppo sono tenuti alla predisposizione di assetti adeguati rispetto alla natura e alla dimensione del gruppo complessivamente considerato, anche in funzione di tempestiva rilevazione di indicatori di crisi ovvero segnali di discontinuità delle imprese eterodirette. A questo fine, gli organi delegati della società capogruppo curano la formalizzazione di procedure che garantiscano adeguati flussi informativi dalle società controllate alla holding, come prevede l’art. 2381, quinto comma, c.c., e dalla holding alle società controllate.

L’organo delegato, pertanto, deve predisporre procedure che possano garantire l’efficacia e l’efficienza della gestione dei rischi e del sistema di controllo interno, nonché la completezza, la tempestività e l’attendibilità dei flussi informativi tra le differenti funzioni e con le funzioni di altre società del gruppo (se esistenti), nonché individuare indici e parametri segnaletici che consentano di evidenziare segnali di allarme.

La valutazione sull’adeguatezza degli assetti da parte del CdA deve essere effettuata periodicamente, sulla base delle informazioni fornite dai delegati. A tal fine, assumono rilievo le previsioni di cui all’art. 2381, quinto comma, c.c. in forza delle quali le procedure interne devono assicurare un proficuo scambio di informazioni tra gli organi della società (e, nelle realtà di gruppo, tra gli organi della holding e delle società eterodirette), con cadenza almeno semestrale, rispetto al generale andamento della gestione e sulla sua prevedibile evoluzione così come dare evidenza di una pianificazione della gestione atta a garantire l’equilibrio economico, finanziario e patrimoniale della società.

Gli amministratori non sono, tuttavia, gli unici soggetti coinvolti nella pre­disposizione e nel corretto funzionamento di un adeguato sistema organizzativo; infatti, ai sensi dell’art. 2403, comma 1 c.c., il collegio sindacale vigila sull’adeguatezza del sistema organizzativo.

La realizzazione di un adeguato assetto organizzativo si rea­lizza, dunque, attraverso due fasi: una prima, statica, di competenza degli amministratori (deleganti e delegati), e una seconda, dinamica, di competenza dell’organo di controllo.

5. La responsabilità degli amministratori

Dato che i doveri di adottare adeguati assetti organizzativi finalizzati a prevenire la crisi di impresa e di agire tempestivamente per affrontarla utilizzando gli strumenti posti a disposizione dell’ordinamento costituisce un obbligo a carico degli amministratori, l’inadempimento quanto l’inesatto adempimento di tale obbligo è fonte di responsabilità per gli amministratori. In particolare, l’inadempimento di tale obbligo costituisce uno dei principali fondamenti delle azioni di responsabilità che il curatore potrà attivare, a seguito del fallimento (rectius liquidazione giudiziale) della società.

Ciò permesso, come si è accennato, l’obbligo di predisporre assetti organizzativi adeguati deve essere valutato in relazione a parametri tecnici variabili in relazione alla tipologia, alle dimensioni, alle caratteristiche dell’impresa; conseguentemente, in linea generale, l’adozione di tali assetti lascia margini ampi di discrezionalità in capo all’organo amministrativo. Le scelte inerenti gli assetti organizzativi rientrano infatti nel concetto di gestione societaria, essendo espressone di scelte di fondo di tipo gestionale.

Come è noto, all’amministratore di una società non può essere ritenuto responsabile per aver compiuto scelte inopportune dal punto di vista economico, atteso che una tale valutazione attiene alla discrezionalità imprenditoriale e può pertanto eventualmente rilevare come giusta causa di revoca dell’amministratore, ma non come fonte di responsabilità contrattuale nei confronti della società (c.d. business judgment rule).

Ne consegue che il giudizio sulla diligenza dell’amministratore nell’adempimento del proprio mandato non può mai investire le scelte di gestione, o le modalità e circostanze di tali scelte, ma solo l’omissione di quelle cautelari, verifiche e informazioni preventive normalmente richieste pòer una scelta di quel tipo, operata in quelle circostanze e con quelle modalità. In altri termini, gli amministratori non possono essere considerati responsabili solo perché la gestione dell’impresa sociale ha avuto un cattivo esito; la valutazione sull’eventuale responsabilità giuridica dell’amministratore non attiene al merito delle scelte imprenditoriali da lui compiute. Se, quindi, gli amministratori hanno agito con la dovuta diligenza e, malgrado ciò, abbiano scelto di compiere operazioni imprenditoriali che si siano rilevate inopportune, il principio dell’insindacabilità nel merito delle loro scelte comporta che gli amministratori non sono responsabili per gli eventuali danni così arrecati alla società (e ciò anche se si tratta di danni che altri amministratori, più competenti, avveduti e capaci, avrebbero con certezza evitato).

Tuttavia, l’amministratore ha il dovere di gestire l’impresa sociale e, più in generale, di agire con la dovuta diligenza. Il principio della insindacabilità delle scelte di gestione non è quindi assoluto. Secondo la prevalente giurisprudenza, infatti, la scelta di gestione dell’amministratore è insindacabile solo se essa è stata compiuta:

  • legittimamente, ovvero sono stati valutati preventivamente – se necessario, con adeguata istruttoria – i margini di rischio connessi all’operazione da intraprendere, così da non esporre l’impresa a perdite, altrimenti prevenibili;
  • razionalmente, in quanto le informazioni e le verifiche assunte devono avere indotto l’amministratore ad una razionalmente inerente alle informazioni ricevute e non dannosa per la società

Anche per le scelte organizzative l’insindacabilità delle scelte degli amministratori incontra i limiti sopra descritti: essa deve essere razionale, non deve essere connotata da imprudenza tenuto conto del contesto e deve essere accompagnata dalle verifiche imposte dalla diligenza richiesta dalla natura dell’incarico.

La mancata adozione di qualsivoglia misura organizzativa comporta di per sé una responsabilità dell’organo gestorio; deve quindi considerarsi responsabile l’amministratore che ometta del tutto di approntare una qualsivoglia assetto organizzativo, rimanendo inerte di fronte ai segnali indicatori di una situazione di crisi o pre-crisi.

In altri termini, trattandosi di un obbligo a contenuto specifico, la decisione di non predisporre assetti organizzativi, amministrativi e contabili ai sensi dell’art. 2086 c.c. perché ritenuti non necessari rispetto alla reale struttura organizzativa della società e dunque sulla base di una valutazione negativa assunta con riferimento alle dimensioni e alla natura dell’attività esercitata, non è giustificabile sulla base della business judgment rule, dato che, in base alla regole generali, gli amministratori devono adempiere ai doveri loro imposti dalla legge.

Qualificandosi quale vero e proprio dovere degli amministratori, la mancata adozione di assetti amministrativi rappresenta di per sé fonte di responsabilità solidale in capo agli amministratori, assumendo rilievo in termini di inadempi­mento dei doveri di corretta gestione, di diligenza e di agire in modo informato di cui all’art. 2392 c.c.

La violazione di tale obbligo, inoltre, può integrare il presupposto della grave irregolarità nella gestione, produttivo di possibili danni alla società ai sensi dell’art. 2409 c.c., o motivare il collegio sindacale (o il sindaco unico) a procedere con la convocazione dell’assemblea ai sensi dell’art. 2406, secondo comma, c.c., ovvero configurare una giusta causa di revoca degli amministratori ai sensi dell’art. 2383, terzo comma, c.c.

A conseguenze in parte diverse può condurre la predisposizione di assetti organizzativi, amministrativi e contabili che si dimostrino inadeguati ai sensi dell’art. 2086 c.c.

Il criterio dell’adeguatezza, dovendo essere parametrato alla dimen­sione dell’impresa e alla natura dell’attività sociale, ovvero variando di concreto di società in società, si configura quale scelta discrezionale del potere gestorio, ma non per questo del tutto insindacabile. Occorrerà a tal fine valutare se gli amministratori, siano essi delegati o dele­ganti, abbiano effettuato idonee verifiche e/o acquisito utili o necessa­rie informazioni.

Appare quindi configurabile una responsabilità degli amministratori che abbiano adottato degli assetti, salvo poi essersi verificata l’insolvenza senza la tempestiva adozione di misure previste per il superamento della crisi, solo qualora, ad esempio, non sia stata attuata un’adeguata istruttoria ovvero si siano adottati assetti non coerenti, anzi irragionevoli, rispetto agli esiti dell’istruttoria stessa; non potendo ammettersi alcun automatismo che induca desumere dal verificarsi dell’insolvenza l’inadeguatezza dell’assetto e, da questa, la conseguente responsabilità degli amministratori.

Tale verifica deve essere effettuata sulla base di una valutazione ex ante, tenendo conto delle informazioni conosciute o conoscibili dall’amministratore, ed a prescindere dai risultati concreti che poi sono stati raggiunti.

Per contro, non potrà ritenersi responsabile l’amministratore che abbia predisposto delle misure organizzative che, con una valutazione ex ante, erano adeguate, secondo le sue conoscenze e secondo gli elementi a sua disposizione, a verificare tempestivamente la perdita della continuità aziendale. Parimenti, non potrà ritenersi responsabile l’amministratore che, pur avendo tempestivamente rilevato – grazie alla struttura organizzativa predisposta- il venir meno della continuità aziendale- ponga in essere degli interventi che, successivamente si rivelino inutili ad evitare la degenerazione della crisi (ed eventualmente il fallimento della società), qualora tali interventi –sempre sulla base di una valutazione ex ante – non risultino manifestamente irrazionali ed ingiustificati.

Di fronte ad una allegazione di inadempimento o di inesatto adempimento dell’obbligo in questione, sarà onere dell’amministratore dimostrare di avere adempiuto in modo soddisfacente allo stesso. In proposito, relativamente agevole può essere la prova di aver intrapreso le iniziative finalizzate a superare la crisi di impresa (sempre che vi siano state); in questo caso, infatti, le misure adottate dall’amministratore (composizione negoziata, domanda di concordato o trattative per uno qualsiasi degli strumenti di regolazione della crisi di impresa) possono essere documentate, né è agevole sindacare la decisione di intraprendere l’uno piuttosto che l’altro strumento di regolazione, soprattutto qualora (come generalmente accade) la scelta sarà stata assunta con l’ausilio di un professionista terzo, al giudizio del quale l’amministratore, attesa la particolare complessità della materia, non potrà che rimettersi in larga misura.

Assai più problematico è, invece, per l’amministratore dimostrare di aver dotato l’impresa di un adeguato assetto organizzativo, amministrativo e contabile. A tal fine, l’amministratore deve dimostrare da un lato che gli assetti erano stati predisposti, e dall’altro che essi erano adeguati, ovvero idonei e funzionali a rilevare le potenziali crisi. Tale prova potrà essere fornita solo qualora gli adeguati assetti siano stati oggetto di opportuna procedimentalizzazione per iscritto (e quindi siano state individuate le figure aziendali destinate ad occuparsene, i loro poteri e doveri e le procedure da seguire per appurare il pericolo di crisi, etc.).

In ogni caso, difficilmente l’amministratore potrà andare esente da responsabilità qualora – a seguito di messa in liquidazione della società – non vi sia stato il tentativo di intraprendere alcuno dei numerosi strumenti di regolazione della crisi di impresa previsti dal CCII , a meno che questi dimostri che la crisi ha avuto una genesi così improvvisa e inaspettata da non consentire alcuna iniziativa per farvi fronte.

L’inadempimento dell’amministratore per essere fonte di responsabilità dovrà avere causato un danno, che ne sia conseguenza immediata e diretta; occorre cioè dimostrare che la violazione degli obblighi delineati dagli artt. 2086 c.c. e 3 CCII ha determinato un pregiudizio, fosse pure sotto forma di perdita della chance di risolvere e superare la crisi dell’impresa.

In particolare, dopo l’apertura della liquidazione giudiziale il curatore dovrà dimostrare il decremento patrimoniale derivato dalle omissioni o dagli inesatti adempimenti dell’amministratore, sul presupposto che, se l’impresa fosse stata dotata di adeguati assetti, la crisi sarebbe stata prevista ed affrontata, ovvero sarebbe stata richiesta una tempestiva apertura della liquidazione giudiziale su richiesta dello stesso (obbligo, quest’ultimo, sanzionato penalmente dagli artt. 323 lett. d) e 330 CCII).

6.L’orientamento della giurisprudenza

In ordine all’obbligo di istituire un adeguato assetto organizzativo, amministrativo e contabile, si registrano le prime pronunce della giurisprudenza.

Il Tribunale di Milano, con sentenza del 18 ottobre 2019, ha accolto la denunzia per gravi irregolarità nella gestione ex art. 2409 c.c., presentata dal collegio sindacale di due società per azioni (controllante e controllata), gestite dal medesimo amministratore unico, cui veniva addebitata la violazione degli obblighi di istituire adeguati assetti organizzativi, amministrativi e contabili idonei alla verifica della continuità aziendale e di attivarsi senza indugio per adottare i rimedi per il superamento della crisi. Il Tribunale, constatata la situazione di crisi delle società e l’inerzia dell’amministratore unico – il quale non aveva attuato sufficienti, tempestive e concrete risposte alla crisi delle società e alla perdita di continuità aziendale – ne ha disposto la revoca, nominando un amministratore giudiziario.

In particolare, il Tribunale ha ritenuto che gli interventi predisposti dall’amministratore, in assenza di un piano industriale o di ristrutturazione del debito, non fossero in linea con i doveri gestori di cui all’art. 2086 c.c. Il corretto adempimento di tali obblighi presuppone invece, accanto alla diagnosi della crisi, una pianificazione degli interventi e delle operazioni necessarie a ripristinare le condizioni di equilibrio economico patrimoniale, che trova espressione nel piano di risanamento. Inoltre, il Tribunale, entrando nel merito delle scelte operate dall’amministratore, ha ritenuto che la ricerca di nuovi finanziatori esterni non rappresentasse uno strumento idoneo per il superamento della crisi in quanto non supportato da business plan o da accordi di ristrutturazione.

Il Tribunale di Roma, con sentenza del 15 settembre 2020, ha anche in questo caso accolto una denunzia per gravi irregolarità nella gestione ex art. 2409 c.c., presentata dal collegio sindacale, con la quale i sindaci veniva contestato agli amministratori di aver violato gli obblighi previsti dall’art. 2086 c.c. sotto due profili: di aver omesso di rilevare gli evidenti segnali relativi alla impossibilità di garantire la continuità aziendale, e di essere privi di una visione programmatica finalizzata alla soluzione della crisi, omettendo di adottare gli strumenti legali per la gestione della crisi e, per contro, adottando una disordinata e pregiudizievole attività di dismissione di beni.

Più recentemente il Tribunale di Cagliari, con sentenza del 19 gennaio 2022, ha condannato gli amministratori di una società per non avere predisposto un adeguato assetto organizzativo, amministrative e contabile, in quanto:

Per quanto attiene all’assetto organizzativo:

  • l’organigramma non era aggiornato e difettava dei suoi elementi essenziali;
  • mancava un mansionario;
  • la struttura organizzativa era stata progettata in modo inadeguato (in particolare nell’ufficio amministrativo erano concentrate informazioni vitali per l’ordinaria gestione dell’impresa;
  • mancava un sistema di gestione e monitoraggio dei principali rischi aziendali.

Per quanto attiene all’assetto amministrativo:

  • mancava un budget di tesoreria;
  • mancavano strumenti di natura previsionale;
  • mancava una situazione finanziaria giornaliera;
  • mancavano strumenti di reporting;
  • mancava un piano industriale.

Per quanto attiene all’assetto contabile:

  • la contabilità generale non consentiva di rispettare i termini per la formazione del progetto di bilancio e di garantire l’informativa ai sindaci;
  • mancava una procedura formalizzata di gestione e monitoraggio dei crediti da incassare;
  • l’analisi di bilancio era unicamente finalizzata alla redazione della relazione sulla gestione;
  • mancava il rendiconto finanziario.

7. Il modello organizzativo previsto dal Decreto Legislativo 231/2001 e la responsabilità degli amministratori

Nel caso in cui l’impresa abbia dimensioni e operi in settori tali da esporre potenzialmente i soggetti nel cui ambito operano alla commissione dei reati pre­supposto di cui al D.lgs. 8 giugno 2001, n. 231 (“Decreto 231”), anche l’adozione di un adeguato modello di organizzazione e di controllo si pone quale dovere in capo agli ammi­nistratori.

Il Decreto 231 ha, come è noto, introdotto una forma di responsabilizzazione dell’impresa in relazione alla commissione di reati; per evitare le rilevanti sanzioni previste in dipendenza di un reato presupposto compiuto da appartenenti all’organizzazione aziendale, la società ha l’onere di definire, adottare e progressivamente aggiornare un Modello Organizzativo e istituire un Organismo di Vigilanza. Ha l’onere, cioè, di adeguare i propri assetti interni in modo da predisporre idonee contromisure alla prevenzione dei reati presupposto.

La disciplina prevista dal Decreto 231 si interseca quindi con le norme societarie sopra analizzate che attribui­scono un ruolo centrale alle strutture organizzative.

Il Decreto 231 ha introdotto nel nostro ordinamento la possibilità che un ente collettivo possa essere sottoposto a sanzioni a fronte della commissione di taluni illeciti penali, prevedendo una serie di sanzioni a carico dell’ente, di natura pecuniaria ed interdittiva (quali, per esempio, l’interdizione dall’esercizio dell’attività, la sospensione o revoca di auto­rizzazioni, l’esclusione da agevolazioni o finanziamenti pubblici), qualora nel suo interesse o vantaggio venga commesso un reato da persone fisiche ad esso funzionalmente riferibili.

Tale disciplina trova applicazione con riferimento agli enti forniti di personalità giuridica, alle associazioni anche prive di personalità giuridica ed alle società, in qualsiasi forma costituite, che abbiano sede in Italia, sia nel caso di reato commesso in Italia che nel caso di reato commesso all’estero, purché non proceda lo Stato del luogo ove è stato commesso il fatto. Si applica, inoltre, alle società con sede all’estero quando il reato è perpetrato in Italia.

Perché si possa contestare all’ente la responsabilità di cui al Decreto 231, devono ricorrere i seguenti presupposti:

  • la commissione di un reato che rientra nell’elenco di cui agli art. 24 e ss. del Decreto 231 (tra i quali: omicidio e lesioni colpose commessi in violazione delle norme sulla tutela della salute e sicurezza sul lavoro; reati contro la pubblica amministrazione; reati societari; delitti di criminalità organizzata; reati con finalità di terrorismo; reati ambientali; delitti contro l’industria e il commercio; delitti informatici; reati di ricettazione, riciclaggio, autoriciclaggio e impiego di denaro, beni o altre utilità di provenienza illecita; impiego di lavoratori stranieri con soggiorno irregolare);
  • la persona che ha commesso il reato riveste la posizione di “apicale” o di “sottoposto”, dovendosi intendere con “apicale” la persona che ricopre funzioni di rappresentanza, di amministrazione o di direzione dell’ente – o di una sua unità organizzativa – ovvero che esercita, anche di fatto, il potere di gestione e di controllo dell’ente (es. amministratori, direttori generali), mentre si definisce “sottoposto” la persona che sottostà alla direzione o alla vigilanza di un “apicale”;
  • il reato è stato commesso nell’interesse o a vantaggio dell’ente;
  • sussiste la cosiddetta “colpa organizzativa” dell’ente, che varia a seconda della posizione rivestita dalla persona che commette materialmente il reato: qualora il reato sia stato commesso da un “apicale”, la colpa dell’ente ricorre se non è stato adottato o attuato un Modello idoneo a prevenire reati della stessa specie di quello verificatosi, ovvero non è stato incaricato un Organismo di Vigilanza dotato di poteri di controllo in ordine all’attuazione del Modello; qualora, invece, il reato sia commesso da un “sottoposto”, la colpa dell’ente ricorre se la realizzazione dell’illecito è stata resa possibile dall’inosservanza degli obblighi di direzione o vigilanza che incombono sugli apicali.

L’adozione del Modello Organizzativo non inte­gra un vero e proprio obbligo giuridico, bensì un onere: l’adozione di un congruo Modello può valere all’ente la concessione del beneficio dell’esimente, cosicché lo stesso non sarà chiamato a rispondere dell’illecito commesso dai sottoposti né di quello commesso dagli apicali, ove si accerti che questi abbiano eluso le prescri­zioni contenute nel Modello).

Tuttavia, sotto il profilo dell’adeguatezza degli assetti organiz­zativi, l’onere costituisce un preciso dovere in capo agli amministratori. Infatti, quando l’attività svolta possa, per la sua natura o per le dimensioni dell’impresa, esporre la società ad un concreto rischio di reato, l’organo amministrativo dovrà, al fine di ottemperare all’obbligo di dotare l’impresa di un’adeguata struttura orga­nizzativa, adottare un Modello idoneo a prevenire la commissione dei reati presup­posto affidandone l’osservanza all’Organismo di Vigilanza.

La responsabilità degli amministratori per il danno arrecato alla società può ravvisarsi non solo in caso di inerzia ma anche nell’ipotesi di inadeguatezza del modello adottato, di mancati aggiornamento, implementazione, modificazione del medesimo e financo di inidonea configura­zione dell’Organismo di Vigilanza.

L’amministratore può essere chiamato a rispondere non solo dei danni arrecati alla società (art. 2392 c.c.) ma anche ai creditori sociali (art. 2394 c.c.) ed ai soci e/o ai terzi direttamente danneggiati.

Ne consegue che, al fine di non incorrere in una condanna in sede civile, l’am­ministratore deve effettuare una concreta valutazione sull’opportunità di adot­tare il Modello Organizzativo. Tale valutazione può legittimamente concludersi in senso negativo, specie a fronte di imprese di piccole dimensioni che svolgono attività in sede locale ed hanno compagine sociale molto ristretta. Tuttavia, è certamente consigliabile la verbalizzazione o comunque la traccia scritta del fatto che la valutazione è stata effettuata, di come tale valutazione è stata svolta e delle motivazioni alla base della scelta di non adottare il Modello.

Avv. Valerio Pandolfini

Avvocato Diritto Societario 

 

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Le informazioni contenute nel presente articolo hanno carattere generale e non sono da considerarsi un esame esaustivo né intendono esprimere un parere o fornire una consulenza di natura legale. Le considerazioni e opinioni riportate nell’articolo non prescindono dalla necessità di ottenere pareri specifici con riguardo alle singole fattispecie. Di conseguenza, il presente articolo non costituisce un (né può essere altrimenti interpretato quale) parere legale, né può in alcun modo considerarsi come sostitutivo di una consulenza legale specifica.

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