La responsabilità dell’amministratore nella predisposizione della struttura organizzativa societaria
L’art. 2086 comma 2 c.c., stabilisce che tutte le società devono istituire un assetto organizzativo, amministrativo e contabile adeguato alla natura e alle dimensioni dell’impresa, anche in funzione della rilevazione tempestiva della crisi e della perdita della continuità aziendale, e devono attivarsi senza indugio per l’adozione e attuazione di uno degli strumenti previsti dall’ordinamento per il superamento della crisi e il recupero della continuità aziendale. Un obbligo analogo è previsto dall’art. 3 del Codice della crisi, entrato in vigore nel maggio 2022. Gli organi delegati devono curare l’adeguatezza degli assetti organizzativi e contabili alla natura e alle dimensioni dell’impresa; tale adeguatezza è poi oggetto di valutazione da parte del CdA e di vigilanza da parte del Collegio Sindacale. In tal modo, l’adeguatezza organizzativa diviene il parametro della legalità dell’azione della società e dei suoi amministratori, ed entra a far parte dei principi di corretta amministrazione. Le imprese italiane, e in particolare alle PMI, sono quindi chiamate ad un processo di crescita, non solo organizzativo ma anche culturale, basato sull’adozione di un modello di indirizzo della gestione (corporate governance) tale da favorire il costante monitoraggio dell’andamento aziendale, la possibilità di tempestiva rilevazione delle criticità e la previsione di interventi a garanzia della continuità.
1. Il dovere di istituire un assetto organizzativo, amministrativo e contabile
L’art. 2086 comma 2 c.c., nel testo modificato dall’art. 375 del Codice della crisi di impresa e dell’insolvenza (“CCII”), introdotto dal D.lgs. n. 14/2019, stabilisce che tutti gli imprenditori che operano in forma societaria o collettiva hanno il dovere di istituire un assetto organizzativo, amministrativo e contabile adeguato alla natura e alle dimensioni dell’impresa, anche in funzione della rilevazione tempestiva della crisi dell’impresa e della perdita della continuità aziendale.
È stato quindi allargato a tutti gli imprenditori operanti in forma societaria o collettiva l’obbligo, originariamente previsto per le sole S.p.A. dall’art. 2381 c.c., di dotarsi di adeguanti assetti organizzativi, amministrativi e contabili. La prevenzione della crisi è solo uno dei fini della obbligatoria predisposizione di adeguati assetti: la finalità di tale obbligo è, prima di tutto, quella di assicurare la buona e corretta amministrazione dell’impresa, lo svolgimento dell’attività con il migliore profitto ed un opportuno controllo dei rischi.
L’obbligo di dotarsi di adeguati assetti è stato confermato dal CCII, entrato in vigore il 15 luglio 2022, più volte modificato, da ultimo con il D.lgs. n. 83/2022, di attuazione della Direttiva UE n. 10231/2019. L’art. 3 primo comma del CCII, definendo i doveri del debitore, stabilisce che l’imprenditore individuale deve attivarsi per adottare misure idonee a rilevare tempestivamente lo stato di crisi e assumere le iniziative necessarie a farvi fronte, e al secondo comma conferma l’obbligo in capo all’imprenditore collettivo di adottare un assetto organizzativo adeguato ai sensi dell’articolo 2086 c.c., ai fini della tempestiva rilevazione dello stato di crisi e dell’assunzione di idonee iniziative.
Nel complesso, tali norme impongono alle imprese italiane, in particolare a di piccole e medie dimensioni, un vero e proprio processo di crescita, non solo organizzativo ma anche culturale, tale da favorire la rimozione o, quantomeno, l’attenuazione di frequenti e comuni fattori critici quali il sottodimensionamento, il capitalismo familiare, il personalismo autoreferenziale dell’imprenditore, la debolezza degli assetti di corporate governance, le carenze nei sistemi operativi e l’assenza di monitoraggio e di pianificazione, anche a breve termine.
Le imprese italiane, di qualsiasi dimensione, devono dunque compiere un deciso salto di qualità, in termini di adozione di un modello di indirizzo della gestione (corporate governance) che consenta loro di prendere le distanze dai comportamenti del passato, frequentemente caratterizzati da un diffuso disordine organizzativo. e che favorisca il costante monitoraggio dell’andamento aziendale, la possibilità di tempestiva rilevazione delle criticità e la previsione di interventi a garanzia della continuità.
Gli artt. 2086 c.c. e 3 CCII costituiscono delle clausole generali, individuando nella predisposizione di assetti adeguati una caratteristica consustanziale all’impresa, che consiste appunto nell’essere un’attività organizzata. La predisposizione di adeguati assetti organizzativi è funzionale a promuovere un’efficiente e corretta gestione dell’impresa costituendone una sorta di difesa preventiva volta a ridurre la possibilità di errore. In altri termini, una corretta gestione dell’impresa dipende necessariamente dalla predisposizione a monte di adeguanti assetti organizzativi, nonché dal loro corretto funzionamento e dalla capacità degli organi sociali di curarne, valutarne e vigilarne l’adeguatezza.
Tutte le società sono dunque tenute a curare l’istituzione di regole e procedure che consentano, oltre una gestione efficace, di identificare e misurare, per tempo, i rischi di crisi o l’assenza di prospettive di continuità. L’obbligo per l’impresa di dotarsi di “adeguati assetti” rappresenta infatti un perno centrale del sistema di early warnings, finalizzato a favorire l’emersione tempestiva della crisi di impresa.
Ciò sul presupposto che affrontare tardivamente tale situazione, quando ormai si è verificata la perdita della continuità aziendale, rappresenta un danno per l’intero sistema economico e per gli stessi creditori, che vedono in tal modo azzerarsi il residuo valore dell’azienda, oltre che le stesse opportunità occupazionali e di fare impresa, anche a causa della perdita di credibilità sul mercato.
In tale contesto si inseriscono, inoltre, quale specificazione del generale obbligo di adottare un’adeguata struttura organizzativa, i doveri previsti da varie normative di settore, tra le quali in particolare:
- le norme in materia ambientale (D.lgs. 3 aprile 2006, n. 152, e successive modifiche);
- il Testo Unico sulla Salute e Sicurezza sul Lavoro (D.lgs. 9 aprile 2008, n. 81, e successive modifiche);
- le normative antiriciclaggio (D.lgs. 21 novembre 2007, n. 231, e successive modifiche).
Assai rilevante in questo ambito è inoltre il modello di organizzazione e di controllo di cui al D.lgs. 8 giugno 2001, n. 231 (su cui infra, par. 7).
2. L’assetto organizzativo, amministrativo e contabile
Per assetto organizzativo si intende il preciso e dettagliato sistema di funzioni, poteri, deleghe di firma, procedure e processi decisionali in cui viene strutturata internamente la società, idoneo ad individuare con chiarezza compiti e responsabilità dei soggetti coinvolti nella gestione sociale. Esso consiste, pertanto, negli aspetti strutturali dell’organizzazione dell’impresa: configurazione di funzioni e competenze (funzionigramma), poteri e responsabilità (organigramma) delle strutture aziendali e, soprattutto, di meccanismi di coordinamento tra queste.
L’assetto organizzativo è composto essenzialmente da:
- la struttura organizzativa, che organizzativa definisce ed individua i necessari livelli gerarchici e i conseguenti rapporti formali di dipendenza, a sua volta articolata nella struttura organizzativa di base (rappresentata dalle unità organizzative, dai compiti e dalle relazioni), nella struttura delle unità organizzative (con evidenza di mansioni e responsabilità) e nell’assegnazione dell’autorità e delle modalità di applicazione del potere. La struttura.
- i sistemi operativi, la componente in grado di definire il grado di relazione tra le unità organizzative, consistenti nel sistema dei processi, nella determinazione degli obiettivi, delle strategie e all’assegnazione delle risorse (sistema di pianificazione programmazione e controllo), nel sistema di controllo interno e di gestione dei rischi, in quello di gestione del personale, nel sistema di autoregolamentazione e in quello informativo.
L’assetto amministrativo si riferisce invece alla dimensione c.d. dinamico-funzionale dell’impresa; per assetto amministrativo .si intende infatti l’insieme di procedure interne finalizzate ad assicurare un corretto ed ordinato svolgimento dell’attività aziendale e delle fasi di cui è composta (si pensi, ad esempio, agli iter autorizzativi relativi ai pagamenti o alle procedure di carico e scarico delle merci in magazzino).
Per assetto contabile si intende, infine, l’insieme delle procedure finalizzate ad una corretta rilevazione dei fatti contabili (si pensi, ad esempio, alla predisposizione periodica di budget o ai programmi di contabilità).
Gli assetti amministrativi e contabili sono quindi fortemente correlati a quello organizzativo, rappresentando, di fatto, un sottosistema di questi ultimo, che consentono di determinare e verificare, a livello previsionale e/o consuntivo l’andamento della gestione e i risultati dalla stessa prodotti in termini economico-finanziari, favorendo la tempestiva rilevazione di situazione di crisi e perdita di continuità aziendale.
Come si è accennato, il CCII ha specificato, all’art. 3, gli obiettivi che l’assetto organizzativo, amministrativo e contabile della società deve raggiungere. Dato che il legislatore non offre una descrizione precisa degli assetti da istituire, è solo analizzando le finalità da perseguire che si può delinearne il contenuto concreto. Tali obiettivi sono sostanzialmente due:
- consentire all’amministratore di prevedere tempestivamente l’emersione della crisi;
- assumere le idonee iniziative per superare la crisi o quanto meno affrontarla.
Sotto il primo profilo, gli assetti di cui si deve dotare l’impresa devono quindi essere in grado di rilevare gli indizi che precedono la crisi di impresa, ovvero consentire una prognosi che ne anticipi l’emersione.
A tal fine, viene attribuito rilievo ad una ampia gamma ampia di situazioni di difficoltà dell’impresa, che comprendono non solo le situazioni di crisi ma anche quelle di probabilità di crisi (gli squilibri patrimoniali, economici o finanziari), le prospettive di continuità aziendale così come più in generale i dati consuntivi e previsionali da utilizzare nel test per la composizione negoziata. Tali informazioni, tra l’altro, riguardano:
- l’entità del debito e i flussi annui al servizio del debito che l’impresa genera;
- la situazione debitoria;
- la situazione dei crediti commerciali;
- le rimanenze di magazzino;
- le passività potenziali;
- le proiezioni dei flussi finanziari (stima di ricavi, costi variabili, costi fissi, investimenti, etc.)
Vengono individuati specifici segnali che contribuiscono a evidenziare la non sostenibilità del debito e che devono indurre gli amministratori a valutare le azioni necessarie da intraprendere. Al riguardo costituiscono situazioni debitorie significative:
- l’esistenza di debiti per retribuzioni scaduti da almeno 30 giorni e pari a oltre la metà dell’ammontare complessivo mensile delle retribuzioni;
- l’esistenza di debiti verso fornitori scaduti da almeno 90 giorni di ammontare superiore a quello dei debiti non scaduti;
- l’esistenza di esposizioni nei confronti di banche e intermediari finanziari che siano scadute da più di 60 giorni o che abbiano superato da almeno 60 giorni il limite degli affidamenti ottenuti purché rappresentino complessivamente almeno il 5% del totale delle esposizioni;
- l’esistenza di crediti nei confronti di soggetti pubblici qualificati ai sensi dell’art. 25-novies del CCII (Inps, Inail, Agenzia Entrate e Riscossioni).;
In sintesi, il complesso di mezzi e strumenti di cui si compongono gli assetti organizzativi deve consentire un monitoraggio dell’andamento aziendale, che renda consapevoli gli amministratori di tutte quelle situazioni che potrebbero giustificare un loro intervento per la prevenzione o il superamento della crisi, nonché permettere di disporre dei dati idonei per formulare un piano di risanamento.
Gli assetti devono inoltre affrontare l’emersione della crisi e quindi di dotare sin da subito gli organi gestionali e di controllo di tutte le informazioni ed i dati necessari per una reazione tempestiva ed appropriata.
Se, infatti, gli assetti devono consentire di rilevare le informazioni necessarie per redigere la lista particolareggiata e il test per verificare la ragionevole perseguibilità del risanamento dell’impresa, dagli stessi devono ricavarsi tutte le informazioni utili a valutare, non solo se il risanamento è possibile e ragionevole, ma anche il modo attraverso cui si può pensare di raggiungere un simile obiettivo.
3. L’adeguatezza degli assetti
Come si è accennato, ai sensi dell’art. 2086 comma 2 c.c. (che riprende la definizione dell’art. 2381 comma 5 c.c.), l’assetto organizzativo, amministrativo e contabile di cui deve dotarsi la società deve essere adeguato in relazione alla natura dell’attività esercitata e alle dimensioni dell’impresa.
Le società, pertanto, sono tenute a dotarsi di assetti che siano adeguati in relazione a:
- la natura dell’impresa, cioè l’oggetto sociale;
- la dimensione dell’impresa, cioè la complessità aziendale, caso per caso; essendo evidente, ad esempio, che in una S.r.l. di ridotte dimensioni per giro d’affari ed organizzazione aziendale, gli assetti risulteranno adeguati anche se caratterizzati da una relativa semplicità, mentre in una grande S.p.A., che svolga anche attività di direzione unitaria, presenta una complessità organizzativa tale da imporre una più ampia ed analitica articolazione degli assetti.
Non esiste unque un unico assetto organizzativo idoneo ad assicurare la corretta gestione dell’impresa, o migliore in assoluto.
Alcune normative e regolamenti di settore (quali ad esempio quelle riguardanti le società che operano nel settore bancario, assicurativo e finanziario) prevedono specifiche norme organizzative e presidi (si pensi in particolare alle funzioni di compliance, di risk management e di internal audit), cui le società appartenenti a tali settori devono adeguarsi, sotto il controllo delle rispettive Autorità di Vigilanza. Le regole e i principi stabiliti da tali normative di settore in tema di assetti organizzativi sono in buona misura estendibili a tutte le società.
Sono inoltre rilevanti in proposito le Norme di Comportamento del Collegio Sindacale, redatte dal Consiglio Nazionale dei Dottori Commercialisti e degli Esperti Contabili (CNDCEC) (l’ultima edizione risale al gennaio 2021), le quali contengono una serie di precisi riferimenti per valutare l’adeguatezza dell’assetto organizzativo delle società non quotate.
Un altro importante documento di riferimento per la definizione degli assetti organizzativi è il Codice di Corporate Governance per le società quotate, che, seppure appunto rivolto alle società quotate, è applicabile anche a società diverse da quelle di grandi dimensioni.
I citati documenti collegano l’adeguatezza dell’assetto organizzativo alla puntuale individuazione dei principali fattori di rischio aziendale e delle conseguenti attività di buona gestione e regolare monitoraggio.
In linea generale, le Norme di comportamento del CNDCEC prevedono che un sistema amministrativo-contabile risulta adeguato se permette:
- la completa, tempestiva e attendibile rilevazione contabile e rappresentazione dei fatti di gestione;
- la produzione di informazioni valide e utili per le scelte di gestione e per la salvaguardia del patrimonio aziendale;
- la produzione di dati attendibili per la formazione del bilancio d’esercizio.
Secondo le Norme di comportamento del CNDCEC, un assetto organizzativo adeguato deve basarsi essenzialmente sui seguenti elementi:
- un’organizzazione gerarchica;
- un organigramma aziendale che definisca in modo chiaro le funzioni, i compiti e le linee di responsabilità;
- l’effettivo esercizio dell’attività decisionale e direttiva della società da parte dell’amministratore delegato e dai soggetti ai quali sono attribuiti specifici poteri;
- procedure che assicurino: (i) l’efficacia e l’efficienza della gestione dei rischi aziendali; (ii) l’efficacia e l’efficienza del sistema di controllo interno; (iii) la completezza, la tempestività e l’attendibilità dei flussi informativi, inclusi quelli inerenti alle società controllate;
- procedure in grado di assicurare la presenza di personale in possesso dell’adeguata professionalità e competenza necessarie allo svolgimento delle funzioni assegnate;
- direttive e procedure aziendali, periodicamente aggiornate e diffuse ai vari livelli della struttura organizzativa, con particolare riferimento al sistema dei processi aziendali, al sistema di definizione degli obiettivi strategici (pianificazione strategica e programmazione), al sistema di controllo interno e di gestione dei rischi aziendali, al sistema di gestione del personale, al sistema di autoregolamentazione e al sistema informativo.
Sia le Norme di comportamento del CNDCEC che il Codice di Corporate Governance prevedono quale elemento essenziale di un adeguato assetto organizzativo il sistema di controllo interno, inteso quale “insieme delle regole, delle strutture organizzative e delle procedure volte a consentire, attraverso un adeguato processo di identificazione, misurazione, gestione e monitoraggio dei principali rischi, una conduzione dell’impresa sana, corretta e coerente con gli obiettivi prefissati”.
Il sistema di controllo interno deve essere in grado di raggiungere:
- obiettivi strategici, volti ad assicurare la conformità delle scelte del management alle direttive ricevute e all’oggetto che la società si propone di conseguire, nonché a garantire la salvaguardia del patrimonio aziendale e a tutelare gli interessi degli stakeholders;
- obiettivi operativi, volti a garantire l’efficacia e l’efficienza delle attività operative aziendali;
- obiettivi di reporting, volti a garantire l’attendibilità e l’affidabilità dei dati;
- obiettivi di conformità, volti ad assicurare la conformità delle attività aziendali, alle leggi e ai regolamenti in vigore.
Molto importante, tanto in una prospettiva di migliore funzionamento degli assetti, quanto di verifica di eventuali responsabilità dell’amministratore, è in ogni caso la procedimentalizzazione delle attività dell’apparato organizzativo, mediante la predisposizione di regole scritte che definiscano funzioni, poteri e modus operandi del personale addetto.
Gli esiti di questa attività di monitoraggio impongono valutazioni non agevoli, nonché di ricavare informazioni complesse quali quelle indispensabili per redigere la lista particolareggiata ed il test di ragionevole perseguibilità di risanamento previsto per accedere alla composizione negoziata.
Fermo restando che gli assetti adeguati devono essere, comunque, interni all’azienda – non essendo possibile esternalizzarli, incaricando professionisti esterni di effettuare verifiche periodiche sull’andamento patrimoniale ed economico – finanziario dell’impresa – la struttura organizzativa, amministrativa e contabile dell’imprenditore può utilizzare contributi esterni. Per la maggioranza delle imprese, pertanto, ad una elaborazione interna dei dati dovrà seguire una periodica verifica da parte di un soggetto esperto, che sarà più o meno frequente in ragione delle caratteristiche dell’impresa e del suo andamento.
Il contributo di professionisti esterni (in particolare commercialisti ed avvocati) è poi imprescindibile qualora dall’attività di monitoraggio emerga un segnale di crisi, ovvero un segnale che faccia prevedere l’emersione della crisi, dato che in tal caso l’amministratore deve attuare con tempestività le misure per ovviare alla crisi e quindi scegliere ed attivare uno degli strumenti di regolazione della crisi di impresa previsti dal CCII.
4. Gli obblighi degli organi societari nell’adozione degli assetti
Organi competenti a predisporre gli adeguati assetti organizzativi sono, ai sensi e dell’art. 2381, comma 5 c.c., gli organi delegati, mentre organo competente a valutarne l’adeguatezza è, ai sensi e dell’art. 2381, comma 3 c.c., l’organo delegante. In assenza di organi delegati, gli obblighi di cui sopra gravano sull’amministratore unico o sul CdA nel suo complesso.
La legge prevede quindi la seguente una ripartizione di competenze in seno all’organo amministrativo:
- sugli organi delegati ricade l’obbligo di istituire e curare che l’assetto organizzativo, amministrativo e contabile risulti adeguato alla natura e alle dimensioni dell’impresa;
- al CdA spetta la valutazione dell’adeguatezza dell’assetto amministrativo istituito dagli organi delegati;
- al collegio sindacale spetta la vigilanza sull’adeguatezza dell’assetto organizzativo, amministrativo e contabile adottato dalla società e sul suo concreto funzionamento.
La realizzazione di un adeguato assetto organizzativo si realizza, dunque, attraverso due fasi: una prima, statica, di competenza degli amministratori (deleganti e delegati), e una seconda, dinamica, di competenza dell’organo di controllo.
La deliberazione del CdA con cui viene affidata agli organi delegati la cura degli assetti dovrà essere sufficientemente chiara e dettagliata. Qualora la delega non attribuisca agli amministratori delegati la cura degli assetti, quale dovere specifico aggiuntivo a quello di amministrare la società nei limiti della delega (c.d. delega parziale), sembra preferibile ritenere che l’amministratore delegato – indipendentemente da quanto previsto nella delega – abbia un dovere di cura degli assetti, limitatamente a quegli ambiti direttamente o indirettamente ricompresi nella delega gestionale. Ad es., se la delega riguarda solamente l’attività imprenditoriale su mercati esteri, essa includerà implicitamente gli assetti organizzativi delle unità aziendali destinate a tale attività, ma non gli assetti generali della società.
Nel caso di delega frazionata a più amministratori, essi dovranno ritenersi comunque responsabili per la cura dei rispettivi assetti, ferma l’esigenza di un coordinamento – sia occorra) interpersonale tra gli organi delegati, sia (necessariamente) in sede collegiale – onde assicurare complessiva coerenza all’intero assetto organizzativo, amministrativo e contabile della società.
La predisposizione degli assetti non è invece di competenza del direttore generale, salva specifica delega al riguardo; tale soggetto è infatti nominato dall’assemblea e, seppure al vertice della gerarchia, resta un dipendente della società, mentre la gestione organizzativa è competenza esclusiva dell’organo gestorio. Ciò non toglie che il direttore generale possa collaborare con il CdA e con gli organi delegati, se nominati, nella costruzione degli assetti adeguati.
La valutazione sull’adeguatezza degli assetti da parte del CdA deve essere effettuata periodicamente, sulla base delle informazioni fornite dai delegati. A tal fine, assumono rilievo le previsioni di cui all’art. 2381, quinto comma, c.c. in forza delle quali le procedure interne devono assicurare un proficuo scambio di informazioni tra gli organi della società (e, nelle realtà di gruppo, tra gli organi della holding e delle società eterodirette), con cadenza almeno semestrale, rispetto al generale andamento della gestione e sulla sua prevedibile evoluzione così come dare evidenza di una pianificazione della gestione atta a garantire l’equilibrio economico, finanziario e patrimoniale della società.
Anche nelle S.r.l., l’istituzione degli assetti rientra nella competenza dell’organo amministrativo; l’art. 2475, comma 1, così come modificato dal D.lgs. n. 147/2020, ha infatti riservato in via esclusiva agli amministratori di S.r.l. l’istituzione degli assetti organizzativi interni alla società.
Tuttavia, ai sensi dell’art. 2479, comma 1, c.c., il singolo amministratore o i soci che rappresentano almeno 1/3 del capitale sociale possono esercitare anche in questa materia il c.d. potere di avocazione-rimessione, ovvero chiedere di rimettere ai soci la decisione sull’istituzione degli assetti, così determinando una maggior facilità d’intervento dei soci nella materia, sulla base delle esigenze che si sviluppino in concreto nella vita della società.
In tal caso, il valore formale della delibera dei soci non potrà comunque eccedere quello di una raccomandazione non vincolante, che può determinare un dovere di motivazione a carico dell’organo amministrativo nel caso in cui l’indicazione venga disattesa, ma non la definitiva chiusura del procedimento deliberativo. Ogni decisione dell’assemblea dovrà pertanto essere formalmente recepita in conseguenti atti e determinazioni dell’organo amministrativo, per acquistare la dovuta efficacia all’interno dell’organizzazione aziendale e sul piano negoziale.
5.L’adozione degli assetti nei gruppi di società
L’obbligo di istituire assetti organizzativi, amministrativi e contabili è previsto dalla legge per le società giuridicamente autonome, difettando una previsione specifica per il gruppo societario. Peraltro, il controllo di adeguatezza degli assetti organizzativi, avendo il suo naturale punto di riferimento nell’impresa, investe le imprese organizzate in forma di gruppo.
Neell’ambito del gruppo di società, gli organi delegati della capogruppo sono tenuti alla predisposizione di assetti adeguati rispetto alla natura e alla dimensione del gruppo complessivamente considerato, anche in funzione di tempestiva rilevazione di indicatori di crisi ovvero segnali di discontinuità delle imprese eterodirette. A questo fine, gli organi delegati della società capogruppo curano la formalizzazione di procedure che garantiscano adeguati flussi informativi dalle società controllate alla holding, come prevede l’art. 2381, quinto comma, c.c., e dalla holding alle società controllate.
L’organo delegato, pertanto, deve predisporre procedure che possano garantire l’efficacia e l’efficienza della gestione dei rischi e del sistema di controllo interno, nonché la completezza, la tempestività e l’attendibilità dei flussi informativi tra le differenti funzioni e con le funzioni di altre società del gruppo (se esistenti), nonché individuare indici e parametri segnaletici che consentano di evidenziare segnali di allarme.
Nel contesto del gruppo, l’obbligo di correttezza della capogruppo nella conduzione della direzione unitaria implica che questa valuti e vigili sugli assetti di ciascuna società controllata e sul coordinamento degli stessi con la struttura organizzativa del gruppo. La capogruppo, infatti, non deve limitarsi a coordinare le fasi dell’attività d’impresa di gruppo, ma deve accertarsi anche che le attività di ciascuna subordinata siano realizzate secondo modalità predeterminate ex ante e coerenti con la struttura organizzativa del gruppo.
L’articolazione dell’attività d’impresa sotto forma di gruppo accresce il grado di complessità della struttura organizzativa, per la presenza di più livelli decisionali ed esecutivi e per la necessaria predisposizione di plurimi canali informativi, mentre il dovere di predisporre assetti organizzativi adeguati di gruppo fa emergere, sottoponendola a monitoraggio, a controllo ed a riscontro, una complessa attività di gestione organizzativa che permea l’intero gruppo aziendale.
Il dovere ai sensi dell’art. 2086, comma 2, c.c. in questo contesto, implica una valutazione di efficienza sull’intera struttura organizzativa disegnata dalla capogruppo, comprese le relazioni con le controllate, il regolamento di gruppo ed i margini di rischio prevedibile in ordine all’andamento dell’impresa di gruppo.
In sostanza, dunque, il canone dell’adeguatezza degli assetti precisa il significato attribuibile alla “correttezza della gestione imprenditoriale e societaria” di cui all’art. 2497 c.c., cui devono conformarsi le indicazioni e direttive vincolanti verso le società del gruppo, e attribuisce rilevanza alle stesse strutture organizzative del gruppo, integrando, sotto il profilo della programmazione e della strutturazione delle diverse relazioni tra i componenti del gruppo, le norme dettate dagli artt. 2497 ss. c.c. in tema di direzione e coordinamento.
Al contempo, il dovere di informazione in capo agli amministratori, come previsto dall’art. 2381 c.c., si configura per gli amministratori della capogruppo come dovere di operare all’interno di una struttura organizzativa complessiva, necessariamente più ampia rispetto a quella di una società monade e che tiene in considerazione le diverse articolazioni del gruppo e gli effetti dell’agire su di esse. La struttura organizzativa delineata per il gruppo diviene, dunque, un parametro rilevante per valutare l’azione degli organi di amministrazione e controllo della capogruppo.
6. La responsabilità degli amministratori nell’adozione degli assetti
Dato che il dovere di adottare adeguati assetti organizzativi finalizzati a prevenire la crisi di impresa costituisce un obbligo a carico degli amministratori, l’inadempimento quanto l’inesatto adempimento di tale obbligo è fonte di responsabilità per gli amministratori. In particolare, l’inadempimento di tale obbligo costituisce uno dei principali fondamenti delle azioni di responsabilità che il curatore potrà attivare, a seguito del fallimento (ora liquidazione giudiziale) della società.
La responsabilità concernente la violazione del dovere in oggetto riflette la differenziazione dei ruoli e delle funzioni tra l’organo amministrativo delegante, da un lato, e gli organi delegati, dall’altro. Come si è visto (v. par. 4 [link]), sugli organi delegati ricade l’obbligo di istituire e curare che l’assetto organizzativo, amministrativo e contabile risulti adeguato alla natura e alle dimensioni dell’impresa, mentre al CdA spetta la valutazione dell’adeguatezza dell’assetto amministrativo istituito dagli organi delegati.
È dunque evidente che sugli amministratori delegati, in quanto soggetti tenuti alla istituzione dei modelli, ricadono le principali responsabilità derivanti dalla violazione dell’obbligo di adottare adeguati assetti. Tale responsabilità può derivare:
- dalla mancata predisposizione di assetti;
- dall’inadeguatezza degli assetti predisposti;
Per quanto attiene al primo profilo, la mancata adozione di qualsiasi misura organizzativa comporta di per sé una responsabilità dell’organo gestorio; deve quindi considerarsi responsabile l’amministratore che ometta del tutto di approntare una qualsivoglia assetto organizzativo, rimanendo inerte di fronte ai segnali indicatori di una situazione di crisi o pre-crisi.
In altri termini, trattandosi di un obbligo a contenuto specifico, la decisione di non predisporre assetti organizzativi, amministrativi e contabili ai sensi dell’art. 2086 c.c. perché ritenuti non necessari rispetto alla reale struttura organizzativa della società e dunque sulla base di una valutazione negativa assunta con riferimento alle dimensioni e alla natura dell’attività esercitata, non è giustificabile sulla base della business judgment rule, dato che, in base alla regole generali, gli amministratori devono adempiere ai doveri loro imposti dalla legge.
Qualificandosi quale vero e proprio dovere degli amministratori, la mancata adozione di assetti amministrativi rappresenta quindi di per sé fonte di responsabilità solidale in capo agli amministratori, assumendo rilievo in termini di inadempimento dei doveri di corretta gestione, di diligenza e di agire in modo informato di cui all’art. 2392 c.c.
E infatti necessario un minimum di assetto organizzativo anche nelle imprese minori, ovvero un organigramma con indicazione di compiti e responsabilità, e un assetto contabile, ancorché semplificato, non essendo possibile altrimenti rilevare tempestivamente la crisi e la perdita della continuità aziendale.
La violazione di tale obbligo, inoltre, può integrare il presupposto della grave irregolarità nella gestione, legittimando conseguentemente l’azione di cui all’art. 2409 c.c., o motivare il collegio sindacale (o il sindaco unico) a procedere con la convocazione dell’assemblea ai sensi dell’art. 2406, secondo comma, c.c., ovvero configurare una giusta causa di revoca degli amministratori ai sensi dell’art. 2383, terzo comma, c.c.
Per quanto attiene il secondo profilo, ovvero la responsabilità degli amministratori per la predisposizione di assetti inadeguati, occorre evidenziare che la scelta di come strutturare in concreto gli assetti al fine di soddisfare il criterio dell’adeguatezza rientra, in linea generale, nella discrezionalità degli amministratori, attenendo al concetto di gestione societaria ed essendo espressione di scelte di fondo di tipo gestionale. Come si è accennato, infatti, l’obbligo di predisporre assetti organizzativi adeguati deve essere valutato in relazione a parametri tecnici variabili in relazione alla tipologia, alle dimensioni, alle caratteristiche dell’impresa, in quanto tali suscettibili appunto di valutazione discrezionale da parte degli amministratori.
Come è noto, l’amministratore di una società non può essere ritenuto responsabile per aver compiuto scelte inopportune dal punto di vista economico, atteso che una tale valutazione attiene alla discrezionalità imprenditoriale e può pertanto eventualmente rilevare come giusta causa di revoca dell’amministratore, ma non come fonte di responsabilità contrattuale nei confronti della società (c.d. business judgment rule). Tale principio comporta, dunque, l’insindacabilità, nel merito, della scelta gestionale degli amministratori, nei limiti in cui questa sia razionale, non imprudente (con valutazione ex ante) e accompagnata da verifiche preventive.
Il giudizio sulla diligenza dell’amministratore nell’adempimento del proprio mandato non può mai investire le scelte di gestione, o le modalità e circostanze di tali scelte, ma solo l’omissione di quelle cautele, verifiche e informazioni preventive normalmente richieste per una scelta di quel tipo, operata in quelle circostanze e con quelle modalità. Il principio della insindacabilità delle scelte di gestione non è quindi assoluto. Secondo la prevalente giurisprudenza, infatti, la scelta di gestione dell’amministratore è insindacabile solo se essa è stata compiuta:
- legittimamente, ovvero sono stati valutati preventivamente – se necessario, con adeguata istruttoria – i margini di rischio connessi all’operazione da intraprendere, così da non esporre l’impresa a perdite, altrimenti prevenibili;
- razionalmente, in quanto le informazioni e le verifiche assunte devono avere indotto l’amministratore ad una razionalmente inerente alle informazioni ricevute e non dannosa per la società
Le scelte organizzative degli amministratori devono essere quindi razionali, non connotate da imprudenza tenuto conto del contesto e devono essere accompagnate dalle verifiche imposte dalla diligenza richiesta dalla natura dell’incarico.
Ne consegue che il criterio dell’adeguatezza nella predisposizione degli assetti ai sensi dell’art. 2086 c.c., dovendo essere parametrato alla dimensione dell’impresa e alla natura dell’attività sociale, ovvero variando di concreto di società in società, si configura quale scelta discrezionale del potere gestorio, ma non per questo del tutto insindacabile. Occorre a tal fine valutare se le misure organizzative adottate dagli amministratori siano, nei limiti e secondo i criteri della proporzionalità e della ragionevolezza, idonee a far emergere gli indici della perdita della continuità aziendale e se la tipologia degli interventi scelta dall’organo gestorio sia ragionevole e non manifestamente irrazionale.
Tale verifica deve essere effettuata sulla base di una valutazione ex ante, tenendo conto delle informazioni conosciute o conoscibili dall’amministratore, ed a prescindere dai risultati concreti che poi sono stati poi raggiunti; ciò in quanto la responsabilità dell’amministratore presuppone pur sempre una condotta colposa o dolosa. In altri termini, non è ammissibile alcun automatismo che induca dal verificarsi dell’insolvenza l’inadeguatezza dell’assetto e, da questa, la conseguente responsabilità degli amministratori.
Non potrà quindi ritenersi responsabile l’amministratore che abbia predisposto delle misure organizzative che, con una valutazione ex ante, erano adeguate, secondo le sue conoscenze e secondo gli elementi a sua disposizione, a verificare tempestivamente la perdita della continuità aziendale.
In ogni caso, per dimostrare che gli assetti sono stati predisposti in modo adeguato, cioè che essi erano idonei e funzionali a rilevare le potenziali crisi, l’amministratore dovrà produrre evidenza di una opportuna procedimentalizzazione per iscritto (e che quindi erano state individuate le figure aziendali destinate ad occuparsene, i loro poteri e doveri e le procedure da seguire per appurare il pericolo di crisi, etc.).
Con riferimento, invece, agli amministratori privi di deleghe, la responsabilità discende dalla violazione del dovere di valutare l’adeguatezza degli assetti predisposti dagli organi delegati. Gli amministratori senza deleghe sono tenuti non a intervenire direttamente nella istituzione degli assetti, bensì a valutare l’adeguatezza degli stessi sulla base delle informazioni ricevute dagli organi delegati.
Tale obbligo si collega al generale dovere di agire informati, di cui all’art. 2381, sesto comma, c.c., che viene adempiuto sia sulla base delle informazioni che ai deleganti vengono fornite dai delegati, sia sulla base delle informazioni che i deleganti possono e devono acquisire di propria iniziativa, sulla base degli indici o segnali di allarme circa l’inadeguatezza degli assetti. In altri termini, la responsabilità dei deleganti può derivare dal fatto di non avere rilevato i segnali di allarme che avrebbero dovuto indurli a chiedere agli organi delegati di fornire al CdA informazioni circa l’adeguatezza degli assetti. istituiti dai delegati stessi, e/o per non essere intervenuti sulla base delle informazioni di cui essi dispongono o che avrebbero dovuto richiedere.
La prima ipotesi di allarme può aversi allorquando l’amministratore delegato ometta completamente di riferire al CdA, ovvero fornisca informazioni del tutto generiche ed apodittiche, nel termine previsto dall’art. 2381 quinto comma c.c. ovvero in quello diverso previsto statutariamente, sulla istituzione degli assetti e sul mantenimento del loro livello di adeguatezza alla natura ed alle dimensioni dell’impresa. In tali casi, essendo la carenza informativa immediatamente percepibile – così come la mancata predisposizione degli assetti – l’accertamento della colpa dell’amministratore privo di deleghe non richiede ulteriori valutazioni se non quella concernente il mancato intervento reattivo.
Diverso è il caso in cui l’amministratore delegato fornisca una informazione che, sebbene formalmente corretta, si presenti sostanzialmente incompleta ed errata. In tal caso, l’amministratore privo di deleghe potrà avanzare la richiesta al presidente di convocare il CdA, sollecitare il CdA a revocare la deliberazione illegittima o l’incarico in capo all’amministratore ovvero ad inviare richieste scritte all’organo delegato al fine di invitarlo a desistere dal compimento dell’attività dannosa, ad impugnare la deliberazione ai sensi dell’art. 2391 c.c., a procedere a segnalare al p.m. o all’autorità di vigilanza. Inoltre, l’amministratore potrà, ai fini dell’esonero da responsabilità, fare annotare il proprio dissenso, ai sensi dell’art. 2392, terzo comma, c.c.
L’inadempimento dell’amministratore per essere fonte di responsabilità dovrà avere causato un danno, che ne sia conseguenza immediata e diretta; occorre cioè dimostrare che la violazione degli obblighi delineati dagli artt. 2086 c.c. e 3 CCII ha determinato un pregiudizio, fosse pure sotto forma di perdita della chance di risolvere e superare la crisi dell’impresa.
In particolare, dopo l’apertura della liquidazione giudiziale il curatore dovrà dimostrare il decremento patrimoniale derivato dalle omissioni o dagli inesatti adempimenti dell’amministratore, sul presupposto che, se l’impresa fosse stata dotata di adeguati assetti, la crisi sarebbe stata prevista ed affrontata, ovvero sarebbe stata richiesta una tempestiva apertura della liquidazione giudiziale su richiesta dello stesso (obbligo, quest’ultimo, sanzionato penalmente dagli artt. 323 lett. d) e 330 CCII).
7. Il modello organizzativo previsto dal D.lgs. n. 231/2001 e la responsabilità degli amministratori
Nel caso in cui l’impresa abbia dimensioni e operi in settori tali da esporre potenzialmente i soggetti nel cui ambito operano alla commissione dei reati presupposto di cui al D.lgs. n. 231/2001 (“Decreto 231”), anche l’adozione di un adeguato modello di organizzazione e di controllo si pone quale dovere in capo agli amministratori.
Il Decreto 231 ha, come è noto, introdotto una forma di responsabilizzazione dell’impresa in relazione alla commissione di reati; per evitare le rilevanti sanzioni previste in dipendenza di un reato presupposto compiuto da appartenenti all’organizzazione aziendale, la società ha l’onere di definire, adottare e progressivamente aggiornare un Modello Organizzativo e istituire un Organismo di Vigilanza. Ha l’onere, cioè, di adeguare i propri assetti interni in modo da predisporre idonee contromisure alla prevenzione dei reati presupposto.
La disciplina prevista dal Decreto 231 si interseca quindi con le norme societarie sopra analizzate che attribuiscono un ruolo centrale alle strutture organizzative. Benché i modelli di organizzazione e di gestione idonei a prevenire i reati ai sensi del Decreto 231 non coincidano con le adeguate strutture di controllo interno, molti sono i punti di contatto, tanto che la mancata osservanza della prescrizione dell’adozione di un adeguato assetto organizzativo, amministrativo o contabile può comportare la responsabilità da reato della persona giuridica; si pensi al falso in bilancio o al reato di impedito controllo (art. 2625 c.c.), che è integrato ogni volta che con dolo sono omessi o occultati dati rilevanti, o comunicati con altri idonei artifici dati non corrispondenti al vero, all’organo di controllo o al revisore, con l’intento di alterare la percezione delle condizioni finanziarie dell’impresa.
Il Decreto 231 ha introdotto nel nostro ordinamento la possibilità che un ente collettivo possa essere sottoposto a sanzioni a fronte della commissione di taluni illeciti penali, prevedendo una serie di sanzioni a carico dell’ente, di natura pecuniaria ed interdittiva (quali, per esempio, l’interdizione dall’esercizio dell’attività, la sospensione o revoca di autorizzazioni, l’esclusione da agevolazioni o finanziamenti pubblici), qualora nel suo interesse o vantaggio venga commesso un reato da persone fisiche ad esso funzionalmente riferibili.
Tale disciplina trova applicazione con riferimento agli enti forniti di personalità giuridica, alle associazioni anche prive di personalità giuridica ed alle società, in qualsiasi forma costituite, che abbiano sede in Italia, sia nel caso di reato commesso in Italia che nel caso di reato commesso all’estero, purché non proceda lo Stato del luogo ove è stato commesso il fatto. Si applica, inoltre, alle società con sede all’estero quando il reato è perpetrato in Italia.
Perché si possa contestare all’ente la responsabilità di cui al Decreto 231, devono ricorrere i seguenti presupposti:
- la commissione di un reato che rientra nell’elenco di cui agli art. 24 e ss. del Decreto 231 (tra i quali: omicidio e lesioni colpose commessi in violazione delle norme sulla tutela della salute e sicurezza sul lavoro; reati contro la pubblica amministrazione; reati societari; delitti di criminalità organizzata; reati con finalità di terrorismo; reati ambientali; delitti contro l’industria e il commercio; delitti informatici; reati di ricettazione, riciclaggio, autoriciclaggio e impiego di denaro, beni o altre utilità di provenienza illecita; impiego di lavoratori stranieri con soggiorno irregolare);
- la persona che ha commesso il reato riveste la posizione di “apicale” o di “sottoposto”, dovendosi intendere con “apicale” la persona che ricopre funzioni di rappresentanza, di amministrazione o di direzione dell’ente – o di una sua unità organizzativa – ovvero che esercita, anche di fatto, il potere di gestione e di controllo dell’ente (es. amministratori, direttori generali), mentre si definisce “sottoposto” la persona che sottostà alla direzione o alla vigilanza di un “apicale”;
- il reato è stato commesso nell’interesse o a vantaggio dell’ente;
- sussiste la cosiddetta “colpa organizzativa” dell’ente, che varia a seconda della posizione rivestita dalla persona che commette materialmente il reato: qualora il reato sia stato commesso da un “apicale”, la colpa dell’ente ricorre se non è stato adottato o attuato un Modello idoneo a prevenire reati della stessa specie di quello verificatosi, ovvero non è stato incaricato un Organismo di Vigilanza dotato di poteri di controllo in ordine all’attuazione del Modello; qualora, invece, il reato sia commesso da un “sottoposto”, la colpa dell’ente ricorre se la realizzazione dell’illecito è stata resa possibile dall’inosservanza degli obblighi di direzione o vigilanza che incombono sugli apicali.
L’adozione del Modello Organizzativo non integra un vero e proprio obbligo giuridico, bensì un onere: l’adozione di un congruo Modello può valere all’ente la concessione del beneficio dell’esimente, cosicché lo stesso non sarà chiamato a rispondere dell’illecito commesso dai sottoposti né di quello commesso dagli apicali, ove si accerti che questi abbiano eluso le prescrizioni contenute nel Modello).
Tuttavia, sotto il profilo dell’adeguatezza degli assetti organizzativi, l’onere costituisce un preciso dovere in capo agli amministratori. Infatti, quando l’attività svolta possa, per la sua natura o per le dimensioni dell’impresa, esporre la società ad un concreto rischio di reato, l’organo amministrativo dovrà, al fine di ottemperare all’obbligo di dotare l’impresa di un’adeguata struttura organizzativa, adottare un Modello idoneo a prevenire la commissione dei reati presupposto affidandone l’osservanza all’Organismo di Vigilanza.
La responsabilità degli amministratori per il danno arrecato alla società può ravvisarsi non solo in caso di inerzia ma anche nell’ipotesi di inadeguatezza del modello adottato, di mancati aggiornamento, implementazione, modificazione del medesimo e financo di inidonea configurazione dell’Organismo di Vigilanza.
L’amministratore può essere chiamato a rispondere non solo dei danni arrecati alla società (art. 2392 c.c.) ma anche ai creditori sociali (art. 2394 c.c.) ed ai soci e/o ai terzi direttamente danneggiati.
Ne consegue che, al fine di non incorrere in una condanna in sede civile, l’amministratore deve effettuare una concreta valutazione sull’opportunità di adottare il Modello Organizzativo. Tale valutazione può legittimamente concludersi in senso negativo, specie a fronte di imprese di piccole dimensioni che svolgono attività in sede locale ed hanno compagine sociale molto ristretta. Tuttavia, è certamente consigliabile la verbalizzazione o comunque la traccia scritta del fatto che la valutazione è stata effettuata, di come tale valutazione è stata svolta e delle motivazioni alla base della scelta di non adottare il Modello.
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Avv. Valerio Pandolfini
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