I limiti alla circolazione delle quote di S.r.l.: clausole di intrasferibilità (lock up), gradimento, prelazione, covendita (drag along, bring along, tag along)
I soci di una S.r.l. possono stabilire convenzionalmente limitazioni più o meno ampie alla facoltà di trasferire liberamente le quote di loro titolarità, prevedendo apposite clausole di intrasferibilità (lock-up), gradimento, prelazione e covendita (drag along, bring along, tag along), in modo da assicurare la stabilità dell’assetto della compagine sociale. I soci godono di larga autonomia hanno sia nella scelta della tipologia di limitazione che vogliono introdurre, che nella collocazione di dette restrizioni, le quali possono trovare collocazione nei patti parasociali ovvero all’interno dello statuto sociale, con conseguenze diverse in termini di efficacia e di rimedi per il caso di violazione. Tali clausole devono essere predisposte in modo accurato e completo, per renderle pienamente efficaci ed evitare problemi applicativi.
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1. Le limitazioni alla libera trasferibilità delle quote di S.r.l.
L’art. 2469 c.c. prevede che, in linea generale, le quote di partecipazione di S.r.l. sono liberamente trasferibili (sia per atto tra vivi che mortis causa), salvo che lo statuto preveda diversamente. I soci possono quindi subordinare il trasferimento delle partecipazioni a particolari condizioni e limiti, fino addirittura a prevedere l’inalienabilità assoluta delle stesse.
Le principali clausole limitative della circolazione delle partecipazioni (inter vivos) sono:
- le clausole di intrasferibilità (lock up) (v. par. 2);
- le clausole di gradimento (v. par. 3);
- le clausole di prelazione (v. par. 4);
- le clausole di covendita (drag along, bring along, tag along) (v. par. 5).
La finalità delle limitazioni convenzionali alla circolazione delle partecipazioni societarie è essenzialmente la stabilità dell’assetto della compagine sociale, che rappresenta un valore importante in particolare per le PMI, dato che una strategia imprenditoriale efficace presuppone, normalmente, uno svolgimento in un arco di tempo sufficientemente lungo, entro il quale è importante che sia mantenuta la stabilità dei soci che quella strategia condividono e che hanno i mezzi finanziari per sostenere ed attuare.
Altre ipotesi in cui è particolarmente sentita l’esigenza di stabilità sono quelle delle società a base familiare (nelle quali è molto forte la valorizzazione delle persone dei soci) e delle società holding, nelle quali la stabilità è strumentale al controllo della società.
Le clausole limitative della circolazione delle partecipazioni sociali possono essere inserite nello statuto o in un patto parasociale. Tale alternativa non è priva di conseguenze sotto il profilo giuridico.
I limiti alla circolazione delle partecipazioni inseriti nello statuto hanno efficacia reale, e vincolano quindi, oltre ai soci, anche la società e il terzo acquirente. Pertanto, qualora un socio proceda al trasferimento della propria quota in violazione di una clausola statutaria (di intrasferibilità, gradimento o prelazione), tale trasferimento è inopponibile alla società da parte del terzo cessionario, il quale non sarà legittimato all’esercizio dei diritti sociali, pur dopo l’iscrizione dell’atto di trasferimento nel Registro delle imprese.
La violazione di una clausola statutaria limitativa della circolazione della partecipazione non incide quindi sulla validità del trasferimento posto in essere, ma (salva diversa volontà delle parti espressa nello statuto) solo sulla legittimazione all’esercizio dei diritti sociali, in quanto il trasferimento è inopponibile alla società.
Inoltre, le clausole statutarie di limitazione della circolazione delle partecipazioni sono vincolanti per tutti i soci, compresi quelli che entrano a far parte della compagine sociale dopo la costituzione della società.
I limiti alla circolazione delle azioni contenuti nei patti parasociali , definiti anche con il termine di sindacati di blocco, hanno invece efficacia puramente obbligatoria; pertanto, al pari di qualunque contratto, essi producono effetto solo fra i soci aderenti, essendo irrilevanti per la società ed i terzi. La loro violazione, quindi, non comporta invalidità della vendita né il rifiuto da parte della società all’esercizio dei diritti sociali da parte dell’acquirente, ma solo il rimedio del risarcimento dei danni a carico del socio inadempiente.
Inoltre, l’inserimento di clausole limitative della circolazione delle partecipazioni nello statuto sociale consente di estendere le previsioni ivi contenute anche a possibili soggetti “nuovi entranti” nella società, mentre qualora gli stessi siano contenuti in un patto parasociale, il relativo vincolo deve essere puntualmente accettato dal nuovo socio, richiedendo, per sua natura, il consenso delle parti ai sensi dell’art. 1372 c.c.
In ogni caso, la violazione di una clausola limitative della circolazione delle partecipazioni sociali, anche se inserita in statuto, non inficia in alcun modo la validità e l’efficacia del trasferimento delle quote: all’inadempimento del relativo obbligo non consegue infatti in alcun caso l’invalidità dell’atto di trasferimento fra il socio e il terzo acquirente. In tal caso, tuttavia, gli amministratori hanno il dovere di non iscrivere il cessionario a libro soci e di non riconoscerne la legittimazione di socio, impedendo così l’esercizio dei diritti sociali, di natura patrimoniale e amministrativa. Ne consegue che in presenza di tali clausole statutarie, il terzo potenziale acquirente è normalmente interessato al rispetto delle stesse, in assenza del quale l’acquisto della partecipazione risulterà inopponibile alla società, impedendo l’acquisto del pieno status di socio della società.
2. Le clausole di intrasferibilità delle quote (lock-up)
Come si è accennato, è possibile prevedere, nello statuto o in un patto parasociale, l’intrasferibilità assoluta delle quote di S.r.l., con una clausola di c.d. lock-up.
La clausola che sancisce il divieto assoluto di trasferimento della partecipazione trova generalmente la sua ragione in quelle situazioni in cui l’attività sociale è fortemente condizionata dalla presenza di particolari requisiti professionali dei soci (società di consulenza, di ingegneria, etc.).
Qualora tale clausola sia inserita nello statuto, per evitare di esporre il socio al rischio di rimanere prigioniero del vincolo sociale contro la sua volontà, l’articolo 2469 comma 2 c.c. riconosce al socio (o agli eredi) il diritto di recesso dalla società, con preavviso di sei mesi, ai sensi dell’art. 2473 c.c.
Il diritto di recesso costituisce essenzialmente uno strumento di mediazione e bilanciamento tra l’interesse del singolo socio al disinvestimento della propria partecipazione e quello del gruppo a selezionare l’ingresso di nuovi soci in società. Tale diritto spetta ad nutum, cioè può essere esercitato in qualsiasi momento e da qualsiasi socio, non essendo necessaria la presenza di atti o delibere alle quali il socio non abbia aderito.
Ciò costituisce un forte deterrente all’introduzione di clausole che sanciscono l’intrasferibilità assoluta, in quanto questa sorta di “spada di Damocle” del diritto di recesso potrebbe da un momento all’altro provocare un pesante effetto sul patrimonio dell’impresa, dato che il socio recedente ha diritto di vedersi liquidato il valore effettivo della propria partecipazione. Lo strumento del recesso potrebbe inoltre essere utilizzato in modo strumentale e distorto da parte del socio, il quale potrebbe esercitare il diritto in un particolare momento di ricchezza patrimoniale della società.
Lo statuto può peraltro aumentare il termine di preavviso per il recesso fino a 1 anno, e può altresì prevedere un termine, non superiore a due anni, a decorrere dalla costituzione della società o dalla sottoscrizione della partecipazione, prima del quale il recesso non può essere esercitato.
Le clausole le quali che consentono il trasferimento della partecipazione soltanto nei confronti di coloro che rivestono la qualità di soci e non ai terzi sono ritenute assimilabili quanto ai loro effetti alle clausole di intrasferibilità assoluta, con tutte le conseguenze già esposte.
3. Le clausole di gradimento
Un altro tipo di clausole molto diffuso nella prassi è rappresentato dalle clausole di gradimento: si tratta di previsioni che subordinano la possibilità di tutti o parte dei soci di trasferire la partecipazione di propria titolarità al preventivo consenso di un determinato soggetto.
I soggetti cui può essere attribuito il potere di concedere il gradimento sono:
- gli organi sociali, ovvero tutte le diverse articolazioni in cui può realizzarsi la funzione amministrativa (ad esempio: CdA nella sua collegialità, singoli amministratori con potere gestorio disgiunto o congiunto, soci-amministratori direttamente nominati nell’atto costitutivo, un comitato esecutivo, etc.);
- i soci: tale nozione deve essere intesa in modo ampio, nel senso che il potere di esprime il gradimento può essere attribuito alla maggioranza dei soci, ad alcuni, ovvero anche ad uno solo di essi, configurandosi in tal caso un “diritto particolare” di cui all’art. 2468, c. 3, c.c.;
- i terzi, ovvero soggetti estranei alla compagine sociale.
La clausola di gradimento tutela essenzialmente l’interesse della società e ha la funzione di dare maggiore efficienza all’organizzazione, evitando che terzi entrino a far parte della società senza che abbiano determinati requisiti o che essi alterino l’equilibrio societario.
Il terzo al quale venga assegnato il gradimento può essere determinato con i più svariati criteri: può essere indicato nominativamente o anche per relationem, ovvero si può prescegliere colui che ricoprirà una precisa carica nel momento in cui si renda operativa la clausola di gradimento. È necessario in ogni caso che lo statuto o il patto sociale indichi il terzo o i criteri per determinarlo, non potendo ritenersi legittima, in quanto indeterminata, una clausola che non specifichi nulla in oggetto.
Diversamente dalle clausole di intrasferibilità assoluta, le clausole di gradimento non sempre attribuiscono al socio il diritto di recesso. Infatti, si distinguono:
- clausole di mero gradimento, in cui il trasferimento delle quote dipende da un placet da parte di determinati soggetti (organi sociali, soci, terzi) senza limiti, condizioni o criteri di scelta predeterminati: il gradimento è perciò in questo caso puramente discrezionale;
- clausole di gradimento non mero, le quali prevedono che l’acquirente della quota di partecipazione acquisisca lo stato di socio previo consenso di un soggetto, ma a condizioni e limiti per l’accettazione prestabiliti.
Nelle clausole di gradimento non mero, il gradimento viene concesso o negato sulla base di criteri di valutazione predeterminati e obiettivi, riferiti alle esigenze della singola impresa, al suo oggetto sociale, all’attività svolta o alla sua composizione soggettiva, ovvero sulla base della sussistenza di determinati requisiti personali, qualità o condizioni oggettive dei soci (cittadinanza, residenza, iscrizione in albi, parentela, etc.).
Tali clausole non attribuiscono al socio che si vede rifiutato il trasferimento alcun diritto di recesso , in quanto il soggetto chiamato ad esprimere il gradimento deve rispettare dei parametri oggettivi, senza alcuna discrezionalità, con la conseguenza che vengono eliminati alla radice eventuali strumentalità nell’esercizio di tale potere.
Qualora invece l’atto costitutivo subordini il trasferimento delle quote al mero gradimento degli organi sociali, di soci o di terzi, il socio ha diritto di recedere dalla società, ai sensi dell’art. 2473 c.c. Anche in questo caso, lo statuto può prevedere un termine non superiore a due anni, a decorrere dalla costituzione della società o dalla sottoscrizione della partecipazione, prima del quale il recesso non può esercitarsi.
Secondo l’orientamento prevalente, tuttavia, in presenza di una clausola di mero gradimento, il diritto di recesso spetta al socio solo qualora il placet al trasferimento della partecipazione non venga, in concreto, concesso. Infatti, se il diritto di recesso dovesse dipendere dalla semplice presenza di tali clausole nello statuto, il diritto di exit del socio assumerebbe i caratteri di un vero e proprio recesso ad nutum, che farebbe venire meno l’interesse alla salvaguardia della continuità e della stabilità dei rapporti societari, che rappresenta la principale finalità delle clausole di gradimento; in tali clausole, l’interesse del socio a non rimanere prigioniero della società è tutelato, in concreto, laddove il gradimento sia negato.
Si ritiene altresì che il diritto di recesso non spetti al socio nel caso delle clausole di gradimento c.d. “alla francese”, nelle quali il diniego del gradimento deve essere necessariamente accompagnato dall’indicazione di un soggetto terzo disponibile ad acquistare le quote entro un termine prestabilito ed a parità di condizioni rispetto al programma negoziale originariamente convenuto dal socio-alienante con l’acquirente non gradito. In tale ipotesi, infatti, al socio-cedente viene comunque garantita la possibilità di dismettere la propria partecipazione alle medesime condizioni alle quali avrebbe perfezionato l’accordo di cessione originario.
Allo stesso modo, si ritiene che al socio non spetti il diritto di recesso : in presenza di una clausola di mero gradimento che obblighi, in caso di diniego del placet, uno o più soci all’acquisto della partecipazione di quello uscente. Tuttavia, in presenza di tale clausola, al fine di garantire il diritto del socio uscente ad un’equa valorizzazione della partecipazione, è necessario, a pena di inefficacia, che la disposizione statutaria preveda che il corrispettivo della cessione sia determinato attraverso l’applicazione dei criteri di cui all’articolo 2473, terzo comma, c.c.
Non è invece condizione sufficiente ad escludere la sussistenza di un gradimento “mero”, e quindi ad escludere il recesso del socio, la sola previsione – all’interno della clausola statutaria – di un obbligo di motivare il diniego del gradimento; tale obbligo costituisce infatti un mero adempimento formale e procedimentale, di per sé inidoneo a garantire l’effettiva libertà del socio al disinvestimento della partecipazione.
Per l’introduzione della clausola di gradimento nello statuto è richiesto, in sede di assemblea straordinaria, il consenso di tutti i soci, in quanto tale decisione attiene alla disposizione di facoltà spettanti ai soci individualmente. Per l’eliminazione della clausola in esame invece la giurisprudenza è divisa: secondo un primo orientamento la deliberazione deve essere presa a maggioranza, mentre secondo un diverso orientamento deve essere presa all’unanimità.
Secondo la giurisprudenza prevalente, la mancata espressione del consenso dei soci, specificamente richiesto dallo statuto di una società a responsabilità limitata nel caso di trasferimento di quote sociali per atto tra vivi, rende il trasferimento inefficace, oltre che nei confronti della società, anche nei confronti delle parti, con conseguente impossibilità per il cessionario di esercitare i diritti sociali connessi alla partecipazione trasferita.
4. Le clausole di prelazione
Le clausole di prelazione prevedono che il socio che intenda alienare la propria quota di partecipazione deve prima offrirla in vendita, a parità di condizioni, agli altri soci. La clausola di prelazione ha la finalità di escludere l’ingresso di terzi non aventi i requisiti in base ai quali i soci si sono associati, e/o ad evitare quindi che cambi la misura della propria partecipazione.
L’offerta agli altri soci deriva dal diritto che essi hanno in virtù del contratto sociale, senza nessun obbligo all’acquisto: essi, infatti, hanno precedenza rispetto ai terzi ma possono rinunciarvi.
Esercitando il diritto di prelazione, il socio non solo impedisce l’ingresso del terzo non gradito, ma determina l’acquisto da parte del beneficiario. A differenza quindi del diritto di gradimento, in cui colui che esercita il diritto di veto si limita a sbarrare l’ingresso in società all’estraneo, nella prelazione colui che esercita il potere di impedire l’ingresso nella compagine sociale ne sopporta anche il costo, dovendosi sostituire – a parità di condizioni – all’acquirente proposto dal socio alienante e garantendo a quest’ultimo lo stesso corrispettivo percepibile attraverso la libera vendita sul mercato.
Quando sia prevista la prelazione, il socio intenzionato ad alienare deve preventivamente offrire la propria partecipazione in vendita agli altri soci, formulare una comunicazione alla società o agli altri soci (denuntiatio), che deve contenere alcuni elementi imprescindibili, ovvero:
- il prezzo della cessione e le condizioni di acquisto;
- il termine entro il quale gli altri soci devono esercitare il diritto di prelazione, trascorso il quale, in assenza di alcuna manifestazione di volontà, il socio alienante sarà libero di trasferire la partecipazione al terzo;
- indicazione del nome del terzo offerente.
La prelazione spetta “a parità di condizioni”, nel senso che i soci hanno il diritto di acquisire la partecipazione del socio allo stesso prezzo di vendita pattuito da quest’ultimo con il terzo. Tale aspetto può prestarsi a facili elusioni, ossia artificiosi gonfiamenti di prezzo, al solo fine di scongiurare l’esercizio della prelazione da parte dei soci. Per contrastare tale fenomeno, viene generalmente prevista la possibilità, per i soci che ne facciano richiesta, di chiedere l’intervento di un perito estimatore, qualora sia ritenuto troppo elevato il corrispettivo pattuito per il trasferimento; la valutazione eseguita dal perito – il quale dovrà tener conto del valore effettivo della partecipazione – costituirà il prezzo vincolante per l’esercizio della prelazione.
Le clausole di prelazione possono essere suddivise in:
- clausole di prelazione “proprie”, nelle quali il prezzo di cessione non è sottratto alla libera determinazione dell’alienante;
- clausole di prelazione “improprie”, nelle quali la determinazione del prezzo è sottratta alla libera determinazione dell’alienante, ma è rinviata ad un terzo soggetto (arbitratore).
Le clausole di prelazione “impropria” sono finalizzate ad evitare il rischio che il prezzo dell’alienante sia artefatto e quindi eccessivo rispetto al suo reale valore, per scoraggiare la prelazione dei beneficiari; si prevede quindi la possibilità per i soci titolari del diritto di prelazione di contestare il corrispettivo offerto dal terzo a fronte del trasferimento della partecipazione sociale, sulla base dell’applicazione di criteri espressamente indicati in statuto per la determinazione del prezzo a cui la prelazione potrà essere esercitata.
La clausola di prelazione impropria si configura quindi sostanzialmente come una clausola di mero gradimento: la stessa potrà quindi essere considerata valida e legittima solo a condizione che preveda la corresponsione di un corrispettivo almeno pari a quello che spetterebbe al socio in caso di recesso, ovvero una somma corrispondente al valore effettivo delle quote cedute, calcolato secondo i criteri previsti dall’art. 2473 c.c. per la liquidazione del socio receduto, o comunque non inferiore al corrispettivo eventualmente offerto dal terzo acquirente.
Poiché la prelazione si può trasformare in facile strumento di contestazione tra soci, è opportuno che lo statuto regoli in maniera puntuale i seguenti aspetti:
- in quali casi spetta il diritto di prelazione, ossia solo per i negozi traslativi a titolo oneroso, quali la compravendita, la permuta, la cessione del solo usufrutto, etc., ovvero anche per i negozi a titolo gratuito;
- con quali forme il socio che intende alienare deve comunicare tale intenzione agli altri soci, nonché il contenuto che l’offerta in prelazione deve rispettare;
- le conseguenze in caso di esercizio parziale della prelazione, e in particolare la possibilità per i soci che hanno manifestato l’intenzione di acquistare le quote in conseguenza della prelazione di acquisire, in proporzione alla quota di partecipazione, l’eventuale inoptato.
Secondo la giurisprudenza prevalente, la delibera che inserisca una clausola di prelazione in statuto o elimini la clausola prima esistente richiede l’unanimità, in quanto l’introduzione di un diritto di prelazione limita il diritto soggettivo del socio ad alienare liberamente la propria partecipazione – e ciò richiede il consenso di tutti i soci – mentre la soppressione della prelazione originariamente prevista nello statuto non potrebbe declassare la posizione del socio a quella di titolare di meri interessi protetti saltuariamente.
La prelazione statutaria, richiedendo, quale presupposto applicativo, la manifestazione, da parte di un socio, della volontà di alienare la propria quota, non è riferibile ad ipotesi, quali ad esempio la fusione e la scissione, in cui il mutamento nella titolarità della partecipazione di un socio non corrisponde ad un trasferimento della partecipazione. A maggior ragione, nel caso in cui lo statuto preveda una clausola di prelazione e muti la titolarità del controllo in una società socia, non si verifica una circolazione delle quote emesse dalla prima società, con conseguente inapplicabilità della relativa previsione statutaria.
L’inserimento della clausola di prelazione nello statuto comporta che la relativa previsione ha efficacia reale: essa, infatti, risulta opponibile ai terzi acquirenti e alla società. La conseguenza di una violazione della clausola di prelazione statutaria è quindi l’inefficacia nei confronti della società e dei soci del contratto di cessione di partecipazioni, con la conseguenza che non è possibile procedere all’iscrizione a libro soci. Si ritiene tuttavia che la violazione della prelazione non comporti l’insorgere di un diritto di riscattare la partecipazione oggetto della cessione, salvo che tale diritto sia stato espressamente previsto dallo statuto.
Viceversa, la clausola di prelazione inserita in un patto parasociale ha solo efficacia obbligatoria tra i soci aderenti.
Se siete interessati a scaricare un modello di clausole di limitazione del trasferimento di quote di S.r.l., inviate una mail al seguente indirizzo: info@studio-pandolfini.it.
5. Le clausole di co-vendita
E’ sempre più diffuso l’inserimento negli statuti o nei patti parasociali delle c.d. clausole di covendita, ovvero delle clausole con cui i soci regolamentano la futura cessione delle proprie partecipazioni, coordinandole tra di loro in modo da facilitarne la circolazione, evitando che una singola partecipazione non riesca ad essere trasferita e garantendo un miglior ritorno economico attraverso la vendita congiunta.
Rispetto alle altre clausole che limitano la circolazione delle azioni, le clausole di covendita presentano una peculiarità, consistente nel fatto che esse impongono a taluni soci scelte obbligate che derivano da decisioni di altri soci. Così, nel caso della clausola tag along (v. par. 5.1.), il socio di maggioranza che intende alienare le proprie partecipazioni è costretto, su volontà dei soci di minoranza, a garantire l’impegno all’acquisto, da parte del terzo acquirente e alle stesse condizioni economiche, anche delle quote di minoranza. Nel caso della drag along (v. par. 5.2.) e della bring along (v. par. 5.3.), invece, i soci di minoranza sono obbligati a vendere le loro azioni qualora il socio di maggioranza decida di alienare la propria quota societaria.
Le clausole di co-vendita hanno essenzialmente una duplice finalità:
- mantenere la coesione tra soci che hanno tra loro un rapporto fiduciario (come accade tra soci legati da rapporti familiari), che desiderano legare i destini delle rispettive partecipazioni, in modo che qualora venisse ceduta la partecipazione di un socio, dovrà essere ceduta anche quella dell’altro (o quantomeno dovrà essere offerta anche all’altro la possibilità di cederla);
- regolare l’ingresso di nuovi membri (spesso di maggioranza) nella società, garantendo al socio investitore (fondi di private equity, venture capitalist, soggetti finanziari in genere) un diritto di “uscita” (exit) dal proprio investimento e, contestualmente, al socio di minoranza di beneficiare del premio di maggioranza del quale, nell’ambito di una semplice compravendita, egli non usufruirebbe. Gli investitori finanziari hanno infatti generalmente l’obiettivo di ottenere il maggior vantaggio economico possibile dalla futura rivendita della partecipazione sociale e di garantirsi una significativa plusvalenza rispetto al prezzo di acquisto; dato tale obiettivo, il socio finanziario ha interesse ad usufruire di clausole che facilitino il più possibile la dismissione al tempo debito delle proprie partecipazioni.
Secondo la giurisprudenza prevalente, per l’introduzione delle clausole di covendita in un momento successivo alla costituzione della società (posto che in sede costitutiva è evidente che lo statuto derivi dalla volontà unanime di tutti i soci) è necessaria l’unanimità dei soci, date le peculiarità di tali clausole rispetto alle ordinarie clausole limitative della circolazione delle azioni. In particolare, l’unanimità è richiesta per l’introduzione di clausole di drag along e bring along, che obbligano i soci di minoranza a sottostare, senza possibilità di scelta, alle volontà del socio di maggioranza. Quanto alla tag along, invece, poiché la stessa non priva i soci di minoranza del potere di disporre delle proprie quote sociali, si ritiene sufficiente una deliberazione a maggioranza. Per la soppressione delle clausole di covendita dallo statuto, si ritiene necessaria l’unanimità.
La violazione di una clausola di co-vendita comporta conseguenze differenti a seconda che sia contenuta nello statuto o in patto parasociale. Nel caso di clausola parasociale, la stessa è riconducibile nello schema della promessa del fatto del terzo (art. 1381 c.c.); il rimedio esperibile dalla parte non inadempiente è quindi esclusivamente di natura obbligatoria, ovvero risarcitorio. La clausola statutaria di co-vendita ha invece efficacia reale, e quindi il trasferimento è inopponibile nei confronti della società ai fini dell’iscrizione a libro soci.
Le clausole di co-vendita si distinguono, in base agli interessi tutelati e alla posizione assunta dai soci coinvolti, in:
- clausole di tag along (v. par. 5.1.);
- clausole di drag along (v. par. 5.2);
- clausole di bring along (v. par. 5.3);
5.1 Le clausole di tag along
Le clausole di tag along (diritto di co-vendita o di seguito) prevedono che, qualora un socio intenda vendere la propria partecipazione, deve consentire agli altri soci di vendere contestualmente al terzo acquirente anche la loro partecipazione, a condizioni predefinite. Il socio di minoranza può quindi “seguire” il socio di maggioranza nella cessione delle proprie quote, approfittando delle condizioni economiche ottenute da quest’ultimo nella negoziazione con il terzo potenziale acquirente.
Il soggetto che abbia intenzione di cedere le proprie partecipazioni deve ottenere l’impegno da parte del cessionario ad acquistare anche i titoli detenuti dal socio minoritario, alle medesime condizioni accordate all’altro, permettendo così ai soci di minoranza di godere della forza contrattuale di cui gode sul mercato il socio di maggioranza, beneficiando dell’eventuale premio di controllo.
La clausola tag along è generalmente posta a tutela dei soci di minoranza. Essa attribuisce, infatti, a questi ultimi il diritto ad usufruire delle condizioni economiche ottenute dal socio di maggioranza in caso di vendita della relativa partecipazione rilevante. In forza di questa clausola, il soggetto intenzionato a cedere la propria partecipazione deve ottenere dall’acquirente l’impegno all’acquisto delle residue quote alle medesime condizioni a lui riconosciute; il socio di minoranza ha, quindi, il diritto di “co-vendere” a fronte di una offerta irrevocabile di acquisto proveniente dal terzo acquirente. In questo modo, i soci di minoranza possono avvantaggiarsi della forza contrattuale di cui gode sul mercato il socio di maggioranza, ad esempio nella determinazione del prezzo unitario di vendita, eventualmente comprensivo di un “premio di maggioranza”.
La clausola tag along pone, quindi, in capo al socio di maggioranza che intende vendere ad un terzo la propria partecipazione l’obbligo di procurare al socio di minoranza un’offerta di acquisto delle quote partecipative da esso detenute; il terzo acquirente è obbligato ad acquistare alle medesime condizioni convenute con il socio di maggioranza. Il socio di minoranza, in ogni caso, resta libero di vendere o meno la propria partecipazione.
Tale clausola prevede, infatti, che il terzo – acquirente della partecipazione di maggioranza – si renda cessionario anche delle partecipazioni dei soci di minoranza, e determina la sospensione dell’efficacia della vendita azionaria da parte del socio di maggioranza per un certo periodo di tempo, durante il quale i soci di minoranza decidono se “accodare” all’alienazione originaria, proposta dal socio di maggioranza, anche la vendita delle loro azioni. Nel caso in cui i soci di minoranza decidano di esercitare il diritto derivante dalla clausola tag along, verrà definita una nuova proposta di vendita da proporre all’acquirente.
La clausola offre, dunque, una via di uscita ai soci di minoranza al verificarsi di cambiamenti della compagine sociale, soprattutto quando la loro partecipazione alla società dipenda da rapporti, anche personali, con il socio di maggioranza alienante.
5.2 La clausola di drag along
Le clausole di drag along (obbligo di co-vendita o clausola di trascinamento) prevedono che, nel caso in cui un socio intenda vendere la propria partecipazione, potrà obbligare gli altri soci a vendere contestualmente al terzo acquirente anche la loro partecipazione, a condizioni predefinite. Il socio di maggioranza ha quindi il diritto di “trascinare” il socio di minoranza nelle proprie negoziazioni con il terzo potenziale acquirente della propria partecipazione, “forzando” la vendita delle quote detenute dal socio minoritario.
In forza della clausola drag along, il socio venditore (generalmente socio di maggioranza) ha quindi il diritto di vendere, insieme alla propria partecipazione, anche le partecipazioni dell’altro socio (solitamente di minoranza), assicurandogli le medesime condizioni contrattuali ed il medesimo prezzo unitario ottenute nella propria contrattazione. Il socio di minoranza ha il diritto di essere “trascinato” nella negoziazione (e coinvolto, ovviamente, al buon esito della trattativa, anche nel medesimo negozio di cessione).
Tale clausola persegue essenzialmente la finalità di:
- assicurare la possibilità per l’acquirente di acquistare fino al 100% del capitale senza avere scomodi soci di minoranza, rendendo così più appetibile sul mercato l’operazione di acquisizione della maggioranza (o della totalità) di una società-target.
Il beneficiario principale di tale clausola è quindi generalmente il socio di maggioranza che, in caso di cessione della propria partecipazione sociale, può obbligare all’exit anche il socio di minoranza, garantendo maggiori vantaggi al terzo acquirente, il quale può avere interesse ad acquisire l’intero capitale sociale, o comunque la maggioranza assoluta delle partecipazioni, eliminando la presenza di minoranze e i diritti che queste possono esercitare.
Tuttavia, la clausola drag along può risultare vantaggiosa anche per i soci di minoranza che volessero speculare sul valore delle loro partecipazioni, dal momento che le stesse verrebbero valutate al pari di quelle del socio di maggioranza; in tal modo, il socio di minoranza può spuntare un prezzo migliore rispetto a quello ottenibile con una contrattazione sul mercato, e usufruire dell’eventuale “premio di maggioranza”.
Peraltro, mentre con la clausola tag along il socio di minoranza conserva un margine di discrezionalità, potendo rifiutare l’offerta irrevocabile di acquisto preveniente dal terzo, con la clausola drag along tale margine diminuisce, in quanto se le condizioni di vendita sono quelle previste per il socio di maggioranza, il socio di minoranza non può opporsi al fatto che la propria partecipazione sia conglobata in tutto o in parte nella proposta di vendita al terzo acquirente. In altri termini, se le condizioni economiche sono rispettate, la posizione del socio di minoranza muta di fatto in un “obbligo al trascinamento”, non essendovi quello spatium deliberandi presente invece nella clausola tag along.
Le clausole drag along vengono solitamente richieste dalle banche d’affari, dai fondi di investimento o, più in generale, da un c.d. partner finanziario. Tali soggetti, infatti, sono accomunati dall’obiettivo di intendere la partecipazione societaria come forma di investimento finanziario a breve o medio termine; l’acquisto e la detenzione di una partecipazione sono finalizzati all’ottenimento di una remunerazione del capitale investito, eventualmente raccolto presso terzi (investitori privati), realizzata a seguito della successiva rivendita della partecipazione stessa.
Per tali motivi, le clausole di drag along sono spesso inserite nelle operazioni c.d. di venture capital, in cui il venture capitalist ha l’interesse di ottenere modalità di uscita dalla compagine societaria trasparenti e vantaggiose, mirate alla massimizzazione dell’investimento finanziario fatto a medio termine.
Secondo la giurisprudenza prevalente, la clausola drag along è legittima solo a certe condizioni, idonee ad evitare il rischio che il socio di minoranza possa essere estromesso coattivamente da parte del socio di maggioranza”. In particolare, è necessario che la partecipazione del socio di minoranza sia equamente valorizzata; pertanto, al socio obbligato a cedere la propria partecipazione deve essere offerto almeno il valore che gli sarebbe riconosciuto in sede di liquidazione della quota a seguito del recesso (art. 2437 ter, commi 2 e 4, c.c.), ovvero, almeno un valore che non provochi un danno al socio stesso. Ai fini dell’equa valorizzazione della partecipazione, a nulla rileva l’esistenza di una clausola di prelazione, poiché l’esercizio del diritto di prelazione, quale alternativa all’obbligo di covendita, non garantisce la congruità del prezzo di alienazione della partecipazione.
5.3 Le clausole di bring along
Le clausole di, bring along (trascinamento automatico) prevedono un trascinamento automatico del socio di minoranza nelle negoziazioni fra socio maggioritario e terzo potenziale acquirente; esse si distinguono dalle clausole di drag along in quanto la decisione sul trascinamento è rimessa non al cedente originario, bensì al terzo possibile acquirente.
La clausola di bring along tutela quindi in modo particolare l’interesse del terzo potenziale acquirente, il quale non dovrà in tal modo fare affidamento sulla decisione del socio di maggioranza di esercitare il diritto di trascinamento.
La clausola bring along costituisce sostanzialmente una variante della clausola drag along; essa disciplina, infatti, il diritto “di trascinare” nella negoziazione, avente ad oggetto la partecipazione di maggioranza al capitale sociale, anche le partecipazioni di altri soci. Il beneficiario diretto di una clausola bring along è il socio di maggioranza, che in caso di cessione delle proprie partecipazioni ha il diritto di obbligare anche il socio di minoranza (o più soci, costituenti la minoranza assembleare) a cedere il proprio.
Questa clausola è vista con grande interesse dall’aspirante partner industriale, il quale di solito è interessato all’acquisto di partecipazioni rilevanti, costituenti un investimento stabile nel tempo e finalizzato alla gestione della società, con modifiche strutturali della governance. L’inserimento di una clausola bring along può risultare utile nella prospettiva di un terzo acquirente che intende investire stabilmente nella società in tutte quelle situazioni in cui il socio di minoranza abbia un peso rilevante, anche a prescindere dalla misura della partecipazione al capitale. Si pensial caso in cui ad un socio di minoranza di S.r.l. sia stato attribuito, in ragione delle sue comprovate qualità tecnico-manageriali, un diritto di veto sulle nomine dei membri dell’organo amministrativo ovvero una facoltà di nomina rilevante.
In queste ipotesi, la clausola bring along rappresenta la risposta più efficace per chi intende acquistare il controllo della società target; Il caso tipico è la promessa di acquistare una partecipazione societaria condizionata al raggiungimento della disponibilità di un determinato quorum: in tale situazione è indispensabile l’adesione degli altri partner, per cui è opportuno dotarsi preventivamente di una clausola bring along, in difetto della quale si rischia di rimanere intrappolati nella società-target, senza averne di fatto il controllo.
Anche ai fini della legittimità della clausola bring along si ritenere necessaria – pena la nullità della clausola stessa – l’ “equa valorizzazione” della partecipazione, trattandosi di una clausola, al pari della drag along, da cui deriva lo stesso obbligo di cessione, senza possibilità di scelta, da parte dei soci di minoranza.
Tabella riassuntiva delle clausole di covendita
CLAUSOLA | SOCI TUTELATI | PRESUPPOSTO | CARATTERISTICHE DELLA CLAUSOLA |
TAG ALONG | Soci di minoranza | Alienazione delle azioni da parte del socio di maggioranza | · I soci di minoranza hanno il diritto di vendere le proprie azioni alle stesse condizioni economiche offerte al socio di maggioranza
· Il socio di maggioranza si impegna affinché il terzo acquirente presenti un’offerta irrevocabile di acquisto ai soci di minoranza |
DRAG ALONG | Soci di maggioranza
+ Soci di minoranza |
Alienazione delle azioni da parte del socio di maggioranza | · Il socio di maggioranza ha il diritto di negoziare l’intero capitale sociale (proprie azioni + azioni dei soci di minoranza).
· I soci di minoranza sono obbligati ad alienare le proprie partecipazioni. · I soci di minoranza possono speculare sul “premio di maggioranza”. |
BRING ALONG | Soci di maggioranza | Alienazione delle azioni da parte del socio di maggioranza
+ Particolari diritti dei soci di minoranza |
· Il socio di maggioranza ha il diritto di negoziare l’intero capitale sociale (proprie azioni + azioni dei soci di minoranza).
· I soci di minoranza sono obbligati ad alienare le proprie partecipazioni. · I soci di minoranza possono speculare sul “premio di maggioranza”. |
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Avv. Valerio Pandolfini
Avvocato specializzato in diritto Societario
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