Quando i soci litigano: come risolvere le situazioni di stallo decisionale nelle società (deadlock)
Lo stallo decisionale nelle società: cos’è, da dove nasce e quali conseguenze può avere
Nelle società – siano esse di persone o di capitali – le situazioni di stallo decisionale (deadlock) sono piuttosto frequenti. Come è noto, tali situazioni si verificano quando i soci non raggiungono le maggioranze necessarie per assumere determinate decisioni (al livello sia gestorio che assembleare), a causa del dissenso di uno o più soci o del loro disinteresse nei confronti dell’attività d’impresa.
Ciò accade frequentemente nelle società caratterizzate dalla partecipazione di soci paritetici, con conseguente sostanziale bilanciamento dei voti in capo agli stessi.
In tali contesti – tipici delle società personali e delle S.r.l. di piccole dimensioni – i contrasti gestionali sono difficilmente risolvibili col principio maggioritario.
Ma una situazione analoga può anche accadere quando vi sia una ripartizione di azioni o quote all’interno della società che possono portare al bilanciamento di voti (ad esempio un socio al 50% e due soci al 25%, quattro soci al 25%, etc.) o quando i soci di minoranza riescano, in virtù del loro particolare peso all’interno della società, ad imporre (nello statuto o nei patti parasociali) maggioranze qualificate per determinate decisioni, condizionando con il proprio consenso l’adozione di determinate delibere.
I dissidi tra i soci possono verificarsi per i più vari motivi, non necessariamente attinenti alla gestione aziendale; spesso essi emergono o sono acuiti in situazioni di crisi aziendale (quando i soci ad esempio non sono d’accordo circa la possibile linea da seguire per uscire dalla crisi), o, all’opposto, in situazioni in cui la società ottiene risultati particolarmente brillanti (quando ad esempio un socio è interessato ad uscire dalla società valorizzando al massimo la propria partecipazione).
Gli strumenti attraverso i quali un socio può manifestare il proprio dissenso o disinteresse, mettendo in difficoltà gli altri soci ed ostacolando l’operatività della società (strumenti che possono portare allo stallo decisionale delle società), sono molteplici: ad esempio, può rifiutare di approvare il bilancio, e/o impugnare la relativa delibera di approvazione; può rifiutarsi di deliberare la vendita di un importante cespite, o un importante investimento della società; può rifiutarsi di approvare unaumento di capitale, etc.
Frequenti sono poi i casi di comportamenti ostruzionistici, come la richiesta di pagamento di supposti utili non percepiti, diffide, denunce, dimissioni dalla carica amministrativa, rifiuto di compimento di atti, richiesta di documenti e di ispezioni contabili, etc.
Le situazioni di stallo societario delle società sono potenzialmente pericolose.
Il disaccordo tra i soci, specie se continuo e ripetuto, può essere notato dagli stakeholders, che così possono cominciare a dubitare della continuità aziendale. Possono sorgere problemi pratici che intralciano operativamente l’impresa.
Nei casi più gravi, in assenza di rimedi, si può giungere alla paralisi generale delle attività, con conseguente scioglimento della società e perdita del valore degli asset e/o del valore delle quote di partecipazione.
Purtroppo, raramente i soci prevedono l’accadere di simili situazioni in sede di costituzione della società – trovandosi inizialmente in una situazione di comunione di intenti e di condivisione di obiettivi – e conseguentemente spesso non prevedono accorgimenti idonei a risolverle. In tal modo, quando il contrasto gestionale si verifica e diviene insanabile, le conseguenze sono spesso gravi ed irreversibili.
E’ viceversa molto più utile risolvere le situazioni di stallo decisionale delle società (deadlock) attraverso specifiche ed idonee previsioni pattizie ex ante – cioè inserite al momento della costituzione della società, nello statuto e/o nei patti parasociali – volte alla risoluzione dell’eventuale contrasto, e preservare la funzionalità e la continuità dell’impresa.
Nella prassi italiana le tecniche anti-stallo sono utilizzate nella maggior parte dei casi da società di dimensioni medio-grandi, ma si prestano in realtà ad essere inserite negli statuti e nei patti parasociali di tutte le società.
Clausole anti-stallo, casting votes, intervento di un terzo.
Anzitutto si possono prevedere (nello statuto e/o nei patti parasociali) clausole anti-stallo, che prevedono la reiterazione dei tentativi di giungere ad una soluzione concordata (ad esempio si può prevedere lo svolgimento di successive riunioni) e, in caso di fallimento di tali tentativi, una escalation del livello decisionale (ad esempio, si può prevedere che in caso di mancato accordo degli amministratori la decisione venga rimessa all’assemblea dei soci).
Tali previsioni tuttavia possono agevolare la risoluzione dello stallo decisionale delle società, ma non la garantiscono.
E’ possibile poi introdurre dei meccanismi che prevedono in caso di stallo per bilanciamento di voti la prevalenza della volontà di una delle parti (casting vote); in tal caso si attribuisce al voto di un socio la prevalenza su quello degli altri soci, nelle delibere attinenti determinate materie.
Tali meccanismi non sono peraltro di facile introduzione, in quanto uno dei soci paritetici dovrebbe accettare, di fatto, una posizione subordinata all’altro socio.
Un’altra possibilità consiste nel prevedere l’intervento di un terzo indipendente per risolvere le eventuali divergenze circa scelte operative. Il terzo può essere intestatario in via fiduciaria di azioni o quote, con relativo mandato a votare, in caso di stallo, nell’interesse esclusivo della società, in modo da risultare decisivo nell’ambito dei voti contrapposti dei soci.
Oppure è possibile che il terzo intervenga quale arbitratore, ai sensi dall’art. 37 D.lgs. n. 5/2003. Tali strumenti possono essere di una certa efficacia quando il contrasto tra soci è limitato alla decisione sul compimento di singoli atti di gestione, ma non sono idonei a risolvere i dissidi che riguardano la complessiva gestione della società. Senza contare soci sono spesso riluttanti ad ammettere che un terzo si intrometta nella gestione della società.
Put&call options
Più efficaci ad evitare o risolvere situazioni di deadlock (stallo decisionale delle società) sono i meccanismi che prevedono il trasferimento dall’uno all’altro socio (o gruppi di soci) della partecipazione societaria (buy-sell provisions).
In tal modo, il socio dissidente o disinteressato (che dà luogo alla situazione di impasse societario) viene messo nella condizione di abbandonare la compagine sociale o, qualora lo dovesse ritenere maggiormente conveniente, procedere a propria volta all’acquisto della partecipazione dell’altro socio.
Naturalmente, a tale risultato i soci potrebbero sempre pervenire attraverso una negoziazione tra loro, una volta insorta la situazione di impasse.
Una trattativa diretta tra le parti ha senza dubbio il vantaggio di creare piattaforme negoziali articolate (in termini di prezzo, termini di pagamento, liquidazione di posizioni e ruoli pregressi, tempi di realizzazione dell’operazione, etc.) che possono essere ritagliate sulle esigenze e sulle capacità finanziarie delle parti coinvolte.
Tuttavia, in situazioni di stallo tali trattative sono generalmente difficili (ad esempio perché il socio dissenziente tende ad alzare la valutazione della propria quota ben oltre il valore di mercato della stessa) e comunque implicano tempi mediamente lunghi.
E’ quindi preferibile prevedere ex ante (cioè prima del sorgere della situazione di stallo, nello statuto e/o nei patti parasociali) la way-out di un socio attraverso determinate clausole.
La più frequentemente utilizzata è quella che prevede opzioni di put and call reciproche.
L’opzione put (opzione di vendita) obbliga un socio a vendere una determinata quantità delle proprie partecipazioni sociali a un prezzo determinato o determinabile secondo formule matematiche volte a determinarne il fair value, eventualmente con l’intervento di un terzo arbitratore; l’opzione call (opzione di acquisto) concede a un socio la facoltà di acquistare le partecipazioni sociali altrui, sempre a un prezzo fissato o determinabile.
L’incrocio di queste opzioni crea una situazione in cui un socio può essere obbligato ad acquistare le partecipazioni altrui o a vendere le proprie in risposta all’iniziativa assunta dall’altra parte. Chi assume l’iniziativa – perché tempestivo o perché è il soggetto cui è stata attribuita tale facoltà contrattualmente – si trova in una situazione di vantaggio, in quanto può imporre all’altro socio la soluzione che predilige.
La validità dell’opzione put, sotto il profilo del divieto del patto leonino, è stata più volte vagliata dalla giurisprudenza, che ne ha stabilito la legittimità sotto alcune condizioni e limiti, tra cui appunto il caso in cui tale opzione sia condizionata al verificarsi di una situazione di stallo decisionale delle società, in quanto espressione di un interesse alla buona gestione dell’impresa.
Per tali ragioni è possibile ammettere l’esistenza di patti qualificabili come oggettivamente. determinati eventi.
Russian roulette clause
Una variante dell’opzione put&call, che sempre più frequentemente viene prevista all’interno dei patti parasociali, è la clausola della c.d. roulette russa (Russian roulette clause). Si tratta di una clausola, di regola inserita in un patto parasociale, finalizzata a risolvere le fasi di stallo decisionale delle società derivanti, in particolare, dalla presenza di partecipazioni assembleari paritetiche.
Per effetto della clausola della roulette russa, in caso di deadlock un socio assume irrevocabilmente l’obbligazione alternativa di vendere o di acquistare la partecipazione dell’altro socio.
Ciascun socio può formulare un’offerta di acquisto, ad un dato prezzo, della partecipazione dell’altro socio, mentre quest’ultimo, se non intende cedere la propria partecipazione, è obbligato ad acquisire quella del socio che ha operato la determinazione del valore.
Questa tecnica ha il vantaggio di fornire una soluzione rapida del deadlock e di non richiedere la nomina di un terzo valutatore (a cui molto spesso si è costretti in caso di opzione put&call); tuttavia, può incoraggiare il socio più facoltoso a creare ad arte una situazione di stallo, per acquistare ad un prezzo basso la quota dell’altro socio.
Infatti, se è vero che questo meccanismo incentiva generalmente il socio offerente a proporre un prezzo equo per l’acquisto delle quote dell’altro socio, potendo essere a sua volta costretto a vendere le sue quote (nel qual caso una valutazione al di sotto dei valori reali risulterebbe a lui svantaggiosa), qualora un socio fosse consapevole che l’altro socio non abbia la sua stessa disponibilità finanziaria, potrebbe formulare un’offerta di acquisto relativamente bassa – o comunque per lui conveniente e irraggiungibile per l’altra parte – costringendo comunque la controparte a vendere.
Per ovviare a tali inconvenienti, è opportuno prevedere un corrispettivo minimo da indicare nella prima offerta di acquisto, preventivamente determinato o determinabile tramite l’applicazione di una formula aritmetica o l’intervento di un arbitratore.
La Russian roulette clause può essere predisposta con molte varianti.
E’ ad esempio possibile prevedere che, dopo che un socio abbia presentato l’offerta di acquistare la partecipazione di un altro socio a un certo prezzo, la controparte possa accettare di vendere oppure sia obbligata a formulare una proposta di acquisto ad un prezzo maggiore rispetto a quello che gli era stato offerto (c.d. Texas shootout).
In alternativa, entrambe le parti devono consegnare una busta chiusa a un terzo, e chi ha offerto il prezzo maggiore, acquista le quote dell’altro (fairest sealed bid).
Ancora, è possibile prevedere un vero e proprio processo d’asta, consentendo al socio che propone l’offerta di acquisto o di vendita di rilanciare nel caso in cui chi riceva la prima offerta decida di acquistare.
In questi casi il prezzo della partecipazione potrebbe continuare a salire in relazione ai rilanci dei soci, finché un’offerta non verrà accettata.
Avv. Valerio Pandolfini