L’impugnazione delle delibere assembleari nelle S.p.a. e nelle S.r.l.
Le delibere assembleari ricoprono un ruolo di fondamentale importanza nella vita societaria; esse sono il mezzo tramite il quale viene data voce alla volontà della maggioranza e, con la cui attuazione, si instaura una fitta rete di rapporti vincolante i terzi e la società stessa. Le società di capitali italiane, soprattutto le Srl, sono caratterizzate da una compagine sociale ristretta, consistente di pochi soci, spesso legati da vincoli familiari. I conflitti fra soci sono frequenti nella prassi e trovano espressione nell’impugnazione delle delibere assembleari da parte del socio di minoranza. Atteso il principio maggioritario, le deliberazioni sono vincolanti anche per i soci di minoranza che abbiano votato contro. L’unica possibilità di opporsi alla volontà del socio di maggioranza è quella di impugnare le delibere assembleari, se esse presentano profili di illegittimità. L’invalidità delle delibere assembleari è disciplinata dagli artt. 2377-2379 c.c. per le S.p.A. e dall’art. 2479 ter c.c. per le S.r.l. Tali norme riproducono la tradizionale distinzione fra nullità ed annullabilità propria della disciplina dei contratti (artt. 1418 ss. c.c.); tuttavia, le cause di nullità e di annullabilità delle delibere assembleari e la relativa regolamentazione sono delineati in modo autonomo, dando vita ad un sistema speciale rispetto a quello della generale invalidità negoziale.
1. L’impugnazione delle delibere nella S.p.a.
Le delibere assembleari ricoprono un ruolo di fondamentale importanza nella vita societaria; esse sono il mezzo tramite il quale viene data voce alla volontà della maggioranza e, con la cui attuazione, si instaura una fitta rete di rapporti vincolante i terzi e la società stessa. In virtù del principio maggioritario, le deliberazioni sono vincolanti anche per i soci di minoranza che abbiano votato contro. L’unica possibilità di opporsi alla volontà del socio di maggioranza è quella di impugnare le delibere assembleari, se esse presentano profili di illegittimità.
Quando l’originaria armonia di vedute della compagine sociale viene meno, è quindi l’organo assembleare a divenire il più probabile teatro dello scontro tra i soci. Le occasioni di conflitto possono essere le più varie: diverse visioni operative, divergenze sulla distribuzione degli utili o su una modifica allo statuto, l’ingresso delle seconde generazioni in azienda o nell’organo amministrativo, desiderio del socio più dinamico di correre da solo, etc.
L’invalidità delle delibere assembleari nelle S.p.A. è disciplinata dagli artt. 2377-2379 c.c. Tali norme riproducono la tradizionale distinzione fra nullità ed annullabilità propria della disciplina dei contratti (artt. 1418 ss. c.c.); tuttavia, le cause di nullità e di annullabilità delle delibere assembleari e la relativa regolamentazione normativa sono delineati in modo autonomo, dando vita ad un sistema speciale rispetto a quello della generale invalidità negoziale.
Le decisioni dell’assemblea hanno infatti un valore organizzativo; la delibera assembleare, al di là della sua natura di atto giuridico negoziale, è un fatto interno all’organizzazione societaria, presupposto di successivi atti organizzativi e negoziali che investono non solo la società ma anche i terzi. Il legislatore pertanto, nel conflitto tra esigenze dell’impresa come organizzazione ed esigenze di tutela dei singoli o delle minoranze, ha privilegiato le prime, favorendo la stabilità dell’azione dell’ente.
In ossequio a tale finalità, sono previsti numerosi limiti all’impugnazione delle delibere assembleari, tra i quali:
- la tutela risarcitoria, volta ad impedire, ove possibile, l’invalidamento della delibera;
- la possibilità per la società di porre rimedio autonomamente ai vizi della delibera, attraverso la sostituzione e la sanatoria.
Nel sistema delineato dagli artt. 2377-2379, la nullità è una sanzione eccezionale, prevista solo per le delibere aventi oggetto impossibile o illecito, cioè contrarie a norme imperative, all’ordine pubblico e al buon costume (art. 2379 c.c.). Sono invece semplicemente annullabili le altre delibere non prese in conformità della legge o dell’atto costitutivo (art. 2377, comma 2 c.c.).
Quando una delibera assembleare è annullabile, essa può essere annullata con una sentenza del Tribunale, su domanda dei soci assenti, dissenzienti o astenuti, oppure degli amministratori o del collegio sindacale (art. 2377 comma 2 c.c.). L’impugnazione deve essere proposta nel breve termine di decadenza di 90 giorni dalla data della deliberazione, ovvero, se questa è soggetta all’iscrizione nel (o al deposito presso il) registro delle imprese, entro 3 mesi dalla data dell’iscrizione o del deposito (art. 2377 comma 6 c.c.); trascorso tale termine, l’invalidità è definitivamente sanata.
Quando invece una delibera è nulla, la nullità può essere dichiarata dal Tribunale, su domanda presentata da chiunque vi abbia interesse; tali possono essere sia gli azionisti che non raggiungono la quota di capitale necessaria per impugnare le delibere annullabili o che siano privi del diritto di voto o godano di diritto di voto limitato, sia i creditori sociali. La nullità può essere fatta valere entro il termine di tre anni che decorrono dalla trascrizione della deliberazione nel libro delle adunanze dell’assemblea ovvero dalla sua iscrizione nel (o dal deposito presso il) registro delle imprese, se vi è soggetta (art. 2379 comma 1 c.c.). Decorso tale termine, l’invalidità è sanata.
In virtù dell’importanza che ricoprono per il proseguimento dell’attività societaria, ad alcune delibere viene destinata, all’interno del codice, una trattazione specifica: è il caso, in particolare, della delibera di approvazione del bilancio (art.2434 bis c.c.).
1.1 La nullità delle delibere assembleari delle S.p.A.
Gli artt. 2379, 2379 bis, 2379 ter c.c. disciplinano, in modo autonomo rispetto alla disciplina generale prevista per i contratti, la nullità delle deliberazioni assembleari nelle S.p.a.
Alle delibere nulle si applica la disciplina generale di cui agli artt. 1421,1422 e 1423 c.c.. Pertanto:
- la nullità può essere fatta valere da chiunque vi abbia interesse e può essere rilevata anche d’ufficio dal giudice;
- l’azione di nullità non è soggetta a prescrizione;
- la delibera nulla non può essere convalidata.
Tuttavia, rispetto alla disciplina generale in tema di nullità dei contratti, la nullità delle delibere assembleari presenta importanti differenze, che rispondono alla finalità di garantire e tutelare lo svolgimento dell’attività sociale. In particolare, come si vedrà meglio in seguito:
- la nullità civilistica è imprescrittibile, mentre l’art. 2379 c.c. prevede la decadenza triennale del termine di impugnazione;
- la nullità delle delibere assembleari può essere sanata, sia esplicitamente e formalmente nelle fattispecie di cui alll’art.2379-bis c.c., sia implicitamente e sostanzialmente in ogni altra ipotesi in cui il meccanismo della sostituzione della delibera impugnata con altra.
I casi di nullità delle delibere sono tassativi. Ai sensi dell’art. 2379 comma 1 c.c. le sole cause di nullità della delibera sono:
- la mancata convocazione dell’assemblea;
- la mancanza del verbale;
- l’impossibilità o illiceità dell’oggetto.
L’ipotesi di nullità della delibera per mancanza di convocazione dell’assemblea è alquanto limitata, in modo da favorire maggiore certezza e stabilità alle deliberazioni approvate. Si ha infatti nullità della delibera solo qualora ricorrano due condizioni:
- l’assemblea deve essere preceduta da un avviso di convoluzione non proveniente da un membro dell’organo amministrativo o di controllo della società;
- l’avviso non deve essere idoneo ad avvertire preventivamente i titolari del diritto di intervento della convocazione e della data della riunione.
Non si ha quindi nullità in caso di irregolarità dell’avviso, se questo proviene da un componente dell’organo di amministrazione o di controllo della società ed è idoneo a consentire a coloro che hanno diritto di intervenire di essere preventivamente avvertiti della convocazione e della data dell’assemblea (art. 2379 c.c. 3°comma).
Occorre tuttavia evidenziare che la mancata convocazione dà luogo alla nullità della delibera, ai sensi dell’art. 2379 c.c., solo se la convocazione proviene da un soggetto non investito nemmeno in parte del relativo potere (ad esempio, da un componente dell’organo sociale cessato dalla carica). Qualora invece qualora la convocazione provenga da un componente dell’organo (amministrativo o di controllo) in carica, l’irregolarità della convocazione è causa di annullabilità della delibera.
La seconda tipologia di vizio suscettibile di provocare la nullità della delibera è la completa assenza del verbale. Anche per il verbale, come per la convocazione, il legislatore ha precisato i requisiti minimi la cui presenza rende impossibile un’azione di nullità; il 3° comma dell’art. 2379 c.c. dispone infatti che il verbale non si considera mancante:
- se contiene la data della deliberazione;
- se il suo oggetto ed è sottoscritto dal presidente dell’assemblea, o dal presidente del consiglio d’amministrazione o del consiglio di sorveglianza e dal segretario o dal notaio.
Infine, l’impossibilità o illiceità dell’oggetto si riferisce alle delibere che sono contrarie a norme imperative, all’ordine pubblico o al buon costume.
Per oggetto della deliberazione deve intendersi agli effetti dell’art.2379 c.c., la materia intorno alla quale l’assemblea è chiamata a deliberare. L’impossibilità dell’oggetto della delibera si verifica quindi quando quest’ultimo non può essere realizzato per impedimenti originari, di natura materiale o giuridica, tali da precludere l’attuazione. In questo senso, sono state considerate nulle per impossibilità dell’oggetto la delibera con cui era stata disposta la riparazione dei beni sociali tra i soci, senza far luogo alla fase di liquidazione, nonché quella con cui era stata pronunciata la decadenza di un sindaco in un’ipotesi in cui la decadenza si era prodotta automaticamente per il verificarsi dei presupposti di legge.
Quanto all’illiceità dell’oggetto, la nullità ricorre solo in caso di contrasto con norme dettate a tutela di un interesse generale, trascendente quello del singolo socio, dirette come tali ad impedire una deviazione dallo scopo essenziale economico-pratico del rapporto societario. Viceversa, la violazione di norme poste a tutela di soci o gruppi di soci dà luogo a semplice annullabilità.
Devono quindi considerarsi illeciti gli oggetti della deliberazione con cui, ad esempio, venga esclusa la distribuzione degli utili ai soci ovvero di quella con cui si neghi il diritto di opzione dei soci nel caso di eventuali aumenti di capitale, o ancora quella atta a rendere più gravoso l’esercizio del recesso. Altri esempi in cui la giurisprudenza ha ritenuto nulla la delibera per illiceità dell’oggetto sono quelli della deliberazione con la quale si sia deciso di sopprimere il collegio sindacale, o di emettere azioni a voto plurimo espressamente vietate, ovvero di non redigere il bilancio di esercizio.
È, inoltre, opinione consolidata che la nullità ricorra quando la delibera abbia un oggetto lecito, ma un contenuto illecito, come qualora venga approvato un bilancio falso o redatto violando i principi di chiarezza e precisione.
La nullità della delibera per impossibilità e illiceità dell’oggetto può essere fatta valere entro tre anni dall’iscrizione o deposito presso il Registro delle imprese o dalla trascrizione nel libro delle adunanze dell’assemblea, se la deliberazione non è soggetta né a iscrizione né a deposito. Decorso tale termine, la delibera nulla non potrà essere più impugnata.
Alle delibere nulle si applicano per analogia le regole dettate dall’art. 2378 c.c. per il procedimento di impugnazione, su cui ci soffermeremo in seguito. Non si applica invece la norma di cui al terzo comma dell’art. 2377 c.c., che fa salvi i diritti acquistati da terzi in buona fede, nonché il quarto comma dello stesso articolo, che consente la sanatoria con effetto retroattivo delle delibere annullabili. La società può quindi sempre sostituire la delibera nulla con altra valida, ma quest’ultima non ha effetto retroattivo.
1.2 Le fattispecie di sanatoria delle delibere assembleari nulle
Il legislatore ha previsto una serie di meccanismi di conservazione della delibera assembleare nulla, ovvero delle sanatorie, in ossequio al principio di stabilità degli effetti delle delibere.
Anzitutto, sono previste due fattispecie di sanatoria, c.d. esplicita, della deliberazione nulla, relativi alle ipotesi di nullità per ommessa convocazione o per mancanza di verbale.
Ai sensi dell’art. 2379 bis comma 1 c.c., l’impugnazione della deliberazione invalida per mancata convocazione non può essere esercitata dal socio che abbia dichiarato il suo assenso allo svolgimento dell’assemblea.
Pertanto, consentendo anche tacitamente il regolare svolgimento dell’assemblea, ciascuno dei soci con diritto d’intervento perde la legittimazione a far valere la nullità. La sanatoria è circoscritta all’impugnativa spettante agli intervenuti che hanno dato il loro assenso alla delibera invalida.
Secondo l’opinione prevalente, affinché il socio possa essere ritenuto consenziente, e quindi decaduto dal diritto di impugnare la deliberazione, l’assenso allo svolgimento dell’assemblea deve essere espresso, non essendo sufficiente che il consenso prescritto dalla norma possa essere manifestato in qualsiasi forma e dunque anche per facta concludentia, ad esempio con il silenzio del socio. Tuttavia, poiché l’art. 2379-bis c.c. ammette che l’assenso allo svolgimento dell’assemblea può essere dato anche successivamente, non sembra escludere che tale manifestazione di volontà possa essere validamente espressa durante i lavori assembleari e prima ancora del voto.
La nullità della delibera per mancanza del verbale può essere sanata, ai sensi dell’art. 2379 bis comma 2 c.c., mediante verbalizzazione realizzata prima della successiva assemblea. La sanatoria opera, sia nelle ipotesi di materiale mancanza del verbale, sia in quella di verbale carente perfino dei dati minimi imposti dalla legge.
Qualora sussista tale vizio, non dovrà quindi ripetersi nuovamente l’approvazione della delibera, ma basterà che venga redatto l’atto precedentemente mancante. Tale verbale dovrà essere idoneo ad informare i soci circa il contenuto della delibera adottata e gli effetti che, in seguito a questa, si sono prodotti, nel rispetto dei requisiti previsti dall’art. 2377, 5° comma c.c. In questo caso, gli effetti della deliberazione altrimenti invalida retroagiscono alla data di prima adozione, salvi i diritti dei terzi che in buona fede abbiano ignorato la deliberazione stessa.
Sono infine previste cause sananti l’invalidità delle delibere riguardanti l’aumento o la riduzione per esuberanza del capitale sociale o l’emissione di obbligazioni: l’azione di nullità contro queste delibere può essere proposta entro il termine di decadenza di centottanta giorni, decorso il quale la nullità è sanata (art. 2379 ter c. 1 c.c.), in modo da assicurare stabilità di quanto deliberato in sede d’assemblea e certezza ai rapporti giuridici dei terzi che, attraverso tali delibere, sono entrati in contatto con la società.
1.3 L’annullabilità delle delibere assembleari delle S.p.A.
Ai sensi dell’art. 2377, comma 2, c.c., sono annullabili le deliberazioni che non sono prese in conformità della legge o dall’atto costitutivo, purché non si tratti di una delle cause di nullità previste dall’art. 2379 c.c. ( v. par. precedente)
Per questa fattispecie di invalidità dunque, non sono previsti casi tassativi, come invece per la nullità, ma si ha, piuttosto, un ambito di applicazione di carattere residuale, ogni qual volta l’invalidità sia determinata da vizi non sanzionabili con la nullità, coerentemente con la finalità di garantire stabilità agli atti societari.
Le cause di annullabilità delle delibere assembleari possono essere distinte in due categorie:
- vizi riguardanti la formazione dell’atto, che possono consistere nella violazione delle norme che regolano il procedimento assembleare o in vizi che colpiscono la singola dichiarazione di voto (ad esempio: vizi di volontà, voto espresso da uno legittimato);
- vizi riguardanti il contenuto della delibera.
I vizi riguardanti la formazione dell’atto – sia che essi riguardino la delibera nel suo complesso, sia che essi concernano il singolo voto – producono sempre e soltanto l’annullabilità della delibera (e non quindi la più grave sanzione della nullità).
La giurisprudenza ha ritenuto annullabili le seguenti delibere:
- illegittima esclusione di soci legittimati a partecipare alla riunione assembleare o dei loro rappresentanti o di un procuratore generale;
- delibera nella quale ricorre un vizio afferente alla costituzione dell’assemblea, come nell’ipotesi di mancata convocazione di un socio;
- deliberazioni adottate dall’assemblea convocata da soggetto privo del relativo potere (ad es. sindaci decaduti);
- delibera su argomento non indicato all’ordine del giorno;
- delibera di riduzione del capitale non preceduta da una relazione scritta degli amministratori e della norma dell’art. 2441 c.c.;
- partecipazione alla assemblea di persone non legittimate, determinante ai fini della regolare costituzione della assemblea dei soci a norma degli artt. 2368 e 2369 c.c. (ad es. azionisti senza diritto di voto);
- invalidità di singoli voti o loro errato conteggio ove siano stati determinanti ai fini del raggiungimento della maggioranza richiesta (ad es. difetto di procura rilasciata dal socio, eccesso di potere, vizio del consenso, conflitto di interessi tra rappresentato e rappresentante);
- incompletezza o inesattezza del verbale che impedisca l’accertamento del contenuto, degli effetti e della validità della delibera (ad es. mancata indicazione nel verbale delle quote di partecipazione nel capitale sociale riferibile ad uno dei soci presenti alla riunione);
- mancato ricevimento o tardivo ricevimento della convocazione assembleare da parte del socio.
Con la finalità di limitare le azioni pretestuose da parte dei soci, l’art. 2377 5° comma c.c. stabilisce tuttavia che l’annullamento non può essere chiesto:
- quando all’assemblea partecipano persone non legittimate, che non sono però determinanti nel calcolo del quorum costitutivo;
- quando si fanno errori di conteggio nella votazione oppure vi sono singoli voti invalidi, ma né il voto invalido né l’errore di conteggio sono determinanti per il raggiungimento della maggioranza richiesta;
- quando il verbale è incompleto o inesatto, ma non impedisce l’accertamento del contenuto, degli effetti e della validità della deliberazione.
Relativamente ai vizi riguardanti il contenuto della delibera, sono annullabili le delibere il cui contenuto contrasti con norme di legge o dell’atto costitutivo poste a tutela di interessi disponibili degli azionisti attuali (mentre, come si è visto, è nulla quando viola norme che tutelano interessi generali. ( v. par. precedente)
È quindi ad esempio annullabile una delibera dell’assemblea straordinaria che aumenti il capitale sociale escludendo il diritto di opzione, al di fuori dei casi in cui l’esclusione è consentita, in violazione dell’art. 2441 comma 1 c.c. Analogamente, è annullabile una delibera dell’assemblea ordinaria che decida di non distribuire gli utili di esercizio, pur in presenza di una clausola dell’atto costitutivo che ne imponga una ripartizione annuale.
L’impugnativa della delibera deve essere proposta entro il termine di decadenza di 90 giorni dalla data della deliberazione o, se questa è soggetta ad iscrizione nel registro delle imprese, dall’iscrizione (art. 2377, comma 2 c.c.). La previsione di tale ristretto termine si giustifica con l’esigenza di assicurare l’interesse della società alla stabilità e certezza delle sue deliberazioni assembleari.
L’annullamento ha effetto per tutti i soci ed obbliga gli amministratori a prendere i provvedimenti conseguenti sotto la propria responsabilità. Restano però in ogni caso salvi i diritti acquistati in buona fede da terzi in base ad atti compiuti in esecuzione della delibera (art. 2377, comma 3 c.c.). E ciò anche se si tratta di atti compiuti dopo la sentenza di annullamento, fin quando il relativo dispositivo non sia stato iscritto nel registro delle imprese.
Infine, l’annullamento non può avere luogo se la delibera è sostituita con altra presa in conformità della legge o dell’atto costitutivo (art. 2377, comma 4 c.c.) o è stata revocata dall’assemblea. La sostituzione ha effetto sanante e retroattivo.
1.4 L’annullamento delle delibere assembleari per eccesso di potere (abuso di maggioranza)
Due fattispecie particolari di annullabilità della delibera sono costituite dal conflitto di interesse tra socio e società (art.2373 c.c.) e dall’ eccesso di potere o abuso di maggioranza. Sulla prima fattispecie si rimanda a quanto già esposto in un altro articolo.
L’eccesso di potere, o abuso di maggioranza, è una fattispecie non espressamente regolamentata dal codice civile, ma di creazione giurisprudenziale è ravvisabile qualora una delibera sia arbitrariamente e fraudolentemente preordinata dai soci di maggioranza a perseguire interessi divergenti da quelli della società, in violazione dei principi di buona fede e correttezza, di cui agli art. 1175 c.c. e 1375 c.c.
L’eccesso di potere dunque si configura quando la delibera è il frutto di una fraudolenta attività della maggioranza, diretta a pregiudicare la società o a ledere i diritti sociali della minoranza, e non anche dettata da mere considerazioni di opportunità, sulle quali non è consentito un controllo giudiziario, rientrando nelle libere scelte degli organi sociali.
L’onere della prova dell’eccesso di potere spetta al socio che decida di impugnare la delibera; a tal fine potranno essere addotti una serie di indici, dai quali si desuma che la delibera è stata assunta con l’unico obiettivo di pregiudicare i diritti della minoranza. In particolare, l’annullabilità di una delibera assembleare per eccesso di potere è subordinata alla dimostrazione del ricorrere di due presupposti:
- la decisione deve essere esclusivamente ispirata da un interesse personale dei soci di maggioranza, palesemente in contrasto con lo scopo del contratto di società ed antitetico all’interesse sociale;
- la decisione deve essere conseguente ad un’ attività fraudolenta dei soci di maggioranza diretta a determinare un danno ai soci di minoranza.
Qualora, invece, la delibera abbia comunque una propria ed autonoma giustificazione sulla base di una valutazione discrezionale dei soci di maggioranza e la finalità in danno della minoranza non costituisca la ragione fondante della delibera, quest’ultima non è annullabile. Non è infatti sindacabile sotto il profilo dell’eccesso di potere l’opportunità della scelta amministrativa, essendo preclusa al giudice la possibilità di valutare nel merito le motivazioni che hanno indotto l’organo assembleare ad assumere la delibera e dunque le ragioni di opportunità o convenienza, come pure i motivi personali dei singoli soci di maggioranza, che rimangono nella sfera soggettiva di ciascuno di essi.
I casi più ricorrenti di eccesso di potere riguardano:
Le delibere di aumento di capitale prese, senza che la società abbia un effettivo bisogno di nuovi conferimenti, al solo scopo di ridurre la partecipazione percentuale al capitale di uno o più soci di minoranza; per raggiungere tale scopo, queste delibere, pur riconoscendo formalmente il diritto di opzione a tutti gli azionisti, vengono di solito votate quando gli azionisti da emarginare non hanno la provvista necessaria per sottoscrivere l’aumento di capitale; in tal modo i soci di maggioranza, sottoscrivendo l’aumento di capitale, ottengono il risultato di diluire la partecipazione dei soci di maggioranza, modificando così l’assetto azionario:
- la delibera di scioglimento anticipato della società quando l’andamento di gestione è attivo e dunque privo di una ragionevole giustificazione, all’unico scopo di recare danno alla minoranza;
- la delibera di fusione con sottovalutazione dei conferimenti;
- ripetute delibere assembleari di non distribuzione dei dividendi;
- la delibera di azzeramento e successiva ricostituzione del capitale sociale con esclusione del diritto di opzione;
- delibera assunta in conflitto di interessi, in particolare quando viene determinato il compenso degli amministratori (generalmente nominati dai soci di maggioranza) in modo sproporzionato rispetto alle caratteristiche della società, per soddisfare interessi diversi da quelli sociali, causando, anche potenzialmente, un danno alla società.
1.5 La legittimazione ad agire per l’impugnativa delle delibere assembleari
La legittimazione ad impugnare una delibera assembleare di S.p.A. è diversa a seconda della pronuncia che si intenda conseguire.
In caso di vizi suscettibili di produrre l’annullabilità della delibera, salvo quanto diversamente previsto dallo statuto, la legittimazione ad agire è attribuita, anzitutto ai soci assenti, dissenzienti, astenuti che possiedano tante azioni aventi diritto di voto relativamente a quella determinata delibera che rappresentino, anche congiuntamente:
- 1/1000 del capitale, nelle società che fanno ricorso al mercato di rischio;
- 5% del capitale, in tutte le altre.
Le delibere assembleari possono essere dunque impugnate solo dai soci in possesso di una quota qualificata di capitale sociale, per ovviare all’inconveniente di impugnative ispirate da intenti meramente ricattatori, in ossequio al principio di stabilità dell’azione sociale.
I soci che possiedono percentuali inferiori di azioni possono ricorrere solo alla tutela risarcitoria. In tal caso, il danno risarcibile è quello direttamente derivato ai soci della non conformità della deliberazione alla legge o allo statuto, ossia quello che si produce in modo immediato nel patrimonio del singolo e on quello che il socio subisce come mero riflesso dell’impoverimento del patrimonio societario.
Per assenti devono intendersi tutti i soci che non sono stati presenti all’assemblea, non potendo così esercitare il loro diritto di voto, indipendentemente dalla motivazione alla base di tale scelta; per soci dissenzienti si intendono coloro che abbiano negato, in qualsiasi forma manifestata in assemblea, il proprio contributo all’approvazione della delibera. La legittimazione all’impugnativa non compete invece ai soci che abbiano votato a favore della delibera, né a terzi qualificati come creditori sociali.
Secondo la giurisprudenza prevalente, per dissenzienti si intendono i soci che negano, in qualsiasi forma manifestata in assemblea, il proprio contributo all’approvazione della delibera, attraverso il voto contrario o l’astensione, senza che rilevi la motivazione di tali comportamenti – che può indifferentemente consistere in una diversa valutazione dell’atto rispetto alla maggioranza ovvero in una contestazione di vizi della procedura – in quanto l’art. 2377 c.c. non dà rilievo ai motivi del dissenso, ma esclusivamente alla sua manifestazione.
Ai sensi dell’art. 2377, comma 3, c.c., le azioni possedute devono rappresentare la soglia di legittimazione anche congiuntamente. Ciò consente a soci che possiedono percentuali inferiori di agire congiuntamente, e non di riunire iniziative processuali distinte ed, in sé, infondate per carenza di legittimazione ad agire.
Il socio o i soci opponenti devono dimostrarsi possessori delle azioni che legittimano l’iniziativa processuale al tempo dell’impugnazione (art. 2378 comma 2 c.c.). Il numero di azioni previsto dalla legge deve persistere fino alla pronuncia, che, diversamente, non potrà riguardare l’invalidità della delibera bensì il risarcimento dell’eventuale danno, ove richiesto (art. 2378, comma 2, c.c.).
Sono inoltre legittimati a far valere l’annullabilità delle delibere anche:
- gli amministratori e il collegio sindacale; dottrina maggioritaria e giurisprudenza convergono nel senso che il disposto normativo attribuisca la legittimazione all’organo anche in caso di iniziativa degli amministratori, in quanto la legittimazione del singolo amministratore o del singolo sindaco è ravvisabile solo per le delibere che riguardano interessi personali (es. delibera di revoca irregolarmente assunta);
- la Consob (157 comma 2 TUF), per le società quotate;
- l’Isvap per le delibere assembleari di società assicurative, rispetto alle quali ha compiti istituzionali di vigilanza, in casi particolari previsti dalla legge;
- la Banca d’Italia per le delibere di enti creditizi assunte con voto determinante di chi ha acquistato determinate percentuali di capitale o il controllo dell’ente senza previa autorizzazione all’acquisto.
In caso di vizi suscettibili di produrre la nullità della delibera, è legittimato ad agire chiunque vi abbia interesse, sia sotto il profilo sostanziale(quale totalità di posizione giuridica qualificata rispetto al rapporto discendente dalla delibera nulla) che sotto il profilo processuale (quale interesse all’esercizio dell’azione, cioè ad eliminare una situazione di pregiudizio arrecata dalla delibera alla posizione giuridica del soggetto agente).
In caso di nullità della delibera, quindi, sono legittimati tutti coloro che evidenzino un interesse che giustifichi la richiesta di rimuovere l’atto (ivi compreso il socio che ha votato a favore della delibera nulla, se portatore di un interesse attuale e concreto alla declaratoria della sua inefficacia e, quindi, alla sua rimozione dall’organizzazione e dall’attività sociale).
La legittimazione ad impugnare si restringe con riguardo alle delibere di approvazione del bilancio, come si vedrà in seguito.
Ai sensi dell’art. 2379, comma 2, c.c., la nullità di una delibera può essere inoltre rilevata d’ufficio. Alla luce dell’art. 1421 c.c. e dell’interpretazione della giurisprudenza, il rilievo d’ufficio è ammesso;
- quando la validità di un atto deliberativo rappresenta un elemento costitutivo della domanda o dell’eccezione (come ad es. nel caso della validità della delibera assunta in sanatoria ai sensi dell’art. 2377, comma 8, c.c.);
- quando la validità dell’atto è l’oggetto stesso della controversia.
In caso di trasferimento della partecipazione da parte del socio dopo la delibera, il socio cedente perde la legittimazione ad agire, e non può più ottenere l’invalidazione dell’atto deliberativo; il nuovo socio ha legittimazione in via esclusiva rispetto alla domanda di annullamento della delibera di cui è il solo a subire gli effetti. In caso di trasferimento della partecipazione in corso di causa, totale o parziale – tale in quest’ultimo caso da ridurre il numero delle azioni possedute al disotto della soglia legale – il socio cedente perde la legittimazione ad ottenere l’annullamento, che si trasferisce con le azioni legittimanti; la legittimazione ad agire deve infatti permanere per tutto il corso del giudizio.
In caso di sequestro delle azioni, poiché l’impugnazione della delibera invalida equivale ad uno strumento di conservazione/amministrazione della partecipazione soggetta a vincolo – con cui il legittimato mira ad evitare che prevalga l’altrui progetto di delibera irregolarmente approvata – la legittimazione spetta al custode, salvo diversa previsione del provvedimento di sequestro.
In caso di pegno ed usufrutto, secondo l’opinione prevalente i diritti amministrativi diversi dal diritto di voto e di opzione spettano sia al socio che al creditore pignoratizio o all’ usufruttuario (art. 2352, comma 6, c.c.). Ciò può provocare situazioni problematiche per le delibere annullabili (ad es. in caso di contrasto tra creditore pignoratizio che voti a favore della delibera e socio che la impugni).
1.6 L’interesse ad agire per l’impugnativa delle delibere assembleari
L’interesse ad agire per l’impugnativa delle delibere assembleari si configura quando vi sia bisogno di tutela di un diritto soggettivo e l’intervento richiesto al giudice si presenti necessario per rendere concreta ed effettiva la protezione accordata dall’ordinamento all’interesse sostanziale leso o minacciato. Non basta quindi un interesse di mero fatto o un interesse generico all’attuazione della legge o ad una astratta affermazione di principio o che si ricolleghi a fatti eventuali o ipotetici, ma deve trattarsi di un interesse concreto e determinato di carattere giuridico, che si ricolleghi cioè alla prospettazione di una situazione di fatto che leda o minacci di ledere un diritto soggettivo o un interesse legittimo.
L’interesse ad agire assume particolare rilievo nell’azione di nullità. In tal caso infatti la giurisprudenza richiede la presenza dell’interesse ad agire, in quanto esso è la fonte di quella legittimazione che il legislatore non ha individuato, come invece nel caso dell’azione di annullamento; è legittimato, quindi, chiunque dimostri di avere uno specifico interesse, attuale e concreto alla declaratoria di nullità, in senso sostanziale e processuale.
Pertanto, anche il socio titolare di una minoranza qualificata che intenda impugnare il bilancio dovrà allegare la sussistenza di un interesse attuale e concreto ad ottenere la tutela reale richiesta nei confronti della delibera nulla, non bastando il generico interesse correlato al diritto del socio al legittimo svolgimento dell’attività sociale, bensì essendo necessario uno specifico pregiudizio, non necessariamente patrimoniale.
In questo senso, ad esempio, la giurisprudenza ha escluso l’interesse attuale e concreto del socio ad impugnare la delibera di approvazione del bilancio per vizi già posti a fondamento dell’impugnazione di un precedente bilancio che era stata accolta; e ciò in considerazione del fatto che, dopo detto accertamento giudiziale, diviene attuale l’obbligo in capo agli amministratori di correggere i bilanci intermedi, ai sensi dell’art. 2434-bis, comma 3, c.c.
Nello stesso senso, è stata affermata la sopravvenuta carenza di interesse ad agire. rispetto all’originaria impugnazione, del socio che, a fronte di delibera successiva in sanatoria, deduca la illegittimità di quest’ultima, ma non la impugni in separato giudizio o non svolga tempestiva domanda di invalidità quale domanda consequenziale nel procedimento originario, poiché la mera eccezione non può escludere la rilevanza della delibera sostitutiva, destinata a rimanere, di per sé, efficacie e, come tale, a far venir meno l’interesse dell’impugnante a caducare la prima delibera impugnata.
Nell’azione di annullamento, invece, non è necessaria la dimostrazione di uno specifico interesse, poiché il legislatore ha già selezionato i soggetti( minoranze qualificate, organi di controllo e di gestione) il cui interesse alla legalità dell’azione è meritevole di tutela reale.
Con riferimento alle delibere assembleari negative, ovvero qualora l’assemblea non giunga alla decisione ipotizzata nell’ordine del giorno, perché viene respinta una proposta, o per assenza dei quorum necessari –l’interesse all’impugnazione sussiste quando sia possibile dimostrare che, correggendo il vizio del procedimento, l’esito sarebbe stato diverso. Ad esempio, in caso di mancata delibera a causa del conflitto di interessi di un socio, affinché ricorra l’interesse occorre dimostrare che, eliminando dal quorum deliberativo il voto del socio in conflitto, la delibera sarebbe stata positiva.
Infatti, anche la delibera negativa è potenzialmente pregiudizievole, sia in relazione alla situazione di inerzia che determina (impedendo operazioni necessarie o vantaggiose per realizzare gli scopi e gli interessi sociali), sia in relazione all’effetto “consumativo” che produce, precludendo ulteriori votazioni sull’argomento oggetto della delibera in assenza di mutamento dei presupposti fattuali o giuridici.
La specificità del pregiudizio che consegue a una delibera negativa – e, di riflesso, la specificità dell’interesse ad agire a esso corrispondente – deve concretarsi quindi nel danno sofferto dalla situazione di inerzia o dall’effetto consumativo subìto a causa del voto negativo deliberato a causa della violazione di legge o dello statuto. Tale conclusione non si pone in contrasto con la norma di cui all’art. 2377 comma 2 c.c., in quanto, in caso di delibera negativa, il socio “dissenziente” è da identificare nel socio che abbia votato a favore della delibera; pertanto, l’impugnazione di una delibera negativa è ammissibile solo quando la mancata approvazione non sia stata determinata dal voto della stessa parte ricorrente.
Le delibere negative, secondo la giurisprudenza prevalente, sono impugnabili in quanto sussiste comunque una manifestazione di volontà dei soci assunta all’esito del procedimento previsto dalla legge. In tali casi, il giudice, una volta accertato il voto negativo illegittimo computato nel quorum deliberativo (ad es. per conflitto di interessi, insussistenza del diritto di voto, mancanza di delega, abuso del diritto etc.) e quindi espunto il voto stesso, può accertare che la delibera assembleare diverge da quella proclamata, con la conseguenza che la proposta all’ordine del giorno risulterebbe approvata e non respinta; in tal caso quindi il giudice accerta l’illegittimità della proclamazione del risultato, conseguentemente dichiarando la volontà effettivamente e legalmente espressa dall’assemblea.
La sentenza del giudice in tal caso non è costitutiva, non tiene luogo di quella assembleare, sostituendosi ad essa, ma soltanto dichiarativa dell’effettiva volontà emersa in assemblea, con effetto dal momento in cui la deliberazione è stata assunta. In altri termini, la pronuncia di accertamento del giudice, annullata la delibera di rigetto e rideterminati i risultati della votazione con espunzione dei voti illegittimi, tiene luogo della delibera positiva non approvata. La pronuncia del giudice di accertamento dell’esito della delibera in assenza del voto negativo necessita, peraltro, di una specifica domanda di accertamento positivo da parte dell’impugnante.
1.7 Il procedimento di impugnazione della delibera
Ai sensi dell’art. 2378 comma 1 c.c., l’azione di annullamento è proposta davanti al Tribunale del luogo dove la società ha sede.
Sono previsti accorgimenti per evitare che impegnative pretestuose possano danneggiare la società. Il presidente del Tribunale può disporre, con decreto, che il socio opponente presti idonea garanzia per l’eventuale risarcimento dei danni. Inoltre, la proposizione dell’azione non sospende di per sé l’esecuzione della delibera. La sospensione può essere tuttavia disposta, su richiesta del socio opponente, dal presidente del tribunale o dal giudice istruttore, quando ricorrono gravi motivi e dopo aver sentito amministratori e sindaci (art. 2378 c.c., 3° comma c.c.).
Tutte le impugnative relative alla medesima deliberazione devono essere istruite congiuntamente e decise con unica sentenza, per evitare che si formino giudicati contrastanti.
Il decreto di sospensione della delibera e la sentenza che decide sull’impugnativa devono essere iscritti nel registro delle imprese a cura degli amministratori, anche se la delibera impugnata non era soggetta ad iscrizione, per rendere opponibile ai terzi la sospensione o l’intervenuto annullamento della delibera.
2. L’impugnazione delle delibere assembleari nella S.r.l.
La disciplina sull’impugnazione delle delibere assembleari prevista dal Codice civile per le S.p.a. non si applica interamente alle S.r.l. L’art. 2479 ter c.c., infatti, oltre a richiamare le norme sulle S.p.a. contenute negli artt. 2377 e ss. c.c., prevede un’ulteriore disciplina speciale che si differenzia in parte da quella applicabile alle S.p.a., essenzialmente per tenere conto delle diverse modalità di assunzione delle decisioni dei soci ammesse dalla regolamentazione della S.r.l. e quindi per adattare il sistema dell’invalidità alla possibilità che le decisioni dei soci di S.r.l. siano assunte in sede assembleare o extra-assembleare.
Infatti, come è noto nella S.r.l. le decisioni dei soci possono essere assunte mediante forme e procedure attuabili anche al di fuori di un contesto collegiale, qualora vi sia una specifica previsione statutaria in tal senso. In particolare, accanto alla delibera tradizionalmente assunta in assemblea – che resta comunque necessaria in caso di decisioni particolarmente rilevanti per la vita della società, quali quelle atte ad introdurre eventuali modificazioni dell’atto costitutivo, nonché quelle aventi ad oggetto il compimento di operazioni che comportano una sostanziale modificazione dell’oggetto sociale ed una rilevante modificazione dei diritti dei soci – l’art. 2479 c.c. prevede la possibilità che le decisioni sociali siano assunte mediante consultazione scritta ovvero sulla base del consenso espresso per iscritto.
Nel primo caso, ciascun socio viene invitato ad esprimere per iscritto la sua posizione favorevole o contraria rispetto ad una proposta predefinita ed immodificabile; nel secondo caso si tiene comunque una sorta di assemblea che non verrà formalmente convocata, ma che sarà consultata dagli amministratori o si auto-consulterà liberamente mediante riunioni “virtuali” (mediante telefono, fax, posta elettronica, conference call etc.).
Il ricorso integrativo alla regolamentazione della S.p.a., peraltro, resta in ogni caso necessario, in ragione della ricorrenza di specifici richiami a diverse disposizioni dettate per la S.p.a., destinate ad essere applicate alla S.r.l., previa verifica di compatibilità.
In tema di S.r.l., il legislatore ha previsto un sistema di reazione alle decisioni invalide fondato esclusivamente su strumenti di tutela reale, senza alcuna previsione di meccanismi risarcitori sostitutivi, come invece per le deliberazioni annullabili di S.p.a., qualora i soci non siano titolari di una certa quota del capitale sociale (art. 2377, 3° e 4° co. C.c.). Infatti, nella S.r.l., a differenza che nella S.p.A., viene valorizzata la partecipazione e i diritti del singolo socio a prescindere dalla detenzione di quote qualificate del capitale sociale.
Nel caso della S.r.l., legislatore non ha attuato una rigida distinzione tra casi di nullità e casi di annullabilità ma ha preferito riferirsi genericamente alla “invalidità delle decisioni dei soci”(art.2479-tez c.c.); occorre quindi qualificare i vizi della delibera in esame a seconda dell’ampiezza degli interessi coinvolti e stabilire poi sia il termine per l’impugnabilità, sia i soggetti legittimati a seconda che si sia determinata annullabilità o nullità.
2.1 La nullità delle delibere della S.r.l.
L’art. 2479 ter 3° comma c.c. prevede tre ipotesi di nullità della delibera:
- le decisioni aventi oggetto impossibile o illecito;
- le decisioni prese in assoluta mancanza di informazione;
- le decisioni che modificano l’oggetto sociale prevedendo attività impossibili o illecite.
Difettano quindi due ipotesi di nullità previste per la S.p.a. (la mancanza della convocazione e la mancanza del verbale), mentre ne figura una non contemplata per il modello azionario (l’assoluta mancanza di informazione).
La fattispecie di illeceità o impossibilità dell’oggetto della deliberazione coincide con quella prevista per le S.p.a ( vedi par. 1.1). L’ipotesi della mancanza assoluta di formazione si riferisce non soltanto alla mancanza di informazione circa gli argomenti da trattare, ma anche circa l’avvio del procedimento deliberativo; pertanto, è nulla la delibera di assemblea di S.r.l. assunta senza la preventiva convocazione di uno dei soci.
In caso di vizi suscettibili di produrre la nullità della delibera è legittimato ad agire, come nelle S.p.a., chiunque vi abbia interesse, da intendersi in senso sostanziale e processuale.
Tuttavia, legittimati ad impugnare delibere che hanno approvato il bilancio sono solo i soci che possiedono il 5% (art. 2434-bis, comma 2, c.c. richiamato dall’art. 2479-ter, comma 4, c.c.). Non si possono, comunque, impugnare le delibere di approvazione del bilancio dopo che è avvenuta l’approvazione del bilancio dell’esercizio successivo.
Si ritiene che anche nelle S.r.l. sia rilevabile d’ufficio la nullità della delibera, essendo il potere di rilevare d’ufficio la nullità di un atto un principio generale, ai sensi dell’art. 112 c.p.c.
Con riferimento alle deliberazioni nulle per oggetto illecito o impossibile e a quelle prese in assenza assoluta di informazione, analogamente a quanto previsto per le S.p.A. è previsto un termine di impugnazione di tre anni dalla trascrizione nel libro delle decisioni dei soci. Diversamente che nella S.p.a., tuttavia, tale termine decorre dalla trascrizione nel libro delle adunanze e delle decisioni dei soci. Tale previsione è suscettibile di produrre effetti pregiudizievoli in capo ai terzi esterni alla società e ai creditori sociali, i quali sono impossibilitati ad accedere al libro delle decisioni dei soci. Nessun limite cronologico è invece previsto per l’impugnazione dell’altra tipologia di deliberazioni nulle, costituita dalle statuizioni che modificano l’oggetto sociale, prevedendo attività impossibili od illecite.
Gli effetti della pronuncia di nullità della decisione sono analoghi alla S.p.a., per effetto del richiamo all’art. 2377 comma 7 c.c.: la pronuncia di accertamento della nullità ha effetto rispetto a tutti i soci ed obbliga gli amministratori a prendere i conseguenti provvedimenti sotto la propria responsabilità; in ogni caso sono salvi i diritti acquistati in buona fede dai terzi in base ad atti compiuti in esecuzione della deliberazione.
2.2 L’annullabilità delle delibere della S.r.l.
Le cause di annullabilità delle delibere della S.r.l. sono previste dai co. 1, 2 e 4 dell’art. 2479-ter c.c., ovvero:
- le decisioni prese in difformità alla legge o dell’atto costitutivo;
- le decisioni assunte con la partecipazione determinante di soci che hanno, per conto proprio o di terzi, un conflitto di interessi con quello della società;
- le decisioni prese con la mancanza di legittimazione dei partecipanti se determinante per la delibera;
- le decisioni prese in presenza di singoli voti invalidi o con il loro indebito conteggio;
- le decisioni per le quali il verbale risulti incompleto o inesatto a tal punto di impedire l’accertamento nel merito della delibera.
Le delibere annullabili per difformità alla legge o all’atto costitutivo riguardano per lo più vizi relativi al procedimento, ovvero vizi della convocazione. In giurisprudenza, sono state individuate le seguenti ipotesi:
- convocazione dell’assemblea ad opera del solo Presidente del Cda anziché da delibera collegiale come previsto dall’atto costitutivo;
- mancata convocazione del creditore pignoratizio;
- delibera assunta senza il differimento richiesto da un socio (art. 2374 c.c.);
- diversità del luogo di svolgimento dell’assemblea rispetto a quello indicato nell’avviso di convocazione;
- esercizio infedele del potere di rappresentanza.
In caso di vizi suscettibili di produrre l’annullabilità della delibera, nelle S.r.l. è legittimato ad agire:
- ogni socio assente, dissenziente o astenuto;
- ciascun amministratore;
- l’organo consiliare.
Come si è accennato, a differenza di quanto previsto in tema di S.p.a., ai fini della legittimazione all’impugnazione non è richiesto né il possesso di una quota minima del capitale sociale, né la titolarità del diritto di voto rispetto alla decisione oggetto di impugnazione: pertanto, a condizione che non vi abbia consentito, ogni socio di S.r.l. ha diritto di impugnare una decisione dei soci non conforme alla legge o all’atto costitutivo, ai sensi dell’art. 2479 ter, 1° e 2° co. c.c.
Coerentemente a quanto previsto per le Spa, le deliberazioni legittimamente prese dall’assemblea della S.r.l. vincolano tutti i soci ancorché non intervenuti o dissenzienti, i quali ultimi, al pari degli amministratori e dei sindaci, potranno comunque impugnare le decisioni non assunte nel rispetto della legge o dell’atto costitutivo quale che sia il livello di rappresentatività delle quote da loro detenute. L’art. 2479-ter c.c., impiega l’espressione “soci che non hanno consentito” al posto di “soci dissenzienti”, ricomprendendo così tutti coloro che non hanno espresso voto favorevole indipendentemente dalle modalità di assunzione della decisione la quale non deve necessariamente essere assunta in sede assembleare.
Quanto al requisito del possesso delle azioni per tutta la durata del giudizio, prescritto dall’art. 2378, 2° co. c.c. e applicabile alla S.r.l. in virtù del richiamo ex art. 2479 ter, 4° co. c.c., si ritiene che per il socio di S.r.l. valga l’iscrizione al libro soci; la perdita della qualità di socio nel corso del processo impone al giudice l’adozione dei provvedimenti di cui all’art. 2378, 2° co. c.c.
La legittimazione all’impugnazione ex art. 2479 ter, 1° e 2° co. c.c. spetta inoltre a ciascun amministratore, a differenza di quanto previsto in tema di S.p.a., dove la facoltà di impugnazione compete, come si è visto, all’organo amministrativo nel suo complesso e dunque, in caso di composizione pluripersonale di questo, all’organo collegiale. Non è invece legittimata all’impugnazione della delivera assembleare la società.
L’impugnazione della delibera per annullamento ai sensi dell’art. 2479 ter, 1° e 2° co. c.c. deve essere proposta entro novanta giorni dalla trascrizione della decisione nel libro delle decisioni dei soci; tale termine è analogo a quanto previsto per le S.p.a., ma il dies a quo è diverso (la trascrizione nel libro dei soci, anziché, a seconda dei casi, la deliberazione ovvero il deposito presso il registro delle imprese ovvero ancora l’iscrizione presso di esso: art. 2377, 6° co.), attese le peculiarità dell’assunzione extra-assembleare delle decisioni di S.r.l. (non essendo sempre individuabile il momento di una deliberazione).
Come previsto nella disciplina relativa alle S.p.a. anche per le S.r.l. esiste una forma di sanatoria della deliberazione invalida. L’art. 2479 ter, 1° co. c.c. prevede infatti che il Tribunale, qualora ne ravvisi l’opportunità e ne sia fatta richiesta dalla società o da chi ha proposto l’impugnativa, può assegnare un termine non superiore a centottanta giorni per l’adozione di una nuova decisione idonea ad eliminare la causa dell’invalidità.
L’intervento del Tribunale – che è subordinato alla duplice condizione della richiesta di parte o della società e della valutazione di opportunità da parte dell’autorità giudiziaria e che, quindi, non può essere disposto d’ufficio – si aggiunge ad un altro strumento, volti anch’essi a limitare il più possibile le pronunce di invalidità delle decisioni e così ad assicurarne il più possibile la stabilità, ovvero la sostituzione spontanea della decisione ai sensi dell’art. 2377, 8° co. c.c. (espressamente richiamato dall’art. 2479 ter, 4° co. c.c.).
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Avv. Valerio Pandolfini
Avvocato specializzato in Diritto Societario
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