Il patto di opzione nelle società
Il patto di opzione è un contratto preparatorio di un successivo contratto finale, che si perfeziona mediante la dichiarazione unilaterale di una parte, che accetta la proposta formulata dall’altra parte. In ambito societario, i patti di opzione sono contratti (inseriti all’interno di un patto parasociale o dello statuto) con i quali a un socio (opzionario), anche dietro pagamento di un corrispettivo (premio) a favore di un altro socio (concedente), si attribuisce il diritto potestativo di acquistare o di vendere un certo quantitativo di partecipazioni a un prezzo determinato o determinabile (prezzo di esercizio o strike price), al verificarsi di un evento definito (triggering event) o di un termine. Si parla di opzione put, quando al socio opzionario è concessa un’opzione di vendita, cioè, il diritto potestativo di vendere, a determinati patti e condizioni, la propria partecipazione ad un altro socio (concedente); viceversa, qualora il socio opzionario abbia il diritto di acquistare, a determinati patti e condizioni, la partecipazione di un altro socio si parla di opzione call. Le opzioni possono essere utilizzate per diverse finalità, quali la stabilizzazione degli assetti proprietari, la soluzione di uno stallo, assicurare un’influenza dominante sulla società, prevenire un inadempimento, evitare una lite tra i soci.
1. Caratteristiche e finalità del patto di opzione
Il patto di opzione è un contratto con cui le parti predispongono il contenuto di un futuro regolamento contrattuale e convengono che una di esse manterrà ferma la propria proposta, mentre l’altra sarà libera di accettarla entro un certo termine.
Tale contratto è regolato dall’art. 1331 c.c., secondo cui quando le parti convengono che una di esse rimanga vincolata alla propria dichiarazione e l’altra abbia facoltà di accettarla o meno, la dichiarazione della prima si considera quale proposta irrevocabile, ai sensi dell’art. 1329 c.c. Se per l’accettazione non è stato fissato un termine, questo può essere stabilito dal giudice.
Il patto di opzione, pertanto, è un contratto preparatorio di un successivo contratto finale, che si perfeziona mediante la dichiarazione unilaterale di una parte (c.d. opzionario) che accetta la proposta formulata dall’altra parte (c.d. concedente).
La conclusione del negozio principale avviene quindi con la semplice manifestazione di volontà dell’opzionario, senza che sia necessaria (al contrario di ciò che avviene nel contratto preliminare) una nuova manifestazione del consenso dei contraenti.
La proposta irrevocabile può avere per oggetto una compravendita, una locazione, un appalto o un contratto innominato. Nella prassi, i contratti di opzione più diffusi sono quelli di compravendita, in particolare immobiliare.
In ambito societario, il patto d’opzione avente per oggetto il trasferimento di partecipazioni societarie, pur mantenendo inalterato lo schema contrattuale di base, assume profili peculiari.
Ciò che caratterizza le opzioni in ambito societario, oltre all’oggetto dell’opzione (le partecipazioni), è il fatto che a tali opzioni è spesso dato un valore, un prezzo, non necessariamente pecuniario e che, soprattutto, le parti, concedente e opzionario, sono di norma soci della società delle cui partecipazioni si tratta.
In sintesi, i patti di opzione in ambito societario sono contratti bilaterali con i quali a un socio (beneficiario o opzionario), anche dietro pagamento di un corrispettivo (c.d. premio) a favore di un altro socio (concedente), si attribuisce il diritto potestativo di acquistare o di vendere un certo quantitativo di partecipazioni (azioni, quote) a un prezzo determinato o determinabile (prezzo di esercizio o strike price), al verificarsi di un evento definito (c.d. triggering event) o di un termine.
In ambito societario, il patto di opzione è diffuso nella prassi in due declinazioni, a seconda della posizione giuridica del soggetto titolare del diritto potestativo, rispettivamente di acquistare o vendere la partecipazione, ossia l’opzionario:
- opzione “call” (diritto di acquistare);
- opzione “put” (diritto di vendere).
Il patto di opzione call attribuisce all’opzionario il diritto potestativo di acquistare partecipazioni societarie alle condizioni convenute dalle parti. Lo schema dell’opzione call, quindi, ricalca in sostanza quello dell’opzione di vendita ordinaria, in cui il concedente propone irrevocabilmente all’opzionario di acquistare le partecipazioni di cui il concedente stesso è proprietario.
Il patto di opzione put, invece, attribuisce all’opzionario del diritto potestativo di vendere al concedente le partecipazioni societarie dell’opzionario stesso, alle condizioni convenute dalle parti. In questo caso, dunque, il concedente propone irrevocabilmente all’opzionario di acquistare le partecipazioni di quest’ultimo.
In linea generale, le opzioni possono essere utilizzate sia per la stabilizzazione degli assetti proprietari, sia per risolvere uno stallo, sia per assicurare un’influenza dominante sulla società, ma anche per prevenire un inadempimento, o evitare una lite tra i soci.
Le conseguenze del mancato rispetto dell’opzione sono diverse in base alla fonte del diritto medesimo.
In caso di opzioni puto call convenute in un patto parasociale, essendo questo vincolante per i soli soci che ne sono parti, la cessione della partecipazione in violazione è perfettamente valida ed efficace nei confronti della società ed il socio opzionario il cui diritto è stato leso vanterà una mera pretesa risarcitoria nei confronti del concedente, che ha violazione l’opzione.
Se, invece, l’opzione è introdotta con clausola statutaria, la stessa sarà vincolante per tutti i soci e la cessione effettuata in violazione, ancorché valida ed efficace nei rapporti interni (cioè tra cedente e cessionario) non è opponibile alla società ed il cessionario potrà chiedere il relativo risarcimento dei danni al cedente.
2. Opzione e diritto di recesso
Si pone il problema si stabilire se l’introduzione di un diritto di opzione put o call nello statuto di una società di capitali faccia o meno sorgere in favore dei soci che non hanno concorso all’approvazione della delibera il diritto di recesso.
Sin proposito non è possibile fornire una risposta univoca, in quanto occorre analizzare da un lato la concreta strutturazione della clausola, e dall’altro lato il tipo sociale in cui la clausola viene inserita.
Il diritto di opzione può essere attribuito ad una speciale categoria di azioni o quote, oppure può spettare in astratto a tutti i soci, divenendo esercitabile in concreto al verificarsi di determinati parametri oggettivi.
Nel primo caso, analogamente a quanto previsto in caso di introduzione di azioni speciali o quote particolari, nelle S.p.a. l’introduzione dell’opzione fa sorgere diritto di recesso, ai sensi dell’art. 2437, comma 1, lett. g) c.c., mentre nelle S.r.l. non spetta ai soci alcun diritto di recesso, nulla essendo previsto in tal senso dall’art. 2473 c.c.
Più controversa è la questione se sorga o meno diritto di recesso quando la clausola statutaria che attribuisce il diritto di opzione è strutturata in modo da ricollegare il diritto di opzione non ad una categoria di azioni o quote, bensì al ricorrere di determinati parametri oggettivi, potendo quindi spettare tale diritto, in astratto, ad ogni azione o quota.
Per quanto concerne la clausola di opzione call opzione di acquisto di partecipazioni di altri soci), il diritto attribuito all’opzionario si atteggia come un diritto di riscatto. Pertanto:
nelle S.p.A., quando la riscattabilità riguarda tutte le azioni ed è collegata a parametri oggettivi, la clausola statutaria che la introduce fa sorgere in favore dei soci che non hanno concorso all’approvazione della delibera il diritto di recesso ai sensi dell’art. 2437, comma 2, lett. b) c.c., in forza di una assimilazione, in senso lato, della riscattabilità ai limiti alla circolazione delle azioni;
nelle s.r.l., l’introduzione della clausola non fa sorgere alcun diritto di recesso, che non spetta mai in caso di introduzione di limiti alla circolazione delle quote (art. 2469 c.c.).
3. L’opzione call
Con il patto di opzione call, il concedente, titolare delle partecipazioni, concede all’opzionario il diritto di acquistare tali partecipazioni. Il concedente, quindi, è irrevocabilmente obbligato a vendere, mentre l’opzionario ottiene un diritto potestativo che consiste nella facoltà di scegliere se acquistare o meno le partecipazioni.
Lo scopo perseguito con l’opzione call è di permettere al socio beneficiario dell’opzione di incrementare la partecipazione e, conseguentemente, il proprio peso nell’ambito del capitale sociale. Ad esempio, un soggetto investitore il quale acquisti una partecipazione minoritaria in una società ma intenda riservarsi il diritto di aumentare tale partecipazione, al verificarsi di determinati eventi, acquistando partecipazioni dagli altri soci, fino a raggiungere la maggioranza (o la totalità) del capitale sociale, può stipulare con gli altri soci un’opzione call, oltre al contratto di compravendita delle partecipazioni.
In questi casi, l’opzione call rientra nella categoria dei patti parasociali, volti a garantire il controllo della società di cui all’art. 2341-bis comma 1 lett. c), ossia quei patti che hanno per oggetto o per effetto l’esercizio anche congiunto di un’influenza dominante sulla società.
L’opzione call può inoltre essere utilizzata dal socio di maggioranza per realizzare una progressiva eliminazione dalla compagine sociale dei soci di minoranza, acquistandone le partecipazioni (c.d. squeeze out). In tal caso, la clausola indiscutibilmente mira ad una alterazione degli assetti societari e non già ad una loro conservazione
Tale opzione può essere infine utilizzata come strumento per reperire risorse finanziarie; ad es., il socio di maggioranza vende le proprie partecipazioni (o parte di esse), riservandosi la possibilità di riacquistarle entro un certo termine; il prezzo incassato viene destinato a coprire le occorrenze finanziarie immediate e, una volta cessata l’esigenza, il socio (o ex socio) potrà riacquistare le proprie partecipazioni esercitando l’opzione call.
4. L’opzione put
L’opzione put è un contratto con cui il titolare di partecipazioni societarie acquista il diritto potestativo di vendere tali partecipazioni a un terzo, entro un certo termine, o al verificarsi di un evento futuro, e per un prezzo determinato o determinabile.
Rispetto all’opzione call, quindi, le posizioni delle parti sono capovolte: il titolare delle partecipazioni è l’opzionario, mentre il terzo acquirente è il concedente. In altri termini, il concedente attribuisce all’opzionario un diritto di vendita, di modo che, se l’opzione viene esercitata, il concedente è irrevocabilmente obbligato ad acquistare le partecipazioni dell’opzionario.
Lo scopo dell’opzione put è opposto a quello dell’opzione call: mentre, infatti, in questa ultima, la finalità perseguita è l’aumento della partecipazione al capitale sociale, nell’opzione put lo scopo è la dismissione della partecipazione. In altri termini, mentre con l’opzione call si mira a entrare in una compagine sociale o ad accrescere il peso della partecipazione, con l’opzione put si mira a uscire dalla società o a ridurre il peso della partecipazione.
L’uso più frequente dell’opzione put in ambito societario avviene nei patti che consentono l’interruzione del rapporto sociale attraverso tecniche contrattuali (c.d. clausole di exit). I casi tipici riguardano gli investimenti eseguiti da fondi di private equity o le joint venture societarie, in cui si conviene il diritto di disinvestimento a vantaggio del socio finanziatore dopo un certo tempo e/o al verificarsi di determinati eventi, ad un determinato prezzo.
Si tratta di pattuizioni generalmente previste nell’ambito di contratti di investimento stipulati con investitori istituzionali, volti a realizzare complesse operazioni di private equity, mediante le quali si riconosce al socio-finanziatore il diritto di uscita dalla compagine sociale mediante la cessione della propria partecipazione entro un certo termine e a un prezzo tale da garantire sia il rimborso del finanziamento sia una adeguata remunerazione (v. par. 4).
L’opzione put può essere inoltre finalizzata a garantire all’opzionario la possibilità di uscire dalla compagine a fronte di un insanabile dissidio gestionale. L’opzione put quale exit strategy del socio finanziario, in particolare, è utilizzata nelle situazioni in cui, in seguito a eventi non previsti dalle parti, muti sostanzialmente l’equilibrio economico della società e la permanenza nella compagine sociale diventi eccessivamente onerosa per una di esse (c.d. hardship clause).
In questo caso, la funzione dell’opzione put è la minimizzazione della perdita, ma non la totale esclusione dalla partecipazione all’andamento della gestione; la riallocazione delle partecipazioni come strategia di uscita dalla compagine sociale non è quindi svincolata dalla proficua gestione della società o è subordinata al verificarsi di eventi estranei alla sfera dell’opzionario.
Per quanto concerne il prezzo della partecipazione opzionata, gli strumenti più frequenti sono:
- la predeterminazione di un prezzo certo, prefissato all’atto della stipula del patto;
- l’accordo su un metodo di calcolo del prezzo facente riferimento ad un valore di mercato della partecipazione al momento di esercizio dell’opzione, con contestuale nomina di un terzo arbitratore ai sensi dell’art. 1349 c.c. (generalmente una banca d’affari o un professionista del settore).
5. L’opzione put nelle operazioni di finanziamento
Come accennato, l’opzione put viene spesso utilizzata nell’ambito di operazioni di finanziamento in cui un soggetto entra nella compagine sociale, perseguendo un interesse finanziario e, si riserva il diritto di vendere la propria partecipazione a un prezzo tale da limitare o escludere del tutto il rischio dell’investimento.
Il criterio generale di valorizzazione delle partecipazioni è quello previsto per il caso del recesso del socio, ed è individuato dall’art. 2437-ter c.c. nel valore di mercato delle partecipazioni (c.d. Fair Market Value). La quantificazione dello strike price al momento dell’esercizio dell’opzione può condurre a tre diversi esiti:
- il prezzo di mercato è sostanzialmente identico al prezzo di realizzo della vendita (c.d. at the money); in questo caso per l’opzionario il prezzo di realizzo è fair, ossia corrisponde al principio di equità che l’art. 2437-ter c.c. mira a raggiungere;
- il prezzo di mercato è inferiore al prezzo di esercizio convenzionalmente prefissato (c.d. in the money); per l’opzionario, in questo caso, il prezzo di realizzo è particolarmente vantaggioso, poiché riesce a lucrare sulla differenza tra prezzo di mercato e prezzo di esercizio dell’opzione;
- il prezzo di mercato è superiore al prezzo di esercizio convenzionalmente prefissato (c.d. out of the money); in questo caso, invece, per l’opzionario l’esercizio dell’opzione è svantaggioso, poiché realizza meno di quanto potrebbe se vendesse al prezzo di mercato.
Nella prassi, il ricorso al meccanismo della temporanea partecipazione al capitale sociale a scopo di finanziamento è molto diffuso grazie ai fondi di private equity che, per definizione, perseguono il fine di compiere investimenti attraverso l’acquisizione di partecipazioni di una determinata società (c.d. target) e di mantenerle in portafoglio per un certo lasso temporale, per poi cederle al fine di remunerare i propri soci, che hanno finanziato l’acquisizione. In sostanza, l’acquisto di partecipazioni (che può avvenire anche con operazioni di aumento di capitale) è funzionale per concedere finanziamenti tramite equity e per ricavare profitti nel medio termine, sia dai dividendi redistribuiti ai partecipanti del fondo, sia dalla rivendita a prezzo maggiorato delle partecipazioni.
Spesso, queste operazioni sono accompagnate dall’apporto di know-how, sotto forma di nomina di dirigenti del fondo nel Consiglio di Amministrazione della società target, quali l’Amministratore Delegato e il Direttore Finanziario, così da incrementare ricavi, profitti e, in definitiva, il valore delle partecipazioni.
L’uscita dalla compagine sociale, ossia il disinvestimento del fondo di private equity, avviene di norma mediante un’opzione di vendita a prezzo predeterminato. In ogni caso, il prezzo di realizzo non può essere determinato in modo tale da escludere del tutto il rischio d’impresa, pena la nullità della clausola per violazione del divieto di patto leonino (v. par.6).
6. Patto di opzione e divieto di patto leonino
Ai sensi dell’art. 2265 c.c. – norma che si applica a tutti i tipi societari – è nullo il patto con il quale uno o più soci sono esclusi da ogni partecipazione agli utili o alle perdite (c.d. divieto del patto leonino).
La finalità del divieto è quella di preservare la causa tipica del contratto di società, mediante il quale due o più persone conferiscono beni o servizi per l’esercizio in comune di un’attività economica allo scopo di dividerne gli utili (art. 2247 c.c.).
La possibilità che un socio possa decidere di vendere (opzione put), ovvero possa essere obbligato a vendere (opzione call) la propria partecipazione in qualunque momento e ad un valore prestabilito, che quindi non tiene conto del valore reale della partecipazione al momento del trasferimento conseguente all’esercizio dell’opzione, farebbe sì che il socio della cui partecipazione si tratta sarebbe, di fatto, del tutto sottratto al rischio d’impresa, essendo per lui irrilevanti le fluttuazioni di valore reale della partecipazione dipendenti dall’andamento dell’attività sociale.
Ciò, dunque, vale per negare l’ammissibilità del patto o clausola statutaria contenente un diritto di opzione da esercitare ad un prezzo predeterminato ed in qualsiasi momento, per tutta la durata della società, essendo appunto tale patto in contrasto con il divieto di patto leonino.
Tuttavia, come affermato dalla giurisprudenza, non viola il divieto in esame il patto parasociale o la clausola statutaria che delimita l’esercizio di diritto di opzione (di vendita o di acquisto) all’interno di una predeterminata finestra di esercizio e/o a fronte di un prezzo di esercizio da determinare tenendo conto del valore reale della partecipazione al momento dell’esercizio dell’opzione.
In altri termini, l’opzione non viola il divieto di patto leonino tutte le volte in cui il patto parasociale o la clausola statutaria siano strutturati in modo tale da comportare una esclusione solo parziale dagli utili e dalle perdite del socio della cui partecipazione si tratta, obiettivo che si realizza, appunto, circoscrivendo nel tempo la possibilità di esercizio del diritto di opzione, oppure determinando il prezzo di esercizio per relationem rispetto al valore reale della partecipazione.
Per quanto concerne in particolare le opzioni put, ci si è chiesti se violi il divieto di patto leonino la previsione di un diritto di vendita delle partecipazioni sociali a prezzo fisso, senza possibilità di aggiustamenti per allinearlo al valore effettivo delle partecipazioni al momento dell’esercizio dell’opzione; in tal caso, infatti, vi è il rischio che un simile strumento venga utilizzato dal concedente per proteggersi da eventuali perdite.
Sul punto, la giurisprudenza ha affermato che, nell’ipotesi di opzione put a prezzo preconcordato, occorre di volta in volta ricostruire la causa concreta del programma contrattuale, per valutare se la stessa sia lecita e meritevole di tutela. Il patto non ricade, pertanto, nel divieto di cui all’art. 2265 c.c. qualora l’esclusione dalle perdite non sia strutturalmente assoluta e costante e non ne integri la funzione essenziale o causa in concreto, tenuto conto del regolamento negoziale nel suo complesso.
Si tratta di verificare, quindi, se nel caso di specie le clausole di opzione put e di call realizzino o meno tale esclusione assoluta e costante dagli utili e dalle perdite.
Per quanto concerne il carattere dell’assolutezza, la presenza di un’opzione che preveda un prezzo di vendita della partecipazione tale da eliminare del tutto gli effetti dei risultati della gestione in capo all’opzionario, non è di per sé sufficiente a integrare tale requisito; occorre infatti valutare anche se il pagamento di tale prezzo sia certo, ossia se sussistono elementi aleatori che lasciano esposto l’opzionario al rischio di impresa.
In particolare, non sembra integrare un patto leonino l’opzione put il cui esercizio sia subordinato al verificarsi di eventi futuri e incerti oggettivi, il cui accadimento è sottratto al controllo del socio. Per contro, l’opzione put che realizza un diritto potestativo del socio il quale, con il suo esercizio, può unilateralmente sottrarsi alle perdite, con ciò eludendo del tutto l’alea insita nella partecipazione a un’impresa, non può considerarsi meritevole di tutela, per gli evidenti abusi che una tale clausola potrebbe ingenerare. Si pensi all’opzionario che deliberatamente faccia intraprendere affari rischiosissimi alla società, sapendo di poterne sempre uscire indenne in qualunque momento.
Sussiste, invece, il requisito della costanza, quando l’esclusione dagli utili e/o dalle perdite è ragguagliata al periodo di partecipazione del socio. In particolare, tale requisito deve considerarsi integrato quando la sterilizzazione del rischio pianificata con l’opzione put si estenda a tutte le perdite prodotte nel periodo in cui l’opzionario intende permanere nella compagine sociale. Per contro, la “costanza” non si verifica quando la sterilizzazione del rischio è solo temporanea o limitata ai risultati della gestione in un dato periodo.
Assolutezza e costanza, quindi, sono requisiti complementari: mentre la prima impone che si verifichi il concreto azzeramento del rischio di impresa da un punto di vista quantitativo, la seconda, invece, esclude il patto leonino quando la sterilizzazione del rischio sia temporalmente circoscritta.
Recentemente, tuttavia, la giurisprudenza ha parzialmente mutato il proprio orientamento, ritenendo che è lecito e meritevole di tutela l’accordo negoziale concluso tra i soci di una società azionaria, con il quale l’uno, in occasione del finanziamento partecipativo così operato, si obblighi a manlevare l’altro dalle eventuali conseguenze negative del conferimento effettuato in società, mediante l’attribuzione del diritto di vendita entro un termine dato e il corrispondente obbligo di acquisto della partecipazione sociale a prezzo predeterminato, pari a quello dell’acquisto, pur con l’aggiunta di interessi sull’importo dovuto e del rimborso dei versamenti operati nelle more in favore della società.
7. Le opzioni call/put reciproche
Nella prassi societaria è assai diffuso l’uso combinato delle opzioni call e put. In sostanza, si ha un patto di opzione call/put reciproca quando due soci della medesima società si obbligano reciprocamente a vendere e ad acquistare le rispettive partecipazioni, a un prezzo determinato o determinabile, al verificarsi di un evento futuro, in modo da assicurare il trasferimento delle partecipazioni.
Ad esempio, Tizio, il quale detiene partecipazioni nella società Alfa, vuole essere certo che, al verificarsi di un certo evento, o al decorrere di un certo termine, le sue partecipazioni siano cedute a Caio. Con il patto di opzione call/put reciproco, se Caio, opzionario dell’opzione call non la esercita, Tizio, opzionario dell’opzione put (concedente dell’opzione call) avrà comunque la possibilità di esercitare il proprio diritto di vendita, con l’effetto di trasferire in ogni caso le partecipazioni Alfa di Tizio a Caio.
Il meccanismo dell’opzione reciproca viene inserito nei patti parasociali per assicurare il passaggio delle partecipazioni nei casi in cui sia necessario risolvere rapidamente eventuali conflitti inconciliabili tra le parti o come strumento per forzare l’uscita dalla compagine sociale di un socio inadempiente o permettere al socio adempiente di abbandonare la società al suo destino. Si tratta, in sostanza di un meccanismo che permette sia l’uscita volontaria dalla società, mediante l’opzione di vendita (c.d. exit attivo) sia l’estromissione del socio mediante l’opzione di acquisto (c.d. exit passivo), senza lo scioglimento della società.
Ciò che rileva, quindi, è l’evento dedotto quale condizione per l’esercizio dell’opzione, il c.d. triggering event (“evento scatenante”), ossia quell’avvenimento (o mancato avvenimento), quella circostanza sopravvenuta, quel fatto giuridico che fa scattare il diritto potestativo di vendere le proprie azioni o acquistare quelle dell’altro socio.
Le opzioni reciproche permettono di realizzare un procedimento di coercizione nell’adempimento delle obbligazioni assunte dai partecipanti alpatto parasociale. In questo caso, il prezzo di esercizio della vendita (o dell’acquisto) delle partecipazioni (strike price) può assumere anche una valenza punitiva, ove sia fissato in misura inferiore al valore di mercato, come individuato dall’art. 2437-ter c.c. per il caso del recesso. Tuttavia, il prezzo risultante dai criteri punitivi previsti non può risultare eccessivamente penalizzante per il socio estromesso, pena la nullità della clausola.
Esse sono altresì utilizzate per risolvere situazioni potenzialmente critiche per la sopravvivenza della società, quali la soggezione di un socio a procedure concorsuali, la sostanziale modifica nella compagine sociale o nella governance di uno dei soci (c.d. change of control clause), il verificarsi di situazioni in cui, in seguito a eventi non previsti dalle parti, muti in modo consistente l’equilibrio economico della società e la permanenza nella compagine sociale diventi eccessivamente onerosa per una di esse (hardship clause), il raggiungimento (o il mancato raggiungimento) di una certa soglia di ricavi. In questi casi, i partecipanti al patto parasociale non perseguono il fine della cessione delle partecipazioni: l’effetto traslativo delle partecipazioni non è lo scopo delle parti, ma il mezzo attraverso il quale risolvere un conflitto attuale o potenziale.
L’opzione call/put reciproca è inoltre applicata diffusamente nell’ambito dei meccanismi di soluzione di stallo decisionale (c.d. deadlock).
Se siete interessati a scaricare un modello di clausola put e call, inviate una mail al seguente indirizzo: info@studio-pandolfini.it.
Si evidenzia che il modello non è gratuito. Per informazioni sul costo, inviate una mail al seguente indirizzo: info@studio-pandolfini.it
Avv. Valerio Pandolfini
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