La pubblicità ingannevole e comparativa: i profili legali
Come è noto, la pubblicità riveste molta importanza per promuovere le attività e i servizi di una impresa. La pubblicità è disciplinata, per quanto riguarda i rapporti tra imprese (B2B), dal D.lgs. n. 145/2007, che vieta la pubblicità ingannevole e comparativa illecita nei rapporti tra imprese, e per quanto riguarda i rapporti con i consumatori dalle norme del Codice del Consumo relative alle pratiche commerciali scorrette. Incaricata dall’applicazione della disciplina sulla pubblicità è “Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM), la quale ha irrogato negli anni numerose sanzioni per pubblicità ingannevole nei confronti di imprese che hanno divulgato messaggi pubblicitari ritenuti ingannevoli. Tali provvedimenti hanno comportato non soltanto l’irrogazione alle imprese di sanzioni pecuniarie, ma anche e soprattutto ricadute negative sul piano dell’immagine. Analizziamo le principali norme che disciplinano la pubblicità, fornendo alcuni suggerimenti utili per evitare responsabilità e rischi di sanzioni.
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1. La disciplina della pubblicità
Come è noto, la pubblicità – sia essa effettuata secondo modalità tradizionali (off line) o tramite internet (on line) – riveste molta importanza per le imprese.
La pubblicità effettuata dalle imprese è soggetta ad una complessa e variegata normativa, in gran parte di origine comunitaria, finalizzata ad assicurare il buon finanziamento del mercato e della concorrenza. Le norme applicabili in materia pubblicitaria sono diverse, a seconda che la pubblicità sia diretta ad altre imprese o professionisti (B2B) o a consumatori, cioè a persone fisiche che agiscono per fini non rientranti nella loro attività commerciale, industriale, artigianale o professionale (B2C).
Nel primo caso, trova applicazione il D.lgs. n. 145/2007, che vieta la pubblicità ingannevole e comparativa illecita nei rapporti tra imprese. Nel secondo caso, si applica invece il D.lgs. n. 206/2005 (Codice del Consumo), che disciplina le pratiche commerciali scorrette, categorie che racchiude anche le diverse forme di pubblicità illecita rivolta appunto a consumatori.
Accanto a tali discipline può inoltre trovare applicazione_
- la disciplina del Codice civile sulla concorrenza sleale, prevista agli artt. 2598 e ss. c.c.;
- il Codice di Autodisciplina Pubblicitaria, che stabilisce le regole sulla pubblicità che devono essere rispettate dalle imprese.
In questo articolo ci soffermeremo esclusivamente sulla disciplina della pubblicità nei rapporti tra imprese, rinviando per la pubblicità rivolta ai consumatori all’approfondimento in tema di pratiche commerciali scorrette.
In questo ambito si sono verificati, anche in tempi recenti, numerosi casi in cui l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM) ha irrogato sanzioni per pubblicità ingannevole, nei confronti di imprese che hanno in vario modo divulgato messaggi pubblicitari ritenuti ingannevoli.
Tali provvedimenti hanno comportato non soltanto l’irrogazione alle imprese di sanzioni pecuniarie talvolta pesanti, ma anche e soprattutto ricadute negative sul piano dell’immagine. Senza contare le possibili azioni risarcitorie che possono essere promosse dai soggetti danneggiati dal messaggio pubblicitario ingannevole.
Di qui l’importanza – spesso purtroppo sottovalutata o addirittura ignorata – per le imprese di prestare molta attenzione a tutti i messaggi pubblicitari che vendono come destinatari i potenziali clienti.
La pubblicità è uno strumento molto importante, ma anche potenzialmente pericoloso. E’ dunque essenziale che la liceità di qualunque messaggio pubblicitario sia scrupolosamente valutata sotto il profilo legale, per evitare di incorrere in spiacevoli sorprese.
2. Cosa è considerata “pubblicità”?
Dal punto di vista giuridico, costituisce “pubblicità” qualsiasi messaggio, diffuso con qualunque mezzo e modalità, che sia finalizzato a promuovere una determinata attività imprenditoriale (art. 2, comma 1 D.lgs. n. 145/2007).
Si tratta quindi di una nozione molto ampia di pubblicità, che prescinde dal mezzo attraverso il quale il messaggio pubblicitario venga diffuso, purché lo stesso sia finalizzato a promuovere una determinata attività imprenditoriale.
L’AGCM e la giurisprudenza amministrativa hanno interpretato in modo molto estensivo il concetto di pubblicità, includendovi non soltanto i messaggi pubblicitari in senso stretto (slogans, volantini, brochure, banners etc.) ma anche le seguenti attività:
- opuscoli e guide tecniche, qualora contengano consigli tendenti ad orientare le scelte economiche del consumatore;
- segni distintivi, come la ditta o l’insegna degli esercizi commerciali, la carta intestata in quanto di per sé idonee a promuovere l’attività economica dell’azienda stessa, nonché il marchio, qualora, per via del contesto in cui è inserito, assuma valenza pubblicitaria;
- confezione del prodotto;
- business plans:
- articoli giornalistici, qualora sia prevalente l’aspetto pubblicitario su quello informativo, sotto il profilo dell’impatto comunicativo per il destinatario.
Per quanto concerne, in particolare, il business plan – che, come è noto, consiste in previsioni di redditività futura, sottoposte a un destinatario per invogliarlo ad aderire ad una determinata iniziativa commerciale – lo stesso è considerato uno strumento pubblicitario, e in quanto tale è soggetto alle valutazioni dell’AGCM. Pertanto, un business plan contenente affermazioni non veritiere, o comunque la cui veridicità non sia dimostrabile in modo oggettivo, può essere considerato pubblicità ingannevole (v. par. 4), e quindi può esporre l’impresa a sanzioni pecuniarie anche elevate, da parte dell’AGCM.
Ed infatti, già in numerosi casi l’AGCM ha comminato sanzioni ad imprese per avere generato con messaggi pubblicitari ingannevoli di vario tipo false aspettative in capo agli aspiranti affiliati circa i risultati economici realizzabili attraverso l’affiliazione, ad es. prospettando guadagni “certi” quando invece gli stessi erano in realtà altamente incerti, in quanto dipendevano dalle più diverse variabili.
Tali messaggi possono essere diffusi tramite vari strumenti: oltre agli strumenti tradizionali (radio, televisione, posta, ecc.), negli ultimi anni sono aumentati esponenzialmente i messaggi pubblicitari tramite sms, e-mail, banner su siti internet e piattaforme digitali, etc.
Le indicazioni ed i dati contenuti in tali messaggi hanno costituto frequente oggetto di provvedimenti sanzionatori dell’AGCM; occorre quindi prestare molta attenzione a tutti i messaggi pubblicitari in senso lato che un’impresa può diffondere, perché – come vedremo in seguito – dagli stessi possono nascere rilevanti responsabilità e rischi legali.
3. Le regole generali sulla pubblicità
Quali caratteristiche devono avere i messaggi pubblicitari nel franchising per essere leciti dal punto di vista giuridico e quindi non esporre le imprese a responsabilità e rischi legali?
L’art. 1°, 2° comma, del D. Lgs n. 145/2007 prevede che in generale la pubblicità deve essere:
- palese
- veritiera
- corretta
Tali caratteristiche devono essere presenti nel messaggio pubblicitario fin dal primo contatto con il destinatario. Il messaggio pubblicitario, infatti, esaurisce la propria funzione nell’indurre il destinatario a rivolgersi al professionista.
La comunicazione d’impresa deve essere quindi chiara e completa fin dall’inizio, indipendentemente dal fatto che il destinatario possa apprendere ulteriori elementi successivamente, tramite rinvio ad altre fonti informative.
Posto che nulla vieta una presentazione del prodotto che – associandolo ad elementi estranei alle sue caratteristiche – lo renda allettante, la trasparenza richiesta nelle campagne pubblicitarie impone l’indicazione di tutte le informazioni la cui omissione potrebbe rendere il messaggio idoneo a trarre in inganno il consumatore medio, facendo attenzione ad utilizzare note e precisazioni solo per aggiungere informazioni integrative e non anche informazioni correttive o limitative. La completezza e la veridicità di un messaggio promozionale è infatti da verificare nell’ambito del contesto della comunicazione commerciale stessa e non anche sulla base di informazioni ulteriori che l’operatore renda disponibili solo qualora sia già avvenuto l’effetto promozionale.
L’Art. 5 del D. Lgs n. 145/2007 prevede altresì che la pubblicità deve essere sempre chiaramente riconoscibile come tale, e che la pubblicità a mezzo di stampa deve essere distinguibile dalle altre forme di comunicazione al pubblico, con modalità grafiche di evidente percezione.
Ai destinatari del messaggio pubblicitario deve dunque essere consentito di riconoscere la natura promozionale e non indipendente dello stesso, in modo che venga attivata una sufficiente reazione critica e soglia di attenzione.
Il principio della riconoscibilità può suscitare delle criticità con riferimento ai messaggi pubblicitari on line, a causa delle particolari modalità con le quali essi sono a volte diffusi. Si pensi, ad es. ai cd. banner, che possono cerare problemi quando le loro caratteristiche sono tali da generare confusione con il contesto nel quale risultano presenti.
Una campagna pubblicitaria non può inoltre violare i diritti d’autore di terzi. Qualora si utilizzino opere dell’ingegno – ovvero opere che presentano carattere creativo tutelate in quanto tali dalla legge sul diritto d’autore – è necessario il consenso dell’autore (o dei suoi eredi, sino a settant’anni dalla morte di quest’ultimo), a cui spetta in via esclusiva il diritto di utilizzazione economica dell’opera. Tale diritto può essere trasferito o concesso temporaneamente a terzi, per determinate finalità e/o utilizzi.
Nei casi in cui l’opera che si intende riprodurre rientri nel novero dei beni culturali (in quanto presenti interesse artistico, storico, archeologico o etnoantropologico, indipendentemente che la proprietà della stessa sia pubblica o privata), la riproduzione della stessa potrà avvenire solo con il consenso dell’ente titolare e, se del caso, dietro pagamento di un corrispettivo (artt. 107 e 108 Codice dei beni culturali).
La riproduzione o utilizzo di un marchio altrui a fini pubblicitari è illecita (salvo nei casi di pubblicità comparativa) quando avvenga senza giusto motivo (e quindi senza il consenso del titolare del marchio), e consenta di trarre indebito vantaggio (circostanza che si verifica quando l’uso del marchio altrui incida positivamente sulla percezione del pubblico sul prodotto/servizio pubblicizzato del terzo utilizzatore) o rechi pregiudizio alla percezione del marchio (c.d. annacquamento o svilimento del marchio). In particolare, è scorretto l’utilizzo di un marchio altrui quando crei confusione o il convincimento che vi sussista un legame tra imprese, e nuoccia al valore del marchio, mentre è ammissibile un uso funzionale del marchio, ad esempio nei casi in cui il prodotto del concorrente costituisca un elemento di costruzione (assieme ad altri) del processo narrativo.
Infine, l’uso e la produzione dell’immagine di una persona altrui, a prescindere dal tipo di opera in cui sia contenuta, sono tutelati dall’art. 10 c.c. e dall’art. 96 della Legge Autore, che richiedono il consenso della persona ritratta, salvo casi particolari in cui tale utilizzo non sia giustificato da particolari esimenti e sempre che l’esposizione e la messa in commercio del ritratto altrui non sia pregiudizievole per il decoro e la reputazione della persona interessata.
4. La pubblicità ingannevole
L’art. 2, lett. b), del D.lgs. n. 145/2007 vieta la pubblicità ingannevole, definita come “qualsiasi pubblicità che, in qualunque modo, compresa la sua presentazione, è idonea a indurre in errore le persone fisiche o giuridiche alle quali è rivolta o che essa raggiunge e che, a causa del suo carattere ingannevole, possa pregiudicare il loro comportamento economico, ovvero che, per questo motivo sia idonea a ledere un concorrente”.
Il divieto di pubblicità ingannevole è posto a presidio della libertà di determinazione delle scelte dei consumatori, posto che la pubblicità – promuovendo la vendita di prodotti o servizi – è uno strumento atto ad orientarne gli acquisti e/o a stimolarne bisogni e pertanto, se ingannevole, comprometterebbe una scelta avveduta e consapevole.
A tal fine la legge tutela la correttezza delle campagne pubblicitarie, dando rilevanza non all’intenzione dell’inserzionista, quanto all’idoneità della condotta ad indurre in errore il consumatore medio del settore di riferimento; errore che può riguardare la natura del prodotto/servizio o delle sue caratteristiche, la sua origine, il suo prezzo e le condizioni di vendita.
È quindi ingannevole il messaggio pubblicitario che, in qualunque modo, compresa la sua presentazione (modo in cui il messaggio viene inserito nel giornale o sito web, ecc.), e indipendentemente dall’intento dell’operatore (cioè oggettivamente), sia idoneo a:
- indurre in errore i destinatari o comunque coloro che la stessa raggiunge;
- pregiudicare il comportamento economico dei destinatari, anche solo potenzialmente (cioè indipendentemente dal fatto che il messaggio produca un danno).
Ai sensi dell’art. 3 D. Lgs n. 145/2007, nella valutazione del carattere ingannevole di un messaggio pubblicitario è necessario considerarne tutti gli elementi, con particolare attenzione:
- a) alle caratteristiche dei beni o dei servizi(disponibilità, natura, esecuzione, composizione, metodo e data di fabbricazione o della prestazione, idoneità allo scopo, usi, quantità, descrizione, origine geografica o commerciale, risultati che si possono ottenere con il loro uso, risultati e caratteristiche fondamentali di prove o controlli effettuati sui beni o sui servizi);
- b) al prezzo, al modo in cui questo è calcolato ed alle condizioni alle quali i beni o i servizi sono forniti;
- c) alla categoria, alle qualifiche e ai diritti dell’operatore pubblicitario (identità, patrimonio, capacità, diritti di proprietà intellettuale e industriale, ogni altro diritto su beni immateriali relativi all’impresa ed i premi o riconoscimenti).
Come si vedrà meglio in seguito, è molto importante – per evitare il rischio che un determinato messaggio pubblicitario possa essere ritenuto ingannevole – che l’impresa precostituisca fin dall’inizio – cioè prima di diffondere il messaggio – la prova dell’esattezza materiale dei dati di fatto contenuti nella pubblicità. Infatti, è l’impresa che deve dimostrare la veridicità del messaggio pubblicitario, qualora ne venga contestata l’ingannevolezza.
5. La pubblicità comparativa
La pubblicità comparativa è quella modalità di comunicazione pubblicitaria con la quale un’impresa promuove i propri beni o servizi mettendoli a confronto con quelli dei concorrenti, individuati genericamente o invece specificamente.
La pubblicità comparativa può essere:
- diretta, quando i concorrenti sono riconoscibili o mediante citazione espressa della loro denominazione o del loro marchio (es.: “L’auto X è più confortevole della Y e costa meno”), ovvero mediante l’indicazione di elementi che li rendano inequivocabilmente riconoscibili (es.: “Ci sono banane solo con il timbro e ci sono banane sane come Paquita”);
- indiretta, quando chi attribuisce al proprio prodotto pregi unici implicitamente afferma che tali pregi non sono posseduti da tutti i prodotti concorrenti (es.: “L’unica autovettura silenziosa come la notte”).
Il confronto può essere espresso attraverso parole o immagini in grado di ottenere, spesso in modo più efficace, il medesimo risultato.
La pubblicità comparativa è lecita quando:
- non è ingannevole (v. il par. precedente);
- confronta beni o servizi che soddisfano gli stessi bisogni o si propongono gli stessi obiettivi;
- confronta oggettivamente una o più caratteristiche essenziali, pertinenti, verificabili e rappresentative, compreso eventualmente il prezzo, di tali beni e servizi;
- non ingenera confusione sul mercato tra i professionisti o tra l’operatore pubblicitario ed un concorrente o tra i marchi, le denominazioni commerciali, altri segni distintivi, i beni o i servizi dell’operatore pubblicitario e quelli di un concorrente;
- non causa discredito o denigrazione di marchi, denominazioni commerciali, altri segni distintivi, beni, servizi, attività o posizione di un concorrente;
- per i prodotti recanti denominazione di origine, si riferisce in ogni caso a prodotti aventi la stessa denominazione;
- non trae indebitamente vantaggio dalla notorietà connessa al marchio, alla denominazione commerciale ovvero ad altro segno distintivo di un concorrente o alle denominazioni di origine di prodotti concorrenti;
- non presenta un bene o un servizio come imitazione o contraffazione di beni o servizi protetti da un marchio o da una denominazione commerciale depositati.
6. L’AGCM e il procedimento per pubblicità ingannevole
L’Autorità Garante della concorrenza e del Mercato (AGCM), istituita dalla Legge n. 287/1990, è l’organo incaricato dell’applicazione della disciplina in materia di pubblicità ingannevole e comparativa.
L’AGCM ha dei poteri molto penetranti e molto maggiori di quelli dell’autorità giudiziaria. In particolare, l’AGCM possiede infatti una serie di poteri investigativi, che comprendono la possibilità di:
- accedere a qualsiasi documento pertinente;
- richiedere a chiunque informazioni e documenti pertinenti, con la facoltà di sanzionare l’eventuale rifiuto o la trasmissione di informazioni e documenti non veritieri;
- effettuare ispezioni;
- avvalersi della Guardia di Finanza;
- disporre perizie;
- consultare esperti.
L’AGCM è piuttosto rapida; il procedimento davanti alla stessa si conclude infatti nel giro di sei mesi dall’inizio dell’istruttoria (contrariamente a quanto accade nei giudizi davanti all’Autorità giudiziaria ordinaria, che come è noto durano purtroppo diversi anni).
Pertanto, è essenziale che, quando un’impresa è sottoposta ad un procedimento davanti all’AGCM per (presunta) pubblicità ingannevole, si rivolga tempestivamente ad un legale esperto in materia.
Dati i poteri molto penetranti dell’AGCM e le sanzioni anche molto pesanti che l’AGCM può irrogare (v. par. 7), in caso di indagini è opportuno assumere un atteggiamento molto prudente; da una parte occorre essere collaborativi con l’AGCM, ma dall’altra occorre tutelare attentamente i propri diritti nel procedimento.
L’AGCM si può attivare d’ufficio o a seguito di una denuncia, che può essere effettuata da chiunque ne abbia interesse. La denuncia all’AGCM deve contenere i dati identificativi del denunciante (non sono infatti ammissibili denunce anonime, anche se è consentita una certa riservatezza), l’indicazione del messaggio pubblicitario denunciato ed i motivi per i quali lo si ritiene ingannevole.
Già in fase preistruttoria, il responsabile del procedimento, qualora sussistano fondati motivi per ritenere che il messaggio pubblicitario costituisca pubblicità ingannevole o pubblicità comparativa illecita, ma al contempo non emergano profili di particolare gravità, può invitare il professionista a rimuovere i profili di possibile ingannevolezza o illiceità (moral suasion). Se il professionista aderisce all’invito, la pratica viene archiviata.
L’AGCM archivia la denunzia se non emergono elementi di ingannevolezza, tenuto conto anche dell’ambito di diffusione del messaggio e del fatto che la denunzia o il messaggio siano isolati e sporadici. Altrimenti l’AGCM dà inizio alla fase istruttoria, dandone comunicazione a tutti i soggetti interessati e sul sito internet dell’AGCM.
Può partecipare all’istruttoria qualsiasi soggetto che vi abbia interesse . Nel corso dell’istruttoria le parti interessate hanno la possibilità di depositare memorie difensive e accedere alla documentazione, tranne i casi di manifesta riservatezza (ad es. segreti commerciali). Il responsabile del procedimento può disporre audizioni delle parti interessate.
Durante l’istruttoria, l’AGCM può disporre la sospensione provvisoria della pubblicità ingannevole o comparativa illecita, in caso di particolare urgenza.
L’impresa può, entro 45 gg. dalla ricezione della comunicazione di avvio del procedimento, presentare un impegno a porre fine all’infrazione, a cessare la diffusione del messaggio o a modificarlo in modo da eliminare i motivi della sua illegittimità. Questa possibilità deve essere esaminata con molta attenzione.
L’impegno viene valutato dall’AGCM, che può proporre integrazioni. Se l’AGCM accetta l’impegno, può non procedere all’accertamento dell’infrazione. L’AGCM può anche obbligare l’impresa a pubblicare a sue spese la dichiarazione di assunzione dell’impegno. Se l’impresa non attua l’impegno, le vengono irrogate sanzioni pecuniarie e può essere sospesa l’attività fino a 30 gg.
L’AGCM non può però accettare impegni nei casi di grave e manifesta ingannevolezza del messaggio o qualora l’impegno non sia ritenuto idoneo a rimuovere l’ingannevolezza.
È importante evidenziare che è l’impresa interessata a dover dimostrare l’esattezza materiale dei dati di fatto contenuti nella pubblicità. Se tale prova non viene fornita o è ritenuta insufficiente, i dati di fatto sono considerati inesatti. Occorre quindi prestare particolare attenzione, fin dall’inizio, a precostituirsi la documentazione idonea a dimostrare la veridicità delle informazioni veicolate attraverso la pubblicità. In particolare, in caso di dati economici, occorre essere in possesso di riscontri oggettivi, dotati di valenza economico – statistica, circa i dati pubblicizzati.
7. Le sanzioni dell’AGCM per pubblicità ingannevole
Se l’AGCM accerta l’ingannevolezza del messaggio pubblicitario, può:
- vietare di diffondere o di continuare la diffusione del messaggio;
- obbligare l’operatore a rendere pubblica la decisione dell’AGCM a sue spese a mezzo stampa, oppure attraverso la radio o la televisione, o eventualmente attraverso la diffusione di un’apposita dichiarazione di rettifica;
- condannare l’operatore a una sanzione amministrativa pecuniaria, che, tenuto conto della gravità e della durata della violazione, può andare da 5.000,00 a 500.000,00 Euro. La sanzione deve essere pagata entro 30 giorni.
Se i provvedimenti dell’AGCM non vengono rispettate, l’AGCM applica una ulteriore sanzione amministrativa pecuniaria da 10.000,00 a 150.000,00 Euro e, nel caso di reiterata violazione, può disporre la sospensione dell’attività di impresa fino a 30 giorni.
La quantificazione della sanzione pecuniaria avviene sulla base dei criteri di cui all’art. 11 L. n. 689/81, ovvero:
- la gravità della violazione;
- l’entità del pregiudizio arrecato ai destinatari (ad es., l’esborso economico richiesto per aderire alla rete in franchising);
- la durata della violazione (se superiore a 1 mese la violazione è già grave, ed aumenta all’aumentare del periodo di diffusione della pubblicità;
- la modalità di diffusione, l’ampiezza e capacità di penetrazione del messaggio (se il messaggio è diffuso a mezzo internet, è suscettibile di raggiungere un ampio numero di consumatori, con conseguente maggiore gravità della sanzione);
- l’opera svolta dall’operatore per attenuare o eliminare l’infrazione;
- le condizioni economiche dell’operatore (fatturato);
- la tipologia dei destinatari (la sanzione è più grave se la pubblicità è diretta a consumatori o piccoli imprenditori, come nel caso della maggior parte degli affiliati).
Contro la decisione dell’AGCM si può ricorrere al Giudice amministrativo (TAR – Consiglio di Stato).
Il TAR (e il CdS) si limita tuttavia ad un controllo di mera legittimità (violazione di legge – eccesso di potere), ovvero della non manifesta infondatezza della decisione dell’AGCM sotto il profilo della logicità, coerenza e completezza della motivazione con cui è stata ritenuta l’ingannevolezza del messaggio. Non viene invece valutato il merito, cioè l’ingannevolezza del messaggio.
Per tale motivo, nella maggioranza dei casi il TAR conferma la decisione dell’AGCM. Dunque è consigliabile impugnare le decisioni dell’AGCM solo in caso di manifesta infondatezza o illogicità.
8. Gli ulteriori rischi legali per le imprese in caso di pubblicità ingannevole
Ma oltre alle sanzioni pecuniarie che possono essere irrogate dall’AGCM, vi sono poi ulteriori, e forse ancor più gravi, rischi ai quali può andare incontro un’impresa in caso di pubblicità ingannevole.
Una pronuncia dell’AGCM per pubblicità ingannevole provoca infatti una serie di rilevanti effetti negativi per l’impresa. Accanto al danno economico diretto (sanzione pecuniaria, divieto di diffusione del messaggio), vi è infatti un rilevante danno economico indiretto, dato dal discredito commerciale e dal danno d’immagine derivante dalla pubblicazione della decisione e dalle notizie sui media.
Questa seconda tipologia di danno è ancora più grave, perché può danneggiare l‘impresa, ostacolandone lo sviluppo e provocando ripercussioni che ne possono metterne a repentaglio perfino l’esistenza sul mercato.
Vi è poi un ulteriore danno economico potenziale, costituito dalla possibilità di azioni risarcitorie davanti al giudice ordinario.
Infatti, i soggetti che si ritengono danneggiati dal messaggio pubblicitario ingannevole possono (oltre che fare denunzia all’AGCM), ricorrere in via giurisdizionale davanti al Giudice ordinario, per chiedere il risarcimento del danno.
La tutela in via amministrativa (davanti all’AGCM) e quella giurisdizionale (davanti al Giudice Ordinario) corrono infatti su binari paralleli, in quanto l’una non incide sull’altra; tuttavia, vi sono interferenze di fatto.
Un provvedimento dell’AGCM che accerta la natura ingannevole di un messaggio pubblicitario costituisce un grave indizio nel giudizio davanti al Giudice ordinario circa la responsabilità dell’operatore (per dolo o errore), e può quindi essere utilizzata per ottenere il risarcimento del danno, anche in modo strumentale.
9. Indicazioni per una pubblicità senza rischi legali nel franchising
Come abbiamo visto, un provvedimento sanzionatorio dell’AGCM per pubblicità ingannevole espone le imprese a molteplici rischi: sanzioni pecuniarie, danni all’immagine dell’impresa e alla reputazione del brand, possibili azioni di risarcimento del danno.
Come evitare questi rischi? Ecco di seguito alcuni sintetici ma utili suggerimenti.
Primo: è opportuno ideare e realizzare campagne pubblicitarie il più possibile conformi alla normativa sulla pubblicità, e quindi veritiere, chiare e complete; in particolare, non è opportuno enfatizzare esperienza, successo commerciale, posizione rispetto ai concorrenti, profitti realizzabili, servizi sul mercato privi di effettivo riscontro nella realtà.
Secondo: è opportuno fornire dati o previsioni di fatturato e utili basati su risultanze certe, oggettive, veritiere e dimostrabili a posteriori. Nel dubbio, è preferibile fornire dati conservativi e prudenziali piuttosto che troppo ottimistici.
Terzo: è opportuno prestare molta attenzione alla redazione e diffusione di un messaggio pubblicitario, e rivolgersi, possibilmente prima che il messaggio venga divulgato, a un legale esperto in materia.
Quarto: se si riceve una denunzia o una comunicazione dall’AGCM circa la potenziale ingannevolezza di un messaggio pubblicitario, occorre avvertire immediatamente il legale di fiducia e interrompere immediatamente la diffusione dello stesso, operando se del caso prima possibile le opportune modifiche, rettifiche o integrazioni.
Quinto: è opportuno fornire la più ampia collaborazione con l’AGCM, in piena trasparenza, essere disponibili ad assumere impegni nei confronti dell’AGCM, ove opportuno e dietro consiglio del legale di fiducia, dare sempre puntuale e rigorosa attuazione alle decisioni dell’AGCM, e non reiterare il messaggio giudicato ingannevole.
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Avv. Valerio Pandolfini
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