Cessione di azienda o di ramo di azienda: caratteristiche e disciplina
L’azienda è il complesso dei beni organizzati dall’imprenditore per l’esercizio di un’attività economica. Essa può essere oggetto di trasferimento, nella sua totalità o in una sua articolazione funzionalmente autonoma (ramo di azienda).Può accadere che le Parti qualifichino come cessione di (ramo di) azienda il trasferimento solo di una parte dei beni aziendali, per evitare l’applicazione della disciplina relativa al trasferimento dei singoli beni che costituiscono l’azienda, ad esempio per evitare la necessità del consenso del terzo contraente ceduto (in particolare in ambito dei rapporti di lavoro). La giurisprudenza ha elaborato alcuni criteri per stabilire se debba ritenersi sussistente una cessione di azienda o di singoli beni, fermo restando che occorre verificare caso per caso se venga effettivamente trasferita una attività organizzata. Il corrispettivo della cessione d’azienda – che è dato dal suo valore patrimoniale, cioè dalla somma delle attività e passività e dell’avviamento – spesso non è determinato al momento della conclusione del contratto (closing), il che ha determinato l’adozione di una serie di strumenti nella prassi contrattuale. La disciplina del Codice civile sul trasferimento d’azienda è volta essenzialmente a proteggere i terzi. Per tale motivo, è opportuno predisporre un contratto di trasferimento d’azienda il più possibile dettagliato, in modo da assecondare gli interessi delle parti.
1. Nozione di azienda e di ramo di azienda
L’azienda è il “complesso dei beni organizzati dall’imprenditore per l’esercizio dell’impresa” (art. 2555 c.c.).
L’azienda è dunque un complesso di beni, organizzati dall’imprenditore per l’esercizio di una specifica attività:
- materiali (beni immobili, beni mobili registrati, impianti, attrezzature e altri beni strumentali, materie prime, semilavorati, prodotti finiti e merci etc.);
- immateriali (ditta, insegna, brevetti industriali, marchi ecc.), rapporti giuridici (con il personale, gli agenti, i rappresentati etc.);
- contratti, crediti e debiti.
Tali beni, per costituire un’azienda (o un suo ramo) non devono essere intesi separatamente bensì nel loro complesso, devono essere organizzati per consentire l’esercizio di una data attività economica, e finalizzati all’esercizio dell’impresa.
L’azienda non è costituita esclusivamente dall’intero complesso di beni organizzato dall’imprenditore, ma può essere limitata ad uno suo specifico segmento interno, avente una sua organizzazione autonoma: il ramo d’azienda.
Il ramo di azienda è appunto, come previsto dall’art. 2112, comma 5, c.c., quel complesso di beni che, pur facendo parte di un insieme omogeneo più vasto, è idoneo a dar luogo ad un’articolazione funzionalmente autonoma di un’attività economica organizzata sotto il profilo operativo. Quindi anche solo pochi beni possono costituire un ramo d’azienda, sempre che gli stessi costituiscano un’organizzazione strumentale funzionalmente autonoma.
2. La cessione di (ramo) di azienda
L’azienda può formare oggetto di:
- contratti di trasferimento della titolarità (compravendita, conferimento in società, fusione o scissione);
- contratti di attribuzione di diritti personali o di godimento (usufrutto, affitto, leasing).
In particolare, per trasferimento di azienda si intende qualsiasi operazione che, in seguito a cessione contrattuale o fusione, comporti il mutamento nella titolarità di un’attività economica organizzata, con o senza scopo di lucro, preesistente al trasferimento e che conserva nel trasferimento la propria identità a prescindere dalla tipologia negoziale o dal provvedimento sulla base del quale il trasferimento è attuato ivi compresi l’usufrutto o l’affitto di azienda” (art. 2112 c.c.).
Tale previsione si applica anche alla cessione di ramo d’azienda. Quindi è possibile trasferire non già l’intero complesso aziendale (cioè tutti i beni facenti parte dell’azienda) ma alcuni beni (il ramo d’azienda, appunto), purché tali beni siano (anche solo potenzialmente) idonei all’esercizio di un’impresa.
La cessione d’azienda detenuta da una società può avvenire attraverso:
- il trasferimento delle partecipazioni (azioni o quote) a nuovi soci; in tale situazione viene a modificarsi il soggetto economico aziendale, mentre il soggetto giuridico resta invariato continuando ad operare;
- un conferimento di azienda, ovvero l’apporto dell’azienda detenuta da un soggetto giuridico ed economico denominato conferente ad un altro soggetto denominate conferitario, ricevendo come corrispettivo quote o azioni di quest’ultimo; in tal caso la società conferente può decidere di rimanere attiva rilevando nel proprio patrimonio in luogo degli “asset” conferiti la partecipazione ottenuta;
- la vendita diretta della sola azienda da parte di un soggetto denominato cedente a un soggetto giuridico ed economico denominato cessionario; in tale situazione il soggetto cedente può estinguersi o continuare ad operare modificando il proprio oggetto sociale.
Per la cessione dell’azienda (o del ramo di azienda) non è prevista la forma scritta a pena di nullità, ma solo ai fini della prova, della pubblicità e della opponibilità ai terzi. Infatti il contratto di trasferimento dell’azienda deve essere iscritto nel Registro delle Imprese, come previsto dall’art. 2556 c.c., e per questo motivo il contratto deve essere redatto per iscritto, con la forma dell’atto pubblico o di scrittura privata autenticata, a cui dovrà seguire, entro 30 giorni, la pubblicità presso il Registro delle Imprese, a pena di sanzione amministrativa. In ogni caso, generalmente il trasferimento dell’azienda avviene sempre tramite un contratto scritto, indispensabile per definire i reciproci obblighi delle parti del caso concreto.
3. La differenza tra cessione di (ramo di) azienda e cessione di singoli beni
Quando un bene, mobile o immobile, è parte dell’azienda, può essere dubbia l’applicazione della disciplina sul trasferimento dell’azienda o di quella sulla compravendita.
Se non vengono ceduti beni essenziali affinché l’acquirente possa esercitare l’impresa, non si ha cessione d’azienda ma cessione di singoli beni, ai quali si applica non la disciplina della cessione dell’azienda, bensì quella della ordinaria compravendita. Così ad esempio, se il principale asset di un’azienda è costituito da un brevetto, affinché si abbia cessione dell’azienda occorre che sia trasferito (anche) il brevetto; altrimenti si avrà cessione di singoli beni aziendali.
In tema di cessione di azienda, secondo la giurisprudenza non è necessario nel contratto di cessione individuare esattamente i singoli beni che la compongono. È invece necessaria un’esatta identificazione del bene qualora si voglia escludere qualche bene aziendale dal trasferimento. È tuttavia opportuno (ed in tal senso si è sempre orientata la prassi), procedere ad una dettagliata elencazione dei beni facenti parte del complesso aziendale, anche mediante la redazione di inventari.
In pratica può accadere che le Parti qualifichino intenzionalmente come cessione di (ramo di) azienda il trasferimento solo di una parte dei beni aziendali, a scopi elusivi, cioè per evitare l’applicazione della disciplina relativa al trasferimento dei singoli beni che costituiscono l’azienda; in particolare:
- per godere di vantaggi fiscali (in quanto la cessione di azienda è assoggettata ad imposta di registro, anziché ad IVA);
- per evitare la necessità del consenso del terzo contraente ceduto, per la cessione di contratti al cessionario;
- allo scopo di sottodimensionare i limiti numerici di organico fissati dalla legge per l’applicazione delle leggi sulla giusta causa dei licenziamenti dei dipendenti.
Infatti, come analizzato in altro contributo mentre, ai sensi dell’art. 1406 c.c., la cessione del contratto richiede, come noto, il consenso della controparte, in caso di trasferimento di azienda, il consenso della controparte non è necessario e l’acquirente dell’azienda subentra nel contratto al momento in cui il trasferimento dell’azienda è efficace.
Accade così che, ad esempio, venga trasferito un “segmento di azienda”, cioè un’entità priva di autonomia organizzativa, funzionale e produttiva rispetto alla parte non ceduta dell’azienda, che non ne costituisce cioè il “core business“, esternalizzando il servizio espletato da tale segmento (fenomeno dell’esternalizzazione o outsourcing). In tal modo i dipendenti dell’azienda cedente vengono automaticamente trasferiti nell’azienda cessionaria, senza che si sia chiesto il loro consenso, potendo così ad esempio vedersi applicato un contratto collettivo peggiorativo rispetto a quello precedente.
In tutti questi casi, vi è il rischio che il Giudice operi una riqualificazione del contratto, negando la configurazione come cessione di azienda e conseguente l’applicazione della relativa disciplina.
All’opposto, può verificarsi che le parti nascondano una cessione di azienda attraverso il trasferimento di singoli beni aziendali con più atti separati, ad esempio per sottrarsi agli effetti nei confronti dei terzi che ex lege conseguono al trasferimento di un’azienda (subingresso dell’acquirente nei contratti di lavoro e responsabilità dello stesso per i debiti aziendali). In questi casi, vi è il rischio che un Giudice riqualifichi il contratto in senso opposto rispetto all’ipotesi prima descritta.
Se siete interessati a scaricare un modello di contratto di cessione di ramo di azienda, inviate una mail al seguente indirizzo: info@studio-pandolfini.it.
4. I criteri adottati dalla giurisprudenza per la qualificazione della cessione di (ramo di) azienda
Il trasferimento dell’azienda è quindi spesso oggetto di contenzioso, avente ad oggetto l’effettiva qualifica del contratto: cessione di un’attività organizzata (cioè di azienda) o cessione di alcuni beni, rapporti o contratti. Tale distinzione è chiara dal punto di vista teorico, ma spesso è assai complessa in concreto. In proposito, è altamente consigliabile rivolgersi ad uno studio legale specializzato in diritto d’impresa, per evitare rischi legali.
La giurisprudenza ha elaborato alcuni criteri orientativi per stabilire se debba ritenersi sussistente una cessione di azienda o di singoli beni, quali ad esempio:
- trasferimento di determinati beni (materiali o immateriali);
- la prosecuzione della medesima o analoga attività da parte dell’impresa cessionaria;
- riassunzione dei dipendenti da parte dell’impresa cessionaria;
- trasferimento della clientela;
etc.
Tuttavia, tali elementi devono essere in ogni caso sempre valutati caso per caso, alla luce delle specificità di ogni singola attività e situazione concreta; fermo restando che affinché si possa parlare di cessione di azienda occorre che venga trasferita una attività organizzata.
In ogni caso, la giurisprudenza della Cassazione tende ad interpretare in senso ampio il concetto di azienda ai fini della qualifica rispetto alla cessione dei singoli beni che ne fanno parte. Ad esempio, è stata interpretato come cessione di ramo d’azienda:
- il trasferimento di una impresa non attiva ma in cui vi era una potenziale attitudine all’esercizio dell’attività (Cass. 17 novembre 2017, n. 27290);
- il contratto con cui erano stati esclusi dalla cessione alcuni beni aziendali, ma l’attività poteva proseguire anche in modo ridotto o ristrutturato (Cass. 9 agosto 1991, n. 8678).
- il trasferimento anche di una singola attività di impresa, in assenza di significativi beni patrimoniali, materiali o immateriali, sempre che sia ceduto un complesso di beni o di rapporti ( 2 marzo 2012, n. 3301).
In particolare, la prevalente giurisprudenza ritiene che possa configurarsi una cessione del ramo d’azienda anche qualora siano trasferiti rapporti di lavoro in assenza di beni patrimoniali. In questo caso infatti l’organizzazione necessaria per potersi parlare di cessione di ramo d’azienda può essere riscontrata nel “complesso di nozioni e di esperienze che i lavoratori sono capaci di svolgere autonomamente” (Cass. 23 luglio 2002, n. 10761).
In questo senso la Cassazione ha recentemente ritenuto che può ravvisarsi cessione di ramo di azienda anche “in presenza di una struttura dematerializzata o leggera costituita in prevalenza da rapporti di lavoro organizzati, in modo idoneo, anche potenzialmente, allo svolgimento di una attività economica”, purché “i lavoratori ceduti costituiscano un gruppo coeso per professionalità, con precisi legami organizzativi preesistenti alla cessione e specifico know-how tali da individuarli come una struttura unitaria funzionalmente idonea e non come una sommatoria di dipendenti”. (Cass. 4 marzo 2019, n. 6256)
Inoltre, si ritiene che la cessione di ramo d’azienda possa riguardare anche un’attività economica nella quale non vi siano o vi siano pochi beni materiali o immateriali, in presenza di lavoratori autonomi (ad esempio agenti o procacciatori), che non necessitano di una costante direzione e di beni aziendali, invece che dipendenti (Cass. 23 luglio 2002, n. 10761). Il fatto che l’attività economica possa essere svolta in assenza di una struttura e di beni diversi dai rapporti giuridici attraverso i quali si generava il fatturato, attività gestite autonomamente dagli agenti e procacciatori.
5. Il corrispettivo
Il corrispettivo per la cessione d’azienda è solitamente dato dal suo valore patrimoniale, cioè dalla somma delle attività e passività (risultanti dal bilancio straordinario di cessione) e dell’avviamento, cioè della capacità dell’azienda di produrre reddito.
Il corrispettivo nel contratto cessione azienda non sempre è determinato fin dall’inizio della contrattazione tra le parti; talvolta esso viene definito solo dopo la conclusione delle trattative e della Due Diligence, cioè al momento del perfezionamento della cessione, o addirittura anche dopo tale momento.
Spesso infatti il prezzo della cessione può essere determinato solo dopo aver rilevato l’esatta consistenza del patrimonio aziendale; e poiché il valore dei beni aziendali, dell’avviamento e delle passività ed attività trasferite muta continuamente (si pensi ad esempio al valore delle giacenze di magazzino, dei crediti e debiti) è possibile determinare nel contratto (preliminare) solo un prezzo provvisorio, sulla base di una data situazione patrimoniale rilevata ad una certa data.
Al momento del trasferimento dell’azienda, o successivamente, viene quindi determinato il prezzo definitivo, sulla base di una situazione patrimoniale aggiornata a tale data, e sulla base delle eventuali differenze rispetto alla vecchia situazione si apportano le necessarie rettifiche, in aumento o in diminuzione, del prezzo (price adjustment).
Ciò implica che spesso nel contratto di cessione d’azienda il pagamento di (tutto o parte) del prezzo venga dilazionato, e che tale dilazione venga spesso garantita (tramite fideiussioni, o garanzie a prima richiesta).
Spesso inoltre nel contratto di cessione d’azienda si prevede che qualora le parti siano in disaccordo circa i risultati della verifica della situazione patrimoniale, l’individuazione del prezzo definitivo sarà rimessa ad un terzo arbitratore, ex art. 1473 c.c. (spesso una società di revisione).
E’ frequente infine che le parti stipulino un contratto di mandato fiduciario (escrow), con cui viene incaricato un terzo, in qualità di mandatario (escrow agent), di amministrare, nelle more del closing, una quota del prezzo versato dall’acquirente e di corrisponderlo al venditore decorso un certo termine, senza che siano state avanzate richieste di indennizzo da parte dell’acquirente.
Nei contratti di cessione d’azienda, l’eventuale rateazione del corrispettivo convenuto dalle parti può avvenire attraverso il pagamento di rate di importo fisso a scadenze predeterminate, accompagnate da emissioni di cambiali o pagherò, oppure attraverso il pagamento di rate ad importo variabile, percentualmente commisurate al fatturato che il cessionario realizzerà per effetto dell’acquisizione dell’azienda.
6. Le garanzie contrattuali del cessionario e del cedente
La disciplina del Codice civile sul trasferimento d’azienda, in particolare per ciò che attiene al trasferimento dei contratti, dei crediti/debiti e dei lavoratori, è volta essenzialmente a proteggere i terzi. Per tale motivo, è opportuno predisporre un contratto di trasferimento d’azienda il più possibile dettagliato, in modo da assecondare gli interessi delle parti.
In particolare, atteso il pesante regime di responsabilità in capo al cessionario d’azienda previsto dalle norme del Codice civile, nella prassi contrattuale generalmente il cessionario si tutela prevedendo nel contratto di cessione d’azienda una serie di specifiche garanzie contrattuali in capo al cedente, derogando e/o integrando le norme codicistiche sulla compravendita.
Poiché il compratore è di solito interessato ad acquisire l’azienda in funzione della futura redditività della stessa, al venditore viene spesso richiesto di garantire la veridicità delle informazioni fornite all’acquirente e di rispondere delle dichiarazioni che si rivelino successivamente mendaci o inesatte.
Generalmente, nel contratto di cessione d’azienda il venditore garantisce:
- esistenza, valore, consistenza e titolarità dei beni trasferiti con l’azienda;
- assenza di oneri, privilegi, diritti di terzi in genere non espressamente dichiarati;
- esistenza, vigenza e validità di autorizzazioni, licenze o permessi necessari per l’esercizio dell’attività condotta tramite l’azienda ceduta;
- assenza di fatti pregressi da cui possano sorgere passività o sanzioni di tipo fiscale;
- assenza di fatti pregressi da cui possano sorgere responsabilità di tipo giuslavoristico;
- assenza di fatti pregressi da cui possano sorgere responsabilità di tipo ambientale;
- esistenza e/o buon fine dei crediti dell’azienda trasferita;
- esistenza o assenza di pretese di terzi per inadempimenti contrattuali;
- conformità alla normativa vigente di macchinari e impianti.
A tali garanzie sono generalmente collegati obblighi di indennizzo a carico del cedente, spesso con franchigie minime o massime (floor/cap), efficaci entro determinati limiti temporali.
Il venditore, a sua volta, è generalmente esposto al rischio che l’acquirente:
- non stipuli il contratto definitivo di cessione;
- non corrisponda il prezzo, pattuito al closing o dopo il closing;
- sollevi un’eccezione di compensazione (set off) del debito relativo al pagamento del prezzo con crediti derivanti da richieste di indennizzo.
Per cautelarsi nei confronti di tali rischi, il venditore può inserire nel contratto di cessione d’azienda una serie di garanzie.
In primo luogo, si può prevedere nel contratto preliminare di cessione d’azienda che il compratore versi un anticipo sul prezzo, associato ad una clausola penale o a una caparra confirmatoria.
In secondo luogo, si può stipulare un mandato fiduciario (escrow) in base al quale le parti incaricano un terzo, in qualità di mandatario (escrow agent) di amministrare, nelle more del closing, l’anticipo sul prezzo versato dall’acquirente e/o trasferire l’azienda al compratore, previa verifica dell’avverarsi delle condizioni sospensive per il closing.
Infine, il venditore può chiedere all’acquirente di farsi rilasciare idonee garanzie, reali o personali.
Tra le forme di garanzia, finalizzate ad assicurare al cedente il regolare incasso delle rate anche dopo la stipula del contratto di cessione, figura una particolare clausola, in forza della quale il trasferimento della proprietà dell’azienda è subordinato all’integrale pagamento del prezzo, ovvero al saldo dell’ultima rata pattuita (patto di riservato dominio; art. 1523 c.c.).
In tal caso, il compratore acquista la proprietà dell’azienda solo con il pagamento dell’ultima rata di prezzo, ma assume i rischi dal momento della consegna. Tale clausola non è sufficiente ad evitare la possibilità che, attraverso una successiva alienazione dei beni aziendali acquisiti, il cessionario d’azienda neutralizzi la garanzia reale in danno del cedente. Tuttavia, l’art.1524, co.2 c.c., prevede la possibilità di rendere opponibile ai terzi acquirenti la clausola di riservato dominio, a condizione che la cessione venga trascritta in un apposito registro tenuto nella cancelleria del tribunale del luogo in cui si trova il bene di valore superiore ad euro 15,49.
Il corrispettivo della cessione dell’azienda può consistere anche nella costituzione di una rendita vitalizia a favore del cedente, ai sensi dell’art.1872 e s.s. c.c. In tal caso, il cessionario, dietro l’alienazione di un bene, mobile o immobile, o di un capitale, si obbliga a corrispondere ad un altro soggetto una somma di denaro per l’intera durata della vita del beneficiario. Se il bene ceduto, a fronte del quale è costituita la rendita vitalizia, è un’azienda commerciale (della quale sia trasferita la relativa gestione), si seguono le regole ordinarie.
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Avv. Valerio Pandolfini
Contrattualistica d’Impresa e Consulenza Legale
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