Lo scioglimento delle società: presupposti e disciplina
Verificandosi una causa di scioglimento della società, inizia un procedimento che conduce alla estinzione della società, passando attraverso la tappa intermedia della liquidazione del patrimonio sociale. Il Codice civile regolamenta le cause di scioglimento delle società e i loro effetti, fermo restando che altre cause possono essere stabilite dallo statuto o dall’atto costitutivo della singola società. Alcune cause di scioglimento sono comuni a tutte le società (sia di persone che di capitali), altre sono specifiche per le società di persone ed altre ancora sono specifiche per le società di capitali. L’art. 2484 c.c. disciplina il momento di efficacia dello scioglimento una volta accertato/deliberato, coincidente con l’iscrizione del relativo provvedimento presso l’Ufficio del Registro delle Imprese. Dal momento del verificarsi di una causa di scioglimento della società di capitali, in capo agli amministratori incombe l’obbligo di accertarne con immediatezza l’insorgenza e di compiere tutti gli adempimenti successivi necessari e connessi (art. 2485 c.c.), pena, in caso di ritardo/omissione, la responsabilità personale e solidale per i danni eventualmente subìti dalla società, dai soci, dai creditori sociali e da terzi.
1.Lo scioglimento delle società
Verdicandosi una causa di scioglimento della società, inizia un procedimento che conduce alla estinzione della società, passando attraverso la tappa intermedia della liquidazione del patrimonio sociale.
L’estinzione della società è il risultato finale di una fattispecie a formazione progressiva che si articolare in tre fasi:
- verificarsi di una delle cause di scioglimento previste dalla legge;
- procedura di liquidazione;
- cancellazione della società dal registro imprese.
Il Codice Civile regolamenta le cause di scioglimento delle società e i loro effetti, fermo restando che altre cause possono essere stabilite dallo statuto o dall’atto costitutivo della singola società. Alcune cause di scioglimento sono comuni a tutte le società (sia di persone che di capitali), mentre altre sono specifiche per le società di persone ed altre ancora sono specifiche per le società di capitali.
Sono cause di scioglimento comuni a tutte le società:
- il decorso del termine di durata stabilito nell’atto costitutivo;
- il conseguimento dell’oggetto sociale o la sopravvenuta impossibilità di conseguirlo;
- la volontà dei soci;
- le altre cause di scioglimento previste nei patti sociali.
Costituiscono cause di scioglimento specifiche per le società di persone:
- la mancanza della pluralità dei soci;
- la mancanza nella S.a.s. di una delle due categorie di soci.
Costituiscono cause di scioglimento specifiche per le società di capitali:
- l’impossibilità di funzionamento o la continuata inattività dell’assemblea;
- la riduzione del capitale al di sotto del minimo legale;
- il recesso del socio nelle ipotesi previste dagli art. 2437 quater e 2473 c.c.;
- le altre cause previste dalla legge.
2. Le cause di scioglimento comuni a tutte le società
2.1 Il decorso del termine di durata
Il decorso del termine di durata stabilito nell’atto costitutivo costituisce la prima causa di scioglimento, comune a tutti i tipi societari.
Per quanto riguarda le società di persone, per le società semplici non è previsto né un obbligo di indicazione del termine di durata né una specifica forma dell’atto costitutivo: per tale ragione è possibile pattuire una durata indeterminata della società, salvo il riconoscimento del diritto di recesso ai sensi dell’art.2285 c.c.. Questa causa di scioglimento si applica pertanto solo per le società il cui statuto preveda un termine di durata.
Tuttavia, qualora i soci intendano evitare lo scioglimento della società per tale causa, essi possono modificare o rimuovere il termine di durata tramite una proroga tacita(art.2273 c.c.) o espressa(art.2252 c.c.).
Per quanto riguarda le società di capitali, invece, la previsione di un termine di durata della società non è obbligatoria. Infatti, ai sensi dell’art.2328 n. 13)c.c., la S.p.A. può essere costituita anche a tempo indeterminato, con il solo obbligo di consentire al socio il recesso trascorso al massimo 1 anno della costituzione della società, mentre l’art. 2463 c.c. non menziona il “termine di durata” tra gli elementi necessari dell’atto costitutivo di una S.r.l. Inoltre, l’art.2473 comma 2 c.c. attribuisce al socio di S.r.l. contratta a tempo indeterminato il diritto di recesso ad nutum, con il solo obbligo di preavviso di almeno 180 gg.
Per evitare lo scioglimento della società per decorso del termine, esso può essere prorogato (prima della sua scadenza) in maniera espressa, con l’adozione di apposita delibera da parte dell’assemblea straordinaria. Nel caso in cui tuttavia nell’atto costitutivo sia stato attribuito ai singoli soci il diritto di ottenere lo scioglimento della società alla scadenza del termine di durata ivi previsto, non è possibile adottare una delibera di proroga prima della scadenza naturale del termine di durata della società e, in caso di proroga, il socio dissenziente potrà recedere dal contratto.
E’ dubbio se sia possibile anche una proroga tacita, per fatti concludenti del contratto sociale, qualora on vi sia alcuna soluzione di continuità tra il decorso del termine di durata previsto nell’atto costitutivo e la prosecuzione effettiva del attività sociale anche successivamente allo spirare del medesimo: in questo caso, si presumerebbe infatti il consenso tacito di tutti i soci alla proroga della società.
In caso di proroga espressa intervenuta dopo il decorso del termine di durata, o di proroga tacita manifestatasi con soluzione di continuità rispetto al decorso del termine, è necessaria l’adozione preventiva di una delibera di revoca dello stato di liquidazione, di fatto già operative, in queste ipotesi a seguito del termine di durata della società e dei susseguenti adempimenti pubblicitari già compiuti, come loro dovere, dagli amministratori.
2.2 Il conseguimento dell’oggetto sociale o la sopravvenuta impossibilità di conseguirlo
Ai sensi dell’art. 2247 c.c., l’oggetto sociale può essere definito come quell’attività economica che si intende realizzare al momento di stipula del contratto sociale e coerente con questo. Esso assolve ad una pluralità di funzioni e rappresenta un metro su cui misurare i poteri rappresentativi degli amministratori, un parametro essenziale al cui mutamento la legge attribuisce al socio dissenziente od assente a quella delibera la possibilità di recedere dalla società.
L’oggetto sociale pertanto si realizza quando il programma per la cui realizzazione la società era sorta ed in funzione del quale aveva operato, è stato esaurito. Tale causa di scioglimento opera, ai sensi dell’art. 2484 comma 1 n. 2 c.c., quanto più sarà individuato specificamente l’oggetto nello statuto, poiché sarà inequivocabile il suo conseguimento oppure la sua sopraggiunta impossibilità.
Così ad esempio, qualora l’oggetto sciale sia costituito dalla costruzione di una determinata opera edile o dallo sfruttamento di una determinata miniera, una volta terminato il progetto o le risorse si verificherà la causa di scioglimento della società per conseguimento dell’oggetto sociale.
A tal riguardo, l’art. 2328 c.c. al n. 3 richiede di indicare nello statuto l’attività che costituisce l’oggetto sociale, non consentendo in tal modo che venga indicato – come poteva invece avvenire in precedenza – l’oggetto sociale in modo indeterminato, ampio e generale, con conseguente difficile realizzabilità di tale causa di scioglimento della società.
Tuttavia tale causa di scioglimento può realizzarsi anche in presenza di un oggetto sociale ampio, quando la società decida di rinunciare a proseguire in altre attività comunque previste dallo statuto.
L’impossibilità di conseguire l’oggetto sociale rileva allorché sopraggiungano ostacoli al conseguimento dell’oggetto sociale, causata da eventi esterni oppure interni i quali siano tali da far sì che la società si trovi in una situazione di impossibilità, oggettiva, assoluta e definitiva, di proseguire la propria vita economica come era stato originariamente delineato dai soci nell’atto costitutivo, rendendo altresì impossibile ogni altra attività operativa.
L’impossibilità di conseguire l’oggetto sociale deve quindi sostanziarsi, per assumere la natura di causa di scioglimento della società, in una impossibilità non già di natura economica, bensì giuridica o materiale, riguardante lo svolgimento dell’attività in cui l’oggetto stesso consiste.
Per contro, un impedimento temporaneo, o il sorgere di difficoltà incontrate dalla società nell’esercizio della propria attività non legittimano lo scioglimento della stessa, in quanto non rendono impossibile il conseguimento dell’oggetto sociale.
Ad avviso della giurisprudenza, in particolare, la perdita di continuità aziendale non integra una causa di scioglimento della società ai sensi dell’art. 2484 n. 2 c.c., poiché tale evento deve essere interpretato secondo una concezione funzionale e assoluta del relativo impedimento; pertanto, tale causa di scioglimento presuppone un quadro societario tale da frustrare in modo irreversibile la finalità sottostante alla permanenza del vincolo societario.
Lo scioglimento della società presuppone infatti una cessazione definitiva dell’impresa, mentre mere situazioni temporanee di difficoltà non rendono evidente in modo assoluto l‘irreversibilità della situazione e dunque l’inutilità e la dannosità derivante dalla permanenza del vincolo sociale.
Le difficoltà economiche, per quanto gravi, e segnatamente quelle che comportano il venir meno della continuità aziendale, non possono dunque essere ritenute di per sé sufficienti ad integrare la causa di scioglimento di cui all’art. 2484, 1° comma, n. 2, c.c., non essendo configurabile una sorta di impossibilità “economica” di conseguimento dell’oggetto sociale , e dunque non legittimano gli amministratori ad iscrivere nel registro delle imprese una dichiarazione con la quale se ne accerti il perfezionamento.
Del resto, il fallimento comporta lo scioglimento solo delle società di persone, non di quelle di capitali, in quanto l’accertamento giudiziale dell’insolvenza della società non è di per sé sufficiente a provocarne lo scioglimento, ben potendo l’oggetto sociale ben può essere “conseguito” anche da una società che versa in stato di insolvenza, e che dunque, e per ciò solo non è in grado di distribuire utili.
L’iscrizione di una erronea, e quindi illegittima, dichiarazione da parte degli amministratori non comporta lo scioglimento della società, dato che la relativa causa non si è in realtà perfezionata, e non essendo configurabile un valore sanante dell’iscrizione in ordine ad eventuali vizi della dichiarazione in questione.
L’impossibilità giuridica o materiale a svolgere l’attività deve comunque essere oggettiva, assoluta, irreversibile e definitiva e non già un semplice impedimento temporaneo. Deve escludersi, quindi, che questa causa di scioglimento possa operare qualora l’attività contemplata quale oggetto sociale abbia carattere generico (ad es. la compravendita di beni immobili, il commercio di prodotti di vario genere, la produzione industriale di beni di qualsivoglia natura); la concreta operatività della causa sarà direttamente proporzionale al grado di specificità della clausola statutaria che individua le attività contemplate nell’oggetto sociale.
Soltanto in una società che individui statutariamente in maniera analitica – e non generica – l’attività che costituisce l’oggetto sociale (ad es.: la gestione dell’albergo in Versilia ovvero la gestione della cava di marmo in Massa Carrara) si può valutare la ricorrenza di tale causa dissolutiva nel senso del conseguimento dell’oggetto sociale ovvero dell’impossibilità del conseguimento dello stesso (ad es.: la revoca delle autorizzazioni amministrative/sanitarie ovvero della concessione mineraria) . Lo stesso vale nel caso in cui una società presenti un oggetto sociale composto da molteplici e diversificate attività, parte delle quali mai in concreto perseguite, dovendosi anche in tale ipotesi ritenere che tale causa di scioglimento sia incompatibile con il concreto oggetto sociale.
Tra le cause esterne che possono integrare una causa di scioglimento della società per impossibilità di conseguire l’oggetto sociale si possono annoverare ad esempio:
- la creazione di un monopolio;
- la revoca di una concessione amministrativa essenziale per l’esercizio d’impresa;
- un esproprio dell’azienda sociale;
- il divieto legislativo a svolgere l’attività che costituisce oggetto d’impresa.
Tra le cause interne di dissoluzione che possono integrare tale fattispecie possono invece esservi ad esempio:
- la mancata acquisizione di un brevetto necessario per svolgere l’attività per cui era stata costituita la società;
- la cessazione di una figura particolarmente importante nella società, la cui collaborazione era essenziale per la vita sociale (quali dirigenti, soci etc.);
Tale causa di scioglimento pone agli amministratori l’obbligo di convocare l’assemblea senza indugio al fine di deliberare “le opportune modifiche statutarie”, come richiesto dall’art. 2483, 1° comma, n. 2, c.c., in modo che vi sia una consapevole decisione dei soci in funzione del proseguimento dell’attività d’impresa, rimanendo comunque nella volontà dei soci la possibilità di procedere allo scioglimento volontario della società ai sensi dell’art. 2484 n. 6 c.c. Ai sensi dell’art. 2631 c.c., la convocazione si considera omessa allorché siano trascorsi 30 giorni dal momento in cui amministratori e sindaci sono venuti a conoscenza del presupposto che obbliga la convocazione dell’assemblea dei soci.
Il contenuto della delibera assembleare potrà consistere non solo nell’adozione di un oggetto sociale diverso o nella rimodulazione di quello esistente ma anche in una delibera di trasformazione della società o di fusione, sufficienti a disinnescare tale causa di scioglimento. Nell’ipotesi in cui l’assemblea non deliberi o assuma una deliberazione negativa si perfeziona la causa di scioglimento, con obbligo degli amministratori di procedere all’adempimento di cui agli artt. 2484 comma 3 e 2485 c.c.
L’eventuale illegittimità dell’accertamento da parte dell’Organo Amministrativo della causa di scioglimento ex art. 2484 comma 1 n. 2 deve essere rilevata d’ufficio dal Conservatore del Registro delle Imprese, rientrando nei suoi poteri ex art. 2189 C.C. quello di un controllo di legalità formale. A tal fine potrà essere rivolta un’istanza al Giudice del Registro delle Imprese dai soci o dal liquidatore della società.
L’iscrizione nel Registro delle Imprese di una dichiarazione di accertamento della causa di scioglimento di cui al n. 2 del comma 1 dell’art. 2484 C.C. in assenza dei presupposti di legittimità, comporta una responsabilità degli amministratori nei confronti dei soci – i quali sono stati privati della loro sovrana volontà di assumere assetti organizzativi diversi in funzione della continuità dell’ente, abusivamente indirizzato al procedimento dissolutivo – e dei terzi, con conseguente diritto al risarcimento del danno.
Il dissidio tra i soci non costituisce invece, in linea generale, una causa di immediato scioglimento né per le società di persone né per quelle di capitali.
Nelle prime, caratterizzate da una struttura poco organizzata, questa situazione di disfunzione può comportare una cattiva gestione societaria (come ad esempio quando l’attività del socio amministratore è in contrasto con l’interesse societario oppure lo stesso si rifiuta di gestire la società); tuttavia se il contrasto sociale si limita ad un clima di tensione all’interno della società, senza che l’operatività della società risulti danneggiata e sia conservata la compagine societaria, non si configura una causa di scioglimento della società.
La giurisprudenza ritiene infatti che il dissidio tra i soci per essere causa di scioglimento della società deve determinare una vera e propria paralisi dell’attività sociale, un ostacolo insormontabile al conseguimento dell’oggetto sociale o l’impossibilità di raggiungere i fini sociali. Pertanto anche in presenza di forti conflitti tra i soci, ma che tuttavia non compromettono l’attività societaria e mantengono comunque la stessa in grado di compiere le sue attività seppur in condizioni ostili, non sussiste causa di scioglimento.
Si è invece ritenuto che integri una situazione di insanabile e consolidato dissidio fra i soci e, quindi, di impossibilità di funzionamento e di conseguimento dell’oggetto sociale la totale confusione tra il patrimonio dei soci, nel caso di specie composto da due soci paritetici, ed il patrimonio della società.
Nelle società di capitali tale causa di scioglimento opera soprattutto nelle società di piccole dimensioni, nelle quali la ridotta compagine societaria potrebbe impedire il controllo sulla gestione dell’organo amministrativo, il funzionamento dell’assemblea, oppure l’approvazione del bilancio.
E’ peraltro possibile evitare lo scioglimento della società nonostante la presenza degli elementi integranti la causa di scioglimento in esame, presentando una domanda di estromissione del socio al cui comportamento sia addebitabile lo stato di dissidio.
Non costituisce causa di scioglimento in esame la prospettiva di un’insoddisfacente redditività futura della società; qualora invece si siano già prodotte perdite rilevanti, tali di paralizzare l’attività della società i soci potranno decidere lo scioglimento anticipato.
La causa di scioglimento in esame può comunque essere evitata mediante apposita delibera assembleare, ai sensi dell’art. 2484 primo comma n. 2 c.c., che contenga le opportune modifiche dello statuto (previsione di un oggetto sociale diverso, trasformazione della società, fusione con altra). In questo caso, peraltro, il socio dissenziente circa il mutamento dell’oggetto sociale ha il diritto di recedere dal contratto di società.
Gli amministratori devono quindi svolgere un procedimento valutativo-discrezionale in merito al raggiungimento dell’oggetto sociale o all’impossibilità sopravvenuta di conseguirlo, tenendo in considerazione anche all’oggetto sociale perseguito di fatto, nel tempo, dalla società, qualora esso non coincida, o coincida parzialmente, con quanto dichiarato nello statuto. Essi hanno l’obbligo, una volta valutata l’esistenza della causa di scioglimento, di convocare l’assemblea dei soci perché questa possa procedere in concreto all’eliminazione della fattispecie dissolutiva. Peraltro, in caso di errore nel ravvisare la sussistenza di una causa di scioglimento della società, gli amministratori possono essere esposti a responsabilità per eventuali danni cagionati alla società, ai creditori e ai soci.
L’assemblea convocata dagli amministratori potrà concordare con questi ed eventualmente procedere ad effettuare le modifiche statutarie, oppure non concordare con gli stessi. In quest’ultimo caso, qualora gli amministratori rimangano fermi nelle loro convinzioni, potranno ai sensi dell’art. 2485 c.c., procedere all’iscrizione della delibera accertativa dello stato di scioglimento della società nel Registro delle Imprese e convocare di nuovo l’assemblea dei soci per la nomina dei liquidatori, ricorrendo infine al provvedimento giudiziale ex art. 2487 terzo comma c.c. in caso di persistente inerzia dell’organo assembleare.
2.3 Lo scioglimento per volontà dei soci
La volontà dei soci, espressa con l’osservanza delle procedure, delle maggioranze e dei quorum previsti per le modifiche dell’atto costitutivo, può determinare lo scioglimento della società anche qualora il termine di durata previsto nello statuto non sia decorso e l’oggetto sociale non si ancora stato raggiunto, ma permanga raggiungibile. Tale volontà si concretizza in una causa di scioglimento comune a tutti i tipi societari, dettata dall’esigenza di modificare il piano strategico originariamente steso.
Con riferimento alle società personali, l’art. 2272 comma 1 n. 3 c.c. dispone che la società si scioglie per volontà di tutti i soci. È invece dubbio se possa essere posta fine alla vita della società per decisione della maggioranza dei soci; l’opinione prevalente ritiene che ciò sia possibile, ma solo se espressamente previsto nell’atto costitutivo.
Non è richiesta una delibera formale di scioglimento, perché questa potrà essere manifestata anche verbalmente o per fatti concludenti, a differenza della società di capitali, dove è espressamente richiesta la delibera assembleare con efficacia costitutiva.
Per le società di capitali, l’art. 2484 comma 1 n. 6 c.c. prevede che le società si sciolgono per delibera dell’assemblea, a maggioranza. A tal fine, è sufficiente il voto favorevole di tanti soci che rappresentano più di un terzo del capitale.
La delibera dell’assemblea che decide la cessazione anticipata della società ha efficacia costitutiva, e non meramente dichiarativa, dello scioglimento. In questo caso i creditori sociali non hanno diritto ad opporsi all’adozione della delibera da parte dell’assemblea.
Spetta all’assemblea dei soci l’apprezzamento in merito alla valutazione dell’esistenza o meno dell’interesse sociale, come applicazione del principio di maggioranza che regola la gestione sociale. Pertanto, in linea generale le deliberazioni assembleari, se formalmente regolari, vincolano i soci di minoranza seppur questi siano stati assenti, dissenzienti ed indirettamente danneggiati nei loro interessi particolari.
Tuttavia, anche se non sussiste un diritto del singolo socio a mantenere in vita la società, vi sono delle ipotesi nelle quali la delibera di scioglimento può essere annullata per violazione dei principi di correttezza e buona fede. La delibera di scioglimento della società non può infatti costituire un abuso da parte dei soci di maggioranza a danno di quelli di minoranza, ovvero costituire lo strumento per consentire ai soci di maggioranza di perseguire un’attività arbitraria e fraudolenta, diretta a danneggiare l’interesse societario o della minoranza.
Ad esempio, è annullabile per abuso della maggioranza una delibera di scioglimento anticipato volta ad estinguere la società per ricostruirne una analoga, con lo stesso oggetto sociale, operante nel medesimo stabile, costituita dai più graditi soci di maggioranza.
2.4 Le altre cause di scioglimento previste nei patti sociali
L’ultima causa di scioglimento comune a tutti i tipi societari è il verificarsi di altre cause previste nei patti sociali. Essa è prevista dall’art. 2272 comma 1, n. 5 c.c. per le società di persone e dall’art. 2484 comma 1, n. 7 c.c. per le società di capitali.
In ossequio al principio di autonomia contrattuale e di libertà d’impresa, i soci sono liberi di inserire, accanto alle cause di scioglimento legali, altre cause di scioglimento, modellando l’assetto sociale in base alle loro esigenze ed ai loro concreti interessi. Tuttavia, la libertà dei soci non può spingersi fino al punto di introdurre ipotesi di scioglimento in contrasto con l’ordine pubblico ed il buon costume, né di annullare il campo di operatività di quelle legalmente previste dalla legge.
Le fattispecie che possono condurre allo scioglimento della società possono essere soggettive o oggettive. Le prime ad esempio possono riferirsi alla presenza di uno specifico socio, mentre le seconde ad eventi futuri come il raggiungimento di un certo risultato economico. Ad esempio, sono cause ricorrenti di scioglimento inserite nello statuto:
- la chiusura in perdita di uno o più esercizi;
- il mancato raggiungimento di un certo livello minimo di utili in uno o più esercizi;
- la scadenza di un brevetto o di una concessione;
- la perdita di una percentuale del capitale sociale, anche inferiore a quella legale;
- il recesso o la morte di uno o più soci individuati.
L’art. 2484 quarto comma c.c. dispone che nel caso di previsione di altre cause di scioglimento, i soci hanno anche l’obbligo di determinare chi ha la competenza a decidere, o ad accertare l’esistenza delle stesse ed a procedere a chiedere l’iscrizione nel Registro delle Imprese delle dichiarazioni e delibere di accertamento. Si ritiene che, in caso di omissione di tali indicazioni nello statuto/atto costitutivo, o in caso di inerzia dei soggetti ivi individuati, siano gli amministratori a dover sopperire a tali mancanze, in ossequio agli obblighi generali in capo ad essi incombenti ai sensi dell’art. 2485 c.c.
A tal fine, l’amministratore può’ adìre il Tribunale affinché, ai sensi dell’art. 2485 c.c., accerti il verificarsi della causa di scioglimento. L’amministratore unico che si rivolgesse al Tribunale perché accerti il verificarsi della causa di scioglimento, vedrebbe rigettato il proprio ricorso perché è egli stesso già titolare ex lege del potere di dare formalmente atto dell’esistenza di una causa scioglimento, con apposita dichiarazione a norma dell’art. 2484, comma 3, c.c., e il Tribunale non potrebbe sostituirsi e rimediare all’omissione imputabile alla stessa parte ricorrente. Diversamente, il consigliere privo di deleghe può rivolgersi Tribunale per chiedere l’accertamento della causa di scioglimento ai sensi dell’art. 2485 c.c., non prima, però, di aver compiuto quanto in suo potere.
3.Le cause di scioglimento specifiche per le società di persone
3.1 La mancanza della pluralità dei soci
Ai sensi dell’art. 2272 c.c., la società semplice si scioglie quando viene a mancare la pluralità dei soci, se nel termine di sei mesi questa non è ricostruita. Tale norma si applica alla Snc grazie al richiamo fatto dall’art. 2308 c.c. e alla Sas per effetto del richiamo operato dall’art. 2323 c.c..
Nelle società di persone, dunque, il venir meno della pluralità dei soci (per effetto di morte del socio, recesso o esclusione) non determina di per sé lo scioglimento della società; tale effetto si verifica soltanto allo spirare del termine di sei mesi concesso al socio superstite per ricostruirne la pluralità dei soci. Tale lasso di tempo è stato previsto dal legislatore per favorire l’interesse alla conservazione dell’impresa; durante tale periodo, il socio superstite può decidere di continuare a svolgere normalmente l’attività societaria, o, qualora lo ritenga opportuno di procedere addirittura a sciogliere volontariamente la società prima della scadenza del termine. In ogni caso, qualora la pluralità dei soci non venga ricostituita entro tale termine, la società si scioglie con efficacia ex nunc.
Nel caso in cui la pluralità dei soci venga meno per effetto della morte del socio, la disciplina si interseca con quella prevista dall’art. 2284 c.c., la quale prevede che – salvo diversa disposizione dello statuto – alla morte del socio i soci superstiti hanno una triplice opzione:
- liquidare la quota del de ciuis agli eredi;
- sciogliere direttamente la società;
- continuare la società con gli eredi del socio defunto, sempre che questi vi acconsentano.
Secondo la giurisprudenza prevalente, per effetto della morte del socio gli eredi di questi acquistano solo il diritto alla liquidazione della loro quota, senza alcun potere di ingerenza nella vita sociale. Se, pertanto, la società si scioglie per mancata ricostituzione della pluralità dei soci (o di una categoria di soci) nel termine di sei mesi, gli eredi hanno diritto alla liquidazione del de ciuis, sulla base di una situazione patrimoniale riferita alla morte di costui. Ciò in quanto lo scioglimento della società per mancata ricostituzione della pluralità dei soci nel termine di sei mesi costituisce un momento successivo ed eventuale rispetto allo scioglimento del rapporto sociale riferito al socio defunto, che prevale sulla successiva causa di scioglimento della società.
Se la società si sciogli per volontà del socio superstite, ai sensi dell’art. 2284 c.c., gli eredi anche in questo caso, ad avviso della giurisprudenza prevalente, non subentrano automaticamente nella posizione del socio defunto e non hanno diritto alla liquidazione della quota nei sei mesi, ma devono attendere la conclusione delle operazioni di liquidazione della società per partecipare con i soci superstiti alla divisione del patrimonio attivo che residua dopo l’estinzione dei debiti sociali. Tuttavia, essi non partecipano ai risultati attivi e passivi delle operazioni sociali successivi alla morte del loro dante causa.
Nel caso in cui vengano a mancare tutti i soci, non è possibile né applicare l’art. 2272 n. 4 c.c. – in quanto non vi è nessun socio superstite che provvede a ricostruire la pluralità di soci – né l’art. 2284 c.c. che vieta agli eredi il subingresso; è ammesso il ricorso all’autorità ordinaria da parte dei creditori sociali e da parte degli eredi dei soci per dar sì che venga dichiarato l’intervenuto scioglimento.
3.2 La mancanza nella S.a.s. di una delle due categorie di soci
L’art. 2323 primo comma c.c. prevede che la S.a.s. si scioglie, oltre che per le cause previste per previste per la Snc e per la Società semplice dall’art. 2308 c.c., quando rimangono solo i soci accomandanti o soci accomandatari, sempreché nel termine di sei mesi non sia stato sostituito il socio che è venuto meno.
Tale causa di scioglimento riflette la peculiarità di questo societario, caratterizzato dalla contemporanea presenza di due categorie di soci: i soci accomandanti, esclusi dall’amministrazione societaria e responsabili nei limiti della quota che hanno apportato ed i soci accomandatari, cioè coloro che al contrario hanno responsabilità nell’amministrazione e rispondono solidalmente ed illimitatamente per le obbligazioni sociali. Entrambi sono essenziali per la vita della S.a.s., così che la loro mancanza determina lo scioglimento della società.
Tuttavia la dissoluzione non si verifica nel momento in cui viene a mancare una delle due categorie di soci, ma solo se, decorso il periodo di sei mesi, non si sia provveduto alla sostituzione del socio venuto meno. Lo scioglimento ha perciò effetto ex nunc allo scadere del termine semestrale, comportando che le operazioni eseguite durante tale periodo sono efficaci e valide, sia nei confronti dei terzi, sia verso la società.
Qualora vengano meno i soci accomandanti, la gestione societaria continuerà ad essere portata avanti dalla categoria superstite e qualora decorso il termine non si sia provveduto al ripristino, la Sas si trasforma direttamente in Snc irregolare. Nel caso in cui l’attività non venga proseguita, la società entra in liquidazione poiché è necessario tenere distinto il patrimonio sociale da quello dei soci accomandatari superstiti.
Qualora invece vengano meno i soci accomandatari, l’art. 2323 c.c. secondo comma c.c. prevede che per il periodo di sei mesi gli accomandanti nominano un amministratore provvisorio per il compimento degli atti di ordinaria amministrazione, il quale non assume la qualità di socio accomandatario.
L’amministratore provvisorio – che può essere scelto sia tra i soci accomandanti che tra quelli esterni alla società – non assumendo la posizione di accomandatario, non è personalmente responsabile illimitatamente per le obbligazioni sociali; tuttavia, qualora non rispettasse il limite stabilito dalla legge riguardante il compimento degli atti di sola amministrazione e procedesse alla gestione oltre il termine fissato, incorrerà in responsabilità personale illimitata per tutti i debiti sociali che ha contratto e determinerà la trasformazione della società da Sas in Snc. Allo stesso modo cambierà veste sociale qualora gli accomandatari proseguano l’attività della società venendo meno all’obbligo di reintegrare nel termine gli accomandanti.
Secondo la giurisprudenza non si verifica l’ipotesi del dell’art. 2323 c.c. comma due c.c. qualora venga a mancare l’unico socio accomandatario – amministratore per una sospensione giudiziale dalla funzione di amministratore. Ed infatti la causa di scioglimento si verifica, solo se, a seguito di tale atto, non vi sia accordo tra i soci sulla prosecuzione dell’attività sociale.
Decorso il periodo di sei mesi dal venire meno della pluralità dei soci, l’accomandante deve procedere a liquidare la società. Se non vi procede ed anzi utilizza i beni della società per svolgere attività d’impresa incorre in responsabilità illimitata e nel caso di presenza di più soci accomandanti, vi potrà ricorrere la trasformazione tacita da Sas ad Snc irregolare, sempre che vi siano comunque due soci.
Nel caso in cui l’accomandante non eserciti l’attività di impresa e non proceda alla liquidazione la società, potrà essere tenuto a rispondere nei confronti dei creditori sociali ma solo nei limiti in cui tale mancato avvio della procedura abbia arrecato danni alla società, danneggiando di conseguenza i creditori sociali.
3.3. La continuazione dell’attività da parte dell’unico socio
Una volta decorso il termine semestrale previsto nell’art. 2272, n. 4, c.c., senza che sia stata ricostituita la pluralità dei soci, o, in alternativa, senza che la società sia stata trasformata in una società (di capitali) unipersonale (per la quale, cioè, è ammessa la partecipazione di un solo soggetto), il socio superstite deve avviare il procedimento di liquidazione., e successivamente procedere alla cancellazione della società dal registro delle imprese, provocandone così l’estinzione.
Nell’ambito della liquidazione, si procederà alla cessione del patrimonio mobiliare e immobiliare della società, alla riscossione dei crediti ed alla definizione dei rapporti pendenti, all’eliminazione del passivo mediante la puntuale ricognizione dei debiti ed il loro pagamento con il ricavato del realizzo dell’attivo e, infine, all’approvazione del bilancio finale di liquidazione.
Tuttavia, decorso il termine semestrale, e dunque nella fase della liquidazione, fino a quando la società non sia stata cancellata dal Registro Imprese il socio superstite può ancora ricostituire la pluralità dei soci, attraverso una cessione parziale della partecipazione sociale detenuta dal socio superstite, senza che ciò comporti la costituzione di una nuova e diversa società, ma la continuazione della precedente.
La ricostituzione della pluralità dei soci comporta principalmente due ordini di effetti:
- la revoca implicita dello stato di liquidazione della società, che viene generalmente ammessa in quanto non esiste un in eresse specifico dei creditori sociali allo svolgimento della liquidazione, dal momento che costoro possono sempre contare sulla responsabilità illimitata dei soci;
- la non opponibilità ai creditori personali del socio superstite della ricostituzione tardiva della pluralità dei soci; lo spirare del termine semestrale, infatti, segna il momento a decorrere dal quale sorge, in capo al creditore particolare, il potere di chiedere la liquidazione della quota, che non può essere posto nel nulla da una ricostituzione tardiva della pluralità dei soci.
Inoltre, al venir meno della pluralità dei soci può far seguito anche la prosecuzione dell’attività in capo al socio superstite. Infatti, può verificarsi che l’unico socio rimasto, dopo aver lasciato trascorrere il semestre senza integrare il numero dei soci, non provveda alla liquidazione e continui di fatto ad amministrare – nonostante l’avvenuto scioglimento – la società, continuando quindi nell’attività d’impresa, utilizzando il complesso dei beni sociali. In tal caso, il socio superstite dà luogo ad una società unipersonale a tempo indeterminato, analogamente ad una società di capitali; ciò è possibile perché l’unipersonalità della compagine sociale è causa di scioglimento della società ma non della sua estinzione, che si verifica soltanto in seguito alla cancellazione della società dal registro delle imprese.
La prosecuzione di una società di persone in forma unipersonale non è disciplinata dalla legge (diversamente dalle società di capitali con socio unico). Secondo la giurisprudenza prevalente, la sopravvenuta mancanza della pluralità dei soci, se la società non sia ricostituita nel termine di sei mesi, non determina alcuna modificazione soggettiva dei rapporti facenti capo alla società, la titolarità dei quali si concentra nell’unico socio rimasto, in forza di un rapporto di successione. Pertanto, il socio superstite che prosegue nella gestione unipersonale succede nei rapporti attivi e passivi della società e risponde personalmente delle obbligazioni sociali.
La continuazione dell’attività sociale, nonostante la causa di scioglimento, si pone in violazione del divieto di compiere nuove operazioni da parte dei soci amministratori di cui all’art. 2274 c.c. Ciò peraltro, non costituisce un particolare deterrente per il socio superstite, dato che, come è noto, nelle società di persone – diversamente a quanto avviene nelle società di capitali – il socio amministratore è già illimitatamente e solidalmente responsabile per le obbligazioni contratte dalla società.
Anche in caso di S.a.s. rimasta con un solo accomandante, la prosecuzione dell’attività da parte di quest’ultimo produce comunque la perdita della limitazione di responsabilità ai sensi dell’art. 2320 c.c., salvo il caso di nomina di un amministratore provvisorio, il quale comunque non potrebbe esercitare tali funzioni per un periodo superiore a sei mesi, decorso il quale scatterebbe in ogni caso la responsabilità illimitata dell’accomandante superstite.
Qualora il socio di una società di persone, una volta decorso il termine di sei mesi richiesto per la ricostituzione della pluralità dei soci, continui a svolgere l’attività sociale in forma unipersonale, i creditori particolari del socio hanno la possibilità di chiedere la liquidazione della quota di quest’ultimo, applicandosi la medesima regola della proroga tacita (art.2307, ultimo comma, c.c.); in tal caso, si può giungere alla liquidazione giudiziale della società.
In ogni caso, il socio di una società di persone, una volta decorso il termine di sei mesi richiesto per la ricostituzione della pluralità dei soci, può quindi validamente continuare a svolgere l’attività sociale, ma è esposto al rischio della cancellazione d’ufficio da parte del Registro delle imprese, ai sensi dell’art. 3 D.p.r. n. 247/2004. La cancellazione d’ufficio è preceduta da un interpello rivolto agli amministratori della società, invitati o a comunicare l’avvenuto scioglimento della società o a dimostrare la persistenza dell’attività sociale; pertanto, qualora venga attivato il procedimento di cancellazione d’ufficio, la società si trova di fronte all’alternativa se dare seguito all’estinzione o, viceversa, proseguire l’attività sociale essendo, però, tenuta in questo secondo caso, ad eliminare la causa di scioglimento.
4. Le cause specifiche per le società di capitali
4.1 L’impossibilità di funzionamento o la continuata inattività dell’assemblea
L’art. 2484 primo comma n. 3 c.c. dispone che le società di capitali si sciolgono per l’impossibilità di funzionamento o per la continuata inattività dell’assemblea.
Si tratta di due ipotesi di scioglimento della società distinte, che si realizzano qualora si abbia un malfunzionamento dell’organo assembleare, di carattere stabile ed irreversibile, tale da rendere lo stesso incapace di assumere le decisioni essenziali che si presentano nel normale percorso della vita societaria. Tali cause comportano l’irraggiungibilità dello scopo sociale, dimostrando altresì il disinteresse dei soci al programma economico-imprenditoriale statutario.
Ad avviso della giurisprudenza, integra la causa di scioglimento in oggetto non la semplice conflittualità sociale, ma una situazione di totale paralisi che non appaia superabile e che persista nel tempo, sì da assumere il carattere della irreversibilità. Viceversa, la semplice incapacità transitoria, o comunque tale da essere suscettibile di essere superata in futuro, non può comportare lo scioglimento della società.
In particolare, l’impossibilità di funzionamento dell’assemblea si determina a seguito di contrasti insanabili ed irreversibili tra i soci che, comportando l’incapacità di formazione delle relative maggioranze, provocano di riflesso una situazione di stallo, per effetto del quale l’organo assembleare non è più in grado di assumere decisioni vitali per la società.
La continuata inattività dell’assemblea, invece, si verifica o perché essa non viene convocata oppure, seppur regolarmente convocata, non vengono raggiunti i quorum costitutivi a causa dell’assenteismo dei soci.
Tra le ipotesi che integrano le fattispecie dissolutive in oggetto vi sono le attività proprie dell’assemblea ordinaria dei soci, quali ad esempio l’approvazione del bilancio di esercizio, la sostituzione dell’amministratore dimissionario, la nomina di un nuovo amministratore ed il rinnovo delle cariche sociali. Non osta alla possibilità di sciogliere la società l’approvazione da parte dell’assemblea di delibere relative a materie neutre e tecniche, in quanto ciò non presuppone la ritrovata armonia assembleare.
Non costituisce, invece, causa di scioglimento il mancato raggiungimento del quorum deliberativo necessario al fine di porre volontariamente la società in liquidazione, perché ciò non implica che la volontà dell’organo sia divenuta irrealizzabile, bensì semplicemente che essa non ha inteso aderire alla proposta di scioglimento dell’impresa.
Per quanto riguarda in particolare la mancata approvazione del bilancio d’esercizio, la giurisprudenza ha ritenuto che essa costituisce causa di scioglimento della società in quanto rivelatore del dissidio tra i soci, soprattutto qualora si protragga per più di un esercizio, denotando così una situazione di irreversibilità e mal funzionamento assembleare.
Per le S.r.l. le quali abbiano deciso, per quanto riguarda le decisioni essenziali societarie, di provvedere alla formazione della volontà sociale tramite il nuovo metodo decisionale previsto dall’art. 2479 c.c., alternativo a quello assunto in una normale assemblea in senso tecnico – ovvero con la consultazione scritta o il consenso espresso per iscritto – tale ipotesi dissolutiva si verifica ugualmente, in caso di continuata inattività deliberativa.
Secondo l’orientamento maggioritario della giurisprudenza, il verificarsi della causa di scioglimento della società di cui all’art. 2484 comma 1, n.3) c.c. consente al Tribunale di nominare il liquidatore direttamente, già in sede di accertamento di tale causa di scioglimento.
4.2 La riduzione del capitale al di sotto del minimo legale
L’art. 2484, comma 1, numero 4 c.c. disciplina un’ulteriore causa di scioglimento delle società di capitali, che si verifica qualora il capitale sociale si riduca al di sotto del minimo legale (fissato per le Spa in Euro 120.000 e per le S.r.l. in Euro 10.000), in conseguenza di perdite.
Questa causa di scioglimento è posta a presidio dei diritti dei creditori sociali, che sarebbero inevitabilmente compromessi se la società potesse continuare la propria attività nonostante la riduzione del capitale sotto il minimo di legge.
Ai sensi dell’art. 2447 c.c., in caso di riduzione del capitale sociale al di sotto del minimo legale cagionata da perdite d’esercizio che incidono sullo stesso in misura superiore a 1/3, gli amministratori devono convocare senza indugio l’assemblea per l’adozione delle dovute delibere volte a evitare lo scioglimento della società.
Ai fini della fattispecie dissolutiva in oggetto non rileva qualsiasi tipo di perdita societaria, ma è necessario che questa eroda il minimo del capitale sociale e che sia superiore ad un terzo del capitale. La previsione da parte del legislatore di tale limite mira a contemperare due interessi opposti, quali l’esigenza del mercato ad essere tempestivamente e correttamente informato e quella dell’impresa che necessita di poter usufruire di una maggiore ampiezza operativa garantendole l’adeguamento del capitale a seguito di perdite importanti.
Prima di convocare l’assemblea è necessario che gli amministratori verifichino correttamente che la perdita abbia intaccato il capitale sociale sottoscritto per oltre un terzo. In caso di esito positivo della verifica ed accertata quindi la causa di scioglimento, gli amministratori, qualora i soci non abbiano proceduto alla ricapitalizzazione della società a seguito della convocazione dell’assemblea suindicata, ai sensi dell’art. 2485 comma 1 c.c. devono senza indugio accertare la riduzione del capitale al di sotto del minimo legale e procedere agli adempimenti previsti dal terzo comma dell’art. 2484 c.c.
Lo scioglimento può essere altresì evitato deliberando dei versamenti di somme a fondo perduto, o attraverso la rinuncia da parte di soci a crediti verso la società, o ancora disponendo un’immediata fusione. Ulteriore alternativa è data dalla trasformazione della società in società avente un limite legale di capitale compatibile con quello raggiunto a seguito delle perdite.
In caso di omissione o ritardo, gli amministratori sono personalmente e solidalmente responsabili per i danni subiti dai soci, dai creditori sociali e dai terzi.
Ai sensi dell’art. 2486 c.c., in caso di erosione del capitale sociale al di sotto del minimo legale, gli amministratori conservano il potere di gestire la società ai fini del perseguimento delle sole finalità di conservazione dell’integrità e del valore del patrimonio sociale, e, in caso di atti e omissioni compiute in violazione di tale norma, sono personalmente e solidalmente responsabili per i danni arrecati alla società, ai soci, ai creditori sociali e ai terzi. Integra responsabilità degli amministratori la prosecuzione, dopo che si sia verificata una causa di scioglimento, dell’attività economica della società con assunzione di nuovo rischio imprenditoriale che abbia determinato effetti pregiudizievoli per la società stessa, i creditori od i terzi.
L’art.6 del DL n. 23/2020, adottato per fronteggiare l’emergenza Covid, ha previsto particolari misure temporanee, con riferimento alla riduzione del capitale sociale per perdite, stabilendo che fino al 31 dicembre 2020 non si applicano gli artt. 2446, commi secondo e terzo, 2447, 2482-bis, commi quarto, quinto e sesto, e 2482-ter c.c., e che per lo stesso periodo non opera la causa di scioglimento della società per riduzione o perdita del capitale sociale di cui agli artt. 2484, primo comma, numero 4) e 2545-duodecies c.c.. La norma in questione ha stabilito dunque la temporanea sospensione dell’automatico operare della causa di scioglimento di cui al n. 4 del comma 1 dell’art. 2484 c.c. e, di conseguenza, gli amministratori non sono più obbligati a sciogliere la società mettendola in liquidazione, senza rischiare di incorrere nella responsabilità prevista dall’art. 2486 c.c. qualora optino per una gestione non esclusivamente conservativa dell’impresa (visto il venir meno dell’obbligo di scioglimento e messa in liquidazione).
Il DL 30 dicembre 2021 n. 228 (c.d. Decreto “Milleproroghe”), convertito con modificazioni dalla L. 25 febbraio 2022, n. 15, ha modificato l’art. 6, comma 1, del Decreto “Liquidità”, estendendo alle perdite emerse nell’esercizio in corso al 31 dicembre 2021 la disciplina di “sterilizzazione” prevista per l’esercizio in corso al 31 dicembre 2020 dal Decreto Liquidità. Pertanto, anche per le perdite emerse nell’esercizio in corso al 31 dicembre 2021 non si applicano alcuni obblighi previsti dal Codice civile per le società a protezione del capitale sociale (tra cui lo scioglimento di società per riduzione del capitale al di sotto del minimo legale).
4.3 Il recesso del socio nelle ipotesi previste dagli art.2437 quater e 2473 c.c.
L’art. 2484 n. 5 c.c. – richiamando gli artt. 2437 quater e 2473 c.c. c.c. – prevede che la società si scioglie qualora, a seguito di recesso del socio, la partecipazione di quest’ultimo non venga acquistata da parte degli altri soci o terzi né liquidata attraverso l’utilizzo di utili, riserve o tramite riduzione del capitale sociale.
Tale causa di scioglimento opera quindi qualora il socio che eserciti la volontà di recedere dalla società, guadagnando così il diritto ad ottenere una valutazione della propria quota a valori reali, induca i rimanenti soci a deliberare lo scioglimento della società, non essendo in grado di liquidare la partecipazione del socio recedente. In questo caso, il legislatore ritiene doveroso tutelare con preminenza i diritti dei creditori sociali anziché consentire alla società di proseguire comunque la propria attività.
Qualora sia stato deciso lo scioglimento da parte dell’assemblea, gli amministratori non dovranno effettuare un’ulteriore provvedimento di accertamento secondo quanto disposto dall’art. 2485 comma 1 c.c., ma dovranno procedere ad effettuare gli adempimenti pubblicitari richiesti dall’art. 2484 terzo comma c.c. Qualora, invece, l’assemblea sia rimasta inerte e non abbia né provveduto ad eliminare la causa di scioglimento, né abbia provveduto a ridurre il capitale sociale, gli amministratori avranno l’obbligo di accertare la causa di scioglimento e di provvedere alla sua relativa iscrizione presso il Registro delle Imprese.
Qualora inoltre l’assemblea abbia provveduto, sulla base della richiesta di recesso del socio alla liquidazione della propria partecipazione sociale, a deliberare la riduzione del capitale sociale ed al rimborso al socio, i creditori sociali, ove ritengano che la riduzione del capitale possa pregiudicare i loro interessi, possono opporsi entro 60 giorni dall’iscrizione della delibera presso il Registro delle Imprese (qualora considerino l’impossibilità di riallocazione delle quote/azioni del socio receduto indice d’inefficienza della società sul mercato e, quindi, di rischio per la riscossione dei propri crediti); se l’opposizione è accolta, la società deve essere sciolta, con effetto dal momento del passaggio in giudicato della sentenza di accoglimento dell’opposizione. Nel caso in cui, deliberata la riduzione del capitale sociale per liquidare la partecipazione del socio receduto, il capitale si trovi al di sotto del minimo legale, si verifica comunque la causa di scioglimento di cui al n. 4) dell’art. 2484 c.c.
4.4 Le altre cause previste dalla legge
L’art. 2448 c.c. prevede, come ultima ipotesi dissolutiva, che le società di capitali si sciolgano “per le altre cause previste dalla legge”. Tra le ulteriori ipotesi di scioglimento previste dalla legge vi sono:
- nella Sapa, la cessazione dall’ufficio di tutti gli amministratori, qualora nel termine di sei mesi non si sia provveduto alla loro sostituzione oppure i loro sostituti non abbiano accettato la carica (art. 2458 c.c.);
- la dichiarazione di nullità della società (art. 2332 comma 4 c.c.);
- nelle società quotate, la riduzione del capitale sociale per perdite che pur lasciando intatto il minimo legale, aumenti il rapporto tra azioni di risparmio ed azioni a voto limitato rispetto il capitale sociale; qualora le prime superino la metà dell’importo del secondo, occorre ripristinare il rapporto nei termini previsti dall’art.145 comma 5 del TUF.
5. Gli effetti dello scioglimento della società
5.1 L’accertamento dello scioglimento
Il verificarsi di una causa di scioglimento non produce i medesimi effetti e non dà luogo agli stessi adempimenti nelle società a base personale e nelle società a base capitalistica.
Per quanto riguarda le società personali, le cause di scioglimento operano di diritto, cioè determinano i loro effetti senza la necessità di alcuna decisone da parte dei soci e comportando di conseguenza l’immediato avvio della procedura di liquidazione.
Viceversa, per le società di capitali, vi è una separazione tra il verificarsi di una causa di scioglimento ed il suo effetto. L’art. 2484 comma 3 c.c. disciplina il momento a partire dal quale acquistano efficacia gli effetti dello scioglimento delle società di capitali, prevedendo che:
- per le cause di cui all’ art.2484 comma 1, nn. 1, 2, 3, 4 e 5 cc. (decorso del termine; conseguimento dell’oggetto sociale o sopravvenuta impossibilità di conseguirlo; impossibilità di funzionamento o continuata inattività dell’assemblea; riduzione del capitale sociale al di sotto del limite legale; recesso del socio), esso coincide con la data di iscrizione, da parte degli amministratori, presso l’Ufficio del Registro delle Imprese, della dichiarazione con la quale accertano il verificarsi di tali cause;
- per la causa di cui all’ art. 2484 comma 1, n. 6 c.c. (delibera dell’assemblea), esso coincide con la data di iscrizione, da parte degli amministratori, della relativa deliberazione da parte dell’assemblea.
La competenza in merito all’accertamento di una causa di scioglimento è quindi in capo agli amministratori, i quali continuano ad operare oltre il momento del verificarsi di una causa di scioglimento della società, con la finalità di preparare la procedura liquidatoria. L’iscrizione nel Registro delle Imprese della delibera assembleare oppure dell’atto di accertamento degli amministratori ha efficacia costitutiva dello scioglimento stesso, da tali adempimenti la società entra nella fase liquidatoria e decorrono gli effetti dello scioglimento.
Ai sensi dell’art. 2485 c.c., gli amministratori devono procedere “senza indugio” ad accertare il verificarsi della causa di scioglimento, ai sensi di legge. A tal fine, gli amministratori devono agire secondo le modalità previste dallo statuto o dall’atto costitutivo. Laddove l’organo amministrativo sia composto da più soggetti, tale attività accertativa consiste in una delibera dell’organo amministrativo. Anche nel caso di S.r.l. con amministrazione disgiunta, la competenza accertativa di tale importante atto è di competenza del consiglio.
Il termine “senza indugio” significa che gli amministratori devono operare con i tempi strettamente necessari all’accertamento, secondo parametri di diligenza qualificata e ragionevolezza; essi sono quindi implicitamente onerati di un continuo dovere di tenere sotto controllo la situazione della società, per poter accertare tempestivamente il verificarsi di una causa di scioglimento, e non incorrere in eventuali responsabilità per il ritardo o l’omissione.
Ai sensi del comma 2 dell’art. 2486 c.c., gli amministratori sono personalmente e solidalmente responsabili dei danni arrecati alla società, ai soci, ai creditori sociali ed ai terzi, qualora non adempiano a tale obbligo accertativo oppure vi adempiano in ritardo.
Un’eccezione all’accertamento senza indugio del verificarsi di una causa di scioglimento si ha nel caso in cui gli amministratori, rilevata la sussistenza dei presupposti costitutivi per il verificarsi di una causa dissolutiva di cui ai nn. 2 e 4 dell’art 2484 c.c., convochino tempestivamente l’assemblea per valutare la possibilità di adottare immediatamente una delibera “salvifica” che neutralizzi i presupposti accertati ed eviti in questo modo di dover accertare la verificazione della causa di scioglimento. Se una siffatta delibera non viene subito adottata, allora gli amministratori dovranno senza indugio accertare la verificazione della causa dissolutiva.
In tal caso, non si può ravvisare alcuna responsabilità degli amministratori per non aver immediatamente accertato la causa di scioglimento, se la possibilità di adozione di una delibera “salvifica” era fondata su elementi attendibili e concreti. Per evitare una propria responsabilità in questa fase, tra il riscontro dei presupposti costitutivi della causa dissolutiva e il suo accertamento con delibera dell’assemblea, gli amministratori dovranno comunque astenersi dal compiere operazioni che potrebbero mettere in pericolo la consistenza del patrimonio sociale.
Qualora gli amministratori non provvedano agli adempimenti ed obblighi previsti dall’art. 2485 c.c., i sindaci vi potranno porre rimedio ai sensi dell’art. 2406 c.c., senza la necessità dell’intervento del Tribunale. Viceversa sarà necessario il ricorso all’A.G. qualora l’intervento, ai fini accertativi dello scioglimento, avvenga per mezzo dei singoli soci o da parte degli altri amministratori (qualora il c.d.a. in maggioranza sia contrario o inerte).
Per quanto riguarda l’ipotesi di scioglimento per delibera assembleare, non è invece richiesto l’intervento degli amministratori in quanto in base all’art. 2436 c.c. è lo stesso notaio che, dopo aver verbalizzato la delibera di modifica dello statuto, deve procedere entro il termine di trenta giorni a richiedere l’iscrizione nel registro delle imprese contestualmente al deposito, allegando le eventuali autorizzazioni richieste.
Per quanto attiene alle cause di scioglimento previste dall’atto costitutivo o dallo statuto, l’ultimo comma dell’ art. 2484 c.c.157 stabilisce che, la relativa competenza a deciderle od accertarle e ad effettuare gli adempimenti pubblicitari opportuni, è attribuita dallo stesso atto o statuto.
5.2 I poteri degli amministratori nella fase pre-liquidatoria
Il verificarsi di una causa di scioglimento non comporta l’immediata estinzione della società; ad essa è comunque consentita la permanenza in vita mediante gli stessi organi gestori, di controllo e decisionali che mantengono la loro posizione all’interno della stessa struttura organizzativa. Tuttavia, tali organi hanno, a causa della diversa situazione in cui versa l’ente, funzioni più limitate. L’art. 2488 c.c. stabilisce infatti che “le disposizioni sulle decisioni dei soci, sulle assemblee e sugli organi amministrativi e di controllo si applicano, in quanto compatibili, anche durante la liquidazione”.
Dal momento del verificarsi di una causa di scioglimento – e non da quello dell’iscrizione della delibera/dichiarazione di accertamento di tale verificazione – gli amministratori hanno l’obbligo di gestire la società in modo esclusivamente conservativo dell’impresa; tale obbligo termina soltanto con il passaggio di consegne (libri sociali, situazione dei conti, rendiconto della gestione) ai liquidatori ai sensi dell’art. 2487 bis c.c. Non v’è, dunque, soluzione di continuità tra l’una e l’altra fase gestionale della società.
Durante questo periodo di vita della società, gli amministratori possono dunque compiere soltanto quelle attività gestionali che siano strumentali alla conservazione statica del patrimonio sociale, a garanzia delle legittime aspettative dei soci e dei creditori sociali. Gli amministratori dovranno quindi ben ponderare se, per meglio conservare l’integrità del patrimonio sociale in questa fase antecedente la liquidazione, sia più opportuna la continuazione dell’attività d’impresa oppure la sua cessazione.
Il secondo comma dell’art. 2486 prevede infatti la responsabilità personale e solidale degli amministratori per eventuali danni cagionati alla società, ai soci, ai creditori sociali, a terzi in conseguenza di atti/omissioni compiuti in violazione dello scopo esclusivamente conservativo che deve invece connotare questa fase. Si tratta dunque di una responsabilità per inadempimento, colposo o doloso, ad un obbligo di condotta, che abbia arrecato danno.
L’art. 378, comma 2, del D.lgs. n. 14/2019 (Codice della Crisi d’impresa e dell’insolvenza), ha inserito un terzo comma all’art. 2486 c.c. stabilendo che, quando è accertata la responsabilità degli amministratori, e salva la prova di un diverso ammontare, il danno risarcibile si presume pari alla differenza tra il patrimonio netto alla data in cui l’amministratore è cessato dalla carica o, in caso di apertura di una procedura concorsuale, alla data di apertura di tale procedura e il patrimonio netto determinato alla data in cui si è verificata una causa di scioglimento di cui all’art. 2484 c.c., detratti i costi sostenuti e da sostenere, secondo un criterio di normalità, dopo il verificarsi della causa di scioglimento e fino al compimento della liquidazione.
Se invece è stata aperta una procedura concorsuale e mancano le scritture contabili o se a cause dell’irregolarità delle stesse o per altre ragioni i netti patrimoniali non possono essere determinati, il danno è liquidato in misura pari alla differenza tra attivo e passivo accertati nella procedura.
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Avv. Valerio Pandolfini
Avvocato specializzato in diritto Societario
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