La responsabilità degli amministratori senza delega
Come è noto, spesso l’organo amministrativo delle società di capitale è di tipo collegiale (consiglio di amministrazione, CdA). Le funzioni proprie del CdA possono essere delegate ad uno o più componenti dello stesso, in termini individuali (amministratore delegato, o CEO) o collegiali (comitato esecutivo). Ciò determina una differenziazione delle posizioni, rispettivamente, dei consiglieri esecutivi, da un lato, e degli altri amministratori , dall’altro. Agli amministratori ai quali non sono state attribuite deleghe, e che quindi partecipano all’organo di amministrazione societaria quali semplici componenti del CdA, la legge impone specifici obblighi di trasparenza, informazione, iniziativa e intervento.
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1. La delega di funzioni nel CdA
Come è noto, spesso l’organo amministrativo delle società di capitale è di tipo collegiale (consiglio di amministrazione, CdA) ed è composto da un numero di amministratori che, in aderenza alle previsioni statutarie (o, in assenza, liberamente), è deciso dai soci con riferimento alla dimensione della società, al business aziendale e altri fattori.
Le funzioni proprie del CdA possono essere delegate ad uno o più componenti dello stesso, tanto in termini individuali (amministratore delegato, o CEO) quanto in termini collegiali (comitato esecutivo) (art. 2381, secondo comma, c.c.). Ciò determina una differenziazione delle posizioni, rispettivamente, dei consiglieri esecutivi, da un lato, e degli altri amministratori, dall’altro.
Questo modello di governance si caratterizza quindi per una ripartizione all’interno del CdA tra funzioni esecutive-gestionali e funzioni di indirizzo e valutazione, sulla base di distinzione al suo interno tra amministratori deleganti ed amministratori delegati.
La scelta di dotare la società di un CdA consente l’assunzione di decisioni sulla base di scelte ponderate, condivise e risultanti dal confronto dialettico dei componenti portatori di differenti esperienze e competenze.
L’istituto della delega assolve tradizionalmente ad una duplice finalità:
- da un punto di vista oggettivo, consente di realizzare una suddivisione dei compiti all’interno dell’organo amministrativo, garantendo in tal modo una maggiore efficienza gestionale;
- sotto il profilo soggettivo, permette di selezionare in seno al CdA coloro che sono più esperti o comunque dotati di specifiche competenze e consolidate esperienze.
La delega attua un conferimento di funzioni e di compiti che non comporta spoliazione di poteri, ma una legittimazione concorrente tra delegato e delegante. Il plenum del CdA resta titolare della funzione amministrativa nel suo complesso, ed ha il potere di impartire direttive ai delegati e di avocare a sé le decisioni su materie oggetto di delega; in sostanza, il delegante può in qualsiasi momento revocare o modificare la delega riappropriandosi dei suoi poteri.
Le direttive impartite dal CdA sono vincolanti per i delegati, la cui attività si deve necessariamente uniformare alle stesse (art. 2381, terzo comma, c.c.).
L’esigenza di preservare la centralità della dimensione collegiale nell’esercizio delle funzioni gestorie è finalizzata ad evitare che i delegati possano godere di una eccessiva autonomia rispetto al CdA, con il rischio di frammentare l’unità dell’organo amministrativo.
La delega trova legittimazione in una clausola dello statuto o in una delibera assembleare e viene attribuita con delibera consiliare che ne determina il contenuto ed i limiti, fermo restando che alcune funzioni non possono essere oggetto di delega.
Alcune competenze non possono, peraltro, essere oggetto di delega, ovvero:
- la redazione del bilancio di esercizio (art. 2423 c.c.);
- gli aumenti di capitale ai sensi dell’art. 2443 c.c.;
- gli adempimenti in presenza di perdite rilevanti (artt. 2446 e 2447 c.c.);
- l’emissione di obbligazioni convertibili (art. 2420-ter c.);
- la redazione dei progetti di scissione (art. 2506-bis c.) e di fusione (art. 2501-ter c.c.).
A sensi dell’art. 2381 comma 3 c.c., il CdA determina il contenuto, i limiti ed eventualmente le modalità di esercizio della delega. Non è ammissibile una delega “generica”, che non determini i poteri delegati; diversamente è ammissibile una delega “generale” che attribuisce tutti i poteri ad eccezione di quelli non delegabili per legge.
La possibilità di delega deve essere prevista dallo statuto o autorizzata dall’assemblea, e deliberata dal CdA. La nomina dell’amministratore delegato e il conferimento dei suoi poteri è riservata al CdA e, a differenza della nomina del presidete del CdA, non può mai essere effettuata dall’assemblea. Gli amministratori delegati devono sempre essere scelti all’interno del CdA.
Nella prassi, talvolta il CdA, pur in assenza di espressa autorizzazione, assegna ad alcuni consiglieri le proprie competenze o il compimento di singoli atti, per una più efficiente e snella gestione operativa (c.d. deleghe “atipiche”).
In tali casi, si ritiene che la responsabilità rimanga collegiale, in quanto altrimenti verrebbe limitato il metodo di collegialità diretto ad assicurare una gestione unitaria e responsabile, compromettendone i valori di unità della gestione e imputabilità in solido agli amministratori.
Diversa l’ipotesi in cui poteri gestori, e segnatamente poteri delegati, siano esercitati da un soggetto non formalmente investito della carica, dunque in assenza di un valido atto di nomina e della relativa accettazione con iscrizione al registro imprese; si tratta in sostanza dell’amministratore di fatto, cioè un soggetto che, pur in assenza di una investitura formale – nomina ed iscrizione della stessa al Registro imprese – si ingerisce sistematicamente nella gestione della società compiendo atti di amministrazione (amministratore di fatto in senso stretto) o facendoli realizzare, seguendo le sue indicazioni, dagli amministratori di diritto (amministratore indiretto od occulto).
In questo caso, la giurisprudenza è orientata ad estendere all’amministratore di fatto le responsabilità gestorie, chiamandolo a rispondere a fianco dell’amministratore di diritto, qualora le funzioni di fatto svolte abbiano carattere continuativo e significativo e non si esauriscano nel compimento di atti di natura eterogenea ed occasionale.
Se all’organo delegato sono conferiti poteri di rappresentanza, il verbale della delibera del Cda e la procura (rilasciata nella forma di scrittura privata autenticata) sono soggetti a pubblicità mediante deposito presso il Registro delle imprese; in ogni caso, il potere di rappresentanza deriva dall’atto di conferimento ed accettazione dei relativi poteri, mentre la pubblicità della nomina ha solo finalità dichiarativa nei confronti dei terzi.
La legge non prevede un termine di durata della delega, la quale dunque coincide generalmente con il tempo di permanenza nell’incarico dell’amministratore delegato. In ogni caso, il CdA può stabilire un tempo per la durata della delega, e sempre revocarla, anche in assenza di giusta causa, situazione quest’ultima che, secondo la giurisprudenza, non determina il sorgere di un diritto al risarcimento danno in capo all’amministratore ex delegato.
Quando lo statuto o l’assemblea lo consentono e nei limiti previsti, amministratore delegato e comitato esecutivo, nei limiti delle funzioni ad essi attribuite, possono sub-delegare a terzi singoli poteri di gestione e rappresentanza.
L’amministratore non esecutivo può altresì far parte dei comitati endo-consiliari, aventi un ruolo essenzialmente istruttorio, e talvolta consultivo, rispetto alle attività di discussione, deliberazione e amministrazione del CdA. Ciò può determinare un significativo rafforzamento della governance, soprattutto se si tratti di soggetto in possesso di competenze ed esperienza specifiche (come può essere per un avvocato o un commercialista) in ambito di gestione dei rischi e dei sistemi di controllo e compliance (per il comitato “controllo e rischi” o comitato “rischi” o “audit committee”), o di politiche di remunerazione (per il comitato “remunerazione” o “human resources committee”), o di governo societario (per il comitato “governance”) o di selezione di profili di esponenti aziendali (per il comitato “nomine”).
2. Poteri e doveri degli amministratori privi di deleghe
2.1 Il dovere di informazione
L’art. 2381, sesto comma, c.c. stabilisce che gli amministratori sono tenuti ad agire in modo informato, prevedendo che ciascun amministratore può chiedere agli organi delegati che “in consiglio” – e quindi a beneficio di tutti gli amministratori, senza asimmetrie informative tra gli stessi – siano fornite informazioni relative alla gestione della società.
Gli amministratori privi di deleghe devono quindi assumere un atteggiamento proattivo rispetto al CdA, intervenendo nelle discussioni consiliari e apportando le proprie competenze e la conoscenza del settore di attività della società, in modo da arricchire la dialettica interna all’organo.
Ciascun amministratore può chiedere agli organi delegati che in CdA siano fornite informazioni relative alla gestione della società, relative sia ad aspetti generali, sia a questioni specifiche che si ritenga necessario approfondire. Gli amministratori privi di deleghe non hanno invece poteri informativi diretti, né poteri ispettivi.
La richiesta di informazioni può essere destinata al delegato anche al di fuori della riunione consiliare, fermo restando che quest’ultima sarà la sede nella quale andranno rese a chi abbia avanzato la richiesta (se del caso, previa richiesta di convocazione del CdA da parte di quest’ultimo).
Le informazioni, al contrario, non possono essere richieste al personale della società o al management, il quale, previa richiesta dei delegati, può intervenire nelle riunioni del Cda al fine di fornire delucidazioni rispetto agli argomenti posti all’ordine del giorno.
Diversamente, il presidente del CdA può rivolgersi direttamente alla struttura della società per acquisire informazioni, anche al fine di verificare l’adeguatezza di quelle fornite dagli amministratori delegati al consiglio in ordine alle materie all’ordine del giorno.
Gli amministratori non esecutivi non devono avere remore nel formulare il proprio eventuale giudizio critico di insoddisfazione in merito alla tempestività, completezza e uniformità dell’informazione, valutando di volta in volta l’opportunità di:
- chiedere un rinvio della discussione e una successiva convocazione del CdA non appena sia reso disponibile un set informativo adeguato, ovvero
- l’integrazione della documentazione – o informazioni e spiegazioni verbali – nella stessa seduta, ove tali integrazioni siano suscettibili di essere fornite in modo tale da permettere una valutazione e una decisione adeguatamente consapevole e informata (il che avviene, in primo luogo, qualora le informazioni mancanti siano di rapida comprensione e non richiedano una preventiva metabolizzazione).
In base alle dimensioni e della complessità aziendale, e/o della portata della delibera sottoposta, il rilascio di un’adeguata informativa può essere ottenuto con una relazione verbale degli amministratori esecutivi proponenti, ovvero con un documento organizzato formato da una pratica formalizzata e corredata da allegati, pareri, etc.
Nelle realtà maggiormente strutturate, ovvero in occasione di operazioni particolarmente complesse, dovrebbe essere rivolta particolare attenzione alla organizzazione di sessioni informative pre-consiliari, per permettere agli amministratori di acquisire un adeguato livello di preparazione ed elementi di valutazione circa le delibere che verranno poi loro sottoposte nella ufficiale sede consiliare. Si tratta di riunioni generalmente informali, i cui contenuti non saranno verbalizzati e trasfusi nella documentazione ufficiale della società. È opportuno, pertanto, porre la dovuta attenzione affinché:
- il set informativo messo a disposizione per tali occasioni sia integralmente riproposto, o eventualmente integrato, ma mai ridotto, in sede consiliare;
- la fase di approfondimento, discussione e deliberazione sia riservata alla sede consiliare, e successivamente verbalizzata e riportata nel libro delle adunanze;
- la volontà deliberativa si formi e si esprima unicamente nella competente sede collegiale del CdA.
2.2 L’espressione del voto nel CdA
L’amministratore privo di deleghe può esprimere un voto favorevole, un voto contrario, o astenersi dalla deliberazione.
Con l’espressione del voto favorevole, l’amministratore non esecutivo assume piena responsabilità in merito alla decisione proposta, accettandone il livello informativo resogli disponibile per valutarla, e condividendone il contenuto, gli effetti e la portata. Eventuali indicazioni o raccomandazioni formulate unitamente all’espressione del voto favorevole avranno esclusivamente valenza di indirizzo per organi delegati, o per l’esecuzione della stessa delibera assunta, non potendo limitare eventuali responsabilità in capo all’amministratore che le abbia formulate.
L’espressione del voto contrario libera l’amministratore privo di delega da responsabilità per gli atti o le omissioni degli altri amministratori sempre che abbia fatto annotare senza ritardo il suo voto contrario nel libro delle adunanze e deliberazioni del CdA, e ne abbia dato notizia immediata per iscritto al presidente del Collegio sindacale (art. 2392 c.c.).
Anche nei casi in cui il CdA ritenga opportuno acquisire il supporto di esperti o consulenti esterni in operazioni di particolare complessità, la responsabilità per le decisioni assunte sarà ascrivibile all’organo di amministrazione. Per tal motivo, gli amministratori privi di deleghe, al fine dell’assunzione consapevole di decisioni, dovrebbero porre particolare attenzione e vagliare criticamente:
- la professionalità e l’effettiva indipendenza del consulente in rapporto alla società e/o all’organo amministrativo delegato;
- la tipologia e i contenuti della prestazione fornita dall’esperto o dal consulente incaricato, vagliandone anche le ricadute rispetto alle operazioni da intraprendere.
È opportuno che, in caso di operazioni di particolare dimensione e/o complessità, gli amministratori non esecutivi valutino l’opportunità di acquisire assistenza specifica da consulenti da loro individuati, e caratterizzati da indipendenza e autonomia rispetto alla società e/o agli organi amministrativi esecutivi.
I doverosi poteri degli amministratori privi di deleghe rispetto alle operazioni compiute dai delegati, pertanto, non subiscono significative alterazioni quando la società faccia parte di un gruppo. In tale ambito, l’amministratore privo di deleghe deve esigere un set informativo adeguato, che gli consenta di comprendere se la decisione proposta comporti vantaggi o svantaggi per la controllata, e nel secondo caso se sussistano e siano specificati i vantaggi compensativi di gruppo.
Nel caso in cui non sussistano vantaggi compensativi, o, a giudizio dell’amministratore, tali vantaggi non siano adeguati, egli dovrà comunque farlo rilevare, promuovendo lo sviluppo di una dialettica tra la società controllata e la controllante volta a riequilibrare gli effetti della proposta di delibera.
2.3 I doveri di trasparenza. Gli interessi degli amministratori
Gli amministratori privi di deleghe sono tenuti in ogni caso rispettare gli obblighi imposti a tutti gli amministratori dall’art. 2391 c.c. Tale norma, con l’obiettivo di garantire massima trasparenza, impone all’amministratore interessato di comunicare l’esistenza in una determinata operazione della società di ogni interesse per conto proprio o di terzi, agli altri amministratori ed al collegio sindacale.
La comunicazione deve essere esaustiva, in quanto deve precisare la natura, i termini l’origine e la portata dell’interesse, in modo da consentire una valutazione consapevole dell’operazione. L’informazione deve essere tempestiva e può essere resa anche in occasione della riunione di consiglio, alla presenza dei componenti del collegio sindacale
Se l’interesse riguarda un amministratore delegato, questi deve astenersi dal compiere l’operazione, investendo della stessa l’organo collegiale. In tal caso, come in tutti i casi in cui l’operazione rientri nella competenza o sia comunque sottoposta alla deliberazione consiliare, ricade sul CdA l’obbligo di motivare adeguatamente le ragioni e la convenienza per la società. Se invece l’interesse concerne l’amministratore unico, quest’ultimo ne deve dare notizia alla prima assemblea utile.
Gli obblighi di trasparenza e informazione degli amministratori operano anche quando l’operazione che coinvolge un interesse degli stessi non è pregiudizievole per la società.
Secondo l’opinione prevalente, l’amministratore in conflitto di interessi può esercitare il diritto di voto avendo presente l’interesse della società, nel rispetto del generale dovere di diligenza degli organi gestori.
Nel caso in cui una delibera del CdA o del comitato esecutivo violi egli obblighi di informazione e di adeguata motivazione sopra richiamati, e sia assunta con il voto determinante dell’amministratore portatore di interesse, la stessa può essere impugnata dagli amministratori e il collegio sindacale, nel termine di 90 giorni dalla data della delibera.
Se sono stati adempiuti gli obblighi informativi, la legittimazione a impugnare non spetta agli amministratori che hanno consentito alla delibera, i quali sono eccezionalmente legittimati in caso di omessa informativa.
L’omissione, l’insufficienza o il ritardo dell’informazione espone l’amministratore alla responsabilità per danni, ai sensi dell’art. 2391, quarto comma, c.c.;
Per quanto riguarda le S.r.l., l’art. 2475-ter c.c. prevede una disciplina parzialmente diversa del conflitto di interessi degli amministratori, stabilendo:
- al primo comma il principio generale dell’annullabilità dei contratti conclusi dagli amministratori che hanno la rappresentanza della società in conflitto di interesse, per conto proprio o di terzi con la medesima, su domanda della società, se il conflitto era conosciuto o conoscibile dal terzo;
- al secondo comma la disciplina dell’impugnazione delle decisioni assunte con il voto determinante dell’amministratore in conflitto di interessi con la società, riconoscendo la legittimazione agli amministratori o ai sindaci o al revisore legale quando nominati e subordinando l’esperibilità dell’azione al verificarsi di un effettivo danno patrimoniale.
La fattispecie di cui all’art. 2475-ter c.c. è pertanto caratterizzata dalla esistenza di un interesse personale divergente da quello della società, a differenza di quanto previsto per le S.p.a., ove la disciplina, in punto di obblighi di informazione e motivazione, trova applicazione in presenza di un qualsiasi tipo di interesse, ancorché non in contrasto con quello della società; l’impugnazione della decisione nella S.r.l. è quindi condizionata alla sussistenza di un danno effettivo e non meramente potenziale.
Ulteriore differenza tra le due discipline è data dal fatto che l’art. 2475-ter c.c. non prevede alcun obbligo di comunicazione né di astensione volti a prevenire abusi da parte degli amministratori, probabilmente spiegabile con la circostanza che generalmente nella S.r.l. si riscontra sostanziale coincidenza tra le persone dei soci e quelle degli amministratori.
2.4 I doveri di iniziativa e intervento degli amministratori privi di deleghe. I segnali di allarme
La responsabilità degli amministratori privi di deleghe operative non può discendere da una generica condotta di omessa vigilanza – che darebbe luogo ad una responsabilità sostanzialmente oggettiva – ma deve necessariamente ricollegarsi a comprovati inadempimenti degli obblighi su di essi gravanti.
Gli amministratori privi di deleghe, al fine di evitare di incorrere in responsabilità, devono:
- agire in modo informato, come previsto dall’art. 2381, sesto comma. c.c., esercitando tutte le prerogative che siano correlate all’adempimento di tale dovere, valutando l’adeguatezza delle informazioni ricevute e, ove non le ritengano adeguate, richiedendo informazioni relative alla gestione della società agli organi delegati; tale potere-dovere di iniziativa è strettamente collegato alla natura della responsabilità e al grado di diligenza richiesta all’amministratore dall’art. 2392 c.c. e presuppone che gli amministratori siano in grado di effettuare scelte che siano meditate, basate sulle rispettive conoscenze e frutto di un rischio calcolato;
- intervenire, come previsto dall’art. 2392, secondo comma, c.c., per impedire il compimento di fatti pregiudizievoli o attenuarne le conseguenze dannose, quando ne siano effettivamente a conoscenza; tale conoscenza può derivare da qualsiasi fonte – non solo da notizie apprese in CdA – così come può essere dedotta da segnali di allarme, desunti da fatti gravi, precisi e concordanti (art. 2729, primo comma, c.c.;
- annotare senza ritardo il proprio dissenso nel libro delle adunanze e delle deliberazioni del CdA e dare immediata notizia per iscritto di tale dissenso al presidente del collegio sindacale, come stabilito dall’art. 2392, terzo comma, c.c.
Il potere di iniziativa si sostanzia nella richiesta di informazioni e chiarimenti relativi, sia alla gestione in generale, sia al singolo affare, anche con riferimento all’ambito oggettivo della delega. Si tratta di un potere-dovere riconosciuto al singolo amministratore in quanto componente del CdA per attenuare le proprie responsabilità rispetto alla gestione dei delegati.
L’amministratore privo di deleghe non può infatti ritenere soddisfatto l’obbligo imposto dall’art. 2381, sesto comma, c.c. dalla semplice ricezione dei report fatti pervenire dai delegati, bensì deve attivarsi, soprattutto qualora sussistano segnali di allarme, ogniqualvolta sulla base delle informazioni ricevute in CdA o della relazione degli organi delegati ravvisi, secondo il suo diligente apprezzamento, l’esigenza di arginare e impedire le condotte potenzialmente pregiudizievoli per la società.
In tali ipotesi, gli amministratori privi di delega possono:
- monitorare costantemente l’attività dei delegati e inviare richieste scritte all’organo delegato con l’invito a desistere dalle iniziative intraprese reputate pregiudizievoli per la società;
- richiedere al presidente la convocazione del CdA per ulteriori approfondimenti;
- chiedere informazioni suppletive agli organi delegati.
Quanto al potere ad esercizio doveroso di intervento stabilito dall’art. 2392 secondo comma c.c., gli stessi amministratori, in base alla regola legale che loro impone di intervenire per impedire il compimento del fatto pregiudizievole per la società o per eliminarne o attenuarne le conseguenze dannose, in presenza di effettivi riscontri sulla pericolosità delle scelte di gestione, possono:
- far annotare il proprio dissenso nel libro delle adunanze e delle deliberazioni del CdA;
- sollecitare la revoca della deliberazione illegittima;
- sollecitare la convocazione dell’assemblea da parte del CdA;
- sollecitare un intervento del CdA volto a impartire direttive ai delegati, revocare o modificare la delega (ad esempio limitandola ai soli atti di ordinaria amministrazione) ovvero ad avocare allo stesso CdA singole operazioni rientranti nella delega;
- impugnare le deliberazioni assunte;
- segnalare durante le riunioni del CdA i fatti al collegio sindacale, sollecitandone un intervento in relazione ai poteri che l’ordinamento riconosce a quest’organo;
- segnalare i fatti al PM sollecitandone un intervento ai sensi dell’art. 2409 c.c..
L’attivazione dei poteri-doveri di iniziativa e di intervento, seppur con differente gradualità e incisività, è subordinata all’esistenza di indici rivelatori di fatti pregiudizievoli, rapportati al caso concreto. A tal riguardo, la giurisprudenza ha chiarito che debba trattarsi di segnali perspicui e peculiari in relazione all’evento illecito.
La responsabilità penale dell’amministratore privo di deleghe emerge, oltre che nei casi di un concorso attivo nella commissione del reato, qualora egli abbia avuto piena ed effettiva conoscenza del reato commesso dagli altri, reato che l’amministratore avrebbe dovuto impedire (ai sensi degli artt. 2392, secondo comma, c.c. e 40, secondo comma, c.p.).
La responsabilità civile dell’amministratore privo di deleghe è stata invece accertata anche in presenza di indici rivelatori di anomalie nella gestione o carenze di informazioni che dovevano ingenerare nell’amministratore il sospetto del compimento dell’illecito. In tali ipotesi, sussiste la responsabilità dell’amministratore privo di deleghe quando non avendo egli adempiuto all’obbligo di agire in modo informato, si sia prodotto per la società un pregiudizio, che un suo intervento tempestivo, diligente e aderente alle previsioni di legge, avrebbe potuto evitare.
Ad esempio, la giurisprudenza ha ravvisato i seguenti segnali di allarme:
- informative carenti e/o contraddittorie;
- compimenti di atti estranei all’oggetto sociale (c.d. ultra vires);
- irregolare tenuta delle scritture contabili;
- gestione personalistica;
- indebitamento irrazionale in presenza di liquidità disponibili (altra fattispecie che dovrebbe spingere gli amministratori a chiedere informazioni è l’ipotesi del ricorso al debito bancario pur in presenza di liquidità dell’impresa);
- spoliazione di risorse aziendali posta in essere attraverso prelievi dalle casse sociali;
- finanziamenti a favore di società in dissesto;
- dimissioni degli amministratori e del collegio sindacale;
- formali richiami rivolti all’organo di amministrazione da parte del collegio sindacale circa le perdite rilevate e l’erosione del capitale sociale;
- parere negativo del collegio sindacale con riguardo al bilancio di esercizio, espresso nella relazione ai soci ex art. 2429 c.c.;
- mancato rispetto delle disposizioni in materia di forme tecniche con riferimento ai bilanci, anche consolidati;
- carenze nell’esercizio delle funzioni della capogruppo.
In relazione alla limitazione della responsabilità ascrivibile all’amministratore privo di deleghe, assume particolare rilevanza la predisposizione di un assetto organizzativo, amministrativo e contabile adeguato. Il protocollo organizzativo, al pari del protocollo istruttorio-informativo, costituiscono infatti i due presupposti di applicazione del principio della insindacabilità del merito delle scelte gestorie (c.d. business judgement rule).
2.5 Le responsabilità degli amministratori privi di delega
Il sistema delle responsabilità degli amministratori è articolato e graduato a seconda del ruolo effettivamente svolto nell’organizzazione societaria, nella quale sono generalmente gli organi delegati a lavorare a tempo pieno acquisendo, per tal motivo, piena e completa conoscenza delle dinamiche aziendali.
L’art. 2392, primo comma, c.c., pur richiamando la responsabilità solidale degli amministratori, ne limita l’incidenza nei casi in cui si tratti di funzioni attribuite ad uno o più amministratori o di attribuzioni del comitato esecutivo. Venendo meno l’obbligo di vigilanza sul generale andamento della gestione, gli amministratori sono tenuti al rispetto di obblighi specifici, quali sono quelli richiamati dallo stesso art. 2392, secondo comma, c.c., quelli previsti in punto di interesse degli amministratori e quelli individuati nell’art. 2086 c.c.
Nella qualificazione della responsabilità degli amministratori, inoltre, assume rilievo la circostanza che la legge impone loro di agire con la diligenza richiesta dalla natura dell’incarico e dalle loro specifiche competenze, così da garantire che le scelte attuate dagli amministratori siano informate, meditate e basate sulle rispettive conoscenze. Ai fini della delimitazione delle responsabilità, ciò implica che occorre considerare, oltre alle caratteristiche dell’attività di impresa, le tipologie di incarichi affidati ai singoli amministratori e le competenze proprie di ciascun amministratore determinate rispetto all’operazione, alla delibera, all’affare concretamente posti in essere.
L’assunzione di responsabilità si radica a partire dal momento dell’assunzione della carica e, in linea di principio, non ha effetto retroattivo; tuttavia, gli amministratori sono responsabili se omettono di rilevare e di porre rimedio alle irregolarità compiute da amministratori precedenti. Del pari, l’amministratore di una società che, succedendo ad altro amministratore e ricevendo una gestione affetta da gravi irregolarità, ometta del tutto di informare l’assemblea dei soci, è responsabile non già dell’attività dei precedenti gestori che hanno realizzato le irregolarità, ma della propria colpevole omissione.
L’amministratore assente dalla seduta consiliare che ha assunto la scelta pregiudizievole, stante il suo obbligo di agire in modo informato, deve comunque attivarsi per impedire l’atto dannoso o per attenuarne le conseguenze.
L’amministratore è inoltre libero di dimettersi e quindi le dimissioni non integrano di per sé un fatto generatore di responsabilità, ma esse non possono sostituire l’adempimento ai propri obblighi, in primo luogo quello di intervento rispetto a irregolarità pregresse e apprese nella vigenza della carica.
2.6 Le responsabilità degli amministratori privi di deleghe nel gruppo di società
L’organo di amministrazione della capogruppo è responsabile:
- nei confronti della stessa capogruppo ai sensi dell’art. 2392 c.c.;
- in solido con la capogruppo ai sensi dell’art. 2497, primo comma, c.c., nei confronti della società eterodiretta, dei soci e dei creditori di quest’ultima, laddove siano stati violati i principi di corretta gestione societaria e imprenditoriale delle società eterodirette, in assenza per queste ultime della realizzazione di alcun vantaggio compensativo.
Gli amministratori della società eterodiretta, ferme restando specifiche indicazioni contenute nei regolamenti di gruppo, rispondono nei confronti della società controllata:
- per i pregiudizi arrecati in via autonoma per aver svolto il proprio incarico in violazione del principio di diligenza di cui all’art. 2392 c.c.;
- per i danni derivanti dall’esercizio abusivo dell’attività di coordinamento, ovvero quando siano violati i principi di corretta gestione societaria e imprenditoriale delle società eterodirette senza che per esse il danno possa essere compensato da alcun vantaggio (art. 2497, secondo comma, c.c.).
Ciò implica che l’organo di amministrazione della società eterodiretta deve attentamente valutare la legalità, la ragionevolezza e la congruità delle operazioni compiute a livello di gruppo, in modo da individuare sia delle ricadute negative per gli interessi per la società eterodiretta, sia dei riflessi positivi che a quest’ultima possano derivare dalla partecipazione al gruppo.
I doverosi poteri degli amministratori privi di deleghe rispetto alle operazioni compiute dai delegati, pertanto, non subiscono significative alterazioni quando la società faccia parte di un gruppo.
Gli amministratori privi di deleghe della società eterodiretta dovranno prestare particolare attenzione e chiedere supplementi di informazioni agli organi delegati in occasione dell’assunzione di delibere relative a operazioni di maggior rilievo strategico per il gruppo, rispetto alle quali l’organo di amministrazione della holding abbia impartito direttive, istruzioni o atti di indirizzo vincolanti.
Al riguardo, l’art. 2497-ter c.c. prevede che le decisioni delle società soggette ad attività di direzione e coordinamento, quando influenzate dalla holding, e dunque assunte al fine della realizzazione del disegno imprenditoriale e strategico del gruppo, devono essere analiticamente motivate e recare puntuale indicazione delle ragioni e degli interessi la cui valutazione ha inciso sulla decisione.
Nell’esporre analiticamente le ragioni dell’operazione, gli amministratori devono dimostrare la corrispondenza dell’operazione alle ragioni imprenditoriali e agli interessi della controllata, anche in una logica di gruppo, segnalando l’eventuale esistenza di vantaggi compensativi rispetto alla probabile emersione di un futuro danno per la società.
A tale regola devono attenersi i delegati della società eterodiretta quando la decisione sia influenzata dall’attività di direzione e coordinamento, considerando altresì che, come ha rilevato la giurisprudenza, l’autonomia gestionale della società eterodiretta non è annullata dalla partecipazione al gruppo e dalla realizzazione del programma comune e che, per tal motivo, gli amministratori della società eterodiretta possono pur sempre disattendere le direttive impartite dalla capogruppo quando esse siano potenzialmente lesive degli interessi tutelati dall’ordinamento.
Anche in questo caso, occorrerà intensificare il flusso informativo tra holding e società eterodiretta di modo che gli amministratori di quest’ultima possano effettuare specifiche valutazioni circa i motivi (di fatto e di diritto) posti alla base della decisione influenzata.
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Avv. Valerio Pandolfini
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