Il contratto di distribuzione internazionale-International distribution agreement
Oggi le imprese non possono più permettersi di considerare il proprio mercato di riferimento circoscritto ai confini nazionali; per un’impresa italiana, operare quanto meno a livello europeo dovrebbe ormai costituire la quotidianità del proprio business. Tra i vari tipi di intermediari che operano nel commercio internazionale, le due figure più frequentemente utilizzate dagli operatori sono: a) l’agente di commercio, intermediario incaricato dello svolgimento continuativo di un’attività di promozione e negoziazione di affari in cambio di una provvigione; b) il distributore (o concessionario di vendita) o, incaricato di curare la distribuzione dei prodotti dell’esportatore in veste di acquirente-rivenditore. I contratti di distribuzione rientrano nella c.d. distribuzione integrata, con la quale l’impresa produttrice instaura uno stretto rapporto di collaborazione con altri imprenditori, collocati in diversi livelli del mercato, che vengono inseriti nella politica e nell’apparato commerciale della prima. Essi consentono di realizzare una forma di integrazione verticale dell’attività di due imprese giuridicamente distinte (produttore e distributore), con vantaggi per entrambi. Nei contratti di distribuzione con concessionari operanti all’interno dell’Unione Europea, occorre tenere conto delle limitazioni imposte dalla normativa comunitaria a tutela della concorrenza, e in particolare di quanto previsto dal Reg. (UE) 330/2010, in tema di accordi verticali. I contratti di distribuzione internazionale contengono abitualmente alcune clausole tipiche. Ogni contratto di distribuzione internazionale presenta aspetti peculiari, che devono essere analizzati caso per caso, in relazione agli interessi economici perseguiti dalle parti nella singola operazione commerciale e alle caratteristiche del paese target.
1. Cosa sono i contratti di distribuzione internazionale e a cosa servono
In alcuni contesti, la merce può essere direttamente trasferita all’estero dal produttore, il quale agisce da mero esportatore, vendendo i prodotti sul mercato estero direttamente alla clientela finale. Più spesso, invece, i produttori canalizzano la vendita dei prodotti sul mercato estero attraverso una struttura insediata stabilmente sul territorio estero nel quale la merce deve essere venduta. Ciò per una serie di motivi, tra cui:
- esigenze di carattere interno alla catena produttivo-distributiva (si pensi alla possibilità di immagazzinare la merce presso i depositi del distributore);
- l’esigenza di dotare il canale di vendita di una interfaccia e di una “presenza fisica” in grado di dialogare con i clienti finali, in modo tale che questi possano rivolgersi al venditore estero direttamente per le varie necessità che vengono di volta in vola a presentarsi (ad esempio per visionare i prodotti prima di acquistarli, per effettuare rei di merce difettosa, etc.).
L’esigenza di radicamento sul territorio estero da parte del produttore fa quindi sì che questi incarichi un intermediario (il distributore appunto), il quale funge da terminale di vendita nel mercato estero, pur presentandosi come soggetto giuridico autonomo. Tra produttore e distributore si instaura dunque un rapporto di fornitura, in base al quale il primo rifornisce continuamente e con stabilità il secondo, dotandolo dei prodotti destinati alla vendita alla clientela finale.
Non infrequentemente, il distributore estero è un soggetto che fa parte dello stesso gruppo internazionale del produttore, con il quale instaura una dinamica contrattuale infragruppo.
Il distributore (o concessionario) può definirsi come un imprenditore, integrato nella rete commerciale del fornitore, al quale è affidato il compito di promuovere ed organizzare le vendite in un certo territorio geografico, di solito concessogli in esclusiva. Il distributore assume generalmente l’obbligo non solo di rivendere i prodotti del concedente, ma anche ulteriori obblighi, consistenti nel garantire la distribuzione dei prodotti del concedente e a contribuire ad ampliarne la diffusione, in modo tale da offrire al concedente la possibilità di conquistare una maggiore porzione di un dato mercato.
I contratti di distribuzione rientrano nella c.d. distribuzione integrata, con la quale l’impresa produttrice instaura uno stretto rapporto di collaborazione con altri imprenditori, collocati in diversi livelli del mercato, che vengono inseriti, con diversa intensità, nella politica e nell’apparato commerciale della prima, cioè nel ciclo economico dell’impresa.
Il produttore esercita in tal modo un controllo diretto sul mercato di riferimento, non limitandosi a fornire al distributore “integrato” i propri beni ma generalmente trasmettendo a quest’ultimo un complesso di licenze e di know-how (relativi al marchio, all’insegna, al brevetto) e al contempo indirizzandone l’attività attraverso precise direttive relative alle modalità della distribuzione (ad esempio: come arredare i locali, quali tecniche di vendita o strategie pubblicitarie utilizzare, quale debba essere il livello qualitativo dei servizi accessori ecc.).
Adottando una forma distributiva integrata, il produttore persegue dunque principalmente due obiettivi:
- una più efficiente gestione e pianificazione della attività produttiva, grazie al possesso di informazioni relative al mercato del proprio prodotto;
- la creazione di un’immagine di unità e omogeneità all’interno del sistema distributivo, con conseguente irrilevanza, agli occhi della clientela, tra un distributore e un altro, ai fini della bontà del prodotto acquistato e/o dei servizi accessori ricevuti.
L’attività del distributore si distingue da quella degli intermediari in senso stretto (agenti, procacciatori) che si limitano a promuovere contratti che verranno poi conclusi tra il preponente ed il cliente finale. Questi ultimi sono infatti incaricati di svolgere un’attività di promozione e negoziazione di affari in cambio di una provvigione; essi si limitano dunque a promuovere contratti che verranno poi conclusi tra il preponente ed il cliente finale, senza divenire proprietari dei prodotti di cui sono incaricati di promuovere la vendita, ed assumendo solo il rischio di non percepire la provvigione in caso di mancato buon fine degli affari conclusi, ma non il rischio commerciale di non riuscire a vendere i prodotti, che resta in capo al produttore.
Invece, i distributori sono incaricati di curare la distribuzione dei prodotti in veste di acquirenti-rivenditori; essi acquistano in proprio la merce e poi la rivendono ai clienti, assumendosi in tal modo il rischio dell’invenduto e sostenendo i costi necessari a creare e mantenere una struttura idonea alla commercializzazione. Tali soggetti presentano quindi più marcate caratteristiche di imprenditore commerciale, diversamente dagli altri intermediari che tendenzialmente vengono considerati come collaboratori parasubordinati.
In particolare, la concessione di vendita si differenzia dall’agenzia essenzialmente per i seguenti aspetti:
- la collaborazione tra concedente e concessionario, pur prevista, non assurge ad elemento determinante;
- nell’agenzia il compenso è una percentuale sul volume di affari, mentre nella distribuzione è dato dalla differenza tra prezzo acquisto-rivendita;
- nell’agenzia il rischio di insolvenza del cliente finale è a carico del preponente-fornitore, mentre nella distribuzione è a carico del concessionario;
- nell’agenzia è prevista una indennità di fine rapporto in favore dell’agente, generalmente non nella concessione di vendita (salvo quanto previsto dalla normativa di alcuni paesi).
Ciò non esclude però che il medesimo soggetto possa svolgere sia l’attività di rivendita che quella di mera intermediazione. È infatti abbastanza frequente che il distributore preferisca in certi casi (ad es. per affari di particolare importanza o con clienti che preferiscono trattare direttamente con il concedente) agire come mero intermediario, ricevendo una provvigione da concordarsi caso per caso sul valore dell’affare.
Una simile soluzione è consigliabile solo a condizione che l’attività di intermediazione abbia carattere secondario, in quanto in un simile contesto si potrà di regola escludere che tale attività modifichi la disciplina del contratto di distribuzione. Qualora invece la stessa risulti più importante, sarà opportuno disciplinarla come vero e proprio contratto di agenzia o di procacciamento di affari.
Sono poi possibili altre varianti: ad esempio, un agente può essere incaricato della rivendita dei prodotti del preponente in una zona diversa da quella dove operava come agente o dove operava in esclusiva, oppure un agente può essere incaricato di svolgere attività di rivenditore per una specifica tipologia di clienti o una particolare gamma dei prodotti.
Il distributore si distingue altresì da altri rivenditori «non integrati», quali ad esempio i grossisti, in quanto assume il ruolo di promuovere ed organizzare la vendita dei prodotti di un determinato fabbricante (con un impegno, più o meno esteso, di non trattare prodotti concorrenti) su di un determinato territorio, normalmente concessogli in esclusiva.
Il contratto di distribuzione viene molto utilizzato dalle imprese italiane per regolare il rapporto commerciale all’ingrosso con un importatore all’estero, al quale viene affidato un territorio più o meno esteso a seconda delle situazioni.
La clientela del territorio può anche essere segmentata secondo il piano marketing attuato dal concedente; ad esempio, l’esclusiva territoriale potrà riguardare tutto il territorio della Francia ma essere limitata ad un settore specifico, nel qual caso il concedente sarà libero di vendere a clienti di altri settori o ai consumatori on-line.
Il distributore, di norma, oltre a promuovere le vendite contattando i clienti del proprio territorio, assume vari obblighi piuttosto stringenti e fornisce servizi aggiuntivi quali, ad esempio, quelli di assistenza sulla garanzia/conformità dei prodotti, la pubblicità su riviste specializzate e la partecipazione alle fiere di settore.
2. I vantaggi della concessione di vendita internazionale
La concessione di vendita, e più in generale i rapporti di distribuzione integrata, consentono di realizzare, nei diversi assetti contrattuali in cui si manifestano, una forma di integrazione verticale dell’attività di due imprese che sono giuridicamente distinte, con vantaggi reciproci.
Il produttore, sfruttando il continuo contatto e la conoscenza del mercato da parte del distributore, è in grado di conoscere le caratteristiche della domanda e dunque orientare in tempi brevi la propria attività produttiva. Inoltre, il produttore scarica sul distributore i costi e i rischi della commercializzazione dei prodotti, nonché gli ulteriori oneri connessi alla accettazione della strategia commerciale fissata dal produttore e al rispetto di determinati parametri nella distribuzione. Il produttore si assicura infine un sufficiente controllo sulle diverse fasi della distribuzione dei prodotti imponendo una serie di limiti alla libertà imprenditoriale del distributore, quali: la fissazione di specifiche condizioni di acquisto e di vendita dei beni, di modalità della distribuzione dei prodotti sotto il profilo territoriale o della clientela, etc.
Il contratto di distribuzione diventa in tal modo la scelta ottimale per aziende che, volendo massimizzare la penetrazione sui mercati esteri, intendano limitare i costi di vendita, garantendosi allo stesso tempo la collaborazione di una controparte esperta nello specifico settore di mercato. La concessione di vendita si addice in particolare ai fornitori che non sono in grado autonomamente di effettuare la distribuzione in dato territorio target, o che magari potrebbero farlo solo con ingente investimento nell’infrastruttura necessaria per l’adeguata distribuzione. Essa consente infatti di agevolare l’ingresso di un’azienda in un nuovo territorio, allargando i confini del proprio business, utilizzando tutta la rete vendita del concessionario, i suoi magazzini e la sua forza economica, e dunque ad un costo contenuto.
A sua volta il distributore, a fronte di una parziale perdita di autonomia decisionale, beneficia a sua volta di una serie di privilegi derivanti dalla sua appartenenza alla rete distributiva potendo utilizzare un marchio già affermato sul mercato, intrattenere rapporti di fornitura convenienti dal punto di vista del costo delle merci, o ottenere la concessione dell’esclusiva su un determinato territorio.
3. Vendite attive e passive
Nei contratti di distribuzione con concessionari operanti all’interno dell’Unione Europea, occorre tenere conto delle limitazioni imposte dalla normativa comunitaria a tutela della concorrenza, e in particolare di quanto previsto dal Reg. (UE) 330/2010, in tema di accordi tra imprese che operano a livelli differenti della catena di produzione e distribuzione (accordi verticali).
L’art. 4 del Regolamento UE n. 330/2010 consente al concedente di vietare al concessionario le sole “vendite attive” nel territorio esclusivo o alla clientela esclusiva riservati al concedente stesso o da questo attribuiti ad un altro concessionario, intendendosi per “attive” le vendite che sono conseguenza di pratiche di sollecitazione diretta rivolte ad uno specifico territorio o gruppo di clienti, attraverso invio di messaggi di posta o ricorso a pubblicità e promozioni mirate (come ad esempio visite ai clienti, incarico ad agenti per sollecitare le vendite su un determinato territorio, ricorso a campagne pubblicitarie su clienti di un determinato territorio etc.). Entro tale limite, il concedente può quindi creare una rete di distribuzione esclusiva, definendo i territori in cui i propri concessionari possono promuovere e commerciare i propri prodotti.
Il concedente non può invece impedire che i concessionari esclusivi di zona non accettino ed eseguano vendite “passive” nei confronti di soggetti estranei alla zona a loro affidata. Una vendita può essere definita come “passiva” quando la relativa iniziativa viene assunta dall’acquirente, e non dal concessionario. Nel contratto di distribuzione esclusiva, un produttore italiano può quindi vietare all’importatore esclusivo tedesco di effettuare vendite attive dei suoi prodotti fuori della Germania, ma non può vietargli di vendere ad un cliente italiano che effettui un ordine non sollecitato.
Le vendite su Internet sono generalmente considerate vendite passive, anche se il sito è raggiungibile da ogni parte del mondo. Pertanto, in linea generale il produttore/fornitore non può impedire che il distributore esclusivo utilizzi il commercio elettronico per vendere i prodotti anche al di là dei confini prestabiliti, invadendo il territorio esclusivo riservato ad altri distributori, purché la richiesta del cliente finale possa considerarsi come spontanea e non specificamente sollecitata dal distributore. Gli unici casi in cui è possibile vietare le vendite su Internet sono quelli consentiti nella distribuzione selettiva.
4. Le clausole tipiche di un contratto di distribuzione internazionale
I contratti di distribuzione internazionale contengono abitualmente alcune clausole tipiche, che di seguito si espongono.
Occorre tuttavia evidenziare che ogni contratto di distribuzione internazionale presenta degli aspetti peculiari, che devono essere analizzati caso per caso, in relazione agli interessi economici perseguiti dalle parti nella singola operazione commerciale e alle caratteristiche del paese target. Ogni contratto di distribuzione deve essere quindi attentamente redatto in modo personalizzato e sartoriale, in modo da regolamentare efficacemente le esigenze della singola impresa.
Se siete interessati a scaricare un modello di contratto di distribuzione internazionale, inviate una mail al seguente indirizzo: info@studio-pandolfini.it.
4.1 Esclusiva
Molto spesso i contratti di distribuzione internazionale prevedono una esclusiva di territorio in favore del distributore. L’esclusiva non è tuttavia un elemento naturale del contratto, per cui deve essere oggetto di espressa pattuizione tra le parti.
L’esclusiva è non soltanto utile, ma spesso addirittura necessaria per la realizzazione delle finalità perseguite attraverso i contratti di distribuzione, in quanto costituisce da una parte la normale contropartita degli obblighi di commercializzazione che gravano sul distributore, e dall’altra il principale strumento per realizzare l’integrazione produttore/distributore tipica dei contratti di concessione di vendita e franchising, dato che il distributore deve concentrarsi sulla commercializzazione dei prodotti del fornitore rinunziando alla vendita dei prodotti concorrenti.
Scopo primario del patto di esclusiva è quello di assicurare alle parti una fetta sicura di mercato: il produttore ha la possibilità di poter contare su di uno sbocco per i propri beni, e il distributore ha la possibilità di disporre di una zona “protetta”, entro la quale non dover subire la concorrenza di altri distributori dello stesso bene.
Quando l’esclusiva è posta a favore del distributore (esclusiva di vendita), il produttore si obbliga a fornire i beni o servizi prodotti soltanto ad un determinato distributore affinché questi li rivenda nel territorio contrattuale o a clienti attribuiti in esclusiva, impegnandosi a non designare, per la stessa zona, altri distributori (e spesso a non approvvigionare direttamente i clienti della zona). In altri termini, il produttore si impegna a commercializzare i propri prodotti nella zona in cui agisce il distributore servendosi esclusivamente di quest’ultimo.
L’esclusiva di vendita offre al produttore il vantaggio di avere un solo interlocutore, responsabile della zona di esclusiva, e attribuisce al distributore una posizione di monopolio simile per certi versi a quella del produttore. Tale posizione di vantaggio del distributore costituisce spesso una sorta di corrispettivo dovuto a quest’ultimo dal produttore per l’esclusiva di acquisto e per la perdita di autonomia imprenditoriale derivante dall’obbligo di assecondare le politiche di marketing del produttore (prezzi, campagne promozionali, comunicazione di statistiche di vendita, uso segni distintivi).
Tale tipo di esclusiva può essere di tipo “aperto” o “chiuso”, a seconda che in favore del distributore abbia o meno luogo una protezione assoluta all’interno della zona contrattuale.
Nell’esclusiva aperta, il distributore ottiene il diritto di essere l’unico soggetto in grado di comprare i prodotti direttamente dal produttore per la rivendita nel proprio territorio. In tal modo egli gode di una posizione privilegiata rispetto ai suoi potenziali concorrenti, ma non un monopolio assoluto: infatti altri soggetti (cd. importatori paralleli) potranno acquistare i prodotti contrattuali da terzi (grossisti o concessionari di altre zone) per rivenderli nel territorio riservato al distributore.
Con l’esclusiva chiusa, le parti eliminano tale possibilità, facendo sì che i prodotti contrattuali non possano giungere nel territorio riservato al distributore neppure per via indiretta, e pertanto si ha una protezione territoriale assoluta della zona del distributore. Quindi non soltanto il produttore si astiene dal vendere direttamente nella zona assegnata al rivenditore, ma, in forza di apposite clausole inserite in tutti i contratti conclusi con i propri distributori, si prevede che nessun rivenditore possa vendere al di fuori della propria zona, e in tal modo fare concorrenza ad un altro rivenditore all’interno del territorio assegnato a quest’ultimo.
Quando l’esclusiva è posta a favore del fornitore (esclusiva di acquisto), il distributore si obbliga ad acquistare unicamente da un determinato produttore un bene appartenente ad un determinato genere merceologico, e dunque a non commercializzare beni concorrenti con quelli fabbricati dal produttore. Alla clausola di esclusiva di acquisto si aggiunge spesso un accordo in base al quale il distributore non può vendere i prodotti al di fuori di una determinata zona prestabilita.
A tale esclusiva spesso (ma non necessariamente) corrisponde un’esclusiva di vendita, e quindi un’esclusiva bilaterale: in tal caso, il produttore (P) promette di vendere, in una data zona, solo ad un dato distributore (D), che si impegna ad approvvigionarsi solo presso P, in vista della rivendita in tale zona.
L’esclusiva di acquisto dal punto di vista economico viene sostanzialmente a coincidere con l’obbligo di non concorrenza, in quanto anche se in teoria il divieto di acquistare i prodotti da terzi non impedirebbe al distributore di vendere prodotti concorrenti, egli non può comunque procurarsi tali prodotti senza violare l’esclusiva di acquisto.
In ogni caso, l’estensione dell’esclusiva deve essere attentamente valutata e negoziata, dato che non di rado il distributore è in grado di svolgere la sua attività solo in alcuni dei mercati maggiori, con il rischio che vengano trascurati quelli più lontani. A tal proposito, spesso si prevede nel contratto una sorta di periodo di prova, durante il quale viene assegnato al distributore una determinata zona in esclusiva; terminato con successo tale periodo, l’esclusiva potrà essere estesa ad un territorio più vasto.
Inoltre, frequentemente l’esportatore si riserva il diritto di vendere direttamente nel territorio assegnato in esclusiva al distributore, in certe aree (ad esempio centri commerciali, aeroporti etc.) o a determinate categoria di clienti.
Talvolta nei contratti di distribuzione commerciale è frequente che l’esclusiva a favore del produttore (considerata più rischiosa sotto il profilo antitrust) è sostituita da clausole formalmente meno vincolanti, ma tendenti a realizzare un risultato analogo a quello di una vera e propria esclusiva (cd. esclusive di fatto). L’esclusiva di fatto deve essere valutata giuridicamente allo stesso modo di un’esclusiva di diritto.
Sono da considerare, in primo luogo, le clausole che prevedono l’obbligo del distributore di acquistare dal produttore il suo intero fabbisogno, o un quantitativo minimo di beni. Una forma più blanda di legame, funzionalmente utilizzabile in sostituzione dell’esclusiva formale, è costituita dai premi-fedeltà, cioè da sconti od altri vantaggi economici attribuiti al distributore in funzione di determinati risultati, raggiunti nella sua attività di vendita (clausole incentivanti). Il distributore viene così indotto, in forza della previsione di una serie di condizioni o incentivi, ad acquistare presso un unico fornitore l’intero suo fabbisogno. Si possono avere clausole più semplici, in cui il premio è legato ad un certo risultato, a clausole più sofisticate, come quelle che pongono obiettivi di incremento percentuale delle vendite rispetto all’anno precedente, o quelle che impongono come risultato il superamento di un certo obiettivo percentuale rispetto ai prodotti di altre marche.
4.2 Obbligo di non concorrenza
Un’altra clausola molto frequente nei contratti di distribuzione è il patto di non concorrenza, con il quale una parte (solitamente il distributore) si impegna a non svolgere attività in concorrenza con l’altra parte (produttore), sia durante il contratto sia per un periodo di tempo successivo alla sua estinzione.
La funzione di tale clausola è analoga a quella dell’esclusiva (di acquisto), alla quale sostanzialmente equivale. Il distributore non potrebbe infatti svolgere la sua funzione di rivenditore “dedicato” se operasse al tempo stesso per soggetti concorrenti del produttore.
Analogamente all’esclusiva, anche il patto di non concorrenza non è un elemento essenziale del contratto di distribuzione, e quindi in assenza di una previsione pattizia il distributore è libero di commercializzare prodotti concorrenti. Peraltro, tale patto è assai frequente nella prassi contrattuale, in quanto strettamente connaturato ai contratti di distribuzione.
L’obbligo di non concorrenza può estendersi anche al periodo successivo allo scioglimento del contratto; ciò può senz’altro giovare al fabbricante, in quanto esso minimizza il rischio che il distributore, dopo la fine delle relazioni commerciali, “storni” la clientela da lui precedentemente contattata a favore di un concorrente.
Peraltro, talvolta il produttore inserisce nel contratto un obbligo a carico del distributore esattamente opposto a quello di non concorrenza, ovvero quello di vendere un certo numero di prodotti concorrenti (clausola cd. “multimarche”). Tale obbligo è funzionale ad attirare e conservare la clientela che si aspetta di trovare in un determinato punto vendita una serie di prodotti di prestigio ed esclusività analoghi a quelli del produttore, tale da consentirle la scelta tra una pluralità di prodotti concorrenti. Tale clausola è spesso presente nella distribuzione selettiva.
In generale è opportuno precisare nel contratto quando un’attività si debba considerare come concorrenziale con quella del produttore (in rapporto alle caratteristiche dei prodotti, alla loro destinazione d’uso, all’identità del loro fabbricante, etc.), per evitare incertezze circa l’applicazione della clausola stessa.
Se ad esempio che un’impresa produce utensili, tra cui trapani per uso professionale nell’ edilizia, e il contratto di distribuzione ha ad oggetto tali trapani, la produttrice potrebbe avere convenienza a prevedere un patto di non concorrenza limitato ai utensili per uso professionale; di conseguenza, in tal caso il distributore potrebbe commercializzare per altre imprese anche altri trapani, purché essi siano destinati all’impiego “domestico” (quindi con scarse possibilità di “interferenza” con i trapani per uso professionale).
È inoltre opportuno regolamentare dettagliatamente l’ambito soggettivo di applicazione del patto di non concorrenza, onde evitare che lo stesso possa essere aggirato dal distributore, il quale eserciti attività concorrenziale indirettamente, avvalendosi ad esempio di una società ad esso collegata.
4.3 Durata, rinnovo del contratto
I contratti di distribuzione hanno la durata che le parti hanno liberamente concordato tra di loro. Gli accordi di distribuzione commerciale sono normalmente destinati a rimanere in vigore per un periodo relativamente lungo, caratterizzandosi per essere una collaborazione stabile tra imprenditori, destinata ad articolarsi per un certo periodo di tempo in modo da assecondare gli interessi delle parti.
La durata può essere a tempo indeterminato o, più spesso a tempo determinato. Nel primo caso, ciascuna parte è libera di recedere anticipatamente dal contratto, osservando il preavviso minimo previsto nel contratto, o in mancanza con un preavviso comunque congruo. Nel secondo caso, è spesso previsto il rinnovo tacito del contratto alla scadenza, salva la possibilità di disdetta con un determinato preavviso.
La determinazione della durata dei contratti di distribuzione è spesso il frutto di un compromesso tra le diverse esigenze delle parti. I produttori tendono a prediligere un contratto di durata medio-breve, perché intendono evitare di assumere vincoli protratti nel tempo, specialmente con partners commerciali nuovi, che devono ancora guadagnarsi la fiducia del produttore in quanto non se ne conosce l’affidabilità commerciale, e quando agli stessi venga garantito un diritto di esclusiva, che vincola per un certo periodo il produttore privandolo di alternative facilmente praticabili per la commercializzazione della sua merce nel territorio affidato al distributore.
D’altra parte, i distributori hanno generalmente necessità di un certo periodo minimo di tempo per strutturare il proprio lavoro nel territorio affidatogli, in particolare quando occorra lanciare un nuovo prodotto sul mercato, ed hanno l’esigenza di evitare che i frutti di tale lavoro vadano perduti o raccolti dai loro “successori”, a causa dell’intervenuta cessazione del rapporto contrattuale. La creazione di una struttura e di una rete di vendita, la realizzazione di attività promozionali etc. comportano infatti spesso importanti investimenti da parte del distributore, il quale necessita pertanto di un congruo periodo per cogliere i frutti della propria attività.
Un ragionevole equilibrio tra le esigenze delle parti può essere raggiunto calibrando la durata dell’accordo e le modalità di uscita (“exit”) dal rapporto a seguito dell’esercizio del recesso contrattuale, che può essere regolamentato nel contratto prevedendo un congruo preavviso.
4.4 Obblighi di promozione delle vendite, minimi di acquisto
Una clausola generalmente presente nei contratti distributivi è quella concernente l’obbligo del distributore di promuovere le vendite dei prodotti e forniti dal produttore. Tale obbligo costituisce un elemento essenziale dei contratti di distribuzione, in particolare di quella integrata; infatti, il risultato finale della collocazione dei beni sul mercato non può essere raggiunto prevedendo un semplice obbligo di vendita ma presuppone lo svolgimento da parte del distributore di una serie di prestazioni strumentali alla vendita, quali:
- l’obbligo di effettuare attività pubblicitarie;
- l’obbligo di effettuare visite presso la clientela;
- l’obbligo di costituire e mantenere stock di prodotti o pezzi di ricambio;
- l’obbligo di effettuare una serie di servizi di assistenza tecnica e di garanzia alla clientela.
Le attività strumentali alla commercializzazione dei beni vengono effettuate dal distributore in conformità a precise direttive provenienti dal produttore, il quale ha interesse a controllare l’attività di commercializzazione dei prodotti esercitata dal distributore affinché questi appaia agli occhi della clientela come parte integrante della rete di vendita del produttore.
Generalmente viene quindi disciplinato nel contratto tutto ciò che è necessario affinché la politica commerciale del distributore sia omogenea con quella della rete distributiva del produttore e rispetti in modo scrupoloso gli standard di immagine e qualità del produttore. Nella prassi si prevede in tal senso la necessità di previa autorizzazione del produttore circa le iniziative pubblicitarie e promozionali del distributore (partecipazione a fiere, annunci sulla stampa, campagne di sconto dei prodotti, utilizzo del sito internet etc.), e si disciplinano i criteri di ripartizione delle spese pubblicitarie.
Con riferimento a queste ultime, tali spese vengano generalmente sostenute per intero dal distributore, il quale spesso si obbliga ad investire a tale scopo un importo annuo minimo, determinato in misura fissa o in percentuale sul fatturato realizzato con la vendita dei prodotti.
Connessi all’obbligo di promozione sono:
- l’obbligo di informazione da parte del distributore circa l’andamento delle vendite nella zona, l’attività dei concorrenti e le potenzialità di sviluppo del mercato;
- l’obbligo del distributore richiedere l’approvazione del produttore prima di trasferire la propria attuale sede o di aprire nuovi punti vendita (cd. location clause);
- la facoltà del produttore e/o di suoi incaricati di accedere ai luoghi ove il distributore esercita la propria attività per controllare l’andamento della stessa.
Frequente è altresì la clausola che prevede l’obbligo del distributore di effettuare una quantità minima di ordini di acquisto dei prodotti (espressi in forma di quantitativi fisici ovvero, più frequentemente, in termini di fatturato minimo di acquisti) nell’arco di periodi predeterminati (ad esempio annuali). Tale previsione è funzionale all’interesse del produttore: a) ad assicurarsi una sicura minima base di vendite; b) a conoscere in anticipo le quantità minime di prodotti che gli verranno ordinati e quindi a organizzare in modo ottimale la produzione.
Tale clausola è frequentemente collegata, almeno concettualmente, all’esclusiva di vendita che può essere attribuito al distributore nel territorio allo stesso assegnato. Infatti, il diritto di esclusiva comporta la rinuncia da parte del produttore a nominare altri distributori nel territorio, rinuncia che trova un bilanciamento nella certezza che dal territorio medesimo il produttore ricaverà un certo volume di fatturato, anche se in ipotesi il distributore non fosse poi in grado di rivendere i quantitativi acquistati presso il produttore.
Può essere inoltre previsto, in alternativa o in aggiunta alla clausola ora descritta, un volume minimo di vendite (in termini di quantità di prodotti venduti o di fatturato) che deve essere effettuato dal distributore; talvolta si prevede che tale minimo aumenti ogni anno, in modo da spingere il distributore a migliorare la posizione sul mercato. Funzionale a tale obbligo è quello di inviare al produttore rendiconti periodici circa le vendite e/o il fatturato.
In caso di mancato rispetto degli ordini minimi o del fatturato minimo da parte del distributore, si prevede la possibilità del produttore di recedere (per giusta causa) o di risolvere il contratto per inadempimento.
4.5 Garanzie sul prodotto
Un problema complesso, che può dar luogo a problemi nei rapporti tra fornitore e distributore, è quello relativo alla garanzia per eventuali difetti dei prodotti venduti al distributore. In linea di principio tale questione non è disciplinata direttamente dal contratto di distribuzione, trattandosi di questione relativa ai contratti di compravendita stipulati dalle parti nel contesto del contratto di distribuzione e quindi disciplinata dalle condizioni generali del fornitore.
In tale contesto si prevede generalmente l’estensione della responsabilità del fornitore, in particolare escludendo eventuali responsabilità per danni e limitando la garanzia alla sostituzione o riparazione dei prodotti.
Nel caso in cui la vendita dei prodotti sia diretta a soggetti che abbiano lo status giuridico di consumatori, si applicano le norme a tutela dei consumatori previste dal paese target, che hanno generalmente natura imperativa e quindi inderogabile.
In linea generale, il fornitore deve garantire che il prodotto venduto possegga le caratteristiche di funzionalità di quella specifica categoria di prodotti (ad esempio, chi fornisce un computer, deve garantire che il prodotto abbia le caratteristiche che il consumatore si aspetta di ricevere quando acquista quel computer).
In ambito europeo, a seguito di direttive comunitarie, è riconosciuta all’acquirente finale/consumatore una garanzia di due anni (limitata alla sostituzione o riparazione del bene) a partire dalla data di consegna del prodotto. Il difetto può essere fatto valere dal consumatore nei confronti del venditore finale entro due anni dalla consegna al consumatore.
Questa disciplina non si applica alle vendite tra fornitore e distributore; tuttavia, essa prevede il diritto di colui che abbia venduto al consumatore finale ed abbia in seguito rimediato ad eventuali difetti della cosa, di rivalersi sul proprio venditore, entro un anno dalla data in cui egli ha rimediato al difetto. Di conseguenza, un’eventuale azione di regresso può essere iniziata anche molti anni dopo la consegna al distributore.
Trattandosi di una norma che può essere derogata dalle parti interessate, le parti sono libere di disciplinare tale situazione nel contratto di distribuzione. Spesso si prevedono in proposito per il distributore termini più ampi di quelli usuali per rivalersi sul fornitore e dall’altro limiti massimi oltre i quali una rivalsa è comunque inammissibile.
4.6 Proprietà intellettuale
In molti casi, i prodotti oggetto del contratto di distribuzione sono prodotti contraddistinti da marchi e/o brevetti. È necessario che pertanto il fornitore che vuole distribuire i propri prodotti in un paese estero registri il proprio marchio e/o il proprio brevetto in modo efficace, così da essere adeguatamente protetto nei confronti di rischi di contraffazione da parte di terzi, così come nei confronti del distributore stesso, al quale deve essere impedito di registrare il marchio e/o il brevetto a suo nome e sfruttare così gli sforzi intellettuali del fornitore.
Oltre alla registrazione del marchio valida anche per il paese estero target, è opportuno che il contratto di distribuzione stabilisca le modalità attraverso le quali il distributore può utilizzare il marchio e/o brevetto del produttore.
Collegata con l’obbligo di promuovere le vendite del distributore è una licenza di utilizzo del marchio del produttore, che viene attribuita da quest’ultimo al distributore. L’uso dei segni distintivi del produttore è di indubbio vantaggio per il distributore, il quale può così usufruire dell’immagine e della notorietà associata al marchio del produttore; al contempo, il produttore ha la possibilità di accrescere la notorietà del marchio diffondendone il prestigio in nuovi mercati.
Si prevede generalmente l’obbligo del distributore:
- di utilizzare il marchio del produttore solo in relazione alla commercializzazione dei prodotti oggetto del contratto di distribuzione, e di effettuare tale commercializzazione solo in connessione con l’uso di tae marchio;
- di non registrare a suo nome (anche limitatamente alla sola zona in cui può svolgere la sua attività) il marchio del produttore, neppure per settori merceologici diversi;
- di non apportare variazioni di alcun tipo al marchio del produttore né ad usarlo in connessione con altri diritti di terzi, senza l’autorizzazione del produttore;
- di segnalare al produttore eventuali violazioni del marchio da parte di terzi e a collaborare con quest’ultimo nelle attività necessarie alla sua tutela (tutela che è tuttavia generalmente riservata al produttore);
- di non concedere a terzi in sub licenza il diritto di licenza sul marchio.
Qualora il produttore trasferisca o conceda in licenza al distributore know-how commerciale o informazioni riservate, si prevede un obbligo a carico del distributore di non divulgare a terzi tali informazioni. In caso di violazione di tale obbligo, si prevede generalmente la risoluzione del contratto e l’obbligo di risarcimento dei danni, spesso predeterminati con una clausola penale.
Se siete interessati a scaricare un modello di contratto di distribuzione internazionale, inviate una mail al seguente indirizzo: info@studio-pandolfini.it. Si evidenza che il modello non è gratuito. Il costo verrà indicato a seguito di ricevimento di mail all’indirizzo info@studio-pandolfini.it.
Avv. Valerio Pandolfini
Avvocato specializzato in E-commerce
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