Sicurezza del lavoro e COVID-19: i rischi e le sanzioni per le imprese
Sicurezza del lavoro e Covid-19
Come si è visto nel precedente articolo (Emergenza Coronavirus: le sanzioni per le imprese in caso di inottemperanza ai provvedimenti di sospensione dell’attività), la situazione di emergenza creata dalla diffusione del COVID-19 obbliga le imprese ad adottare una serie di misure volte garantire la salute e sicurezza dei lavoratori.
Ciò nel rispetto, da un lato del D.lgs. n. 81/2008 (qui il testo integrale) – dato che datore di lavoro è tenuto ad adottare tutte le misure di sicurezza necessarie a garantire l’integrità fisica e la personalità morale dei suoi dipendenti e ha tra l’altro la responsabilità di tutelare i lavoratori dall’esposizione a “rischio biologico”, quale è certamente il COVID-19; dall’altro, dei provvedimenti emergenziali adottati per contenere l’epidemia, tra i quali in particolare il Protocollo condiviso di regolamentazione delle misure per il contrasto e il contenimento della diffusione del COVID – 19 sottoscritto da Governo e Parti sociali il 14 marzo 2020 (di seguito il “Protocollo” – qui il testo).
Quali sono i rischi legali, e le conseguenti sanzioni, in cui le imprese incorrono in caso di mancata ottemperanza alla normativa sulla sicurezza del lavoro dettata per l’emergenza Coronavirus?
Il DL n. 19 del 25 marzo 2020 ha previsto una serie di sanzioni connesse alla violazione delle misure di contenimento, su cui ci siamo soffermati in altro articolo (Emergenza Coronavirus: le sanzioni per le imprese in caso di inottemperanza ai provvedimenti di sospensione dell’attività). A prescindere da tali sanzioni, i datori di lavoro i quali non adottino i piani di intervento previsti dal Protocollo vanno incontro ad una serie di rischi.
In primo luogo, sul tema sicurezza del lavoro e Covid-19, può configurarsi una responsabilità contrattuale del datore di lavoro per inadempimento dell’obbligo generale di cui all’art. 2087 c.c. Eventuali lavoratori contagiati potrebbero infatti sostenere che il datore di lavoro è inadempiente rispetto a tale obbligo per non aver adottato le misure “necessarie a tutelare l’integrità psico-fisica del lavoratore nello svolgimento della non prevista prestazione”, ovvero per non aver “esercitato il controllo sulla conseguente esecuzione nel rispetto dei paradigmi di sicurezza legislativamente richiesti” (v. Cass. 5.1.2018, n. 146),
In tal caso, una volta che il lavoratore abbia dimostrato di avere subìto, a causa dell’attività lavorativa svolta, un danno alla salute, la nocività dell’ambiente di lavoro e il nesso di causalità tra l’uno e l’altro elemento, grava sul datore di lavoro il datore di lavoro, per andare esente da responsabilità, l’onere di provare di avere fatto tutto il possibile per evitare il danno, ovvero di avere adottato tutte le cautele necessarie per impedire il verificarsi del danno stesso (v. Cass. 17.2.2009, n. 3788). Qualora il datore di lavoro non abbia adottato alcun piano di intervento né aggiornato il DVR, tale prova sarà molto ardua.
In secondo luogo, i datori di lavoro che non adottano i piani di intervento anti-Coronavirus né aggiornano il DVR possono andare in contro alle sanzioni amministrative previste dal D.lgs. 81/2008; ad esempio per violazione dell’obbligo di cui all’art. 18, lett. i) del D.lgs. 81/2008 (“informare il più presto possibile i lavoratori esposti al rischio di un pericolo grave e immediato circa il rischio stesso e le disposizioni prese o da prendere in materia di protezione”).
In terzo luogo, nell’ipotesi in cui il contagio si sia diffuso nell’ambiente di lavoro con conseguenze sotto il profilo sanitario per i lavoratori, può configurarsi una responsabilità penale del datore di lavoro – ovvero colui che riveste tale qualifica ai sensi del D. Lgs. n. 81/2008 – per i reati definiti dagli artt. 589 e 590 del Codice penale. (lesioni personali colpose gravi o gravissime commessi con violazione delle norme sulla tutela della salute e sicurezza sul lavoro, fino alla possibilità dell’omicidio colposo in caso di decesso del lavoratore).
In queste ipotesi dovrebbe peraltro essere dimostrato che il contagio sia avvenuto: a) nell’ambiente di lavoro – e non, ad esempio, presso il proprio domicilio o, ancora, nell’ambito della propria vita privata o sociale – e b) a causa della mancata adozione delle misure di prevenzione da parte del datore di lavoro.
In quarto luogo, in caso di lesioni o morte di lavoratori, le violazioni delle norme sulla sicurezza del lavoro potrebbero costituire inoltre uno dei fondamenti di un’eventuale azione di risarcimento danni proposta dal lavoratore o da terzi, nonché dell’azione di regresso dell’INAIL, volta al recupero delle somme che INAIL stesso avesse pagato a titolo di indennità.
Infine, potrebbero esservi implicazioni inerenti il profilo della responsabilità amministrativa degli enti ai sensi del D.lgs. n. 231/2001, con conseguente applicabilità all’ente, in caso di condanna, di sanzioni:
- pecuniarie (che, in caso di omicidio colposo, possono arrivare fino a 1,5 milioni di Euro);
- interdittive (quali ad es. l’interdizione dall’esercizio dell’attività, la sospensione/revoca autorizzazioni, l’esclusione di agevolazioni, etc.).
Per ritenere sussistente la responsabilità amministrativa dell’ente, dovrebbe essere in ogni caso provato che i reati di lesioni gravi/gravissime o omicidio colposo siano stati commessi nell’interesse o a vantaggio dell’ente; tale presupposto potrebbe essere ritenuto sussistente nell’ipotesi in cui la società abbia omesso di adottare le misure di prevenzione del contagio allo scopo di risparmiare sui costi per l’adeguamento delle misure di prevenzione o per incrementare la produttività, a scapito della salute dei lavoratori.
In tale contesto, è importante che l’Organismo di Vigilanza eserciti il proprio dovere di vigilanza rafforzando il sistema dei flussi informativi in essere e verificando quali attività siano state realizzate dalla società per prevenire i rischi di contagio dei lavoratori.
Avv. Valerio Pandolfini
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