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contratto di affitto di azienda

Il contratto di affitto di azienda

20 Febbraio 2020/in Contratti d'impresa, News

L’affitto di azienda è il contratto con il quale un soggetto (locatore), dietro corrispettivo, trasferisce in godimento ad un altro soggetto (affittuario) un’azienda, cioè un complesso di beni organizzati per l’esercizio dell’impresa. All’affitto di azienda non è dedicata una disciplina ad hoc da parte del Codice civile; l’art. 2562 si limita infatti a rinviare alle disposizioni dell’art. 2561 dettate per l’usufrutto di azienda. L’affitto di azienda si distingue dalla locazione. La distinzione è importante –  la disciplina speciale della locazione (L. n. 392/78) non si applica infatti se il contratto si qualifica come affitto di azienda – ma  è spesso problematica; in proposito la giurisprudenza ha previsto una serie di indici di riferimento. Le parti possono prevedere vari metodi per regolamentare il trasferimento del magazzino. Quanto il contratto di affitto di azienda è stipulato all’interno di centri commerciali, le società proprietarie dei punti vendita all’interno dei centri commerciali sono solite concederli in godimento in forza di contratti d’affitto di ramo d’azienda e non di locazione a uso commerciale, per non essere soggette alle più rigorose norme previste dalla L. n. 392/1978. Tuttavia, la circostanza che le parti abbiano definito il contratto come affitto d’azienda non vincola il giudice nella qualificazione dell’atto, dovendosi tenere conto di una serie di indici.

Indice

1. Il contratto di affitto di azienda: cos’è e a cosa serve

L’affitto di azienda è il contratto con il quale un soggetto (locatore), dietro corrispettivo, trasferisce in godimento ad un altro soggetto (affittuario) un’azienda, cioè un complesso di beni organizzati per l’esercizio dell’impresa.

L’affitto d’azienda è un contratto assai duttile, che permette alle parti di realizzare molteplici scopi. Sintetizzando, esso può essere utilizzato:

  • in un contesto di strategie industriali ordinarie, per esternalizzare le attività d’impresa o per poter accedere a nuovi business senza affrontare il rischio imprenditoriale della delicata fase di start up, a fronte del pagamento di un canone inferiore;
  • nell’ambito di operazioni straordinarie, per salvaguardare il patrimonio, ad esempio in occasione di processi di risanamento, per minimizzare i rischi dell’acquirente e salvaguardare il valore aziendale; in tale contesto, può essere previsto in favore dell’affittuario il diritto di opzione all’acquisto dell’azienda, a condizioni già determinate o con la possibilità di imputare in conto prezzo parte dei canoni.

Occorre quindi prestare particolare attenzione alla redazione del contratto di affitto di azienda, in quanto eventuali lacune o inesattezze potrebbero compromettere gli equilibri ed i vantaggi sperati dalle parti, con conseguente sorgere di contenzioso.

Con l’affitto d’azienda si ha un trasferimento temporaneo dell’azienda, che viene gestita per un certo periodo di tempo da un soggetto diverso dal suo proprietario. Di conseguenza, chi esercita l’azienda in forza del contratto di affitto diviene (temporaneamente) il nuovo imprenditore della stessa, e in quanto tale ne ha pieno potere di gestione, nel rispetto, tuttavia, di alcune fondamentali regole, dettate dall’art. 2561 c.c., ovvero:

  • l’azienda deve essere gestita sotto la ditta che la contraddistingue;
  • la destinazione dell’azienda non può essere modificata;
  • la gestione dell’azienda deve essere tale da conservare l’efficienza dell’organizzazione degli impianti nonché le normali dotazioni delle scorte.

2.La disciplina del contratto di affitto di azienda

L’affitto di azienda non è disciplinato in modo organico nel Codice civile; l’art. 2562 c.c. si limita infatti a rinviare alle disposizioni dell’art. 2561 c.c. dettate per l’usufrutto di azienda. All’affitto di azienda possono inoltre applicarsi le norme sull’affitto in generale e quelle sulla locazione, ove compatibili con quelle (poche) specifiche sull’affitto dell’azienda.

Per quanto concerne la successione nei contratti, si ritiene applicabile la norma di cui all’art. 2558 c.c. dettata in materia di cessione di azienda. Si trasferiscono quindi all’affittuario tutti i contratti aziendali a prestazioni corrispettive non ancora completamente eseguite da entrambe le parti e che non abbiano carattere personale. Tale subingresso avviene automaticamente ed è efficace nei confronti del terzo contraente senza che questi debba accettarlo o che sia necessario dargliene comunicazione. Tuttavia, il terzo contraente può recedere dal contratto ove sussista una giusta causa, entro tre mesi dalla notizia dell’affitto dell’azienda, ai sensi dell’art. 2558, comma 2, c.c.

E’ quindi opportuno che le parti definiscano nel contratto di affitto di azienda quali contratti intendono trasferire e quali invece escludere, per evitare che i contratti vengano trasferiti tutti in blocco all’affittuario. A tal fine occorrerà altresì verificare se l’eventuale esclusione di uno o più determinati rapporti contrattuali possa svuotare di contenuto il trasferimento dell’azienda, realizzando così una locazione, con conseguente inapplicabilità della disciplina dell’affitto.

Inoltre, per evitare controversie in ordine al momento in cui il terzo ha avuto conoscenza della successione nel contratto con conseguente possibilità di recedere per giusta causa, è preferibile porre l’onere dell’informativa a carico di una delle due parti.

Tra i contratti che, in mancanza di diversa indicazione sono trasferiti all’affittuario dell’azienda vi sono:

  • contratti di lavoro, la cui continuità nel trasferimento è tutelata dall’art. 2112 c.c., con conservazione dei diritti e con un regime di solidarietà tra proprietario ed affittuario;
  • contratti di locazione, che vengono trasferiti con l’azienda, anche qualora esista nel contratto di locazione un divieto di cessione;
  • contratti di fornitura, utenze, etc;
  • contratti di leasing, salvo che prevedano una clausola particolare che lo vieti;
  • contratti di assicurazione.

Per quanto concerne i crediti e i debiti all’affitto di azienda non si applica la disciplina di cui agli artt. 2259 e 2560 c.c.;. i crediti ed i debiti dell’azienda non si trasferiscono quindi all’affittuario insieme all’azienda, salvo qualora ciò sia espressamente previsto dalle parti nel contratto di affitto di azienda. Tale regola si applica anche ai contratti già interamente eseguiti.

Per quanto concerne i crediti, se il trasferimento dei crediti è previsto nel contratto, la cessione degli stessi sarà opponibile ai debitori secondo la procedura prevista dall’art. 1265 c.c. (notifica e accettazione dei debitori). Per quanto riguarda i debiti, l’affittuario assume una responsabilità diretta solo per quelli da lui contratti durante la gestione dell’azienda, mentre i debiti del proprietario dell’azienda, per essere esigibili dai creditori nei confronti dell’affittuario, devono risultare dal contratto di affitto ed essere annotati nelle scritture contabili obbligatorie.

L’eventuale subentro dell’affittuario nelle posizioni creditorie di cui sia titolare l’imprenditore assoggettato alla procedura concorsuale può essere quindi esclusivamente frutto di una espressa pattuizione. Per ciò che riguarda i debiti, la regola generale è quella della responsabilità del locatore per i debiti anteriori al contratto di affitto e del conduttore per quelli contratti successivamente; è tuttavia possibile una pattuizione contraria.

Si applicano inoltre anche all’affitto di azienda:

  • l’art. 2112 c.c. (norma inderogabile), per cui l’affittuario subentra automaticamente nei rapporti di lavoro, ed è obbligato in solido con l’affittante nei confronti dei lavoratori;
  • l’art. 2557 c.c. sul divieto di concorrenza , a carico dell’affittante (quest’ultimo non può quindi iniziare una nuova impresa durante l’affitto).

Attesa dunque, la difficile ricerca della normativa applicabile, è opportuno che le Parti predispongano una disciplina contrattuale attenta ed esaustiva, che integri o sostituisca quella, per lo più dispositiva, del codice civile.

Per l’affitto dell’azienda non è prevista la forma scritta a pena di nullità, ma solo ai fini della prova, della pubblicità e della opponibilità ai terzi. Infatti il contratto di affitto di azienda deve essere iscritto nel Registro delle Imprese, come previsto dall’art. 2556 c.c., e per questo motivo il contratto deve essere redatto per iscritto, con la forma dell’atto pubblico o di scrittura privata autenticata, a cui dovrà seguire, entro 30 giorni, la pubblicità presso il Registro delle Imprese, a pena di sanzione amministrativa. In ogni caso, generalmente il trasferimento del godimento dell’azienda avviene tramite un contratto scritto, indispensabile per definire i reciproci obblighi delle parti del caso concreto.

3.Affitto di azienda e locazione commerciale

L’affitto di azienda (o ramo di azienda), cioè di un complesso di beni produttivi, si distingue dalla locazione (di un bene non produttivo). La distinzione è importante, in quanto la disciplina speciale della locazione (L. n. 392/78) non si applica qualora il contratto si qualifichi come affitto di azienda. In tal caso dunque:

  • se si tratta di locazione di immobile, si il contratto ha durata minima di almeno 6 anni, prorogabile di ulteriori 6 anni in assenza di disdetta comunicata da una delle parti con almeno 12 mesi di preavviso (con la precisazione che, in occasione del primo rinnovo, il locatore potrà dare disdetta solo nelle specifiche e tassative ipotesi previste dalla legge); al contrario, per il contratto di affitto d’azienda, non esistono norme di legge che impongano una durata minima del rapporto, che pertanto è rimessa alla disponibilità delle parti;
  • al termine del rapporto, spetta a favore del conduttore un’indennità di avviamento se si tratta di locazione di immobile commerciale (art. 34 L. n. 392/1978); al contrario, in caso di affitto di ramo d’azienda, è lasciata ampia autonomia alle parti e, pertanto, l’indennità normalmente non spetta.

Stabilire se nel caso di specie si ha locazione o affitto di azienda può essere problematico. La giurisprudenza ha stabilito una serie di elementi che consentono di distinguere tra locazione e affitto d’azienda:

  • si ha affitto d’azienda solo qualora sia concesso in godimento un complesso di beni organizzato e dotato di potenzialità produttiva, anche se l’attività produttiva non sia ancora iniziata al momento della conclusione del contratto; se oggetto della cessione è solo un complesso di beni, ma non organizzati ai fini dell’impresa, non si ha dunque cessione d’azienda.
  • l’elemento organizzativo sui beni oggetto del contratto deve essere preesistente; può esservi affitto d’azienda soltanto qualora l’azienda preesista al contratto d’affitto e, quindi, l’affittante (proprietario del centro commerciale) l’abbia costituita e organizzata nella propria sfera economica e giuridica prima che il godimento sia stato trasferito capo all’affittuario. Qualora l’impresa sia iniziata dall’avente causa (affittuario), o sia costui a dare per la prima volta una organizzazione ai beni cedutigli in godimento, non può parlarsi di affitto di azienda (bensì di locazione).
  • l’importanza attribuita all’immobile. Nel contratto di locazione, l’immobile concesso in godimento assume una posizione di centralità nell’economia contrattuale rispetto agli altri elementi che hanno carattere di accessorietà. Per contro, nell’affitto d’azienda, l’immobile è solo uno degli elementi costitutivi del complesso dei beni (mobili ed immobili) legati tra loro da un vincolo di interdipendenza e complementarietà per il conseguimento di un determinato fine produttivo; oggetto del contratto è il complesso produttivo unitariamente considerato.

Peraltro,  è compatibile con il contratto di locazione il fatto che, oltre al godimento dell’immobile, vi siano altre prestazioni accessorie, quali l’uso dell’area comune del centro commerciale, l’uso delle utenze, il godimento delle attrezzature.

Se  il contratto ha  ad oggetto un immobile senza beni collegati o con beni di rilievo marginale (accessori o pertinenze), occorre verificare il rapporto tra il valore dell’immobile e quello degli altri beni, dal punto di vista non patrimoniale bensì funzionale. Ad esempio, non si può concludere che si ha locazione e non affitto di azienda se l’autorimessa vale molto di più delle attrezzature.

Secondo la giurisprudenza prevalente, per stabilire se si ha affitto di azienda o locazione commerciale di immobile con pertinenze occorre indagare l’elemento soggettivo: nel primo, l’oggetto del contratto è costituito da un complesso unitario di beni organizzati e l’immobile è considerato in rapporto di complementarità con gli altri beni; nel secondo, l’immobile è considerato nella sua individualità con funzione prevalente.

Diversa è l’ipotesi dell’immobile adibito ad attività alberghiera; la L. n. 118/1995 stabilisce infatti che si ha locazione di immobile e non affitto di azienda, in tutti i casi in cui l’attività alberghiera sia stata iniziata dal conduttore.

4. Durata e corrispettivo

La legge non determina una durata minima ed una massima per il contratto di affitto d’azienda (diversamente da quanto previsto per il contratto di locazione); la durata del contratto è quindi rimessa all’autonomia delle parti, le quali possono così individuare la soluzione più coerente al caso di specie, in coerenza con l’oggetto del contratto ed il suo scopo.

Con riferimento alla durata del contratto, le parti possono prevedere:

  • specifiche modalità di rinnovo o proroga, espressa o tacita, piuttosto che condizionata all’avveramento di un determinato evento non dipendente dalla loro volontà;
  • la possibilità o le condizioni, per una o entrambe le parti, di cessare anticipatamente il rapporto esercitando il diritto di recesso, con preavviso o senza, al verificarsi di determinate.

Contestualmente, è opportuno prevedere le modalità e le possibili conseguenze alla cessazione del contratto, in vista della retrocessione dell’azienda all’affittante.

Il corrispettivo per l’affitto dell’azienda deve essere individuato in misura congrua al valore dell’azienda affittata, al fine di non generare disequilibri nei confronti dell’una o dell’altra parte, nonché per non pregiudicare gli interessi degli stakeholders (tra cui l’Agenzia delle Entrate, che potrebbe in caso contrario procedere con riprese).

5. Il magazzino

Le parti possono prevedere vari metodi per regolamentare il trasferimento del magazzino:

  • pattuire che le giacenze siano affittate unitamente all’impresa e ne formino componente imprescindibile. In tal caso dovrà essere redatto un inventario analitico da allegare al contratto, al termine del quale, le stesse devono essere restituite nella stessa quantità e pari valore, conguagliando l’eventuale differenza in denaro;
  • pattuire la vendita dell’intero magazzino esistente all’affittuario, con ritrasferimento dello stesso al proprietario al momento della conclusione del contratto;
  • stipulare un contratto estimatorio avente ad oggetto le rimanenze di magazzino.

L’affittuario assume il dovere di gestire l’azienda e contestualmente il potere di disporre dei beni aziendali; pertanto, al termine del contratto d’affitto, l’azienda risulta composta in tutto o in parte da beni diversi rispetto a quelli originari. Allo scopo di identificare e misurare tali differenze fra la consistenza iniziale e finale del complesso aziendale è prevista la redazione di un inventario all’inizio e al termine del rapporto.

La differenza tra le consistenze dell’inventario all’inizio e al termine dell’affitto viene regolata in denaro, sulla base dei valori correnti a tale ultima data (art. 2561, quarto comma, c.c..). Le differenze di consistenza vanno misurate sia nell’aspetto quantitativo, che in quello qualitativo. Qualora non si siano verificate variazioni nella composizione del patrimonio trasferito, oppure siano circoscritte al reintegro di giacenze consumate, non dovrà essere corrisposto al locatore alcune conguaglio in denaro.

Durante l’esecuzione del contratto potranno essere apportare all’azienda variazioni di tipo sostitutivo, aggiuntivo o diminutivo. Quindi il conguaglio in denaro scaturisce dal raffronto tra i valori di inventariato dei beni costituenti l’azienda all’inizio dell’affitto e quello di fine periodo, entrambi determinati a “valori correnti”.

Dottrina e giurisprudenza sono divise sulla questione circa il diritto dell’affittuario al compenso per l’incremento eventualmente apportato all’avviamento dell’azienda da lui condotta. La giurisprudenza maggioritaria ritiene che l’avviamento, essendo un qualità intrinseca all’azienda, non possa essere apprezzato disgiuntamente da essa, e, conseguentemente, tornerebbe, al termine del contratto, in capo all’affittante, unitamente all’azienda e non si realizzerebbe il presupposto per la remunerazione dell’incremento apportato dall’affittuario.

Si ritiene che sia indennizzabile soltanto il maggior avviamento ricollegabile all’opera o alle spese dell’affittuario, con esclusione di quello derivante da circostanze esterne. Il diritto all’indennità discenderebbe dall’art. 1592 del C.C. in materia di affitto d’azienda, da interpretarsi nel senso che l’affittuario ha diritto a ricevere, per quel miglioramento apportato all’azienda che è l’incremento di avviamento, un’indennità nei limiti della minor somma tra aumento del valore dell’azienda e spese sostenute per tale incremento e non confluite nella determinazione del valore di singoli componenti. La soluzione più opportuna resta comunque quella che, per evitare controversie, le parti disciplinino al momento della stipula del contratto d’affitto, l’eventuale remunerazione spettante all’affittuario per il maggior valore apportato all’avviamento e il criterio per la sua determinazione.

6. La retrocessione dell’azienda e l’opzione di acquisto

Il contratto di affitto di azienda cessa – come ogni contratto – nei seguenti casi:

  • scadenza del termine;
  • consensuale volontà delle parti;
  • morte dell’affittuario o del proprietario;
  • verificarsi dell’evento dedotto in condizione risolutiva;
  • risoluzione o recesso

Al verificarsi di una delle cause di cessazione del contratto, l’affittuario deve immediatamente riconsegnare l’azienda al proprietario (c.d. retrocessione), che ne riacquista così il godimento e la disponibilità. . La mancata o ritardata consegna è fonte di risarcimento degli eventuali danni (che potrebbero essere quantificati in via anticipata attraverso la clausola penale).

Nel contratto di affitto di azienda è opportuno disciplinare la procedura di compensazione delle consistenze (ovvero la rinuncia), in modo da evitare controversie. In caso di mancata regolamentazione nel contratto, la legge disciplina le conseguenze più immediate, che si riverberano in particolare:

  • sul valore;
  • sui contratti in essere;
  • sui debiti e crediti esistenti al momento della retrocessione;
  • sui rapporti di lavoro;
  • sul divieto di concorrenza.

Per quanto concerne i contratti in essere, quando l’azienda viene concessa in affitto, vige come si è visto il principio della continuità dei contratti in capo al conduttore, per garantire nel passaggio la posizione dei terzi ceduti (art. 2558 c.c.). Tale principio non trova immediata applicazione in sede di retrocessione; qualora il proprietario dell’azienda ne riacquisti il godimento per cause o fatti non previsti dal contratto, ad avviso della giurisprudenza non è configurabile la successione ai sensi nei rapporti contrattuali a prestazioni corrispettive ancora pendenti conclusi dall’affittuario, ai dell’art. 2558 c.c.  La continuità dei contratti sopravvive, viceversa, nel caso in cui il contratto di affitto si sciolga per cause previste dal contratto stesso.

Con riferimento ai debiti e crediti, la norma di cui all’art. 2560 c.c. – secondo cui l’alienante non è liberato dai debiti inerenti all’esercizio dell’azienda ceduta anteriori al trasferimento se non risulta che i creditori vi abbiano consentito, e risponde di tali debiti anche l’acquirente dell’azienda se risultano dai libri contabili obbligatori – non si applica in caso di retrocessione dell’azienda, secondo la prevalente giurisprudenza. Qualora, infatti, l’affittante, privo di significativi poteri di controllo, rispondesse dei debiti maturati dall’affittuario in pendenza dell’affitto, verrebbe compromesso l’utilizzo del contratto di affitto d’azienda.

Nel contratto di affitto di azienda l’affittante può riconoscere all’affittuario (a titolo gratuito o oneroso) una opzione di acquisto dell’azienda, cioè il diritto di acquistare l’azienda condotta in affitto, a condizioni economiche e operative prestabilite. In tal caso l’azienda condotta in affitto non retrocede all’affittante, ma viene definitivamente trasferita all’affittuario, che ne diventa acquirente.

In questa eventualità di applicano le norme sulla cessione d’azienda, tra cui in particolare quella relativa alla responsabilità solidale dell’acquirente per i debiti dell’azienda ceduta (che invece in corso d’affitto rimangono di competenza dell’affittante).

È peraltro frequente che, in caso di previsione di opzione d’acquisto, l’affittuario possa imputare in conto prezzo parte dei canoni di affitto nel contempo pagati (c.d. rent to buy).

7. L’affitto di ramo di azienda all’interno di centri commerciali

Quanto il contratto di affitto di azienda è stipulato all’interno di centri commerciali, le società proprietarie dei punti vendita all’interno dei centri commerciali sono solite concederli in godimento in forza di contratti d’affitto di ramo d’azienda e non di locazione a uso commerciale, così da non essere soggette alle più rigorose norme previste dalla L. n. 392/1978 sulla locazione.

Tuttavia, la circostanza che le parti abbiano definito il contratto come affitto d’azienda non vincola il giudice nella qualificazione dell’atto; infatti, l’interesse dei contraenti ad inquadrare una fattispecie in una tipologia negoziale in luogo di un’altra può derivare dal conseguimento di particolari vantaggi, irrilevanti nella valutazione giudiziale. Occorre dunque tenere conto dei criteri di distinzione che consentono di qualificare il contratto come locazione o affitto di azienda, esposti in precedenza.

La principale differenza tra la locazione di un immobile con pertinenze e affitto d’azienda consiste nel fatto che nel primo caso il contratto ha come scopo il godimento del bene nella sua staticità, mentre nell’affitto d’azienda il bene immobile è uno dei cespiti organizzati dei quali l’affittuario può godere al fine dell’esercizio dell’attività d’impresa, insieme ai numerosi beni, servizi e utilità aggiuntivi messi a disposizione dal centro (avviamento del centro, servizi accentrati per la pubblicizzazione dei segni distintivi,  servizi generali e attrezzature di uso comune, autorizzazioni commerciali volturate in favore degli affittuari per l’esercizio dell’attività di vendita).

La giurisprudenza prevalente ritiene infine che l’inserimento di un locale all’interno del centro commerciale non sia incompatibile con l’avviamento commerciale “proprio” del singolo punto vendita, ovvero la capacità attrattiva di clientela a prescindere dalla sua collocazione. Ne deriva che la collocazione all’interno del centro commerciale non è circostanza risolutiva ai fini della qualificazione del contratto come locazione o affitto.

8. Affitto di azienda e fallimento

Ai sensi dell’art. 79 L. Fall. (R.D. 267/1942), il fallimento non è causa di scioglimento del contratto di affitto di azienda. Il rapporto di affitto sopravvive dunque al fallimento di uno dei contraenti ed il curatore subentra nel contratto di affitto,  a condizione che lo stesso sia opponibile ai creditori ed al curatore.

A tal fine, il contratto di affitto di azienda deve:

  • avere data certa anteriore all’apertura della procedura fallimentare;
  • essere stato predisposto nel rispetto delle forme di legge.

Dunque, se il contratto è opponibile, il curatore del fallimento del contraente fallito subentra automaticamente nella posizione di quest’ultimo, con la conseguenza che il curatore assume, a carico o a vantaggio della massa, tutti gli obblighi e i diritti nascenti dal contratto dopo la dichiarazione del fallimento.

Se invece il contratto di affitto di azienda non è opponibile, lo stesso è privo di effetto nei confronti dei creditori ed il curatore può ignorarlo.

In caso di fallimento dell’affittante, il Curatore subentra nel contratto in continuità, con i seguenti vantaggi per la procedura:

  • prosecuzione dell’incasso dei canoni e di tutti i flussi provenienti in esecuzione del contratto;
  • custodia dei beni da parte dell’affittuario;
  • mantenimento della conservazione dell’organizzazione aziendale e del suo avviamento;
  • salvaguardia dell’unità produttiva nell’interesse generale della massa.

La prosecuzione del contratto, tuttavia, se prolungata, può determinare anche svantaggi per la procedura: fino a quando dura l’affitto, infatti, il curatore non può procedere alla liquidazione dei beni inseriti nell’azienda, comprese le scorte di materie prime e prodotti finiti, spettando all’affittuario il diritto di disporne.

In caso invece di fallimento dell’affittuario, il contratto di affitto prosegue solo qualora il curatore sia autorizzato all’esercizio provvisorio dell’azienda dell’affittuario fallito.

Il vantaggio, per la procedura, è quello di evitare la perdita del diritto di utilizzare l’azienda e, insieme, la cessazione immediata dell’esercizio dell’impresa dell’affittuario con i gravi danni che ne conseguirebbero, sia per il fallito che per l’affittante. D’altra parte, non mancano anche in questo caso gli svantaggi, in quanto i creditori concorrenti nel fallimento potrebbero subìre perdite di gestione, pagandone in prededuzione le spese.

A fronte dei vantaggi e degli svantaggi che la prosecuzione automatica del rapporto di affitto di azienda può determinare a loro favore o carico, ai contraenti è concessa la facoltà di recesso ex lege dal contratto, da esercitare nel termine di sessanta giorni dal fallimento. Le parti possono così valutare, in un tempo ragionevole, se interrompere o continuare il rapporto per la durata convenuta, comparando costi e benefici connessi all’una o all’altra delle due opzioni.

In caso di esercizio del diritto di recesso, il contraente che non ha receduto ha diritto di ricevere un equo indennizzo, consistente in una somma di denaro per compensare la perdita patrimoniale subita in conseguenza all’esercizio, da parte del recedente, di un atto legittimo.

La quantificazione dell’indennizzo viene effettuata in base a criteri equitativi, tenendo conto del danno emergente – relativo al pregiudizio derivante dall’interruzione delle lavorazioni in corso, dalle eventuali penalità da pagare a terzi e dall’entità degli investimenti effettuati – e del lucro cessante – derivante dal mancato incasso degli utili netti che possono maturare nel periodo rimanente di vigenza del contratto. In mancanza di accordo tra le parti, l’importo dell’indennizzo viene determinato dal Giudice Delegato.

 

Avv. Valerio Pandolfini

Avvocato Contrattualistica d’Impresa

 

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Tags: Contratti Commerciali
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