L’affitto di azienda
Con l’affitto di azienda, il proprietario trasferisce in godimento ad un altro soggetto (affittuario), dietro corrispettivo, un’azienda (o un ramo di azienda), cioè un complesso di beni organizzati per l’esercizio dell’impresa. Si tratta di un’operazione che permette di realizzare diverse finalità, al di là dello scopo classico di consentire al concedente di ricavare un corrispettivo. All’affitto di azienda non è dedicata una disciplina ad hoc da parte del Codice civile; l’art. 2562 c.c. si limita infatti a rinviare alle disposizioni dell’art. 2561 c.c. dettate per l’usufrutto di azienda. Di qui l’importanza di una attenta regolamentazione contrattuale dell’operazione. Analizziamo la disciplina dell’’affitto di azienda, alla luce dell’orientamento della giurisprudenza e della prassi.
1. Il contratto di affitto di azienda: cos’è e a cosa serve
L’affitto di azienda è il contratto con il quale un soggetto (locatore), dietro corrispettivo, trasferisce (non già la proprietà, bensì) il godimento, ad un altro soggetto (affittuario), di un’azienda , cioè di un complesso di beni organizzati per l’esercizio dell’impresa.
L’oggetto dell’operazione deve essere costituito appunto da un complesso di beni potenzialmente idoneo e sufficiente per consentire l’esercizio di una determinata attività d’impresa. Non è tuttavia necessario che il trasferimento comprenda tutti i beni caratterizzanti il complesso aziendale, essendo sufficiente che abbia ad oggetto un’articolazione funzionalmente autonoma alla stessa riconducibile (c.d. ramo d’azienda).
Con l’affitto d’azienda, il proprietario-concedente trasforma la struttura rischio-rendimento connaturata all’azienda, con l’aspettativa, da un lato di assicurarsi un rendimento periodico dell’investimento formalmente predeterminato e quindi certo, nella misura del canone, e, dall’altro, di mantenere nel tempo il valore economico del complesso aziendale data in gestione. L’affittuario assume, invece, la responsabilità dell’esercizio di una attività economica senza dover effettuare un investimento iniziale.
L’affitto d’azienda è un contratto assai duttile, che permette alle parti di realizzare molteplici scopi. Accanto allo scopo, l’affitto di azienda può essere utilizzato, in particolare:
- in un contesto di strategie industriali ordinarie, per esternalizzare le attività d’impresa o per poter accedere a nuovi business senza affrontare il rischio imprenditoriale della delicata fase di start up, a fronte del pagamento di un canone inferiore;
- nell’ambito di operazioni straordinarie, per salvaguardare il patrimonio, ad esempio in occasione di processi di risanamento, per minimizzare i rischi dell’acquirente e salvaguardare il valore aziendale; in tale contesto, può essere previsto in favore dell’affittuario il diritto di opzione all’acquisto dell’azienda (v. par. 6), a condizioni già determinate o con la possibilità di imputare in conto prezzo parte dei canoni.
Nella prassi operativa, l’affitto di azienda viene spesso utilizzato in funzione anticipatoria rispetto alla cessione definitiva dell’azienda, dal momento che tale operazione consente al proprietario di assicurarsi per un certo lasso temporale un rendimento costante e stabilito e all’affittuario di valutare la redditività dell’azienda.
E’ possibile perimetrare gli elementi patrimoniali e le posizioni contrattuali sulla base delle esigenze dell’affittuario, che potrebbe escludere, previa specifica volontà delle parti, anche elementi essenziali dell’azienda quali ad esempio i crediti verso clienti, i debiti verso fornitori, la cassa, le banche o i beni strumentali, ovverosia quei rapporti che potrebbero eventualmente generare ulteriori difficoltà operative e che quindi l’affittuario preferirebbe non accollarsi, come i crediti in sofferenza o determinati cespiti obsoleti o non performanti per l’attività esercitabile dall’affittuario.
Se siete interessati a scaricare un modello di contratto di affitto di ramo di azienda, inviate una mail al seguente indirizzo: info@studio-pandolfini.it.
2. La disciplina del contratto di affitto di azienda
2.1. Forma e durata del contratto
L’affitto di azienda non è disciplinato in modo organico nel Codice civile; l’art. 2562 c.c. si limita infatti a rinviare alle disposizioni dell’art. 2561 c.c. dettate per l’usufrutto di azienda. All’affitto di azienda possono inoltre applicarsi le norme sull’affitto in generale e quelle sulla locazione, ove compatibili con quelle (poche) specifiche sull’affitto dell’azienda.
Attesa, la difficile ricerca della normativa applicabile, è comunque opportuno che le Parti predispongano una disciplina contrattuale attenta ed esaustiva, che integri o sostituisca quella, per lo più dispositiva, del codice civile.
Per l’affitto dell’azienda non è prevista la forma scritta a pena di nullità, ma solo ai fini della prova, della pubblicità e della opponibilità ai terzi. Infatti, il contratto di affitto di azienda deve essere iscritto nel Registro delle Imprese, come previsto dall’art. 2556 c.c., e per questo motivo il contratto deve essere redatto per iscritto, con la forma dell’atto pubblico o di scrittura privata autenticata, a cui dovrà seguire, entro 30 giorni, la pubblicità presso il Registro delle Imprese.
La mancata iscrizione del contratto di affitto d’azienda al Registro delle Imprese comporta una serie di conseguenze:
- una sanzione amministrativa: come disciplinato dagli artt. 2194 c.c. per le imprese individuali e 2630 c.c. per le imprese esercitate in forma societaria;
- la mancata produzione degli effetti giuridici: l’atto non iscritto risulta comunque valido tra le parti, ma non può essere opposto ai terzi, a meno che non si provi che gli stessi ne abbiano avuto conoscenza.
La legge non determina una durata minima ed una massima per il contratto di affitto d’azienda; la durata del contratto è quindi rimessa all’autonomia delle parti, le quali possono così individuare la soluzione più coerente al caso di specie, in coerenza con l’oggetto del contratto ed il suo scopo. In particolare, le parti possono prevedere:
- specifiche modalità di rinnovo o proroga, espressa o tacita, piuttosto che condizionata all’avveramento di un determinato evento non dipendente dalla loro volontà;
- la possibilità o le condizioni, per una o entrambe le parti, di cessare anticipatamente il rapporto esercitando il diritto di recesso, con preavviso o senza, al verificarsi di determinate.
2.2. Il subentro dell’affittuario nei contratti
Per quanto concerne la subentro dell‘affittuario nei contratti, si ritiene applicabile la norma di cui all’art. 2558 c.c. dettata in materia di cessione di azienda. Si trasferiscono quindi all’affittuario tutti i contratti aziendali a prestazioni corrispettive non ancora completamente eseguite da entrambe le parti e che non abbiano carattere personale. Tale subingresso avviene automaticamente ed è efficace nei confronti del terzo contraente senza che questi debba accettarlo o che sia necessario dargliene comunicazione.
Si trasferiscono quindi automaticamente all’affittuario dell’azienda, ad esempio:
- i contratti di lavoro, la cui continuità nel trasferimento è tutelata dall’art. 2112 c.c., con conservazione dei diritti e con un regime di solidarietà tra proprietario ed affittuario;
- i contratti di locazione, che vengono trasferiti con l’azienda, anche qualora esista nel contratto di locazione un divieto di cessione;
- i contratti di fornitura e utenze;
- i contratti di leasing;
- contratti di assicurazione.
Non si trasferiscono, invece, all’affittuario i contratti aventi carattere personale, cioè quei contratti nei quali assumono rilevanza l’identità e le qualità personali del concedente, nel senso che il terzo non avrebbe mai stipulato con un diverso soggetto.
La disciplina di cui all’art. 2558 c.c. è peraltro derogabile dalle parti: concedente e affittuario possono dunque prevedere (espressamente) nel contratto di affitto che l’affittuario non subentri in un determinato contratto. È quindi opportuno che le parti definiscano nel contratto di affitto di azienda quali contratti intendono trasferire e quali invece escludere, per evitare che i contratti vengano trasferiti tutti in blocco all’affittuario. A tal fine occorrerà altresì verificare se l’eventuale esclusione di uno o più determinati rapporti contrattuali possa svuotare di contenuto il trasferimento dell’azienda, realizzando così una locazione (v. par. 3), con conseguente inapplicabilità della disciplina dell’affitto.
Tuttavia, il terzo contraente può recedere dal contratto ove sussista una giusta causa, entro tre mesi dalla notizia dell’affitto dell’azienda, ai sensi dell’art. 2558, comma 2, c.c. Si ritiene che la giusta causa consista in una situazione oggettiva, di natura personale, patrimoniale o aziendale, tale da non dare al terzo contraente affidamento circa la regolare esecuzione, da parte dell’affittuario, del contratto stipulato fra terzo e affittante. Una volta decorso il termine di tre mesi, il rapporto contrattuale prosegue e viene inibita al terzo contraente la facoltà di intraprendere, nei confronti del concedente/affittante un’azione di risarcimento per eventuali danni.
Per evitare controversie in ordine al momento in cui il terzo ha avuto conoscenza della successione nel contratto, con conseguente possibilità di recedere per giusta causa, è quindi preferibile prevedere bel contratto l’obbligo di informare il terzo contraente, stabilendo su quale delle parti incomba tale obbligo.
2.3. Il trasferimento all’affittuario di crediti e debiti
Per quanto concerne i crediti e i debiti inerenti l’azienda affittata, non si applica la disciplina prevista dagli artt. 2259 e 2560 c.c. in tema di cessione di azienda. I crediti ed i debiti dell’azienda non si trasferiscono quindi all’affittuario , salvo qualora ciò sia espressamente previsto dalle parti nel contratto di affitto di azienda.
Se il trasferimento dei crediti all’affittuario è previsto nel contratto, ai sensi dell’art. 1264 c.c., la cessione dei crediti ha effetto nei confronti del debitore ceduto e a seguito dell’avvenuta accettazione della stessa da parte di quest’ultimo; pertanto è necessaria la notifica al debitore ceduto.
Per quanto riguarda i debiti anteriori alla stipula del contratto di affitto di azienda, salvo diverso accordo fra le parti, risponde solo l’affittante e non anche l’affittuario; fanno eccezione a tale principio i debiti di lavoro, per i quali risponde anche l’affittuario, in solido con il concedente, ai sensi dell’art. 2112, comma 2, c.c.
Anche per quanto riguarda i debiti tributari anteriori al trasferimento della gestione dell’azienda non è prevista alcuna responsabilità dell’affittuario, in solido con l’affittante: a differenza di quanto accade all’acquirente dell’azienda, l’Agenzia delle entrate non può infatti esigere dall’affittuario imposte e sanzioni, non essendo applicabile all’affitto d’azienda la norma di cui all’art. 14 Digs. n. 472/1997.
Qualora invece tali debiti vengano accollati in tutto o in parte all’affittuario, il concedente resta responsabile in solido con l’affittuario nei confronti dei creditori, trattandosi di un accollo cumulativo.
I debiti contratti dall’affittuario durante il periodo dell’affitto di azienda restano in carico esclusivamente all’affittuario; anche con la cessazione del contratto di affitto dell’azienda e la restituzione dell’azienda al proprietario-concedente (v. par. 6), quest’ultimo non è responsabile dei debiti contratti dall’affittuario.
3. Affitto di azienda e locazione commerciale
L’affitto di azienda (o ramo di azienda), cioè di un complesso di beni produttivi, si distingue dalla locazione (di un bene non produttivo). La distinzione è importante, in quanto la disciplina speciale della locazione (L. n. 392/78) non si applica qualora l’immobile venga posto a disposizione mediante affitto di azienda.
Pertanto:
- se si tratta di locazione di immobile (ad uso commerciale), il contratto ha durata minima di almeno 6 anni, prorogabile di ulteriori 6 anni in assenza di disdetta comunicata da una delle parti con almeno 12 mesi di preavviso (con la precisazione che, in occasione del primo rinnovo, il locatore potrà dare disdetta solo nelle specifiche e tassative ipotesi previste dalla legge); al contrario, come si è visto, per il contratto di affitto d’azienda, non esistono norme di legge che impongano una durata minima del rapporto, che pertanto è rimessa alla disponibilità delle parti;
- in caso di locazione di immobile commerciale, al termine del rapporto, spetta a favore del conduttore un’indennità di avviamento (art. 34 L. n. 392/1978); al contrario, in caso di affitto di ramo d’azienda non è prevista per legge alcuna indennità..
Si riporta nella seguente tabella le principali differenze tra la disciplina dell’affitto di azienda e quella della locazione ad uso commerciale:
CARATTERISTICHE | LOCAZIONE COMMERCIALE | AFFITTO DI AZIENDA |
INDENNITA’ PER PERDITA AVVIAMENTO |
In caso di cessazione del contratto di non derivante da iniziativa del conduttore (ad es. recesso) o da procedure concorsuali, è dovuta, in favore del conduttore, un’indennità per perdita di avviamento pari a 18 mensilità di canone o 21 mensilità per le locazioni alberghiere (art. 34 L. 392/1978).
Non è dovuta indennità qualora: a) l’attività svolta non implichi contatti diretti con pubblico degli utenti/consumatori; b) si tratti di attività professionale; c) si tratti di attività di carattere transitorio o in stazioni/aeroporti/aree di servizio stradali. |
Non è dovuta alcuna indennità per perdita di avviamento |
DURATA |
Non può essere inferiore ai 6 anni (9 per le locazioni alberghiere), rinnovabili per ulteriori 6 anni (9 per le locazioni alberghiere) (artt. 27-28 L.392/1978).
Il rinnovo non ha luogo in caso di disdetta del conduttore entro 12 mesi prima della scadenza (18 mesi per locazioni alberghiere). Alla prima scadenza contrattuale, il locatore ha facoltà di diniego della rinnovazione soltanto nei casi e nei termini indicati dagli artt. 28-29 L.392/1978. |
La durata del contratto è rimessa alla libera disponibilità delle parti. |
PRELAZIONE LEGALE |
In caso di vendita dell’immobile locato, il locatore deve comunicare le condizioni contrattuali al conduttore, che, entro 60 giorni, può esercitare un diritto di prelazione sul bene, offrendo di acquistarlo alle medesime condizioni prospettate dal locatore (art. 38 L. 392/1978). | Non vi è alcuna prelazione legale in favore dell’affittuario, ad eccezione del caso in cui l’azienda sia sottoposta a Cassa Integrazione (art. 4 L. 223/1991). |
DEPOSITO CAUZIONALE |
L’importo del deposito cauzionale non può eccedere tre mensilità di canone (art. 11 L. 392/1978). | Non vi è alcun limite massimo per l’importo del deposito cauzionale. |
CANONE DI LOCAZIONE |
Le parti possono solo stabilire che il canone aumenti in base al 75% della variazione indice ISTAT. | E’ possibile derogare al regime ordinario di determinazione del canone di locazione (ad esempio prevedendo la facoltà di aggiornare/variare il canone in aumento). |
PRELAZIONE CONDUTTORE IN CASO DI NUOVA LOCAZIONE |
Il locatore che intenda locare a terzi l’immobile, alla scadenza del contratto rinnovato, deve comunicare le offerte al conduttore (almeno 60 giorni prima della scadenza), il quale ha diritto di prelazione sul nuovo contratto di locazione, se accetta le condizioni pattuite tra locatore e terzo (art. 40 L. 392/1978). | Non vi è alcuna prelazione dell’affittuario in caso di successivo contratto. |
SUBLOCAZIONE E CESSIONE DEL CONTRATTO
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Il conduttore può sublocare l’immobile o cedere il contratto di locazione (anche senza il consenso del locatore), in caso di cessione e/o locazione dell’azienda esercitata nell’immobile locato. A tale cessione il locatore può opporsi soltanto per gravi motivi. (art. 36 L. 392/1978). | E’ possibile sublocare l’immobile e/o cedere il contratto di affitto se previsto nel contratto stesso. |
OBBLIGHI DELLA PARTE CHE RICEVE IN GODIMENTO I BENI | Il conduttore è obbligato solo a mantenere/conservare/ utilizzare il bene locato (art. 1587 e ss. c.c.). | L’affittuario è obbligato a gestire l’azienda: a) senza modificarne la destinazione; bi) in modo da conservare l’efficienza della organizzazione e degli impianti e le normali dotazioni di scorte (ad esempio, è tenuto a sostituire gli impianti non più efficienti e/o tecnicamente superati.
Alla cessazione del contratto, il debito/credito per l’affittuario viene calcolato in base alla differenza tra le consistenze d’inventario all’inizio e al termine del contratto (il cui valore è determinato sulla scorta dei valori correnti al momento di cessazione del contratto). |
IMPOSTA DI REGISTRO |
a) 2% del canone annuo (art. 5 Tariffa parte prima – DPR 131/86); b) 1% del canone annuo (in caso di esercizio opzione di assoggettamento al regime IVA previsto dalla L. n. 248/2006). | a) 2% del canone annuo (art. 5 Tariffa parte prima – DPR 131/86); b) 1% del canone annuo (in caso di esercizio opzione di assoggettamento al regime IVA previsto dalla L. n. 248/06). |
Stabilire se nel caso di specie si ha locazione o affitto di azienda può essere problematico. La giurisprudenza ha stabilito una serie di elementi che consentono di distinguere tra locazione e affitto d’azienda.
In primo luogo, si ha affitto d’azienda solo qualora sia concesso in godimento un complesso di beni organizzato e dotato di potenzialità produttiva, anche se l’attività produttiva non sia ancora iniziata al momento della conclusione del contratto; se invece oggetto della cessione è solo un complesso di beni, ma non organizzati ai fini dell’impresa, non si ha dunque affitto d’azienda;
In secondo luogo, può esservi affitto d’azienda soltanto qualora l’azienda preesista al contratto d’affitto e, quindi, l’affittante l’abbia costituita e organizzata prima che il godimento sia stato trasferito capo all’affittuario; qualora invece l’impresa sia iniziata dall’avente causa (affittuario), o sia costui a dare per la prima volta una organizzazione ai beni cedutigli in godimento, non può parlarsi di affitto di azienda (bensì di locazione); In altri termini, quando l’impresa è iniziata per la prima volta dall’affittuario ed è costui a dare per la prima volta organizzazione dei beni concessi in godimento, il contratto deve essere qualificato come locazione (e non affitto di azienda).
In terzo luogo, qualora l’immobile concesso in godimento al momento del contratto sia già stato organizzato per l’esercizio dell’impresa dal concedente, occorre verificare se tale immobile sia solo uno degli elementi costitutivi del complesso dei beni (mobili ed immobili) legati tra loro da un vincolo di interdipendenza e complementarietà per il conseguimento di un determinato fine produttivo, ovvero se oppure se le parti abbiano inteso concedere il godimento semplicemente di un bene immobile, rispetto al quale gli altri beni e servizi risultano strumentali al godimento del bene. Nel primo caso, il contratto può essere qualificato come affitto di azienda, dato che oggetto del contratto è il complesso produttivo unitariamente considerato, e l’immobile è considerato in rapporto di complementarità con gli altri beni; nel secondo caso, il contratto deve essere invece qualificato come locazione (con pertinenze), dato che l’immobile concesso in godimento assume una posizione di centralità nell’economia contrattuale rispetto agli altri elementi, che hanno carattere di accessorietà. .
La distinzione tra affitto di azienda e locazione è particolarmente rilevante nell’ambito delle operazioni all’interno dei centri commerciali. Le società proprietarie dei punti vendita all’interno dei centri commerciali sono solite concederli in godimento in forza di contratti d’affitto di ramo d’azienda e non di locazione a uso commerciale, così da non essere soggette alle più rigorose norme previste dalla L. n. 392/1978 sulla locazione.
Tuttavia, la circostanza che le parti abbiano definito il contratto come affitto d’azienda non vincola il giudice nella qualificazione dell’atto; infatti, l’interesse dei contraenti ad inquadrare una fattispecie in una tipologia negoziale in luogo di un’altra può derivare dal conseguimento di particolari vantaggi, irrilevanti nella valutazione giudiziale. Occorre dunque tenere conto dei criteri di distinzione che consentono di qualificare il contratto come locazione o affitto di azienda, esposti in precedenza.
La principale differenza tra la locazione di un immobile con pertinenze e affitto d’azienda consiste nel fatto che nel primo caso il contratto ha come scopo il godimento del bene nella sua staticità, mentre nell’affitto d’azienda il bene immobile è uno dei cespiti organizzati dei quali l’affittuario può godere al fine dell’esercizio dell’attività d’impresa, insieme ai numerosi beni, servizi e utilità aggiuntivi messi a disposizione dal centro (avviamento del centro, servizi accentrati per la pubblicizzazione dei segni distintivi, servizi generali e attrezzature di uso comune, autorizzazioni commerciali volturate in favore degli affittuari per l’esercizio dell’attività di vendita).
La giurisprudenza prevalente ritiene infine che l’inserimento di un locale all’interno del centro commerciale non sia incompatibile con l’avviamento commerciale del singolo punto vendita, ovvero la capacità attrattiva di clientela a prescindere dalla sua collocazione. Ne deriva che la collocazione all’interno del centro commerciale non è circostanza risolutiva ai fini della qualificazione del contratto come locazione o affitto.
Diversa è l’ipotesi dell’immobile adibito ad attività alberghiera; la L. n. 118/1995 stabilisce infatti che si applica la disciplina della locazione di immobile e non affitto di azienda, in tutti i casi in cui l’attività alberghiera sia stata iniziata dal conduttore.
4. Gli obblighi del proprietario-concedente dell’azienda
Quando il contratto di affitto è funzionale al godimento di un’azienda, le peculiarità dell’oggetto influenzano anche il contenuto dei diritti e doveri che il c.c. rispettivamente attribuisce e impone alle parti contraenti. In particolare, sono a carico del concedente i seguenti obblighi:
- consegnare l’azienda in condizioni tali da poter servire all’uso pattuito;
- provvedere alle riparazioni straordinarie che esulano dai normali oneri di conservazione della destinazione economica del complesso aziendale affittato (art. 1621 c.c.); le riparazioni ordinarie (insieme alle spese di manutenzione), sono invece di regola a carico dell’affittuario (salvo patto contrario); dato che può risultare difficile identificare la natura delle riparazioni, è opportuno che tale aspetto venga espressamente e dettagliatamente specificato nel contratto;
- cooperare al fine di procedere alla temporanea intestazione delle autorizzazioni amministrative in capo all’affittuario;
- non fare concorrenza all’affittuario (art. 2557 c.c.).
Per quanto concerne il primo obbligo, in giurisprudenza si è ritenuto che, nel caso in cui il concedente metta a disposizione dell’affittuario beni o macchinari “non a norma”, cioè in violazione delle normative applicabili (ad es. sulla sicurezza del lavoro, o sulla marcatura CE), il contratto può essere dichiarato nullo qualora i beni che costituiscono l’azienda affittata siano tutti o comunque in misura nettamente prevalente qualificabili come non conformi.
Per quanto concerne invece l’obbligo di non concorrenza, l’art. 2557, quarto comma, c.c. prevede l’obbligo del concedente dell’azienda di astenersi dall’iniziare una nuova impresa che per l’oggetto, l’ubicazione o altre circostanze, sia idonea a sviare la clientela dell’azienda stessa, per tutta la durata dell’affitto.
Tale norma ha l’obiettivo di assicurare anche all’affittuario il godimento dell’avviamento, limitando l’idoneità della nuova impresa eventualmente avviata dal concedente a sviare la clientela di quella concessa in affitto; ciò si verifica non solo quando la nuova impresa produce beni o servizi dello stesso tipo, ma anche beni o servizi sostitutivi dei precedenti, ovvero si tratta di impresa ausiliaria di impresa concorrente. Il divieto non opera invece qualora il concedente, pur esercitando un’attività concorrente, vi abbia dato inizio prima della stipulazione del contratto di affitto.
Il divieto di concorrenza è limitato all’attività del concedente che possa potenzialmente sviare la clientela dell’azienda affittata per settore merceologico e ubicazione; pertanto, il proprietario può comunque intraprendere una nuova attività in una differente area o con prodotti di altra natura.
La violazione di tale norma consente all’affittuario di chiedere, oltre al risarcimento del danno, la cessazione dell’attività del concedente.
Pur essendo finalizzata a tutelare il proprietario dell’azienda (affittante), parte della giurisprudenza ha applicato la norma in oggetto in via estensiva anche all’affittuario; in questo senso si è affermato che il divieto di concorrenza sussiste anche a carico dell’affittuario, dopo la scadenza del contratto di affitto.
Le parti possono ampliare o ridurre la zona in cui opera il divieto di concorrenza – purché non venga impedita ogni concreta attività del concedente nel settore economico in cui opera l’azienda, o limitare tale divieto a periodi di tempo inferiori. Inoltre, le parti possono anche derogare totalmente alla menzionata norma, non prevedendo quindi nel contratto alcun divieto di concorrenza .
5. Gli obblighi dell’affittuario di azienda
Con l’affitto d’azienda si ha un trasferimento temporaneo dell’azienda, che viene gestita per un certo periodo di tempo da un soggetto diverso dal suo proprietario. Di conseguenza, chi esercita l’azienda in forza del contratto di affitto diviene (temporaneamente) il nuovo imprenditore della stessa, e in quanto tale ne ha pieno potere di gestione, nel rispetto, tuttavia, di alcune fondamentali regole, dettate dall’art. 2561 c.c.
In primo luogo, l’azienda deve essere gestita sotto la ditta che la contraddistingue, ovvero con il nome utilizzato dal proprietario-concedente per l’esercizio dell’impresa, eventualmente integrato con l’indicazione del nome o della ditta dell’affittuario, Tale obbligo trova la propria ragion d’essere nell’esigenza di conservare intatto l’avviamento connesso all’azienda in capo al proprietario, evitando che, al termine dell’affitto, si verifichi una sottrazione di clientela.
In secondo luogo, ai sensi dell’ 1615 c.c., l’affittuario deve curare la gestione dell’azienda (o ramo di azienda) in conformità della destinazione economica della stessa e dell’interesse della produzione. L’affittuario, dunque, oltre a non mutare la destinazione economica dell’azienda, deve destinare al servizio dell’azienda i mezzi necessari per la sua gestione produttiva. Non è quindi consentito all’affittuario ridimensionare l’attività o trasferire la sede dell’azienda, ovvero mutare l’oggetto dell’impresa esercitata; viceversa, l’affittuario, avendo il diritto di disporre dei beni dell’azienda, può ad esempio vendere impianti, macchinari e altri beni, nonché acquistarne altri, sempre che non vengano mutate la consistenza e l’efficienza dell’azienda. Non è, infine, consentito all’affittuario subaffittare l’azienda, senza il preventivo consenso del concedente Spettano poi all’affittuario i frutti e le altre utilità dell’azienda locata.
In terzo luogo, l’affittuario deve provvedere alla conservazione dell’efficienza dell’organizzazione degli impianti e delle normali dotazioni di scorte (art. 2561 co. 2 c.c.). Ciò significa che al momento della cessazione del contratto di affitto e della restituzione dell’azienda al proprietario, dovranno essere presenti scorte di valore inventariato in linea con quello determinato al momento di inizio dell’affitto; l’eventuale differenza sarà quindi oggetto di conguaglio (v. par. 7).
Poiché l’affittuario può essere interessato a poter entrare nella disponibilità delle giacenze di magazzino per poterle impiegare nella conduzione della propria attività – direttamente nella gestione dell’azienda affittata, o nell’ambito della sua più generale attività preesistente all’affitto – nella prassi vengono generalmente individuate soluzioni che consentono di trasferire le giacenze di magazzino esistenti alla data della decorrenza degli effetti giuridici del contratto di affitto dal concedente al conduttore, escludendole dal perimetro del compendio aziendale affittato.
Per ragioni operative e per una maggiore semplicità nella gestione del rapporto fra affittante ed affittuario, si procede dunque generalmente a scorporare le giacenze di magazzino dall’insieme dei beni costituenti l’azienda affittata, e a trasferirle all’affittuario mediante:
- una separata compravendita, specificando nel contratto di affitto di azienda che anche le merci che saranno via via acquistate dal conduttore nel corso della durata del contratto si intenderanno essere di sua esclusiva proprietà; oppure
- un contratto estimatorio (artt. 1556 e ss. c.c.), in base al quale l’affittante consegna all’affittuario la merce esistente alla data di effetto del contratto, e l’affittuario si impegna a corrisponderne il prezzo solo al momento e per le quantità per le quali la merce sarà dallo stesso venduta; in caso di mancata vendita dei beni entro un termine prefissato, può esserne prevista la restituzione, oppure una opzione di acquisto dei beni per l’affittuario a condizioni preventivamente concordate.
Oltre agli obblighi di cui sopra, l’affittuario deve corrispondere al concedente il canone dovuto, nei tempi e con le modalità stabilite contrattualmente.
6. La cessazione del contratto di affitto di azienda e l’opzione di acquisto
Il contratto di affitto di azienda cessa – come ogni contratto – nei seguenti casi:
- scadenza del termine;
- consensuale volontà delle parti;
- morte dell’affittuario o del proprietario;
- l’insolvenza dell’affittuario, salvo che al proprietario sia presentata idonea garanzia per l’esatto adempimento degli obblighi dell’affittuario stesso (art. 1626 c.c.);
- verificarsi dell’evento dedotto in condizione risolutiva;
- risoluzione o recesso.
Per quanto concerne in particolare il recesso dal contratto d’affitto d’azienda – il quale consiste nella facoltà di sciogliere anticipatamente il contratto medesimo con la semplice dichiarazione del soggetto che vuole esercitarlo – esso può avere luogo nei seguenti casi:
- se non è stata fissata la durata dell’affitto, ciascuna parte contraente può recedere dal contratto dando all’altra un congruo preavviso (art. 1616 co. 1 c.c.);
- in caso di morte dell’affittuario, l’affittante e gli eredi del primo possano recedere dal contratto entro tre mesi dalla morte, previa disdetta comunicata all’altra parte con preavviso di sei mesi (decorrenti dalla data del decesso) (art. 1627 co. 1 c.c.);
- per gravi motivi o giusta causa, qualora le parti prevedano un’apposita clausola nel contratto.
Il contratto di affitto di azienda può essere altresì risolto per inadempimento di una delle parti. In particolare, può essere risolto qualora l’affittuario:
- non adempia all’obbligo di gestire l’azienda senza modificarne la destinazione e in modo da conservare l’efficienza dell’organizzazione e degli impianti e le normali dotazioni di scorte (art. 2561, comma 2, c.c.).
- non destina al servizio dell’azienda i mezzi necessari per la gestione di essa, non osserva le regole della buona tecnica, ovvero se muta stabilmente la destinazione economica dell’azienda (art. 1618 c.c.).
A tale fine si ritiene applicabile l’art. 1619 c.c., secondo cui il concedente può accertare in ogni tempo, anche con accesso in luogo, se l’affittuario osserva gli obblighi che gli incombono.
Si ritiene altresì applicabile l’art. 1623 comma 1 c.c., secondo cui il contratto di affitto di azienda può essere risolto se, in conseguenza di una disposizione di legge o di un provvedimento dell’autorità riguardanti la gestione produttiva, il rapporto contrattuale risulti notevolmente modificato in modo che le parti ne risentono rispettivamente una perdita e un vantaggio.
Si verifica estinzione anticipata del contratto di affitto di azienda anche in seguito all’alienazione dell’azienda da parte del concedente. L’art. 1625 c.c. stabilisce che i contraenti possono accordarsi sullo scioglimento dell’affitto nell’ipotesi di cessione dell’azienda. A tal fine, le parti possono prevedere in favore dell’affittuario:
- un diritto di prelazione, con il quale all’affittuario viene attribuito il diritto di essere preferito, alle stesse condizioni, a terzi, nell’eventuale acquisto dell’azienda;
- un diritto di opzione per l’acquisto dell’azienda, con il quale all’affittuario viene attribuito il diritto di acquistare l’azienda condotta in affitto, a condizioni economiche e operative prestabilite. In tal caso l’azienda condotta in affitto non retrocede all’affittante, ma viene definitivamente trasferita all’affittuario, che ne diventa acquirente.
In quest’ultimo caso si applicano le norme sulla cessione d’azienda, tra cui in particolare quella relativa alla responsabilità solidale dell’acquirente per i debiti dell’azienda ceduta (che invece in corso d’affitto rimangono di competenza dell’affittante).
È peraltro frequente che, in caso di previsione di opzione d’acquisto, l’affittuario possa imputare in conto prezzo parte dei canoni di affitto nel contempo pagati (c.d. rent to buy). In tal caso, l’affittuario ha la facoltà di esercitare il diritto di acquisto dell’azienda, entro un determinato termine, imputando al prezzo di vendita della stessa una quota parte del canone indicata nel contratto.
7. Le conseguenze della cessazione del contratto di affitto di azienda
Al verificarsi di una delle cause di cessazione del contratto, l’affittuario deve riconsegnare l’azienda al proprietario (c.d. retrocessione), che ne riacquista così il godimento e la disponibilità.
L’affitto dell’azienda, a differenza di altre operazioni afferenti complessi aziendali, quali la cessione e il conferimento, non comporta infatti il trasferimento della proprietà dei beni che la compongono, ma soltanto il passaggio temporaneo del godimento degli stessi dal concedente all’affittuario. La caratteristica peculiare dell’affitto d’azienda è dunque la sua temporaneità, in quanto l’azienda deve essere oggetto di restituzione al concedente.
La mancata o ritardata consegna dell’azienda al proprietario è fonte di risarcimento degli eventuali danni (che possono essere quantificati in via anticipata attraverso una clausola penale).
Per quanto concerne i contratti in essere, quando l’azienda viene concessa in affitto, vige come si è visto il principio della continuità dei contratti in capo al conduttore, per garantire nel passaggio la posizione dei terzi ceduti, ai sensi dell’art. 2558 c.c. (vedi par. 2.2). Qualora il contratto di affitto si sciolga per cause previste dal contratto stesso, l’affittuario succede nei rapporti contrattuali a prestazioni corrispettive ancora pendenti conclusi dall’affittuario. Tale principio invece non trova applicazione qualora il proprietario dell’azienda ne riacquisti il godimento per cause o fatti non previsti dal contratto.
Con riferimento ai debiti e crediti, la norma di cui all’art. 2560 c.c. – secondo cui l’alienante non è liberato dai debiti inerenti all’esercizio dell’azienda ceduta anteriori al trasferimento se non risulta che i creditori vi abbiano consentito, e risponde di tali debiti anche l’acquirente dell’azienda se risultano dai libri contabili obbligatori – non si applica in caso di retrocessione dell’azienda, secondo la prevalente giurisprudenza. Pertanto, con la restituzione dell’azienda al proprietario- concedente quest’ultimo non è responsabile per i debiti contratti dall’affittuario.
In caso di restituzione del complesso aziendale alla scadenza dell’affitto trova altresì applicazione, secondo la giurisprudenza prevalente, la norma di cui all’art. 2112 c.c. in tema di rapporti di lavoro; si ritiene, infatti, che la retrocessione dell’azienda affittata equivale ad una seconda cessione, nell’ambito della quale l’originario cedente diviene cessionario. Pertanto, in caso di retrocessione dell’azienda per cessazione del contratto di affitto, l’originario concedente subentra automaticamente nei rapporti di lavoro, rispondendo altresì in via solidale dei debiti maturati dall’affittuario verso i lavoratori, anche con riferimento a quelli assunti dall’affittuario.
Il concedente è quindi esposto a responsabilità solidale per tutti i debiti dell’affittuario nei confronti dei dipendenti, sia già assunti dall’affittante prima della sottoscrizione del contratto di affitto sia assunti dall’affittuario durante il contratto di affitto, ivi compresi i debiti di natura assicurativa o previdenziale. Tale norma è inderogabile dalle parti.
Ciò, tuttavia, non si verifica qualora l’affittante, a seguito della retrocessione dell’azienda, non continui la medesima attività dell’azienda affittata, cioè non continui a svolgere la medesima attività imprenditoriale mediante l’utilizzo del medesimo complesso di beni. In particolare, non si applica l’art. 2112 c.c. qualora, a seguito della retrocessione dell’azienda, l’affittante (retro-cessionario):
- cessi definitivamente l’attività (a seguito di messa in liquidazione, vendita dei beni, assenza di introiti, interruzione dei rapporti di lavoro, etc.);
- interrompa temporaneamente l’attività (ad es. per ristrutturazione del locale);
- continui ad utilizzare l’azienda ma per un’attività differente dalla precedente (sempre che i beni aziendali possano essere effettivamente utilizzati per una diversa attività).
Una ulteriore deroga alla solidarietà di cui all’art. 2112 c.c. si ha in caso di fallimento dell’affittante; in tal caso, infatti, ai sensi dell’art. 104-bis ultimo comma L.F., dei debiti sorti durante il tempo in cui l’azienda è stata locata non risponde anche la procedura fallimentare, ma solo ‘affittuario.
Come si è visto (v. par. 4), secondo la giurisprudenza prevalente, alla scadenza del contratto di affitto di azienda si applica inoltre il divieto di concorrenza in capo al concedente (e all’affittuario), per la durata di 5 anni, di cui all’art. 2557 comma 1 c.c.
L’art. 2561 comma 2 c.c. prevede che l’affittuario durante la propria gestione deve conservare l’efficienza dell’organizzazione e degli impianti e le normali dotazioni di scorte, e deve quindi riconsegnare al termine dell’affitto una consistenza di magazzino sufficiente per lo svolgimento dell’attività aziendale in normali condizioni (v. par. 5). Dato che l’azienda non è un bene statico, bensì un complesso di beni dinamico, e dunque suscettibile di subire nel corso della gestione dell’affittuario di mutamenti significativi, sia sotto il profilo quantitativo che qualitativo, è possibile che emergano differenze tra i valori delle consistenze iniziali e di quelle finali dei beni aziendali.
In tal caso, al momento della retrocessione la differenza di valore del magazzino dovrà essere oggetto di conguaglio tra concedente e conduttore, alla scadenza del contratto. Ciò presuppone che vengano effettuati, in contraddittorio tra le parti, due inventari: uno all’inizio dell’affitto e l’altro alla conclusione dello stesso, in base ai valori correnti dei singoli beni o, se le parti lo prevedono, sulla base dei valori contabili.
Tale modalità di trattamento delle rimanenze in oggetto è tuttavia scarsamente utilizzata nella prassi, in quanto determina l’insorgere di una serie di problematiche di ordine contabile e fiscale. Per tale motivo, come si è visto generalmente vengono escluse le scorte dall’affitto d’azienda, per espressa previsione contrattuale, e si procede con una vendita delle stesse dal concedente all’affittuario, senza dunque alcun obbligo di restituzione del magazzino alla conclusione del rapporto.
Se non vi sono stati mutamenti nella composizione dell’azienda o se essi sono limitati alla sostituzione delle scorte consumate con scorte di uguale quantità e qualità, non emergerà una differenza di inventario e pertanto nulla sarà dovuto al né concedente né all’affittuario, in quanto i semplici mutamenti di valore dell’azienda non comportano per l’affittuario differenze di inventario.
Dottrina e giurisprudenza sono divise sulla questione circa il diritto dell’affittuario al compenso per l’incremento eventualmente apportato all’avviamento dell’azienda da lui condotta. In linea generale, la giurisprudenza maggioritaria ritiene che l’avviamento, essendo una qualità intrinseca all’azienda, non possa essere apprezzato disgiuntamente da essa, e, conseguentemente, torni, al termine del contratto, in capo all’affittante, unitamente all’azienda, non realizzandosi il presupposto per la remunerazione dell’incremento apportato dall’affittuario.
Si ritiene invece che sia indennizzabile il maggior avviamento ricollegabile all’opera o alle spese dell’affittuario, con esclusione di quello derivante da circostanze esterne. Il diritto all’indennità discenderebbe dall’art. 1592 del c.c., da interpretarsi nel senso che l’affittuario ha diritto a ricevere, per quel miglioramento apportato all’azienda che è l’incremento di avviamento, un’indennità nei limiti della minor somma tra aumento del valore dell’azienda e spese sostenute per tale incremento e non confluite nella determinazione del valore di singoli componenti.
La soluzione più opportuna resta comunque quella che, per evitare controversie, le parti disciplinino espressamente nel contratto d’affitto l’eventuale remunerazione spettante all’affittuario per il maggior valore apportato all’avviamento e il criterio per la sua determinazione.
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Avv. Valerio Pandolfini
Avvocato Contrattualistica d’Impresa
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