Il contratto di affitto di azienda
L’affitto di azienda è il contratto con il quale un soggetto (locatore), dietro corrispettivo, trasferisce in godimento ad un altro soggetto (affittuario) un’azienda, cioè un complesso di beni organizzati per l’esercizio dell’impresa. All’affitto di azienda non è dedicata una disciplina ad hoc da parte del Codice civile; l’art. 2562 si limita infatti a rinviare alle disposizioni dell’art. 2561 dettate per l’usufrutto di azienda. L’affitto di azienda si distingue dalla locazione. La distinzione è importante – la disciplina speciale della locazione (L. n. 392/78) non si applica infatti se il contratto si qualifica come affitto di azienda – ma è spesso problematica; in proposito la giurisprudenza ha previsto una serie di indici di riferimento. Le parti possono prevedere vari metodi per regolamentare il trasferimento del magazzino. Quanto il contratto di affitto di azienda è stipulato all’interno di centri commerciali, le società proprietarie dei punti vendita all’interno dei centri commerciali sono solite concederli in godimento in forza di contratti d’affitto di ramo d’azienda e non di locazione a uso commerciale, per non essere soggette alle più rigorose norme previste dalla L. n. 392/1978. Tuttavia, la circostanza che le parti abbiano definito il contratto come affitto d’azienda non vincola il giudice nella qualificazione dell’atto, dovendosi tenere conto di una serie di indici.
1. Il contratto di affitto di azienda: cos’è e a cosa serve
L’affitto di azienda è il contratto con il quale un soggetto (locatore), dietro corrispettivo, trasferisce (non già la proprietà, bensì) il godimento, ad un altro soggetto (affittuario), di un’azienda – (o un ramo di azienda), cioè un complesso di beni organizzati per l’esercizio dell’impresa.
L’affitto d’azienda è un contratto assai duttile, che permette alle parti di realizzare molteplici scopi. Sintetizzando, esso può essere utilizzato:
- in un contesto di strategie industriali ordinarie, per esternalizzare le attività d’impresa o per poter accedere a nuovi business senza affrontare il rischio imprenditoriale della delicata fase di start up, a fronte del pagamento di un canone inferiore;
- nell’ambito di operazioni straordinarie, per salvaguardare il patrimonio, ad esempio in occasione di processi di risanamento, per minimizzare i rischi dell’acquirente e salvaguardare il valore aziendale; in tale contesto, può essere previsto in favore dell’affittuario il diritto di opzione all’acquisto dell’azienda, a condizioni già determinate o con la possibilità di imputare in conto prezzo parte dei canoni.
Occorre quindi prestare particolare attenzione alla redazione del contratto di affitto di azienda, in quanto eventuali lacune o inesattezze potrebbero compromettere gli equilibri ed i vantaggi sperati dalle parti, con conseguente sorgere di contenzioso.
Con l’affitto d’azienda si ha un trasferimento temporaneo dell’azienda, che viene gestita per un certo periodo di tempo da un soggetto diverso dal suo proprietario. Di conseguenza, chi esercita l’azienda in forza del contratto di affitto diviene (temporaneamente) il nuovo imprenditore della stessa, e in quanto tale ne ha pieno potere di gestione, nel rispetto, tuttavia, di alcune fondamentali regole, dettate dall’art. 2561 c.c., ovvero:
- l’azienda deve essere gestita sotto la ditta che la contraddistingue;
- la destinazione dell’azienda non può essere modificata;
- la gestione dell’azienda deve essere tale da conservare l’efficienza dell’organizzazione degli impianti nonché le normali dotazioni delle scorte.
Se siete interessati a scaricare un modello di contratto di affitto di ramo di azienda, inviate una mail al seguente indirizzo: info@studio-pandolfini.it.
2. La disciplina del contratto di affitto di azienda
L’affitto di azienda non è disciplinato in modo organico nel Codice civile; l’art. 2562 c.c. si limita infatti a rinviare alle disposizioni dell’art. 2561 c.c. dettate per l’usufrutto di azienda. All’affitto di azienda possono inoltre applicarsi le norme sull’affitto in generale e quelle sulla locazione, ove compatibili con quelle (poche) specifiche sull’affitto dell’azienda.
In particolare, l’art. 1615 c.c. prevede che l’affittuario deve curare la gestione dell’azienda (o ramo di azienda) in conformità della destinazione economica della stessa e dell’interesse della produzione. Spettano all’affittuario i frutti e le altre utilità dell’azienda locata. L’affittuario, dunque, oltre a non mutare la destinazione economica dell’azienda, deve destinare al servizio dell’azienda i mezzi necessari per la sua gestione produttiva. Per assolvere a tale obbligo, egli deve osservare le regole della buona tecnica (art. 1618 c.c.). L’inosservanza degli obblighi di corretta gestione dell’azienda comporta la risoluzione del contratto per inadempimento dell’affittuario.
Se l’affittuario compie atti eccedenti i propri poteri, il concedente può ritenerli inefficaci nei propri confronti; il terzo comma dell’art. 2561 c.c., prevede, che nel caso in cui l’affittuario non adempia agli obblighi che l’articolo medesimo pone a suo carico o cessi arbitrariamente la gestione dell’azienda, si applica l’art. 1015 c.c., in tema di cessazione dell’affitto per abusi dell’affittuario.
Per quanto concerne la successione nei contratti, si ritiene applicabile la norma di cui all’art. 2558 c.c. dettata in materia di cessione di azienda. Si trasferiscono quindi all’affittuario tutti i contratti aziendali a prestazioni corrispettive non ancora completamente eseguite da entrambe le parti e che non abbiano carattere personale. Tale subingresso avviene automaticamente ed è efficace nei confronti del terzo contraente senza che questi debba accettarlo o che sia necessario dargliene comunicazione. Tuttavia, il terzo contraente può recedere dal contratto ove sussista una giusta causa, entro tre mesi dalla notizia dell’affitto dell’azienda, ai sensi dell’art. 2558, comma 2, c.c.
E’ quindi opportuno che le parti definiscano nel contratto di affitto di azienda quali contratti intendono trasferire e quali invece escludere, per evitare che i contratti vengano trasferiti tutti in blocco all’affittuario. A tal fine occorrerà altresì verificare se l’eventuale esclusione di uno o più determinati rapporti contrattuali possa svuotare di contenuto il trasferimento dell’azienda, realizzando così una locazione, con conseguente inapplicabilità della disciplina dell’affitto.
Inoltre, per evitare controversie in ordine al momento in cui il terzo ha avuto conoscenza della successione nel contratto con conseguente possibilità di recedere per giusta causa, è preferibile porre l’onere dell’informativa a carico di una delle due parti.
Tra i contratti che, in mancanza di diversa indicazione sono trasferiti all’affittuario dell’azienda vi sono:
- contratti di lavoro, la cui continuità nel trasferimento è tutelata dall’art. 2112 c.c., con conservazione dei diritti e con un regime di solidarietà tra proprietario ed affittuario;
- contratti di locazione, che vengono trasferiti con l’azienda, anche qualora esista nel contratto di locazione un divieto di cessione;
- contratti di fornitura, utenze, etc;
- contratti di leasing, salvo che prevedano una clausola particolare che lo vieti;
- contratti di assicurazione.
Nel caso in cui il complesso aziendale affittato comprenda marchi, brevetti, o domini web, il contratto di affitto deve espressamente prevedere l’identificazione degli stessi, nonché gli estremi delle relative registrazioni. Ai fini delle successive pratiche di voltura, infatti, occorre produrre una copia dell’atto.
Per quanto concerne i crediti e i debiti all’affitto di azienda non si applica la disciplina di cui agli artt. 2259 e 2560 c.c.;. i crediti ed i debiti dell’azienda non si trasferiscono quindi all’affittuario insieme all’azienda, salvo qualora ciò sia espressamente previsto dalle parti nel contratto di affitto di azienda. Tale regola si applica anche ai contratti già interamente eseguiti.
Se il trasferimento dei crediti all’affittuario è previsto nel contratto, la cessione degli stessi sarà opponibile ai debitori secondo la procedura prevista dall’art. 1265 c.c. (notifica e accettazione dei debitori). Per quanto riguarda i debiti, l’affittuario assume una responsabilità diretta solo per quelli da lui contratti durante la gestione dell’azienda, mentre i debiti del proprietario dell’azienda, per essere esigibili dai creditori nei confronti dell’affittuario, devono risultare dal contratto di affitto ed essere annotati nelle scritture contabili obbligatorie.
L’eventuale subentro dell’affittuario nelle posizioni creditorie di cui sia titolare l’imprenditore assoggettato alla procedura concorsuale può essere quindi esclusivamente frutto di una espressa pattuizione. Per ciò che riguarda i debiti, la regola generale è quella della responsabilità del locatore per i debiti anteriori al contratto di affitto e del conduttore per quelli contratti successivamente; è tuttavia possibile una pattuizione contraria.
Si applicano inoltre anche all’affitto di azienda:
- l’art. 2112 c.c. (norma inderogabile), per cui l’affittuario subentra automaticamente nei rapporti di lavoro ed è obbligato in solido con l’affittante nei confronti dei lavoratori per tutti i debiti verso i dipendenti e relativi a rapporti di lavoro, inclusi quelli di natura assicurativa e previdenziale;
- l’art. 2557 c.c. sul divieto di concorrenza , a carico del concedente (v. par. 6 ).
Anche per quanto riguarda i debiti tributari anteriori al trasferimento della gestione dell’azienda non è prevista alcuna responsabilità dell’affittuario, in solido con l’affittante: a differenza di quanto accade all’acquirente dell’azienda, l’ Agenzia delle entrate non può infatti esigere dall’affittuario imposte e sanzioni, non essendo applicabile all’affitto d’azienda la norma di cui all’art. 14 Digs. n. 472/1997.
Attesa , la difficile ricerca della normativa applicabile, è comunque opportuno che le Parti predispongano una disciplina contrattuale attenta ed esaustiva, che integri o sostituisca quella, per lo più dispositiva, del codice civile.
Per l’affitto dell’azienda non è prevista la forma scritta a pena di nullità, ma solo ai fini della prova, della pubblicità e della opponibilità ai terzi. Infatti il contratto di affitto di azienda deve essere iscritto nel Registro delle Imprese, come previsto dall’art. 2556 c.c., e per questo motivo il contratto deve essere redatto per iscritto, con la forma dell’atto pubblico o di scrittura privata autenticata, a cui dovrà seguire, entro 30 giorni, la pubblicità presso il Registro delle Imprese, a pena di sanzione amministrativa. In ogni caso, generalmente il trasferimento del godimento dell’azienda avviene tramite un contratto scritto, indispensabile per definire i reciproci obblighi delle parti del caso concreto.
3. Affitto di azienda e locazione commerciale
L’affitto di azienda (o ramo di azienda), cioè di un complesso di beni produttivi, si distingue dalla locazione (di un bene non produttivo). La distinzione è importante, in quanto la disciplina speciale della locazione (L. n. 392/78) non si applica qualora il contratto si qualifichi come affitto di azienda. L’affitto di azienda è uno strumento spesso utilizzato nella prassi operativa della concessione in godimento di beni immobili, in quanto consente alle parti di configurare in piena autonomia le relative pattuizioni contrattuali senza dover soggiacere ai limiti e alle imposizioni della normativa che disciplina i contratti di locazione commerciale (L. n. 392/1978). In particolare,
- se si tratta di locazione di immobile, il contratto ha durata minima di almeno 6 anni, prorogabile di ulteriori 6 anni in assenza di disdetta comunicata da una delle parti con almeno 12 mesi di preavviso (con la precisazione che, in occasione del primo rinnovo, il locatore potrà dare disdetta solo nelle specifiche e tassative ipotesi previste dalla legge); al contrario, per il contratto di affitto d’azienda, non esistono norme di legge che impongano una durata minima del rapporto, che pertanto è rimessa alla disponibilità delle parti;
- in caso di locazione di immobile commerciale, al termine del rapporto, spetta a favore del conduttore un’indennità di avviamento (art. 34 L. n. 392/1978); al contrario, in caso di affitto di ramo d’azienda, è lasciata ampia autonomia alle parti e, pertanto, l’indennità normalmente non spetta.
Inoltre, la disciplina in materia di affitto di azienda impone alla parte affittuaria uno specifico obbligo di mantenere intatta la produttività e l’efficienza dell’azienda concessa in godimento, garantendo, quindi, una più ampia tutela dell’avviamento commerciale relativo all’attività svolta nell’immobile concesso in godimento, rispetto alla locazione commerciale.
Si riporta nella seguente tabella le principali differenze a livello giuridico tra affitto di azienda e locazione:
CARATTERISTICHE | LOCAZIONE COMMERCIALE | AFFITTO DI AZIENDA |
INDENNITA’ PER PERDITA AVVIAMENTO |
In caso di cessazione del contratto di non derivante da iniziativa del conduttore (ad es. recesso) o da procedure concorsuali, è dovuta, in favore del conduttore, un’indennità per perdita di avviamento pari a 18 mensilità di canone o 21 mensilità per le locazioni alberghiere (art. 34 L. 392/1978).
Non è dovuta indennità qualora: a) l’attività svolta non implichi contatti diretti con pubblico degli utenti/consumatori; b) si tratti di attività professionale; c) si tratti di attività di carattere transitorio o in stazioni/aeroporti/aree di servizio stradali. |
Non è dovuta alcuna indennità per perdita di avviamento |
DURATA |
Non può essere inferiore ai 6 anni (9 per le locazioni alberghiere), rinnovabili per ulteriori 6 anni (9 per le locazioni alberghiere) (artt. 27-28 L.392/1978).
Il rinnovo non ha luogo in caso di disdetta del conduttore entro 12 mesi prima della scadenza (18 mesi per locazioni alberghiere). Alla prima scadenza contrattuale, il locatore ha facoltà di diniego della rinnovazione soltanto nei casi e nei termini indicati dagli artt. 28-29 L.392/1978. |
La durata del contratto è rimessa alla libera disponibilità delle parti. |
PRELAZIONE LEGALE |
In caso di vendita dell’immobile locato, il locatore deve comunicare le condizioni contrattuali al conduttore, che, entro 60 giorni, può esercitare un diritto di prelazione sul bene, offrendo di acquistarlo alle medesime condizioni prospettate dal locatore (art. 38 L. 392/1978). | Non vi è alcuna prelazione legale in favore dell’affittuario, ad eccezione del caso in cui l’azienda sia sottoposta a Cassa Integrazione (art. 4 L. 223/1991). |
DEPOSITO CAUZIONALE |
L’importo del deposito cauzionale non può eccedere tre mensilità di canone (art. 11 L. 392/1978). | Non vi è alcun limite massimo per l’importo del deposito cauzionale. |
CANONE DI LOCAZIONE |
Le parti possono solo stabilire che il canone aumenti in base al 75% della variazione indice ISTAT. | E’ possibile derogare al regime ordinario di determinazione del canone di locazione (ad esempio prevedendo la facoltà di aggiornare/variare il canone in aumento). |
PRELAZIONE CONDUTTORE IN CASO DI NUOVA LOCAZIONE |
Il locatore che intenda locare a terzi l’immobile, alla scadenza del contratto rinnovato, deve comunicare le offerte al conduttore (almeno 60 giorni prima della scadenza), il quale ha diritto di prelazione sul nuovo contratto di locazione, se accetta le condizioni pattuite tra locatore e terzo (art. 40 L. 392/1978). | Non vi è alcuna prelazione dell’affittuario in caso di successivo contratto. |
SUBLOCAZIONE E CESSIONE DEL CONTRATTO
|
Il conduttore può sublocare l’immobile o cedere il contratto di locazione (anche senza il consenso del locatore), in caso di cessione e/o locazione dell’azienda esercitata nell’immobile locato. A tale cessione il locatore può opporsi soltanto per gravi motivi. (art. 36 L. 392/1978). | E’ possibile sublocare l’immobile e/o cedere il contratto di affitto se previsto nel contratto stesso. |
OBBLIGHI DELLA PARTE CHE RICEVE IN GODIMENTO I BENI | Il conduttore è obbligato solo a mantenere/conservare/ utilizzare il bene locato (art. 1587 e ss. c.c.). | L’affittuario è obbligato a gestire l’azienda: a) senza modificarne la destinazione; bi) in modo da conservare l’efficienza della organizzazione e degli impianti e le normali dotazioni di scorte (ad esempio, è tenuto a sostituire gli impianti non più efficienti e/o tecnicamente superati.
Alla cessazione del contratto, il debito/credito per l’affittuario viene calcolato in base alla differenza tra le consistenze d’inventario all’inizio e al termine del contratto (il cui valore è determinato sulla scorta dei valori correnti al momento di cessazione del contratto). |
IMPOSTA DI REGISTRO |
a) 2% del canone annuo (art. 5 Tariffa parte prima – DPR 131/86); b) 1% del canone annuo (in caso di esercizio opzione di assoggettamento al regime IVA previsto dalla L. n. 248/2006). | a) 2% del canone annuo (art. 5 Tariffa parte prima – DPR 131/86); b) 1% del canone annuo (in caso di esercizio opzione di assoggettamento al regime IVA previsto dalla L. n. 248/06). |
Stabilire se nel caso di specie si ha locazione o affitto di azienda può essere problematico. La giurisprudenza ha stabilito una serie di elementi che consentono di distinguere tra locazione e affitto d’azienda:
- si ha affitto d’azienda solo qualora sia concesso in godimento un complesso di beni organizzato e dotato di potenzialità produttiva, anche se l’attività produttiva non sia ancora iniziata al momento della conclusione del contratto; se oggetto della cessione è solo un complesso di beni, ma non organizzati ai fini dell’impresa, non si ha dunque cessione d’azienda.
- l’elemento organizzativo sui beni oggetto del contratto deve essere preesistente; può esservi affitto d’azienda soltanto qualora l’azienda preesista al contratto d’affitto e, quindi, l’affittante (proprietario del centro commerciale) l’abbia costituita e organizzata nella propria sfera economica e giuridica prima che il godimento sia stato trasferito capo all’affittuario. Qualora l’impresa sia iniziata dall’avente causa (affittuario), o sia costui a dare per la prima volta una organizzazione ai beni cedutigli in godimento, non può parlarsi di affitto di azienda (bensì di locazione).
- l’importanza attribuita all’immobile. Nel contratto di locazione, l’immobile concesso in godimento assume una posizione di centralità nell’economia contrattuale rispetto agli altri elementi che hanno carattere di accessorietà. Per contro, nell’affitto d’azienda, l’immobile è solo uno degli elementi costitutivi del complesso dei beni (mobili ed immobili) legati tra loro da un vincolo di interdipendenza e complementarietà per il conseguimento di un determinato fine produttivo; oggetto del contratto è il complesso produttivo unitariamente considerato.
Peraltro, è compatibile con il contratto di locazione il fatto che, oltre al godimento dell’immobile, vi siano altre prestazioni accessorie, quali l’uso dell’area comune del centro commerciale, l’uso delle utenze, il godimento delle attrezzature.
Se il contratto ha ad oggetto un immobile senza beni collegati o con beni di rilievo marginale (accessori o pertinenze), occorre verificare il rapporto tra il valore dell’immobile e quello degli altri beni, dal punto di vista non patrimoniale bensì funzionale. Ad esempio, non si può concludere che si ha locazione e non affitto di azienda se l’autorimessa vale molto di più delle attrezzature.
Secondo la giurisprudenza prevalente, per stabilire se si ha affitto di azienda o locazione commerciale di immobile con pertinenze occorre indagare l’elemento soggettivo: nel primo, l’oggetto del contratto è costituito da un complesso unitario di beni organizzati e l’immobile è considerato in rapporto di complementarità con gli altri beni; nel secondo, l’immobile è considerato nella sua individualità con funzione prevalente.
Diversa è l’ipotesi dell’immobile adibito ad attività alberghiera; la L. n. 118/1995 stabilisce infatti che si ha locazione di immobile e non affitto di azienda, in tutti i casi in cui l’attività alberghiera sia stata iniziata dal conduttore.
4. Durata e corrispettivo
La legge non determina una durata minima ed una massima per il contratto di affitto d’azienda (diversamente da quanto previsto per il contratto di locazione); la durata del contratto è quindi rimessa all’autonomia delle parti, le quali possono così individuare la soluzione più coerente al caso di specie, in coerenza con l’oggetto del contratto ed il suo scopo.
Con riferimento alla durata del contratto, le parti possono prevedere:
- specifiche modalità di rinnovo o proroga, espressa o tacita, piuttosto che condizionata all’avveramento di un determinato evento non dipendente dalla loro volontà;
- la possibilità o le condizioni, per una o entrambe le parti, di cessare anticipatamente il rapporto esercitando il diritto di recesso, con preavviso o senza, al verificarsi di determinate.
Contestualmente, è opportuno prevedere le modalità e le possibili conseguenze alla cessazione del contratto, in vista della retrocessione dell’azienda all’affittante.
Il corrispettivo per l’affitto dell’azienda deve essere individuato in misura congrua al valore dell’azienda affittata, al fine di non generare disequilibri nei confronti dell’una o dell’altra parte, nonché per non pregiudicare gli interessi degli stakeholders (tra cui l’Agenzia delle Entrate, che potrebbe in caso contrario procedere con riprese).
5. Magazzino, avviamento, ammortamenti
Le parti possono prevedere vari metodi per regolamentare il trasferimento del magazzino:
- pattuire che le giacenze siano affittate unitamente all’impresa e ne formino componente imprescindibile. In tal caso dovrà essere redatto un inventario analitico da allegare al contratto, al termine del quale, le stesse devono essere restituite nella stessa quantità e pari valore, conguagliando l’eventuale differenza in denaro;
- pattuire la vendita dell’intero magazzino esistente all’affittuario, con ritrasferimento dello stesso al proprietario al momento della conclusione del contratto;
- stipulare un contratto estimatorio avente ad oggetto le rimanenze di magazzino.
L’affittuario assume il dovere di gestire l’azienda e contestualmente il potere di disporre dei beni aziendali; pertanto, al termine del contratto d’affitto, l’azienda risulta generalmente composta in tutto o in parte da beni diversi rispetto a quelli originari. Allo scopo di identificare e misurare tali differenze fra la consistenza iniziale e finale del complesso aziendale, di solito si prevede, la redazione di un inventario all’inizio e al termine del rapporto.
Ai sensi dell’ultimo comma dell’art. 2561 c. c., la differenza tra le consistenze di inventario all’inizio e al termine dell’affitto è regolata in danaro, sulla base dei valori correnti al termine dell’affitto. Tale norma da una parte attribuisce all’affittuario il diritto ad un’indennità commisurata all’accresciuto valore delle consistenze; dall’altra definisce l’ambito delle pretese dell’affittuario a fine rapporto, eliminando quelle provenienti da erogazioni di spese che, ancorché incrementative del valore dell’azienda, non costituiscano, nei fatti, accrescimento di valore dei beni.
Qualora emerga un incremento delle circostanze di inventario, salvo diversa pattuizione, potrà essere riconosciuto all’affittuario un conguaglio in denaro, che ai fini fiscali rappresenta una componente positiva di reddito assoggettata a tassazione come sopravvenienza attiva. Se invece emerga un decremento delle consistenze di inventario, il conguaglio dovrà essere corrisposto dall’affittuario al concedente; in tal caso, qualora il conguaglio sia superiore all’ammontare accantonato a fronte degli ammortamenti dedotti, l’affittuario realizzerà una sopravvenienza passiva deducibile dal proprio reddito d’impresa, mentre qualora il conguaglio sia inferiore l’affittuario realizzerà una sopravvenienza attiva tassabile.
Dottrina e giurisprudenza sono divise sulla questione circa il diritto dell’affittuario al compenso per l’incremento eventualmente apportato all’avviamento dell’azienda da lui condotta. In linea generale, la giurisprudenza maggioritaria ritiene che l’avviamento, essendo un qualità intrinseca all’azienda, non possa essere apprezzato disgiuntamente da essa, e, conseguentemente, torni, al termine del contratto, in capo all’affittante, unitamente all’azienda, non realizzandosi il presupposto per la remunerazione dell’incremento apportato dall’affittuario.
Si ritiene invece che sia indennizzabile il maggior avviamento ricollegabile all’opera o alle spese dell’affittuario, con esclusione di quello derivante da circostanze esterne. Il diritto all’indennità discenderebbe dall’art. 1592 del c.c., da interpretarsi nel senso che l’affittuario ha diritto a ricevere, per quel miglioramento apportato all’azienda che è l’incremento di avviamento, un’indennità nei limiti della minor somma tra aumento del valore dell’azienda e spese sostenute per tale incremento e non confluite nella determinazione del valore di singoli componenti.
La soluzione più opportuna resta comunque quella che, per evitare controversie, le parti disciplinino al momento della stipula del contratto d’affitto, l’eventuale remunerazione spettante all’affittuario per il maggior valore apportato all’avviamento e il criterio per la sua determinazione.
Infine, gli ammortamenti posso essere dedotti dall’affittuario per il periodo di durata del contratto, ai sensi dell’art. 102, comma 8, del TUIR. Poiché l’affittuario assume gli elementi patrimoniali dell’azienda ai medesimi valori fiscali riconosciuti in capo al concedente, le quote di ammortamento sono commisurate al costo originario dei beni quale risulta dalla contabilità del concedente e sono deducibili sino a concorrenza del costo non ancora ammortizzato. Se il concedente non ha regolarmente tenuto il registro dei beni ammortizzabili o gli altri registri consentiti dalla disciplina fiscale in sostituzione dello stesso, devono essere considerate già dedotte, per il 50% del loro ammontare, le quote relative al periodo di ammortamento già decorso.
Le quote di ammortamento vengono dedotte dall’affittuario in relazione all’obbligo dell’affittuario di conservare il valore dell’azienda (art. 2561 c.c.). L’affittuario dovrà quindi stanziare accantonamenti annuali al fondo per il ripristino del valore dei beni, in modo da accantonare le somme che dovrà consegnare al concedente a fine contratto per remunerare la perdita di valore dell’azienda. Se invece le parti derogano contrattualmente alla previsione dell’art. 2561 c.c. le quote di ammortamento continuano ad essere dedotte dal concedente.
6. Obblighi del concedente e dell’affittuario di azienda
Quando il contratto di affitto è funzionale al godimento di un’azienda, le peculiarità dell’oggetto influenzano anche il contenuto dei diritti e doveri che il c.c. rispettivamente attribuisce e impone alle parti contraenti. In particolare, sono a carico del concedente i seguenti obblighi:
- consegnare l’azienda in condizioni tali da poter servire all’uso pattuito;
- provvedere alle riparazioni straordinarie che esulano dai normali oneri di conservazione della destinazione economica del complesso aziendale affittato (art. 1621 c.c.); le riparazioni ordinarie (insieme alle spese di manutenzione), sono invece di regola a carico dell’affittuario (salvo patto contrario); dato che può risultare difficile identificare la natura delle riparazioni, è opportuno che tale aspetto venga espressamente e dettagliatamente specificato nel contratto;
- cooperare al fine di procedere alla temporanea intestazione delle autorizzazioni amministrative in capo all’affittuario;
- non fare concorrenza all’affittuario (art. 2557 c.c.).
Per quanto concerne tale ultimo obbligo, l’art. 2557, quarto comma, c.c. prevede l’obbligo del concedente dell’azienda di astenersi dall’iniziare una nuova impresa che per l’oggetto, l’ubicazione o altre circostanze, sia idonea a sviare la clientela dell’azienda stessa, per tutta la durata dell’affitto.
Tale norma ha l’obiettivo di assicurare anche all’affittuario il godimento dell’avviamento, limitando l’idoneità della nuova impresa eventualmente avviata dal concedente a sviare la clientela di quella concessa in affitto; ciò si verifica non solo quando la nuova impresa produce beni o servizi dello stesso tipo, ma anche beni o servizi sostitutivi dei precedenti, ovvero si tratta di impresa ausiliaria di impresa concorrente. Il divieto non opera invece qualora il concedente, pur esercitando un’attività concorrente, vi abbia dato inizio prima della stipulazione del contratto di affitto.
Le parti possono ampliare o ridurre la zona in cui opera il divieto di concorrenza, purché non venga impedita ogni concreta attività del concedente nel settore economico in cui opera l’azienda. Il contratto di affitto di azienda può in ogni caso derogare alla menzionata norma, non prevedendo alcun divieto di concorrenza o limitandolo a periodi inferiori.
Sono invece a carico dell’affittuario i seguenti obblighi:
- esercitare l’attività sotto la ditta che la contraddistingue (art. 2561 co. 1 c.c.), se il concedente vi ha acconsentito; in tal modo l’azienda continua ad essere identificata con la persona del concedente e mantiene integro l’avviamento alla stessa connesso;
- non modificare la destinazione economica dell’azienda; non è consentito all’affittuario ridimensionare l’attività o trasferire la sede dell’azienda, ovvero mutare l’oggetto dell’impresa esercitata. Viceversa, avendo l’affittuario il diritto di disporre dei beni dell’azienda, può per esempio vendere impianti, macchinari e altri beni, nonché acquistarne altri, sempre che non vengano mutate la consistenza e l’efficienza dell’azienda. Non è, infine, consentito all’affittuario subaffittare l’azienda, senza il preventivo consenso del concedente
- provvedere alla conservazione dell’efficienza dell’organizzazione degli impianti e le normali dotazioni di scorte (art. 2561 co. 2 c.c.);
- corrispondere il canone dovuto, nei tempi e con le modalità stabilite contrattualmente.
7. La cessazione del contratto di affitto di azienda e l’opzione di acquisto
Il contratto di affitto di azienda cessa – come ogni contratto – nei seguenti casi:
- scadenza del termine;
- consensuale volontà delle parti;
- morte dell’affittuario o del proprietario;
- l’insolvenza dell’affittuario, salvo che al proprietario sia presentata idonea garanzia per l’esatto adempimento degli obblighi dell’affittuario stesso (art. 1626 c.c.);
- verificarsi dell’evento dedotto in condizione risolutiva;
- risoluzione o recesso.
Per quanto concerne in particolare il recesso dal contratto d’affitto d’azienda – il quale consiste nella facoltà di sciogliere anticipatamente il contratto medesimo con la semplice dichiarazione del soggetto che vuole esercitarlo – esso può avere luogo nei seguenti casi:
- se non è stata fissata la durata dell’affitto, ciascuna parte contraente può recedere dal contratto dando all’altra un congruo preavviso (art. 1616 co. 1 c.c.);
- in caso di morte dell’affittuario, l’affittante e gli eredi del primo possano recedere dal contratto entro tre mesi dalla morte, previa disdetta comunicata all’altra parte con preavviso di sei mesi (decorrenti dalla data del decesso) (art. 1627 co. 1 c.c.);
- per gravi motivi o giusta causa, qualora le parti prevedano un’apposita clausola nel contratto.
Il contratto di affitto di azienda può essere altresì risolto per inadempimento di una delle parti. In particolare, può essere risolto qualora l’affittuario:
- non adempia all’obbligo di gestire l’azienda senza modificarne la destinazione e in modo da conservare l’efficienza dell’organizzazione e degli impianti e le normali dotazioni di scorte (art. 2561, comma 2, c.c.).
- non destina al servizio dell’azienda i mezzi necessari per la gestione di essa, non osserva le regole della buona tecnica, ovvero se muta stabilmente la destinazione economica dell’azienda (art. 1618 c.c.).
A tale fine si ritiene applicabile l’art. 1619 c.c., secondo cui il concedente può accertare in ogni tempo, anche con accesso in luogo, se l’affittuario osserva gli obblighi che gli incombono.
Si ritiene altresì applicabile l’art. 1623 comma 1 c.c., secondo cui il contratto di affitto di azienda può essere risolto se, in conseguenza di una disposizione di legge o di un provvedimento dell’autorità riguardanti la gestione produttiva, il rapporto contrattuale risulti notevolmente modificato in modo che le parti ne risentono rispettivamente una perdita e un vantaggio.
Si verifica estinzione anticipata del contratto di affitto di azienda anche in seguito all’alienazione dell’azienda da parte del concedente. L’art. 1625 c.c. stabilisce che i contraenti possono accordarsi sullo scioglimento dell’affitto nell’ipotesi di cessione dell’azienda. A tal fine, le parti possono prevedere in favore dell’affittuario:
- un diritto di prelazione, con il quale all’affittuario viene attribuito il diritto di essere preferito, alle stesse condizioni, a terzi, nell’eventuale acquisto dell’azienda;
- un diritto di opzione per l’acquisto dell’azienda, con il quale all’affittuario viene attribuito.
Il diritto di acquistare l’azienda condotta in affitto, a condizioni economiche e operative prestabilite. In tal caso l’azienda condotta in affitto non retrocede all’affittante, ma viene definitivamente trasferita all’affittuario, che ne diventa acquirente.
In quest’ultimo caso si applicano le norme sulla cessione d’azienda, tra cui in particolare quella relativa alla responsabilità solidale dell’acquirente per i debiti dell’azienda ceduta (che invece in corso d’affitto rimangono di competenza dell’affittante).
È peraltro frequente che, in caso di previsione di opzione d’acquisto, l’affittuario possa imputare in conto prezzo parte dei canoni di affitto nel contempo pagati (c.d. rent to buy).
8. Le conseguenze della cessazione del contratto di affitto di azienda
Al verificarsi di una delle cause di cessazione del contratto, l’affittuario deve immediatamente riconsegnare l’azienda al proprietario (c.d. retrocessione), che ne riacquista così il godimento e la disponibilità. . La mancata o ritardata consegna è fonte di risarcimento degli eventuali danni (che potrebbero essere quantificati in via anticipata attraverso una clausola penale).
Per quanto concerne i contratti in essere, quando l’azienda viene concessa in affitto, vige come si è visto il principio della continuità dei contratti in capo al conduttore, per garantire nel passaggio la posizione dei terzi ceduti (art. 2558 c.c.). Tale principio non trova immediata applicazione in sede di retrocessione; qualora il proprietario dell’azienda ne riacquisti il godimento per cause o fatti non previsti dal contratto, ad avviso della giurisprudenza non è configurabile la successione ai sensi nei rapporti contrattuali a prestazioni corrispettive ancora pendenti conclusi dall’affittuario, ai dell’art. 2558 c.c. La continuità dei contratti sopravvive, viceversa, nel caso in cui il contratto di affitto si sciolga per cause previste dal contratto stesso.
Con riferimento ai debiti e crediti, la norma di cui all’art. 2560 c.c. – secondo cui l’alienante non è liberato dai debiti inerenti all’esercizio dell’azienda ceduta anteriori al trasferimento se non risulta che i creditori vi abbiano consentito, e risponde di tali debiti anche l’acquirente dell’azienda se risultano dai libri contabili obbligatori – non si applica in caso di retrocessione dell’azienda, secondo la prevalente giurisprudenza. Pertanto, la cessazione restituzione dell’azienda al proprietario – concedente non comporta a carico di quest’ultimo la responsabilità di cui all’art 2560 c.c. per i debiti contratti dall’affittuario; qualora, infatti, l’affittante, privo di significativi poteri di controllo, rispondesse dei debiti maturati dall’affittuario in pendenza dell’affitto, verrebbe compromesso l’utilizzo del contratto di affitto d’azienda.
In caso di restituzione del complesso aziendale alla scadenza dell’affitto trova altresì applicazione, secondo la giurisprudenza prevalente, la norma di cui all’art. 2112 c.c. in tema di rapporti di lavoro ; si ritiene, infatti, che la retrocessione dell’azienda affittata equivale ad una seconda cessione, nell’ambito della quale l’originario cedente diviene cessionario. Pertanto, in caso di retrocessione dell’azienda per cessazione del contratto di affitto, l’originario concedente subentra automaticamente nei rapporti di lavoro, rispondendo altresì in via solidale dei debiti maturati dall’affittuario verso i lavoratori, anche con riferimento a quelli assunti dall’affittuario.
Il concedente è quindi esposto a responsabilità solidale per tutti i debiti dell’affittuario nei confronti dei dipendenti, ivi compresi i debiti di natura assicurativa o previdenziale. Tale norma è inderogabile dalle parti.
Ciò, tuttavia, non si verifica qualora l’affittante, a seguito della retrocessione dell’azienda (ovvero di restituzione dei beni aziendali affittati), non continui la medesima attività dell’azienda affittata, cioè non continui a svolgere la medesima attività imprenditoriale mediante l’utilizzo del medesimo complesso di beni. In particolare, non si applica l’art. 2112 c.c. qualora, a seguito della retrocessione dell’azienda, l’affittante (retro-cessionario):
- cessi definitivamente l’attività (a seguito di messa in liquidazione, vendita dei beni, assenza di introiti, interruzione dei rapporti di lavoro, etc.);
- interrompa temporaneamente l’attività (ad es. per ristrutturazione del locale);
- continui ad utilizzare l’azienda ma per un’attività differente dalla precedente (sempre che i beni aziendali possano essere effettivamente utilizzati per una diversa attività).
La deroga all’art. 2112, ovvero l’esenzione da responsabilità solidale, è invece esclusa nell’ipotesi in cui il proprietario-retrocessionario, anziché proseguire direttamente l’attività in precedenza esercitata dall’affittuario, sostituisca a questi un altro soggetto, dovendosi in tal caso ritenere una indiretta utilizzazione dei beni da parte del concedente a mezzo del nuovo concessionario, proprio in funzione di quella determinata attività di cui l’azienda è strumento.
Una ulteriore deroga alla solidarietà di cui all’art. 2112 c.c. si ha in caso di fallimento dell’affittante; in tal caso, infatti, ai sensi dell’art. 104-bis ultimo comma L.F., dei debiti sorti durante il tempo in cui l’azienda è stata locata non risponde anche la procedura fallimentare, ma solo all’affittuario.
Secondo la giurisprudenza prevalente, alla scadenza del contratto di affitto di azienda si applica inoltre il divieto di concorrenza in capo al concedente, per la durata di 5 anni, di cui all’art. 2557 comma 1 c.c.
Quanto all’individuazione dei beni oggetto di retrocessione, occorre considerare che, ai sensi dell’art. 2561 c.c., l’affittuario:
- deve esercitare l’azienda sotto la ditta che la contraddistingue (comma 1);
- deve gestire l’azienda senza modificarne la destinazione e in modo da conservare l’efficienza dell’organizzazione e degli impianti e le normali dotazioni di scorte (comma 2).
L’obbligo di esercitare l’azienda sotto la ditta che la contraddistingue trova la propria ragion d’essere nell’esigenza di conservare intatto l’avviamento connesso all’azienda in capo al proprietario, evitando che, al termine dell’affitto, si verifichi una sottrazione di clientela. L’affittuario deve, quindi, conservare l’azienda nella sua destinazione, funzionalità, identità e capacità di richiamo della clientela.
L’avviamento può essere incrementato dall’affittuario nel corso dell’esecuzione del contratto, ad esempio attraverso spese per pubblicità, alle ricerche di mercato, etc. La giurisprudenza prevalente ritiene tuttavia che l’affittuario non abbia diritto ad alcun compenso o indennità per l’incremento apportato all’avviamento, in quanto quest’ultimo, non essendo un elemento autonomo bensì una qualità dell’azienda, subisce necessariamente le sorti di questa; pertanto, al termine dell’affitto esso rientra, con l’azienda, nel patrimonio del proprietario, e non deve essere considerato neppure se valutabile economicamente.
Dato il dovere di gestione e del potere di disposizione in capo all’affittuario, l’azienda, al termine dell’affitto, risulterà composta in tutto o in parte da beni diversi rispetto a quelli originari. Pertanto, si trasferiscono al proprietario, oltre che i beni che componevano l’azienda al momento della conclusione del contratto e che ancora fanno parte dell’azienda alla data della cessazione:
- i beni immessi dall’affittuario in attuazione del suo potere – dovere di gestire e conservare l’efficienza dell’organizzazione e degli impianti; in proposito non trova applicazione la distinzione fra spese ordinarie e straordinarie, in quanto l’art. 2561, comma 4, c.c., impone di definire in denaro le differenze di inventati al termine dell’affitto;
- i contratti originariamente trasferiti all’affittuario e ancora in vita, ed i nuovi contratti stipulati dall’affittuario durante la gestione dell’impresa, ed ancora in vita al termine dell’affitto, tranne quelli stipulati dall’affittuario che abbiano carattere strettamente personale e quelli che siano pattiziamente esclusi dal trasferimento;
- i crediti consistenti in diritti personali di godimento di beni aziendali, ed i crediti ai quali sia stata pattuita l’estensione dell’affitto, se ancora esistenti al cessare del contratto.
Tuti questi beni fanno parte delle “consistenze inventario” finale e dovranno essere confrontati con le “consistenze d’inventario” iniziale per stabilire l’entità dell’eventuale differenza da regolare in denaro. Le parti possono altresì stabilire che altri elementi attivi o passivi debbano venire ricompresi nei due inventari o in uno di essi; ad es. si possono accordare nel senso che l’affittuario succeda nei debiti (in tale caso tali debiti dovranno risultare al passivo dell’inventario iniziale), o che vi sia una successione anche per i debiti contratti dall’affittuario (in tale ipotesi questi dovranno a loro volta risultare al passivo dell’inventario finale).
Come si è esposto, la differenza fra le consistenze d’inventario all’inizio e alla fine del rapporto – che, a norma dell’art. 2562 c.c., vanno regolate in denaro sulla base dei valori correnti al termine dell’affitto – comporta che si debbano valutare tali elementi non solo nel loro aspetto quantitativo, con riguardo, cioè, alle eventuali perdite o addizioni, ma anche nel loro aspetto qualitativo, con rifermento ai loro deterioramenti o miglioramenti.
In particolare, l’affittuario può apportare all’azienda i miglioramenti e le addizioni che rientrino nei limiti di una diligente gestione e non comportino una trasformazione dell’azienda. Tali miglioramenti daranno luogo – se rientrano nei limiti di una diligenza gestione e non comportano una trasformazione dell’azienda – ad una differenza finale d’inventario che dovrà essere saldata dal proprietario.
Quanto, infine, al logorio ed alla perdita di singoli componenti dell’azienda, l’affittuario che non abbia provveduto alla riparazione od alla sostituzione dovrà pagare la differenza finale d’inventario, salva l’eventuale possibilità per il proprietario di richiedere la più grave sanzione della risoluzione per inadempimento.
La differenza tra le consistenze di inventario all’inizio e al termine dell’affitto deve essere regolata sulla base dei valori correnti al termine dell’affitto (art. 2561 ult. co. c.c.); tale differenza dà luogo ad un credito o a un debito nei confronti del concedente.
Se non vi sono stati mutamenti nella composizione dell’azienda o se essi sono limitati alla sostituzione delle scorte consumate con scorte di uguale quantità e qualità, non emergerà una differenza di inventario e pertanto nulla sarà dovuto al né concedente né all’affittuario, in quanto i semplici mutamenti di valore dell’azienda non comportano per l’affittuario differenze di inventario.
L’affittuario può apportare all’azienda:
- variazioni sostitutive, ovvero incrementi di un elemento e diminuzioni di un altro elemento che lasciano immutata l’entità dell’azienda;
- variazioni aggiuntive, ovvero mutamenti di quantità di elementi aziendali che incrementano l’entità dell’azienda; in tal caso all’affittuario spetta una differenza pari al valore corrente delle addizioni;
- variazioni diminutive, ovvero che riducono l’entità degli elementi aziendali, in tal caso l’affittuario deve corrispondere al concedente una differenza pari al valore attuale delle minori consistenze.
9. L’affitto di ramo di azienda all’interno di centri commerciali
Quanto il contratto di affitto di azienda è stipulato all’interno di centri commerciali, le società proprietarie dei punti vendita all’interno dei centri commerciali sono solite concederli in godimento in forza di contratti d’affitto di ramo d’azienda e non di locazione a uso commerciale, così da non essere soggette alle più rigorose norme previste dalla L. n. 392/1978 sulla locazione.
Tuttavia, la circostanza che le parti abbiano definito il contratto come affitto d’azienda non vincola il giudice nella qualificazione dell’atto; infatti, l’interesse dei contraenti ad inquadrare una fattispecie in una tipologia negoziale in luogo di un’altra può derivare dal conseguimento di particolari vantaggi, irrilevanti nella valutazione giudiziale. Occorre dunque tenere conto dei criteri di distinzione che consentono di qualificare il contratto come locazione o affitto di azienda, esposti in precedenza.
La principale differenza tra la locazione di un immobile con pertinenze e affitto d’azienda consiste nel fatto che nel primo caso il contratto ha come scopo il godimento del bene nella sua staticità, mentre nell’affitto d’azienda il bene immobile è uno dei cespiti organizzati dei quali l’affittuario può godere al fine dell’esercizio dell’attività d’impresa, insieme ai numerosi beni, servizi e utilità aggiuntivi messi a disposizione dal centro (avviamento del centro, servizi accentrati per la pubblicizzazione dei segni distintivi, servizi generali e attrezzature di uso comune, autorizzazioni commerciali volturate in favore degli affittuari per l’esercizio dell’attività di vendita).
La giurisprudenza prevalente ritiene infine che l’inserimento di un locale all’interno del centro commerciale non sia incompatibile con l’avviamento commerciale “proprio” del singolo punto vendita, ovvero la capacità attrattiva di clientela a prescindere dalla sua collocazione. Ne deriva che la collocazione all’interno del centro commerciale non è circostanza risolutiva ai fini della qualificazione del contratto come locazione o affitto.
10. Affitto di azienda e fallimento
Ai sensi dell’art. 79 L. Fall. (R.D. 267/1942), il fallimento non è causa di scioglimento del contratto di affitto di azienda. Il rapporto di affitto sopravvive dunque al fallimento di uno dei contraenti ed il curatore subentra nel contratto di affitto, a condizione che lo stesso sia opponibile ai creditori ed al curatore.
A tal fine, il contratto di affitto di azienda deve:
- avere data certa anteriore all’apertura della procedura fallimentare;
- essere stato predisposto nel rispetto delle forme di legge.
Dunque, se il contratto è opponibile, il curatore del fallimento del contraente fallito subentra automaticamente nella posizione di quest’ultimo, con la conseguenza che il curatore assume, a carico o a vantaggio della massa, tutti gli obblighi e i diritti nascenti dal contratto dopo la dichiarazione del fallimento.
Se invece il contratto di affitto di azienda non è opponibile, lo stesso è privo di effetto nei confronti dei creditori ed il curatore può ignorarlo.
In caso di fallimento dell’affittante, il Curatore subentra nel contratto in continuità, con i seguenti vantaggi per la procedura:
- prosecuzione dell’incasso dei canoni e di tutti i flussi provenienti in esecuzione del contratto;
- custodia dei beni da parte dell’affittuario;
- mantenimento della conservazione dell’organizzazione aziendale e del suo avviamento;
- salvaguardia dell’unità produttiva nell’interesse generale della massa.
La prosecuzione del contratto, tuttavia, se prolungata, può determinare anche svantaggi per la procedura: fino a quando dura l’affitto, infatti, il curatore non può procedere alla liquidazione dei beni inseriti nell’azienda, comprese le scorte di materie prime e prodotti finiti, spettando all’affittuario il diritto di disporne.
In caso invece di fallimento dell’affittuario, il contratto di affitto prosegue solo qualora il curatore sia autorizzato all’esercizio provvisorio dell’azienda dell’affittuario fallito.
Il vantaggio, per la procedura, è quello di evitare la perdita del diritto di utilizzare l’azienda e, insieme, la cessazione immediata dell’esercizio dell’impresa dell’affittuario con i gravi danni che ne conseguirebbero, sia per il fallito che per l’affittante. D’altra parte, non mancano anche in questo caso gli svantaggi, in quanto i creditori concorrenti nel fallimento potrebbero subìre perdite di gestione, pagandone in prededuzione le spese.
A fronte dei vantaggi e degli svantaggi che la prosecuzione automatica del rapporto di affitto di azienda può determinare a loro favore o carico, ai contraenti è concessa la facoltà di recesso ex lege dal contratto, da esercitare nel termine di sessanta giorni dal fallimento. Le parti possono così valutare, in un tempo ragionevole, se interrompere o continuare il rapporto per la durata convenuta, comparando costi e benefici connessi all’una o all’altra delle due opzioni.
In caso di esercizio del diritto di recesso, il contraente che non ha receduto ha diritto di ricevere un equo indennizzo, consistente in una somma di denaro per compensare la perdita patrimoniale subita in conseguenza all’esercizio, da parte del recedente, di un atto legittimo.
La quantificazione dell’indennizzo viene effettuata in base a criteri equitativi, tenendo conto del danno emergente – relativo al pregiudizio derivante dall’interruzione delle lavorazioni in corso, dalle eventuali penalità da pagare a terzi e dall’entità degli investimenti effettuati – e del lucro cessante – derivante dal mancato incasso degli utili netti che possono maturare nel periodo rimanente di vigenza del contratto. In mancanza di accordo tra le parti, l’importo dell’indennizzo viene determinato dal Giudice Delegato.
Se siete interessati a scaricare un modello di contratto di affitto di ramo di azienda, inviate una mail al seguente indirizzo: info@studio-pandolfini.it.
Avv. Valerio Pandolfini
Avvocato Contrattualistica d’Impresa
Per altri articoli di approfondimento su tematiche attinenti il diritto d’impresa: visitate il nostro blog.
Le informazioni contenute in questo articolo sono da considerarsi sino alla data di pubblicazione dello stesso; le norme regolatrici la materia potrebbero essere nel frattempo state modificate.
Le informazioni contenute nel presente articolo hanno carattere generale e non sono da considerarsi un esame esaustivo né intendono esprimere un parere o fornire una consulenza di natura legale. Le considerazioni e opinioni riportate nell’articolo non prescindono dalla necessità di ottenere pareri specifici con riguardo alle singole fattispecie.
Di conseguenza, il presente articolo non costituisce un (né può essere altrimenti interpretato quale) parere legale, né può in alcun modo considerarsi come sostitutivo di una consulenza legale specifica.