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contratto di licenza di marchio licensing clausole tipiche

Il contratto di licenza di uso del marchio e il merchandising

9 Settembre 2024/in Diritto industriale, News

Con il contratto di licenza (licensing), il titolare di un marchio concede in uso tale bene a un terzo, dietro pagamento di un corrispettivo, senza privarsi della titolarità di tali diritti. Il licensing del marchio è molto diffuso in tutto il mondo e presenta molteplici vantaggi, sia per il licenziante che per il licenziatario. Il contratto di licenza di marchio ha natura atipica, cioè non è regolamentato da una normativa di legge bensì dalle parti stesse; per tale motivo, tale contratto deve essere redatto in modo attento e adeguato. Pur nella varietà dei contenuti che un contratto di licenza di marchio può assumere, nella prassi vi sono alcune clausole tipiche che regolamentano la licenza di marchio.

Indice

1. Cos’è la licenza di uso del marchio

Con il contratto di licenza (licensing), il titolare di un marchio concede in uso tale bene a un terzo, dietro pagamento di un corrispettivo, senza privarsi della titolarità di tali diritti. Il licenziante, infatti, resta titolare del marchio, concedendolo però a terzi il diritto di utilizzarlo, a determinate condizioni e per un certo periodo di tempo.

Come si è visto in un precedente articolo, il licensing del marchio, e più in generale di diritto di proprietà intellettuale o di tecnologia, è molto diffuso in tutto il mondo è presenta molteplici vantaggi, sia per il licenziante che per il licenziatario.

Grazie al licensing il titolare del marchio può infatti “sfruttare” economicamente il proprio diritto di privativa intellettuale, senza privarsi della titolarità dello stesso e senza sostenere ulteriori investimenti. In particolare nel settore dell’abbigliamento e degli accessori di moda, il contratto di licenza di marchio consente all’impresa titolare del marchio di ridurre i costi fissi che sarebbero imposti dall’acquisto o locazione di macchinari e dall’assunzione della manodopera specializzata necessaria per la loro realizzazione.

Inoltre, concedendo a terzi la licenza di uso del marchio il titolare può ampliare lo sfruttamento del marchio anche in territori in cui il licenziante non è attivo, con conseguente maggiore notorietà e ,quindi, un aumento di valore del marchio stesso.

D’altra parte, il licenziatario può, godere dell’avviamento ottenuto dal licenziante nel corso degli anni, ampliando così il proprio volume d’affari, senza dover sostenere non dovrà sostenere alcun investimento per la ricerca, lo sviluppo e/o la realizzazione del marchio.

Ben si comprende, dunque, come il licensing sia un accordo di cooperazione, piuttosto che di competizione, tra due imprese, mirato al raggiungimento di un fine comune e di vantaggio economico sia per il licensor che per il licensee.

Il contratto di licenza ha natura atipica, il che significa che non è regolamentato da una normativa di legge bensì dall’autonomia privata, ovvero dalle parti stesse nel contratto. Per tale motivo, un contratto di licenza di marchio deve essere attentamente ed adeguatamente redatto.

Pur nella varietà dei contenuti che un contratto di licenza di marchio può assumere, sono riscontrabili alcune clausole tipiche e ricorrenti. Vediamo in sintesi le principali.

2. L’oggetto  della licenza e la durata

Con il contratto di licenza di uso del marchio,  si formalizza la concessione dal licenziante al licenziatario del diritto di utilizzare, per un certo periodo di tempo, il marchio del licenziante, con determinate  modalità e con riferimento a determinati  prodotti.

Spesso, unitamente alla licenza di uso del marchio si prevede il diritto/obbligo del licenziatario di fabbricare e/o distribuire i prodotti in relazione ai quali viene utilizzato il marchio. Tale diritto può avere estensioni diverse: ad esempio, il licenziante può concedere al licenziatario il diritto di fabbricare i prodotti in determinato un paese, e il diritto di venderli in un altro. Generalmente, il licenziante ha interesse a limitare l’utilizzo del marchio da parte del licenziatario, in modo tale da impedire eventuali abusi o atti che ne possono ledere i diritti e diminuirne il valore.

Generalmente il licenziatario è tenuto ad attenersi, nella produzione, nel confezionamento e nelle modalità di distribuzione del dei prodotti licenziati, a determinati standards tecnici e/o di qualità stabiliti dal licenziante. Spesso si prevede la facoltà del licenziante di accedere ai luoghi di produzione del licenziatario per controllare l’andamento dei lavori e per assistere all’esecuzione di tests sui prodotti licenziati. Talvolta si prevede anche l’impegno del licenziante ad assistere il licenziatario nella ricerca di difetti, misure necessarie per correggerli, eliminarli o prevenirli, a fronte del correlativo impegno del licenziatario a riconoscere in favore del licenziante un certo compenso.

Deve inoltre essere stabilito il territorio di riferimento; la licenza di uso del marchio può essere infatti concessa limitatamente a una determinata nazione o regione, impedendo al licenziatario di sfruttare il titolo al di fuori della zona stabilita.

Infine, deve essere stabilita la durata del contratto di licenza. Generalmente, la licenza di un marchio viene concessa per un periodo di tempo che va dai 2 anni ai 5 anni; può essere tuttavia più breve o più lunga, in base agli accordi tra le parti. Le parti possono inoltre prevedere che alla (prima) scadenza del contratto questo si rinnovi automaticamente, per un uguale o diverso periodo di tempo, salvo disdetta delle parti, da darsi entro un certo periodo di tempo prima della scadenza. In mancanza di tale previsione, il contratto cessa i suoi effetti alla prima scadenza convenuta.

Se siete interessati a scaricare un modello di contratto di licenza di uso di marchio, inviate una mail al seguente indirizzo: info@studio-pandolfini.it

3. Uso del marchio, riservatezza, promozione e pubblicità

Il licenziatario è generalmente obbligato a fare uso del marchio al meglio delle proprie possibilità; ciò non solo al fine di spingere il licenziatario ad aumentare, e non a far scendere, la notorietà del marchio all’interno del territorio contrattuale, ma anche al fine di evitare di incorrere nella sanzione (prevista dalla maggioranza dei Paesi industrializzati) della decadenza del marchio in seguito al suo mancato o insufficiente sfruttamento per un certo periodo.

Spesso si prevede l’impegno del licenziatario a non depositare o far depositare il marchio concesso in licenza o altri segni distintivi del licenziante, sia nel territorio contrattuale che altrove, nonché registrare o utilizzare, direttamente o indirettamente, altri segni che possano essere confusi con quelli del licenziante.

L’interesse del licenziante di salvaguardare al massimo il valore economico del marchio e prevenire l’eventualità che, per mezzo del licenziatario, questo venga in possesso della concorrenza, porta solitamente ad inserire nel contratto di licenza una clausola di riservatezza, con cui si prevede l’impegno del licenziatario, sia durante la valenza del contratto sia anche dopo la sua cessazione, a non divulgare né utilizzare, per fini che esulano dal rapporto contrattuale, il marchio ed ogni altra informazione riservata che gli è stata comunicata dal licenziante.

Il marchio conferisce caratteristiche intrinseche al prodotto su cui è apposto, e cioè una valenza suggestiva e relative capacità di veicolazione della clientela; è pertanto opportuno che tutti i prodotti licenziati e contraddistinti con il marchio si presentino ai consumatori con la stessa immagine pubblicitaria.

Di solito è quindi presente una clausola con cui vengono sottoposto alla preventiva autorizzazione scritta del licenziante tutti i contenuti, le forme e modalità delle attività promozionali e pubblicitarie. Può essere inoltre previsto che le spese relative a tali attività vengano sostenute totalmente dal licenziatario, con l’impegno di quest’ultimo ad investire un importo annuo non inferiore ad una certa percentuale del fatturato realizzato con la vendita del prodotti licenziati.

4. Responsabilità del licenziante e tutela del marchio

Il licenziante, che solitamente detiene un più forte potere contrattuale rispetto al licenziatario, ha l’interesse a limitare la propria responsabilità in ordine al marchio concesso in uso al licenziatario. Il licenziante quindi normalmente non garantisce la validità del marchio, ma si limita a garantire:

  • la veridicità delle dichiarazioni circa  lo stato del marchio; che seguirà diligentemente le pratiche di deposito della domanda di registrazione e concessione del marchio, senza garantire anche la concessione;
  • che non esistono instaurati procedimenti di decadenza o nullità, marche non sono in corso procedimenti di contraffazione;
  • di non essere a conoscenza di diritti di terzi che possano essere violati dal proprio marchio.

Al fine di prevedere in anticipo una adeguata tutela al proprio marchio, il licenziante generalmente stabilisce nel contratto la politica che dovrà essere seguita in caso di atti di contraffazione all’interno del territorio contrattuale.

Qualora il territorio sia distante dal licenziante o comunque la gestione diretta della azione di contrasto alla contraffazione comporterebbe costi troppo elevati, viene affidato al licenziatario il compito di tenere sotto controllo la concorrenza ed il mercato di riferimento e di agire di conseguenza, in autonomia, magari prevedendo obblighi di relazioni e di preventive autorizzazioni circa le linee guida da seguire.

Se invece il licenziante intende tenere personalmente le redini della propria politica di anti-contraffazione del marchio nel territorio contrattuale, ad esempio per mantenere una uniformità tra i vari paesi nei quali il marchio viene licenziato, al licenziatario vengono attribuiti solo compiti di sondaggio del mercato e di informativa circa possibili violazioni del marchio, oltre a doveri di collaborare e assistere attivamente il licenziante nelle azioni che questi vorrà intraprendere.

5. Il corrispettivo della licenza

Il contratto di licenza di marchio è a titolo oneroso, ovvero prevede la corresponsione di un corrispettivo dal licenziatario al licenziante per l’utilizzo del marchio. L’ammontare del corrispettivo è definito dalle parti; esso dipende da una serie di fattori, quali l’importanza e il valore del marchio concesso in licenza, il grado di protezione del marchio, l’eventuale fornitura di servizi ulteriori da parte del licenziante, la situazione del mercato di riferimento, etc., In alcuni casi può essere utile ricorrere, per la determinazione del corrispettivo della licenza di marchio, ad una valutazione peritale di stima, ovvero ad una perizia del marchio, tramite la quale è possibile conoscere il valore economico del marchio stesso.

Il corrispettivo per la licenza del marchio può essere anche non monetario, come nel caso del cross licensing (corrispettivo costituito da tecnologia) o quando il corrispettivo è in natura (ad esempio,  attrezzature o commesse di ricerca e sviluppo da parte del licenziatario).

Quando invece il corrispettivo della licenza è monetario, esso può essere fisso o variabile. Nel primo caso (lump sum), il corrispettivo viene pagato una tantum, indipendente dall’entità dei profitti realizzati dal terzo licenziatario. Il corrispettivo variabile è invece costituito dalla royalty, che è la forma di quantificazione del corrispettivo più diffusa nei contratti di licenza.

Le royalties possono essere  determinate in base agli utili ricavati dalle vendite del licenziatario, cioè sul prezzo di vendita, lordo o netto (può essere previsto un fair market price, cioè un prezzo ritenuto dalle parti equo per il prodotto offerto in vendita), o in base alla  produzione del licenziatario, cioè sul fatturato (come importo fisso per ogni unità di prodotto oppure per determinate quantità di prodotti), o ancora sulla partecipazione agli utili dell’impresa del licenziatario (soprattutto quando il licenziante ha la possibilità di influire sulla direzione dell’impresa del licenziatario, ad esempio con un contratto di joint venture o in un gruppo di società).

Spesso, sia per la determinazione o verifica delle royalties, sia per altri fini, si prevede nel contratto di licenza un onere di rendicontazione da parte del licenziatario circa l’andamento delle vendite, e la possibilità del licenziante di monitorare l’andamento del licenziatario, attraverso audit. La procedura di audit deve essere attentamente disciplinata nel contratto per evitare che possa essere sfruttata a fini strumentali da parte del licenziante, ad es. prevedendo che i relativi costi sono a carico del licenziante se all’esito dell’audit l’under reporting è inferiore ad una certa percentuale fisiologica.

6. L’esclusiva

La licenza di marchio può essere a titolo esclusivo o non esclusivo. La licenza esclusiva ha ad oggetto la totalità dei prodotti o servizi e dell’intero territorio per i quali è stato registrato il marchio; in questa ipotesi, il contratto conferisce al solo licenziatario la facoltà di utilizzare il marchio, che quindi non può essere sfruttato non solo da altri soggetti terzi ma neppure dal titolare del marchio stesso.

Se le parti intendono garantire al licenziatario una licenza esclusiva, devono menzionarlo espressamente nel contratto; in assenza di tale precisazione, la licenza si intende non esclusiva.

La licenza d’uso esclusivo di un marchio può essere concessa per la totalità dei prodotti e servizi o solo per una parte. Nell’ipotesi di licenza esclusiva di uso parziale del marchio è necessario che la licenza riguardi un’intera categoria di prodotti affini, al fine di evitare interferenze fra marchi utilizzati da imprenditori diversi.

Con la licenza non esclusiva, invece, il titolare del marchio, pur concedendone il diritto di sfruttamento in relazione a certi prodotti in un determinato territorio, conserva questa facoltà anche per sé stesso, oppure può concedere più licenze a diversi soggetti in relazione agli stessi prodotti e nel medesimo territorio.

In tal caso, poiché possono circolare nel mercato con lo stesso marchio prodotti uguali ma provenienti da imprenditori diversi, l’art. 23 del D.lgs. 30/2005 (Codice della proprietà industriale) prevede che il licenziatario deve assumere contrattualmente l’impegno di uniformare la propria produzione su cui appone il marchio a quella del titolare del marchio o a quella degli altri licenziatari; in sostanza, nel caso di concessione di una licenza non esclusiva, lo stesso prodotto, seppure proveniente da più imprese, deve presentare le medesime qualità.

È verosimile, infatti, che il consumatore, abituato ad un prodotto contraddistinto da determinate qualità, si aspetti di ritrovarle anche sugli altri prodotti identici che recano lo stesso marchio. Per tutelare l’affidamento del pubblico, la legge prevede dunque che il licenziatario deve essere tenuto contrattualmente ad usare il marchio per prodotti uguali, quanto a qualità e caratteristiche, a quelli del titolare del marchio stesso e degli altri licenziatari.

Dovrà essere quindi prevista nel contratto di licenza di uso del marchio una clausola con cui al titolare del marchio viene riconosciuto il potere di controllare e dirigere l’attività (produttiva, commerciale, distributiva ecc.) del licenziatario, al fine di ottenere una uniformità di tutte le produzioni poste in essere dai singoli licenziatari.

Viene inoltre regolato nel contratto se il licenziatario ha il diritto o meno di concedere sub-licenze e/o di utilizzare terzi per la fabbricazione, totale o parziale, dei prodotti licenziati. Qualora il licenziante conceda tale facoltà, di solito si prevede un controllo ed una approvazione preventiva dei nominativi dei sub-licenziatari, e che comunque il licenziatario dovrà imporre a sua volta l’esclusiva a suo favore sui sub-licenziatari.

7. Accordi di licenza e normativa tributaria

Gli accordi di licenza di marchio rappresentano uno strumento contrattuale che assume particolare importanza tra imprese appartenenti al medesimo gruppo multinazionale.

In tale scenario, al fine di limitare una pratica potenzialmente elusiva, si pone il problema di definire correttamente il valore “normale” o “di mercato” da attribuire alle transazioni intercompany.

In base alla circolare ministeriale n. 32 del 22 settembre 1980, per la corretta determinazione del valore normale dei canoni corrisposti per l’utilizzo di beni immateriali occorre considerare:

  • l’effettuazione di ricerche e sperimentazioni compiute per la realizzazione del bene immateriale;
  • l’obsolescenza del bene immateriale inferiore o superiore all’anno;
  • la vita tecnica dell’invenzione industriale;
  • l’originalità, complessità e portata tecnologica;
  • i risultati ottenuti dallo stesso licenziante mediante l’utilizzazione dell’invenzione industriale.

Poiché tali parametri, squisitamente tecnici, non possono di per sé ritenersi sufficienti ai fini della determinazione del valore normale, la Circolare precisa che nella determinazione di tale valore occorre anche tenere in considerazione una serie di elementi di tipo giuridico, rilevabili dall’esame delle diverse clausole contrattuali che possono influenzare il “valore normale” della transazione, quali:

  • diritti di esclusiva;
  • limitazioni territoriali;
  • particolari protezioni accordate all’invenzione industriale dalla legislazione dello Stato di residenza del licenziatario;
  • divieti di esportazione dei prodotti derivanti dall’utilizzo dell’invenzione industriale;
  • limiti di produzione dei prodotti derivanti dall’utilizzo dell’invenzione industriale;
  • diritti di concedere sub-licenze;
  • durata del contratto;
  • requisiti sulle dimensioni o su altre caratteristiche del prodotto derivanti dall’utilizzo dell’invenzione industriale;
  • diritti di sfruttamento delle scoperte o degli sviluppi dell’invenzione;
  • fissazione dei prezzi di rivendita dei prodotti;
  • diritto preferenziale rispetto a terzi.

L’adeguatezza del canone è altresì strettamente correlata al vantaggio che presumibilmente potrà essere conseguito dal licenziatario in conseguenza dello sfruttamento del diritto immateriale. In linea generale, ad esempio, il pagamento di royalties alla capogruppo può essere giustificato per le società del gruppo impegnate nella produzione di beni, mentre sarà più difficile da spiegare quando le società controllate limitano la loro attività alla sola commercializzazione dei beni prodotti dalla consociata.

Secondo l’Amministrazione finanziaria, inoltre, assume un rilievo notevole ai fini della determinazione del prezzo di trasferimento l’esame della forma del corrispettivo. Quest’ultimo nella prassi è composto da:

  • un canone basato sulla produzione del licenziatario;
  • un canone basato sui ricavi del licenziatario;
  • un canone basato sui profitti del licenziatario;
  • una somma una tantum talvolta unitamente ad un canone periodico;
  • una maggiorazione del prezzo di vendita di beni semilavorati quando l’impresa fornitrice presta la sua assistenza tecnica o know-how al comparatore.

Il Ministero segnala altresì l’importanza di accettare, in presenza di una licenziante estera, le modalità di acquisizione dell’invenzione industriale, non ammettendo la deduzione di corrispettivi di sfruttamento erogati la società che non siano titolari del diritto immateriale, nonché l’importanza di prestare particolare attenzione al riscontro dei pagamenti effettuati a soggetti localizzati in Paesi a bassa fiscalità.

Fermo restando quanto sin qui detto, l’Amministrazione Finanziaria indica anche l’ammontare dei canoni che, in linea di massima, si potranno considerare sempre congrui (c.d. safe haves rules).

Più precisamente, in relazione alla difficoltà di individuare criteri analitici di determinazione del valore normale delle transazioni aventi ad oggetto beni immateriali e considerata l’esigenza di certezza per il contribuente, l’Amministrazione ritiene opportuna la predeterminazione di “valori normali” da ritenere congrui. In linea di massima, si ritengono ragionevoli:

  • canoni fino al 2% del fatturato quando la transazione risulta da un contratto redatto per iscritto ed anteriore al pagamento del canone e sia sufficientemente documentata l’utilizzazione e, quindi, l’inerenza del costo sostenuto;
  • canoni oscillanti tra il 2% e il 5%, oltre che alle condizioni di cui al punto precedente, qualora i dati “tecnici” giustifichino il tasso dichiarato (effettuazione di ricerche e sperimentazioni, obsolescenze inferiore all’anno o meno, vita tecnica, originalità, risultati ottenuti ecc.), il tasso dichiarato sia giustificato dai dati “giuridici”, emergenti dal contratto (diritto di esclusiva, diritto di concedere sub-licenze, diritto di sfruttamento delle scoperte o sviluppi del bene immateriale ecc.) e sia comprovata l’effettiva utilità conseguita dal licenziatario;
  • canoni superiori al 5% del fatturato in casi eccezionali giustificati dall’alto livello tecnologico del settore economico in questione o da altre circostanze.

Tali parametri di fatto rappresentano il principale punto di riferimento stabilito dall’Amministrazione, obbligando quindi i contribuenti a provare eventuali scostamenti dalle suddette percentuali.

In ogni caso, è indispensabile che sussista l’elemento fondamentale della comparabilità delle transazioni. Un contratto di licenza dipende infatti essenzialmente dalle previsioni del beneficio che potrà essere conseguito dal licenziatario nel territorio cui si riferisce il diritto di sfruttamento; tali valutazioni sono basate sul vantaggio tecnologico procurato al licenziatario, sulla potenziale riduzione dei costi di produzione, sul potere di acquisto dei consumi nel territorio oggetto della licenza sull’orientamento della domanda, etc. Corrispettivi diversi per lo sfruttamento del medesimo bene immateriale concesso a licenziatari diversi potranno, quindi, in presenza di alcuni tra i fattori enumerati, trovare una loro plausibile giustificazione.

Nella maggior parte dei casi il confronto con transazioni similari è tuttavia problematico, a causa dell’unicità del bene oggetto della transazione; di qui la necessità di elaborare metodi sussidiari di valutazione che siano, tuttavia, sempre ispirati al principio del prezzo di libera concorrenza e cioè al prezzo che sarebbe stato pattuito tra imprese indipendenti.

8. Il merchandising

Con il termine merchandising si suole indicare lo sfruttamento del valore suggestivo acquisito da nomi, espressioni, figure, segni, o insieme di segni distintivi di imprese, dotati di valore attrattivo, al fine di promuovere la diffusione e la vendita di prodotti che appartengono ad un diverso settore di mercato.

Il contratto di merchandising consente di veicolare la celebrità acquisita dal marchio nel settore di pertinenza per renderlo conoscibile in nuovi mercati, amplificandone la portata attrattiva verso settori merceologici nuovi e radicalmente diversi da quello originario. Tale aspetto lo differenzia dalla licenza di marchio, che viene invece concessa con riferimento a prodotti o servizi uguali o, perlomeno, simili a quelli per cui è stato impiegato dal suo titolare originario.

Il licenziatario (merchandisee) può così sfruttare la rinomanza di un marchio già noto al pubblico per promuovere e commercializzare i propri prodotti senza correre – o quantomeno riducendo – i rischi e i costi connessi all’introduzione sul mercato di un marchio sconosciuto. Il licenziante (merchandisor), per converso, può monetizzare la celebrità del marchio concedendolo in licenza e ampliare il proprio settore d’attività promuovendo il segno in altri mercati, con i conseguenti vantaggi in termini di ritorno d’immagine, allargamento del sistema distributivo in mercati diversi e diversificazione della base di introiti.

Il merchandising è un fenomeno eterogeneo che può avere ad oggetto qualsiasi entità dotata di popolarità e riconoscibilità pubblica. A seconda dell’oggetto del contratto, si distingue:

  • il character merchandising, avente ad oggetto il nome o all’immagine di personaggi di fantasia, cui si applica la normativa sul diritto d’autore; all’internodi tale categoria si parla a sua volta di fictional charactersmerchandising, qualora si tratti di personaggi di fumetti o cartoni animati, e literary characters merchandising, qualora si tratti di personaggi delle opere letterarie;
  • il personality merchandising, avente ad oggetto il nome o l’immagine di personaggi famosi; in tal caso si applicano le norme sulla tutela del nome e dell’immagine (artt. 7 e 10 c.c.) e l’art. 21 comma 2 del Codice della Proprietà Industriale (D.lgs. n. 30/2005), che prevede la possibilità di registrate i nomi di persona, se notori, come marchi;
  • il movie merchandising, inerente alle opere cinematografiche ed ai diritti di proprietà intellettuale ad esse collegati;
  • l’event merchandising,avente ad oggetto eventi sportivi e culturali;
  • il trademark (o brand)merchandising, il più diffuso, riguardante i marchi particolarmente diffusi o popolari, come, ad esempio, i marchi che richiamano un’immagine di lusso.

Il merchandising si distingue dalla licenza esclusiva dal momento che la causa di quest’ultima prevede la concessione in uso del segno dal titolare ad altro soggetto affinché apponga il marchio e gli altri segni distintivi su prodotti o servizi identici o simili a quelli per cui il segno è stato creato. Pertanto, scopo primario del licensing è quello di espandere geograficamente la presenza del segno sul mercato, nello stesso settore di attività del titolare del marchio, mediante la commercializzazione dei medesimi prodotti immessi sul mercato da aziende di diversi imprenditori. Nel merchandising, invece, il titolare che ha portato all’affermazione di un marchio concede ad un altro imprenditore la facoltà di farne un uso ulteriore (secondario), in un campo totalmente diverso da quello iniziale, per prodotti totalmente diversi da quelli per cui il marchio ha acquisito successo, allo scopo di espandere merceologicamente la presenza del segno sul mercato.

Si tratta di un contratto a prestazioni corrispettive a titolo oneroso: a fronte della cessione in uso del diritto allo sfruttamento del marchio da parte del concedente (merchandisor), viene versato a suo favore un compenso proporzionale al volume di fatturato registrato dal concessionario (merchandisee), vale a dire le royalties. Talvolta è prevista una royalty forfettaria fissa, svincolata dai volumi di vendita (c.d. flat-fee). Generalmente si usa prevedere un misto, ossia una royalty a percentuale accompagnata da compensi minimi annuali garantiti al titolare per tutelarlo da eventuali fatturati insoddisfacenti.

Gravano su entrambe le parti del contratto di merchandising obblighi di rispetto di predeterminati standard qualitativi. Sul licenziatario preme l’obbligo di assicurare che i propri prodotti siano qualitativamente conformi a quelli del concedente e di garantire un sistema distributivo efficiente. Il licenziante, d’altro canto, deve occuparsi di quanto concerne la manutenzione del prestigio del marchio mediante adeguate campagne pubblicitarie e tempestivi interventi avverso eventuali fenomeni contraffattivi.

Nell’oggetto del contratto deve essere specificato per la produzione di quali beni viene concesso l’uso del marchio; inoltre, il titolare del segno licenziato si riserva generalmente il diritto di approvare gli oggetti prodotti dal licenziatario tramite accertamenti del loro livello qualitativo – è prassi riservarsi l’approvazione anche sui canali o su specifiche modalità di vendita – al fine di mantenere il controllo sul processo produttivo dei beni contrassegnati, in modo da proteggere integrità e valore del marchio.

A tal proposito, non è infrequente che il titolare del marchio esprima dei principi a cui il merchandisee deve attenersi, attraverso la redazione di veri e propri manuali di corporate identity, in cui si stabilisce l’uso dei colori, del font, dei loghi, degli abbinamenti cromatici, il design dei beni, i loro materiali o il loro packaging. Le parti debbono concordare, altresì, se il licenziatario debba limitarsi alla sola produzione dei beni o se, invece, possa dedicarsi anche alla distribuzione dei prodotti – nel qual caso occorre delimitare la sfera territoriale entro cui quest’ultimo può venderli – così come bisogna preventivamente autorizzare l’eventuale possibilità di sublicenziare il marchio ad aziende terze, sotto la responsabilità del merchandisee.

È possibile, nonché nella pratica molto frequente, prevedere un’esclusiva reciproca: al licenziante non è consentito concedere l’utilizzo del marchio a un terzo, concorrente del licenziatario, mentre a quest’ultimo è fatto divieto di acquisire il diritto all’uso di segni di imprese concorrenti con quella del licenziante.

Il merchandisor assume peraltro l’obbligo di intraprendere tutte le iniziative necessarie o utili per mantenere il marchio in una condizione tale di permettere al merchandisee lo sfruttamento pattuito contrattualmente, risultando prudente, di norma, prevedere all’interno del regolamento contrattuale un programma di difesa del marchio licenziato.

Fondamentale l’obbligo, posto in capo al merchandisor, di garantire al merchandisee che il marchio avuto in concessione mantenga le medesime caratteristiche di prestigio e attrattività che aveva al momento della pattuizione contrattuale, affinché quest’ultimo, per tutta la durata del negozio, possa sfruttarlo nelle migliori condizioni.

Tale garanzia implica l’obbligo di provvedere alla difesa del marchio licenziato nei confronti di eventuali contraffattori e imitatori, il cui uso abusivo inficerebbe notevolmente le suddette qualità. Ciò andrebbe a frustrare il cospicuo investimento effettuato dal licenziatario per ottenere la licenza, il quale si troverebbe di fronte non solo un numero imprevisto di competitors – i quali tra l’altro venderanno la merce a un prezzo irrisorio non avendo dovuto sopportare alcun costo di licenza –, ma anche ad una diminuzione del carattere elitario del segno stesso.

D’altra parte anche il merchandisee ha tra i suoi obblighi quello di impegnarsi per la tutela del prestigio e della forza attrattiva del marchio nel suo mercato di riferimento, rispettando le sue precise modalità di utilizzo, osservando i determinati standard qualitativi dei prodotti, immettendoli sul mercato tramite canali di vendita adeguati al livello qualitativo dell’azienda titolare del marchio, come ad esempio delle boutique, ottenendo l’approvazione preventiva del licenziante per effettuare campagne pubblicitarie e/o promozionali, ed infine rispettando prezzi di vendita minimi.

L’obbligo principale del licenziante è la concessione della facoltà di utilizzare industrialmente o commercialmente il proprio bene immateriale. Ad essa, tuttavia, si accompagna di regola l’obbligo corollario di intraprendere tutte le iniziative necessarie o utili al fine di mantenere il marchio in una condizione tale da permettere al merchandisee lo sfruttamento pattuito nel regolamento negoziale (tra cui la presentazione delle domande di rinnovo dei marchi la cui protezione dovesse eventualmente giungere a scadenza nel periodo di vigenza dell’accordo, il pagamento delle tasse annuali di mantenimento, la contestazione di eventuali contese di terzi come di qualsiasi contraffazione o usurpazione del marchio stesso, etc).

In proposito, spesso nei contratti di merchandising sono previste clausole specifiche comprendenti, ad esempio, la previsione generale che ciascun contraente è tenuto a fornire tempestiva comunicazione all’altra parte di ogni violazione commessa da terzi, la regolamentazione delle modalità per intraprendere e coltivare le azioni a difesa del marchio, etc. In particolare, spetta alle parti stesse disciplinare se tali azioni competano autonomamente a ciascuna di esse, o se debbano essere esercitate congiuntamente oppure ancora se soltanto il merchandisee debba provvedere in prima persona alla difesa del marchio licenziato: salvo diversa pattuizione, tuttavia, generalmente il solo merchandisor ad essere legittimato a decidere se e che tipo di azione esperire in giudizio a tutela del marchio.

Se siete interessati a scaricare un modello di contratto di licenza di uso di marchio, inviate una mail al seguente indirizzo: info@studio-pandolfini.it.

Si evidenzia che il modello non è gratuito. Per informazioni sul costo, inviate una mail al seguente indirizzo: info@studio-pandolfini.it

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Avv. Valerio Pandolfini

Avvocato Contrattualistica d’Impresa

 

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Le informazioni contenute in questo articolo sono da considerarsi sino alla data di pubblicazione dello stesso; le norme regolatrici la materia potrebbero essere nel frattempo state modificate. 
Le informazioni contenute nel presente articolo hanno carattere generale e non sono da considerarsi un esame esaustivo né intendono esprimere un parere o fornire una consulenza di natura legale. Le considerazioni e opinioni riportate nell’articolo non prescindono dalla necessità di ottenere pareri specifici con riguardo alle singole fattispecie. 
Di conseguenza, il presente articolo non costituisce un (né può essere altrimenti interpretato quale) parere legale, né può in alcun modo considerarsi come sostitutivo di una consulenza legale specifica. 

Tags: Contratti Commerciali
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https://assistenza-legale-imprese.it/wp-content/uploads/2020/10/contratto-di-licenza-di-marchio-licensing-clausole-tipiche.jpg 666 1000 Valerio Pandolfini https://assistenza-legale-imprese.it/wp-content/uploads/2020/09/assistenza-legale-imprese-pandolfini-logo-2.png Valerio Pandolfini2024-09-09 09:24:422025-03-11 13:40:20Il contratto di licenza di uso del marchio e il merchandising
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