Covid-19 e locazione/affitto di azienda: il punto su riduzione e rinegoziazione dei canoni dopo 1 anno di pandemia e le possibili strategie dei conduttori/affittuari
Le misure adottate dal Governo e dalle Regioni per il contenimento dell’epidemia da Covid-19 a partire dal marzo 2020 hanno avuto un enorme impatto sulle attività di impresa, in particolare su quelle esercitate tramite contratti di locazione commerciale o di affitto di azienda. Numerose imprese, titolari di contratti di locazione o di affitto di azienda, hanno dovuto subìre una sospensione delle attività commerciali e industriali per diversi mesi, con conseguente impossibilità di utilizzare i locali utilizzati per l’esercizio dell’impresa e drastico calo di redditività, e si sono quindi improvvisamente trovate in difficoltà nel pagamento dei canoni di locazione e di affitto di azienda. Facciamo il punto della situazione alla luce delle pronunce della giurisprudenza finora intervenute, a distanza di oltre un anno dall’inizio dell’epidemia Covid-19, suggerendo alcune strategie giuridiche di tutela a disposizione dei conduttori e affittuari di azienda.
1. L’impatto della pandemia sui contratti di locazione commerciale e di affitto di azienda
Come è ben noto, le misure straordinarie adottate dal Governo e dalle Regioni per il contenimento dell’epidemia da Covid-19 a partire dal marzo 2020 hanno avuto un enorme impatto sulle attività di impresa, in particolare su quelle esercitate tramite contratti di locazione commerciale o di affitto di azienda.
Lo tsunami epidemico ha infatti direttamente colpito moltissime imprese, le quali hanno subìto:
- la sospensione delle attività commerciali e industriali per diversi mesi, con conseguente impossibilità di utilizzare i locali utilizzati per l’esercizio dell’impresa, molto spesso in base a contratti di locazione commerciale o affitto di azienda;
- un drastico calo di redditività, derivante dalla sensibile e generale flessione dei consumi, dei maggiori costi e delle limitazioni operative derivanti dall’adozione delle misure di sicurezza che le imprese hanno dovuto adottare (si pensi, per fare un semplice esempio, alla riduzione dei coperti negli esercizi di somministrazione al pubblico di alimenti e bevande per effetto delle misure di distanziamento sociale).
Numerose imprese, titolari di contratti di locazione o di affitto di azienda , si sono quindi improvvisamente trovate in difficoltà nel pagamento dei canoni di locazione e di affitto di azienda. Ci siamo già soffermati su questo argomento, che resta di grande attualità. In questo contributo facciamo il punto della situazione alla luce delle pronunce della giurisprudenza finora intervenute, a distanza di oltre un anno dall’inizio dell’epidemia Covid-19, suggerendo alcune strategie giuridiche di tutela a disposizione dei conduttori e affittuari di azienda.
2. La (mancata) risposta del legislatore
A fronte di tale drammatica situazione, in cui si sono venute improvvisamente a trovare centinaia di migliaia di imprese conduttrici di immobili o affittuarie di azienda, la risposta del legislatore è stata parziale e del tutto insoddisfacente.
Nonostante che l’emergenza sanitaria che ha investito il Paese nell’ultimo anno e mezzo abbia avuto un impatto sugli operatori non molto dissimile da quello realizzatosi con la Seconda Guerra Mondiale, il legislatore ha deciso di non adottare soluzioni generali quali la liberazione dagli obblighi per effetto di una causa di forza maggiore, come invece ebbe luogo in tale occasione.
Invero, al di là delle agevolazioni fiscali previste dall’art. 65 del DL n. 18/2020 (cd. Decreto “Cura Italia”), reiterate ed estese dai decreti successivi (DL n. 34/2020, “Decreto Rilancio”), DL n. 137/2020 “Decreto Ristori”, DL n. 149/2020, “Decreto Ristori bis”, DL n. 154/2020, “Decreto Ristori ter” e dei contributi previsti dal DL n. 41/2021, “Decreto Sostegni”, e dal DL n. 73/2021, Decreto Sostegni bis”- che, pur avendo l’effetto di mitigare la situazione di difficoltà dei conduttori/affittuari, non sono certo risolutive, se non altro perché in ogni caso presuppongono il pagamento dei canoni – il legislatore non è infatti intervenuto con norme generali che prevedessero una rideterminazione dei canoni di locazione o di affitto di azienda, se si eccettua la norma di cui all’art. art. 216, comma 3 del Decreto Rilancio, che ha previsto una riduzione dei canoni locatizi per soli conduttori di impianti sportivi privati.
D’altra parte, è sostanzialmente inapplicabile al caso in esame la norma di cui all’art. 3, comma 6-bis del D.L. n. 6/2020, modificato dal successivo D.L. n. 18/2020 (Decreto “Cura Italia”) , secondo cui “il rispetto delle misure di contenimento è sempre valutata ai fini dell’esclusione, ai sensi e per gli effetti degli articoli 1218 e 1223 c.c., della responsabilità del debitore, anche relativamente all’applicazione di eventuali decadenze o penali connesse a ritardati o omessi adempimenti”.
Tale norma infatti, oltre a presentarsi di assai incerta interpretazione, data l’infelice formulazione, non si applica ai casi in cui le imprese sono tenute all’adempimento di obbligazioni pecuniarie (quali appunto quelle consistenti nel pagamento del canone di locazione o di affitto di azienda), dato il principio generale – non scalfito dalla norma in questione – in base al quale l’obbligo di pagare una somma di denaro non diviene mai impossibile per il debitore, neppure in caso di circostanze eccezionali o di forza maggiore.
In altri termini, è principio consolidato che il concetto di impossibilità della prestazione non comprende la c.d. impotenza finanziaria, anche se determinata da forza maggiore.
3. L’inadeguatezza dei rimedi del Codice civile
Non essendo state previste norme speciali da applicarsi alla situazione straordinaria creatasi per effetto della pandemia, le norme applicabili a questa situazione straordinaria sono quelle, ordinarie e generali, previste dal Codice civile, e quelle, specifiche, previste dalla L. n. 392/78 sulle locazioni commerciali.
Tuttavia, tali norme risultano per lo più inadeguate a venire incontro alle concrete esigenze delle imprese.
Il Codice civile prevede infatti rimedi – si pensi in particolare alla risoluzione per impossibilità sopravvenuta ai sensi degli artt. 1256 e 1463 c.c., o per eccessiva onerosità sopravvenuta, ai sensi dell’art. 1467 c.c. – che, pur applicabili alla situazione attuale – atteso che l’evento pandemico rappresenta senz’altro una situazione imprevedibile e di portata tale da alterare l’equilibrio contrattuale – danno luogo allo scioglimento definitivo del contratto.
Viceversa, le imprese hanno generalmente l’interesse a mantenere in essere il rapporto contrattuale, rivedendone temporaneamente le condizioni – per quanto attiene in particolare alle condizioni di pagamento – in attesa che la fase emergenziale, e più in generale il periodo di crisi economico-finanziaria ad esso conseguente, cessino.
4. Le norme sui contratti di locazione
Non vi è dubbio che l’epidemia e i provvedimenti volti al suo contenimento rappresentano eventi imprevedibili ed inevitabili, e dunque tali da rendere l’inadempimento impossibile e non imputabile alla parte inadempiente. Le previsioni dei vari DPCM che hanno sospeso l’esercizio delle attività commerciali costituiscono infatti un c.d. “factum principis”, ovvero un provvedimento dell’autorità che incide in modo inevitabile e radicale sulla realizzabilità dei contratti.
Tuttavia, con riferimento ai contratti di locazione commerciale, i divieti imposti dai DPCM – a differenza, come si vedrà, dall’affitto di azienda– non incidono sulla prestazione principale del locatore, ovvero la messa a disposizione di locali idonei all’uso consentito in base al contratto, in quanto non hanno alcuna attinenza all’immobile in cui si svolge l’attività, alle sue caratteristiche o alla sua idoneità all’uso pattuito. Tali divieti incidono, piuttosto, direttamente od indirettamente sull’attività svolta dal conduttore, indipendentemente dalla prestazione del locatore. Inoltre, come si è visto, la chiusura temporanea dell’attività non è tale da rendere impossibile la prestazione principale del conduttore, consistente nel pagamento del canone di locazione.
Nonostante dunque l’indisponibilità dei locali per effetto delle misure di contenimento dell’epidemia, il conduttore non può semplicemente astenersi dal versare il canone, né ridurlo unilateralmente rispetto all’importo contrattualmente convenuto. Secondo la giurisprudenza prevalente, infatti, l’autoriduzione del canone da parte del conduttore è un fatto arbitrario ed illegittimo; neppure l’art. 1578 c.c., comma 1, c.c. – che prevede la possibilità del conduttore di chiedere la risoluzione del contratto o la riduzione del corrispettivo in presenza di un inadempimento del locatore, consistente in un vizio della cosa locata che ne diminuisca l’idoneità all’uso pattuito – facoltizza il conduttore di operare detta autoriduzione.
D’altra parte, nel caso di specie, il mancato godimento dei locali oggetto di locazione non è certo ricollegabile ad alcun inadempimento del locatore (come invece presuppone la norma di cui all’art. 1578 c.c), bensì deriva da una causa di forza maggiore, sub specie di factum principis, e dunque non legittima in alcun modo il conduttore a sospendere o ridurre il canone di locazione, neppure avvalendosi dell’eccezione di inadempimento ex art. 1460 c.c..
5. Le norme sui contratti di affitto di azienda
Nei casi in cui la fruizione dell’immobile avvenga in forza di un più ampio assetto tra le parti, ovvero quale rapporto inerente un ramo aziendale oggetto di un contratto di affitto di ramo d’azienda, la situazione è in parte diversa sotto il profilo giuridico.
Come è noto, con il contratto di affitto del ramo d’azienda, una parte, proprietaria di un ramo aziendale, concede in affitto all’altra una porzione della propria attività imprenditoriale dotata di sufficiente autonomia da poter essere distaccata dall’insieme degli altri rapporti che al medesimo fanno capo. Costituiscono parte integrante di un ramo d’azienda, nella normalità dei casi, il personale addetto all’esercizio dell’azienda, i beni mobili e le scorte di magazzino, i rapporti contrattuali con fornitori di qualsiasi genere ed il rapporto di locazione che delimita l’ambito di esercizio dell’attività e che condiziona il successo dell’attività medesima, e conseguentemente l’entità del canone di affitto.
In ambito «retail», l’affitto del ramo di azienda costituisce la più diffusa modalità di accesso ai locali ad esempio di un Centro Commerciale; il proprietario del Centro infatti destina – già dalla fase di realizzazione dell’immobile – aree del medesimo all’esercizio di determinate attività, acquisendo le relative licenze. In tal caso, il canone di affitto non costituisce dunque il corrispettivo dell’utilizzo non solo dei locali, ma di un più ampio complesso di beni e rapporti.
L’impossibilità dell’affittuario di utilizzare i locali causa della sospensione forzosa dell’attività incide direttamente, rendendola di fatto impossibile, sulla prestazione principale dell’affittante – che consente appunto nella messa a disposizione di un complesso di beni e rapporti per lo svolgimento di un’attività d’impresa – facendo venire meno la capacità dell’azienda concessa in affitto a produrre reddito. Pertanto, i provvedimenti governativi legati all’emergenza Covid-19 hanno impedito l’utilizzo dell’azienda oggetto del contratto di affitto, incidendo sull’utilità funzionale della prestazione dell’affittante e facendo venire meno lo scopo primario del contratto.
In caso di affitto di azienda, dunque, l’affittuario ha maggiori possibilità di ottenere una riduzione del canone di affitto – e dunque maggiore forza contrattuale, nell’ottica del raggiungimento di un accordo di rinegoziazione dei canoni – potendo addurre l’inutilizzabilità della prestazione dell’affittante in quanto l’insieme di rapporti di natura economica di cui si compone l’azienda risulta irrealizzabile.
Del resto, il Codice civile prevede una norma specifica in tema di affitto di azienda, l’art. 1623 c.c, il quale prevede che l’affittuario può chiedere una riduzione dei canoni qualora, in conseguenza di provvedimenti dell’autorità, il rapporto contrattuale risulti notevolmente modificato.
Inoltre, proprio per le peculiarità dell’affitto di azienda ora indicate, l’affittuario potrebbe fare ricorso – con maggiore possibilità di successo rispetto al locatario – alle norme generali del Codice civile, quali:
- l’art. 1460 c.c., che consente ad una parte di sospendere l’adempimento della propria obbligazione (in questo caso il pagamento dei canoni) in caso di inadempimento dell’altra parte (in questo caso la mancata messa a disposizione dei locali da parte del proprietario);
- l’art. 1464 c.c., che consente a una parte (in questo caso l’affittuario) di chiedere la riduzione della propria prestazione (in questo caso il pagamento del canone d’affitto) in caso di impossibilità parziale della prestazione (in questo caso la fruizione ridotta dell’azienda).
6. L’obbligo di rinegoziazione
In questo quadro, la strada maestra per riequilibrare le prestazioni contrattuali intaccate dall’evento epidemico è certamente quella della rinegoziazione delle condizioni contrattuali. Ma questa strada non può essere affidata solo all’iniziativa privata, dato che locatore e conduttore hanno interessi contrapposti, e che il primo generalmente si trova in una posizione di maggior forza contrattuale.
D’altra parte, nella prassi dei contratti di locazione (e di affitto di azienda) sono (o meglio erano, prima dell’epidemia) rare le clausole che regolamentano ipotesi di forza maggiore, e altrettanto rare quelle che prevedono la revisione del contratto (tramite adeguamento o rinegoziazione) al verificarsi di determinate sopravvenienze esterne.
Sorge quindi la domanda: esiste il diritto dei conduttori di immobili commerciali e degli affittuari di azienda – e il relativo obbligo in capo ai locatori e proprietari – a fronte della sopravvenienza epidemica di rinegoziare i canoni originariamente previsti? In altri termini: è configurabile un obbligo di rinegoziazione dei rapporti contrattuali interessati dall’impatto dell’epidemia Coronavirus?
A questa domanda, la Cassazione ha fornito una risposta positiva, nella Relazione n. 56 dell’8 luglio 2020, che abbiamo già commentato.
Nella Relazione – che ha ad oggetto i contratti aziendali in generale, ma incentra l’attenzione in particolare sui contratti di locazione commerciale e di affitto di azienda – la Cassazione ha affermato l’esistenza di un vero e proprio obbligo giuridico della parte avvantaggiata dalla sopravvenienza epidemica – in questo caso i locatori e i proprietari di azienda – a rinegoziare il contenuto del contratto – in particolare l’ammontare del canone – in modo da mantenere in essere il contratto, a condizioni diverse. Tale obbligo deriva dal principio di buona fede oggettiva in fase di esecuzione del contratto, ai sensi dell’art. 1375 c.c., che ha valore di ordine pubblico e che a sua volta si collega al dovere inderogabile di solidarietà di cui all’art. 2 della Costituzione.
Dunque, qualora le prestazioni contrattuali siano divenute squilibrate per effetto di un evento esterno incontrollabile – quale è stato sicuramente il Coronavirus – le parti devono rinegoziare il contenuto del contratto, in modo da adeguarlo alle mutate circostanze.
Occorre, peraltro segnalare che non tutta la giurisprudenza sembra essersi allinearsi ai principi espressi dalla Cassazione (tra l’altro non in una sentenza ma in pur autorevole intervento quale la Relazione a cura dell’Ufficio del massimario), come si vedrà in seguito.
7. L’inadempimento del dovere di rinegoziazione: quali conseguenze?
Ma cosa significa obbligo di rinegoziare, e quali sono le conseguenze nel caso in cui tale obbligo non sia adempiuto?
Nella Relazione, la Cassazione evidenzia – correttamente – che non è configurabile un obbligo di risultato, ovvero un obbligo di concludere in modo positivo le trattative in modo da raggiungere un contratto modificativo del precedente; ciò in quanto non può essere chiesto ad un contraente “di acconsentire ad ogni pretesa della parte svantaggiata o di addivenire in ogni caso alla conclusione del contratto”, fino al punto di “subire un apprezzabile sacrificio, personale o economico”.
Il dovere di cooperazione del contraente avvantaggiato dalla sopravvenienza implica invece che lo stesso deve iniziare la trattativa e condurla in buona fede, proponendo “soluzioni riequilibrative che possano ritenersi eque e accettabili alla luce dell’economia del contratto”, con atteggiamento quindi costruttivo e non ostruzionistico.
Se dunque il proprietario dei locali o dell’azienda inizia una trattativa con il conduttore/affittuario e la conduce in buona fede, ma le parti non raggiungono un accordo, l’obbligo di rinegoziare può comunque ritenersi assolto e il proprietario non può ritenersi inadempiente, sotto il profilo della conformità del suo comportamento al principio di buona fede.
Proviamo a fare un semplice esempio (ben consapevoli che la realtà dei rapporti contrattuali è molto complessa e variegata, e quindi occorre analizzare caso per caso la singola situazione): se il proprietario dei locali offrisse una riduzione dei canoni del 40% per il periodo di chiusura forzata, il conduttore/affittuario rifiutasse la proposta chiedendo una riduzione del 60%, e non si raggiungesse una mediazione, il proprietario con ogni probabilità non potrebbe essere considerato inadempiente all’obbligo di rinegoziare.
Anzi, sotto questo profilo, il fatto che il conduttore/affittuario abbia rifiutato la proposta del proprietario (che, nell’esempio di cui sopra, pur non essendo per lui totalmente soddisfacente non può certamente considerarsi incongrua, e comunque non contraria a buona fede) potrebbe esporlo a conseguenze negative nell’eventuale successivo contenzioso, come meglio si dirà dopo.
Se invece lo stesso proprietario si rifiutasse di intavolare le trattative con il conduttore/affittuario, oppure, pur iniziandole, le svolgesse in modo “malizioso”, senza cioè una seria intenzione di addivenire alla modifica del contratto originario, si renderebbe inadempiente nei confronti dell’altra parte. Nell’esempio di cui sopra, ciò probabilmente accadrebbe se il proprietario proponesse una riduzione dei canoni solo in misura del 10 o del 20%.
Ma quali sono le conseguenze in tal caso? Cosa accade cioè se il locatore/proprietario, di fronte alla richiesta del conduttore/affittuario di rivedere l’importo del canone a causa della pandemia, si rifiutasse di prendere in considerazione tale richiesta, oppure intraprendesse una trattativa non seria, di mera facciata, facendo dunque fallire la trattativa stessa?
Secondo la Cassazione, in tal caso il contraente svantaggiato – quindi nel nostro caso il conduttore/affittuario – avrebbe certamente a disposizione il rimedio del risarcimento del danno; potrebbe cioè adire l’autorità giudiziaria chiedendo di essere risarcito dei danni subìti per effetto del rifiuto del proprietario di rinegoziare. Tale rimedio è tuttavia scarsamente efficace, in quanto presuppone comunque che i canoni siano stati pagati regolarmente al proprietario, e interverrebbe comunque a distanza di molto tempo, quando la sua situazione si è magari aggravata fino a divenire irrecuperabile.
Vi è poi un altro rimedio, in teoria più efficace, a disposizione del conduttore/affittuario (sempre compatibilmente con i tempi della giustizia): chiedere al Giudice, di pronunciare una sentenza costitutiva dell’obbligo di rinegoziare, ai sensi dell’art. 2932 c.c. Ottenere cioè che il Giudice si sostituisca alla parte inadempiente, rimodulando con sentenza il contenuto del contratto originario (e quindi, ad esempio, riducendo il canone).
A tal fine, il Giudice dovrà verificare se la richiesta del conduttore/affittuario di riduzione del canone – sia equa, ovvero proporzionata al mancato godimento dei locali nel periodo di chiusura forzata dell’attività e/o al calo di fatturato e ai maggiori costi da sostenere, e decidere di conseguenza.
Ciò tuttavia sarà consentito al Giudice, ad avviso della Cassazione, solo se “sia possibile, nel caso di specie, predeterminare l’esito puntuale cui sono finalizzate le trattative”. In altri termini, il Giudice potrà rideterminare le nuove condizioni contrattuali solo qualora i criteri per tale rideterminazione siano stati già individuati dalle parti stesse nel testo originario del contratto, o comunque emergano dalla trattativa non andata a buon fine. In altri termini, affinché il Giudice possa intervenire modificando direttamente i termini del contratto occorre che sia possibile, nel singolo caso, predeterminare l’esito delle trattative; ciò per evitare che la discrezionalità del Giudice sfoci nell’arbitrio. Ipotesi che, evidentemente, non si verificherà spesso.
8. Il panorama giurisprudenziale
Dall’inizio della pandemia, i giudici hanno avuto varie volte occasione di occuparsi della situazione in cui sono venuti a trovarsi conduttori e affittuari di azienda per effetto dei provvedimenti restrittivi e della conseguente impossibilità di utilizzare i locali in cui viene esercitata l’impresa, pronunciandosi di volta in volta sulle diverse richieste avanzate dai conduttori/affittuari stessi o dai proprietari.
Il panorama che ne emerge è molto variegato e frammentato; le soluzioni adottate dai Giudici sono state finora molto differenziate tra loro e talvolta opposte. Siamo quindi ancora ben lontani dall’assistere ad un orientamento giurisprudenziale univoco, anche perché le diverse pronunce appaiono in gran parte legate a valutazioni dei singoli casi concreti sottoposti al vaglio del Giudice. Analizziamo di seguito brevemente le decisioni finora adottate dalla giurisprudenza, suddividendole per comodità in tre macro aree:
- pronunce emesse in seguito a una domanda di sfratto per morosità depositata dai proprietari;
- pronunce emesse in seguito a una domanda di riduzione dei canoni avanzata dai conduttori/affittuari;
- pronunce emesse in seguito a una domanda (cautelare d’urgenza, ai sensi dell’art. 700 C.p.c.) avanzata dai conduttori/affittuari di blocco dell’escussione di fidejussioni/garanzie autonome/assegni/cambiali rilasciate a garanzia del pagamento dei canoni.
In alcune di tali pronunce è stato poi analizzato, incidentalmente e in modo generalmente alquanto sommario, il tema della rinegoziazione dei canoni.
8.1 Pronunce sullo sfratto per morosità
Con riferimento alle pronunce intervenute sulle domande di sfratto per morosità avanzate dai proprietari, diverse pronunce hanno ritenuto di negare l’ordinanza provvisoria di rilascio ai sensi dell’art. 665 C.p.c., ravvisando nella pandemia i gravi motivi che ne giustificano la mancata emissione, pur in presenza di morosità anche gravi. In questo senso si sono pronunciati:
- Tribunale di Napoli, ordinanza del 15 luglio 2020;
- Tribunale di Catania, ordinanza del 30 luglio 2020;
- Tribunale di Firenze, ordinanze del 27 gennaio 2021, 15 febbraio 2021 e 2 marzo 2021;
- Tribunale di Milano, ordinanza del 21.10.2020;
- Tribunale di Modena, ordinanza del 15 febbraio 2021.
In questi casi, i Giudici hanno respinto la richiesta di rilascio degli immobili avanzata dai proprietari e disposto il mutamento del procedimento per convalida di sfratto in processo di cognizione piena avente ad oggetto l’accertamento della risoluzione del contratto, previo esperimento del tentativo di mediazione obbligatoria.
Altre pronunce hanno invece accolto la domanda di sfratto per morosità avanzata dai proprietari, respingendo le eccezioni dei conduttori/affittuari e dichiarando la risoluzione per inadempimento del contratto. In questo senso si è pronunciato ad esempio:
- Tribunale di Roma, sentenza del 19 febbraio 2021
8.2 Pronunce sulle domande di riduzione del canone
Con riferimento alle domande di riduzione del canone avanzate dai conduttori/affittuari, alcuni Giudici hanno valorizzato l’art. 1464 del Codice Civile, riconoscendo in favore dei conduttori/affittuari una riduzione del canone limitatamente ai periodi di lockdown, ritenuto causa dell’impossibilità parziale della prestazione (del proprietario). Si è infatti ritenuto che i divieti introdotti dalle misure di contenimento abbiano provocato l’impossibilità per i conduttori/affittuari di destinare i locali all’uso convenuto nel contratto, facendo così venire meno la funzione economica del contratto stesso. In questo senso si sono espressi:
- Tribunale di Bari, sentenza del 9 giugno 2020;
- Tribunale di Roma, ordinanze del 29 maggio 2020 e 27 agosto 2020;
- Tribunale di Venezia, sentenza del 30 settembre 2020;
- Tribunale di Milano, sentenza del 20 maggio 2021.
Qualche pronuncia è pervenuta a tale risultato facendo applicazione analogica delle norme del Decreto Rilancio che hanno previsto la riduzione del canone per alcune categorie di conduttori; la giurisprudenza prevalente tende tuttavia ad escludere tale possibilità, ritenendo che tali norme possono applicarsi tassativamente ai soli casi individuati dal legislatore, e traendo anzi da tale ragionamento conferma circa l’impossibilità di pervenire alla riduzione dei canoni.
Al contempo, i Giudici hanno per lo più ritenuto che, pur essendo indubbio che gli effetti dell’adozione delle misure di contenimento possano generare, direttamente o indirettamente, una difficoltà economica (o una crisi di liquidità) dei conduttori/affittuari, il pagamento di una somma di denaro (quale è il canone locatizio) non potrà mai risultare obiettivamente e assolutamente impossibile; per cui in questo senso non risulta applicabile al caso in esame l’art. 3, comma 6-bis del D.L. n. 6/2020. In tal senso si sono espressi tra gli altri:
- Tribunale di Bologna, ordinanza dell’11 maggio 2020;
- Tribunale di Roma, sentenza del 19 febbraio 2021.
Non mancano tuttavia pronunce di segno opposto, che hanno ritenuti dovuti i canoni di locazione nell’intero ammontare in ragione del fatto che non vi è alcuna norma che legittimi la sospensione dei pagamenti. In tal senso si sono pronunciati:
- Tribunale di Pordenone, ordinanza dell’8 luglio 2020;
- Tribunale di Torino, sentenza del 2 luglio 2020;
- Tribunale di Pisa, ordinanza del 30 giugno 2020.
8.3 Pronunce sui ricorsi cautelari per bloccare l’escussione delle garanzie
Un filone giurisprudenziale abbastanza nutrito ha avuto infine ad oggetto i provvedimenti cautelari d’urgenza ai sensi dell’art. 700 C.p.c. richiesti dai conduttori/affittuari per impedire l’escussione da parte dei proprietari delle garanzie/assegni/cambiali a suo tempo emessi a fronte dell’obbligo di pagamento dei canoni di locazione.
Diverse sentenze hanno, con varie ragioni, accolto le istanze dei conduttori/affittuari, ordinando, a seconda dei casi, alle banche di non pagare le fidejussioni o garanzie autonome emesse a garanzia dei canoni di locazione non corrisposti, o ai proprietari di non mettere all’incasso gli assegni/cambiali a suo tempo rilasciati dai conduttori/affittuari. In tal senso si sono espressi, tra gli altri:
- Tribunale di Venezia, ordinanza del 14 aprile 2020;
- Tribunale di Bologna, ordinanze dell’11 maggio 2020 (che abbiamo già analizzato qui, 12 maggio 2020 e 4 giugno 2020);
- Tribunale di Rimini, ordinanza del 25 maggio 2020;
- Tribunale di Genova, ordinanza dell’1 giugno 2020;
- Tribunale di Roma, ordinanza del 27 ottobre 2020.
Anche in questo caso non mancano pronunce di segno opposto, che hanno respinto le domande cautelari avanzate dai conduttori/affittuari; come ad esempio nelle seguenti pronunce:
- Tribunale di Roma, ordinanza del 29 maggio 2020
- Tribunale di Biella, ordinanza del 27 marzo 2021.
8.4 Pronunce sull’obbligo di rinegoziazione
Come accennato, nell’ambito di questi filoni giurisprudenziali alcuni Giudici si sono espressi anche circa l’esistenza di un obbligo di rinegoziare i canoni. Alcune pronunce, conformandosi a quanto espresso dalla Cassazione nella menzionata Relazione, hanno ritenuto l’esistenza di tale obbligo, sia alla luce del principio di buona fede e correttezza e/o dei doveri di solidarietà di cui all’art. 2 Cost., che in base ai poteri equitativi concessi al giudice dall’art. 1374 c.c., rimodulando direttamente il canone o invitando il proprietario a formulare una proposta di rinegoziazione del canone nel periodo di lockdown. In questo senso si sono espressi:
- Tribunale Venezia, ordinanza del 16 novembre 2020;
- Tribunale di Milano, ordinanza del 21 ottobre 2020;
- Tribunale Roma, ordinanza del 27 agosto 2020
Più in generale, il comportamento delle parti nello svolgimento delle trattative volte a una possibile rinegoziazione dei canoni – e quindi, l’atteggiamento propositivo dei conduttori/affittuari e la disponibilità mostrata dai proprietari – è stato spesso valorizzato dai Giudici, in quanto ritenuto elemento importante ai fini della concessione del provvedimento richiesto, alla luce del principio di buona fede.
Altri Giudici invece si sono espressi in senso contrario, negando – contrariamente a quanto ritenuto dalla Cassazione nella menzionata Relazione – l’esistenza di un dovere di rinegoziazione dei contratti divenuti svantaggiosi per una delle parti, ancorché in conseguenza di eventi eccezionali e imprevedibili (come la Pandemia), non essendo consentito al Giudice – né in base ai doveri di correttezza e buona fede nell’esecuzione del contratto né in base al dovere di solidarietà sociale di cui all’art. 2 Cost. – di modificare le pattuizioni liberamente concordate dalle parti nell’esercizio della loro autonomia contrattuale. In tal senso si è altresì evidenziato che quando il legislatore ha voluto introdurre la possibilità (e comunque non l’obbligo) di rinegoziare le condizioni economiche di un contratto ovvero ridurre a determinate categorie di imprenditori i canoni di locazione lo ha detto espressamente, come nei casi dei concessionari di impianti sportivi pubblici e dei conduttori in locazione di palestre, piscine ed impianti sportivi privati; anche per tale motivo quindi un tale dovere in via generale non sussisterebbe. In tal senso si sono espressi:
- Tribunale di Roma, sentenza del 19 febbraio 2021;
- Tribunale di Biella, ordinanza del 27 marzo 2021.
9. La possibile strategia processuale dei conduttori/affittuari
Alla luce del quadro ora delineato, delineiamo la strategia giuridica più opportuna a disposizione dei conduttori/affittuari di azienda; tenuto conto che le considerazioni che seguono sono necessariamente generali, essendo invece imprescindibile, ai fini della valutazione della soluzione più opportuna da adottare, una valutazione del singolo caso concreto, dato che gli effetti economici negativi prodotti dalla pandemia possono manifestarsi in forma molto variegata, in ragione del settore dell’attività svolta dalla singola impresa, della tipologia di clientela, dei canali di vendita utilizzati, e così via.
Anzitutto, quale che sia la strategia che il conduttore/affittuario decida di perseguire, è opportuno che questi avanzi al proprietario una richiesta di rinegoziare il contratto, chiedendo una riduzione del canone proporzionata al mancato godimento dello stesso per tutto il periodo di chiusura dell’attività, e/o al calo di fatturato.
Tale richiesta deve essere seria, ovvero congrua – in relazione alle circostanze del singolo caso concreto – e il più possibile dettagliata; la richiesta di riduzione del canone deve essere infatti attentamente parametrate all’entità del pregiudizio effettivamente subìto, e/o all’effettivo calo di introiti e alle maggiori spese sostenute per effetto dell’emergenza pandemica, come nel modello che potete visionare qui.
Anche qualora la richiesta di rinegoziazione non vada in porto, e quindi anche se non si raggiunga un accordo tra le parti, la condotta del conduttore/affittuario verrà positivamente valutata dal Giudice in un secondo momento, mentre il rifiuto del proprietario verrà negativamente valutato. Come si visto in precedenza, infatti, molte pronunce hanno motivato la concessione di provvedimenti favorevoli al conduttore/affittuario sulla base del tentativo di rinegoziazione posto in essere in buona fede dal conduttore, e rifiutato dal proprietario.
9.1 Attendere l’iniziativa processuale del proprietario
Fallito il tentativo di rinegoziazione con il proprietario, qualora il conduttore/affittuario non intenda o non possa provvedere al pagamento del canone nella sua interezza, non resta che la strada del contenzioso. A questo punto, si aprono due diverse possibilità per il conduttore/affittuario:
- attendere l’iniziativa processuale del proprietario (previa autoriduzione del canone)
- proporre un contenzioso nei confronti del proprietario.
Nel primo caso, i conduttori/affittuari, si potrebbero astenere, in tutto o in parte, dal versare il canone e attendere l’iniziativa dei proprietari (che verosimilmente non tarderà ad arrivare), iniziativa che di tradurrà verosimilmente nelle seguenti domande:
- decreto ingiuntivo per il pagamento dei canoni arretrati;
- sfratto per morosità (nel caso dei contratti di locazione) o domanda di risoluzione del contratto (nel cado dei contratti di affitto di azienda).
Nel primo caso, il conduttore/affittuario potrebbe attendere il decreto ingiuntivo e proporre opposizione (instaurando così una causa ordinaria), sostenendo di non aver potuto assolvere al pagamento dei canoni a causa del lockdown imposto per far fronte all’emergenza pandemica.
Nel secondo caso, il conduttore potrebbe proporre un’opposizione allo sfratto per morosità promosso dal proprietario, mentre l’affittuario potrebbe opporsi alla richiesta di risoluzione del contratto.
Orbene, ribadendo che per decidere la strategia più opportuna occorre in ogni caso valutare le specificità di ogni caso concreto, sotto un profilo generale la strategia “passiva” o “attendista” può essere a nostro avviso rischiosa, e quindi non consigliabile.
Per quanto attiene al decreto ingiuntivo, anzitutto è possibile che questo sia già immediatamente esecutivo, rendendo possibile al proprietario agìre direttamente in via esecutiva tramite pignoramento anche in pendenza del giudizio di opposizione (per cui l’opposizione non varrebbe a sospendere/rinviare il pagamento dei canoni). In secondo luogo, è possibile che il Giudice dell’opposizione pronunci la provvisoria esecuzione del decreto in corso di causa, dopo la prima udienza, qualora ritenga che l’opposizione non sia fondata su prova scritta o di facile soluzione.
Per quanto attiene alla procedura di sfratto per morosità, se è vero che, come si esposto, alcune pronunce hanno accolto l’opposizione dei conduttori/affittuari e respinto le richieste di sfratto per morosità avanzate dai proprietari, occorre considerare che:
- in primo luogo, ciò non sempre è avvenuto (nel senso che altri Giudici hanno invece accolto la domanda dei proprietari, convalidando lo sfratto);
- in secondo luogo, quando i Giudici hanno accolto le istanze dei conduttori/affittuari, ciò è per lo più avvenuto quando i conduttori/affittuari: a) avevano chiesto la rinegoziazione del canone in buona fede e misura congrua, e i proprietari non avevano accolto tale richiesta; b) avevano comunque corrisposto almeno parte dei canoni.
Dunque, in ogni caso i conduttori/affittuari, se scelgono di attendere l’iniziativa processuale dei proprietari, dovrebbero comunque avere seriamente tentato la rinegoziazione dei canoni e avere comunque pagato una congrua parte di essi.
Occorre inoltre considerare che, qualora il pagamento dei canoni sia garantito da fidejussioni/garanzie autonome/assegni/cambiali rilasciate in favore dei proprietari, questi ultimi escuteranno certamente la garanzia (a prescindere da altre iniziative processuali); pertanto, in questo caso l’inerzia dei conduttori/affittuari non produce alcun risultato utile.
9.2 Attivarsi per chiedere al Giudice lo scioglimento del rapporto
Dunque, in linea generale è opportuno che sia il conduttore/affittuario a prendere l’iniziativa e adìre l’autorità giudiziaria per primo, precedendo il proprietario. A questo punto si aprono due scenari, a seconda che il conduttore/affittuario abbia interesse a sciogliere il contratto, oppure (come avverrà nella maggioranza dei casi) a mantenerlo, sia pure a condizioni diverse.
Il primo obiettivo è facilmente raggiungibile, e il conduttore/affittuario ha a disposizione varie soluzioni.
Anzitutto, potrebbe esercitare il recesso ai sensi dell’art. 27 ult. co. L. n. 392/78 – comunicandolo al proprietario con preavviso di 6 mesi – in quanto l’emergenza in atto può certamente considerarsi come un “grave motivo” previsto da tale norma quale giustificazione del recesso, trattandosi di un evento imprevedibile e indipendente dalla volontà, tale da causare forti ripercussioni economiche negative.
In alternativa, il conduttore/affittuario potrebbe chiedere la risoluzione del contratto di locazione per impossibilità sopravvenuta della prestazione, ai sensi degli artt. 1256 e e 1463 c.c. Non vi è infatti dubbio che i provvedimenti volti a contrastare l’epidemia configurano un caso di forza maggiore, rientrando in particolare nella fattispecie del c.d. factum principis, ovvero di un provvedimento emesso dalla pubblica autorità, imprevedibile, idoneo a incidere sulla realizzabilità del contratto.
Infine, il conduttore/affittuario potrebbe chiedere – sempre esercitando un’azione giudiziale – la risoluzione del contratto per eccessiva onerosità sopravvenuta, ai sensi dell’art. 1467 c.c., in quanto l’evento pandemico integra senz’altro un fatto sopravvenuto straordinario, del tutto imprevisto e imprevedibile, e tale da comportare una sostanziale alterazione dell’equilibrio contrattuale. In tal caso, di fronte alla domanda di risoluzione avanzata dal conduttore, il locatore potrebbe evitare lo scioglimento del rapporto, offrendosi di ricondurre ad equità la misura del canone. Ma questa è un’opzione rimessa al solo proprietario.
In questi due ultimi casi, peraltro, il conduttore dovrà, prima di adire l’autorità giudiziaria, esperire un tentativo di mediazione, come si vedrà subito.
9.3 La mediazione obbligatoria
Ipotizzando, invece, che il conduttore/affittuario abbia interesse a mantenere in essere il contratto, ottenendo una riduzione del canone, per raggiungere questo risultato è possibile proporre una domanda al Giudice. Prima di tale passo è tuttavia necessario – con riferimento ai contratti di locazione – e comunque opportuno – con riferimento ai contratti di affitto di azienda – esperire un tentativo di mediazione presso un organismo di mediazione accreditato.
Infatti, per quanto attiene ai contratti di locazione, la mediazione rappresenta una condizione di procedibilità della domanda giudiziale, ai sensi del D.lgs. n. 28/2010, e dunque tale tentativo deve essere obbligatoriamente effettuato prima di adire l’autorità giudiziaria.
Chi per primo deposita la domanda di mediazione (e dunque in questo caso il locatore), sceglie il mediatore e la sede dell’organismo di mediazione, il quale nel termine massimo di quattro mesi deve esperire la relativa procedura. La mediazione potrà avere due potenziali esiti:
- esito positivo (accordo amichevole);
- esito negativo (per mancato accordo amichevole): in tal caso, il mediatore può comunque formulare una proposta di conciliazione (anche in caso di mancata partecipazione di una o più parti al procedimento di mediazione) e deve comunque formularla, in qualunque momento del procedimento, se le parti gliene fanno concorde richiesta; in tal caso, il mediatore indica la proposta inoltrata e le ragioni del mancato accordo.
Per i contratti di affitto di azienda, invece, la mediazione non è obbligatoria, ma è comunque opportuna. Nella domanda di mediazione – che dovrà essere redatta in modo molto preciso e dettagliato – l’affittuario infatti può riproporre in altra sede – ovvero davanti a un mediatore – il tentativo di rinegoziazione che era stato in precedenza già effettuato direttamente ed inutilmente con il proprietario; ma questa volta vi sono astrattamente maggiori possibilità che si raggiunga tra le parti un accordo, in quanto:
- la trattativa viene svolta non direttamente dalle parti (e/o dai rispettivi legali) ma da un mediatore professionale, dotato di specifica preparazione professionale ed esperienza, il quale potrà utilizzare specifiche tecniche e skills per facilitare il raggiungimento di un accordo;
- l’accordo potrà avere un più ampio e articolato contenuto rispetto alla mera riduzione del canone, riguardando altri aspetti attinenti al rapporto contrattuale (scadenza del contratto, scadenza dei pagamenti, stralcio dei debiti pregressi, garanzie etc.) o anche diversi assetti contrattuali tra le parti; dunque i margini di intervento del mediatore sono maggiori.
Ad esempio, in un caso di mediazione che ho recentemente seguito, un affittuario di azienda deteneva locali ad uso ristorazione, in località turistica, con un contratto che prevede il pagamento di un canone di Euro 5.000,00 mensili. L’affittuario chiedeva una riduzione dei canoni, in quanto i locali erano stati chiusi da marzo a maggio 2020, e dopo la riapertura, potevano contenere circa il 50% dei clienti rispetto a prima; inoltre, l’affittuario lamentava maggiori costi per le misure di sicurezza e un calo di clienti. D’altra parte, il proprietario si opponeva alla richiesta di riduzione, anche perché traeva dal canone buona parte dei suoi redditi.
In questo caso il mediatore, dopo avere verificato la sussistenza delle condizioni per il credito d’imposta previste dal Decreto Rilancio, ha proposto (con successo) il seguente accordo modificativo:
- cessione al proprietario del credito di imposta del 30% relativo ai canoni marzo-maggio 2020, con contemporanea decurtazione dei canoni in pari misura e pagamento del residuo in 6 rate mensili a partire da luglio 2020;
- decurtazione dei canoni da giugno a dicembre 2020 come segue:
-50% per il mese di giugno, con pagamento a settembre 2020;
– 40% per i mesi di luglio e agosto, con pagamento a ottobre/novembre 2020;
– 30% per i mesi di settembre e ottobre, con pagamento a dicembre/gennaio 2020;
– 20% per i mesi di novembre e dicembre, con pagamento a febbraio 2020;
- ripristino del pagamento del canone intero a partire dal mese di gennaio 2021, con pagamenti a partire dal mese di marzo 2021, salvo verifica della situazione economica/giuridica entro dicembre 2020.
9.4 Attivarsi per chiedere al Giudice la riduzione del canone
Fallito il tentativo di mediazione, il conduttore/affittuario potrà adìre l’autorità giudiziaria per chiedere la riduzione del canone, sulla base di diverse motivazioni giuridiche, quali in particolare:
- l’art. 1464 c.c., che come si è visto prevede la riduzione del corrispettivo in caso di impossibilità parziale della prestazione; a tal fine il conduttore/affittuario potrebbe assumere che l’epidemia e relativi provvedimenti contenitivi abbiano reso la prestazione del locatore/affittuario impossibile, ancorché solo parzialmente (dato che i locali, sebbene non utilizzabili, mantengono generalmente una qualche utilità residua, ad esempio come deposito), in modo da ottenere una riduzione del canone proporzionata alla parte della controprestazione non utilizzata.
- l’art. 1623 c.c., che come si è visto prevede, in tema di affitto di azienda, che può essere chiesta una riduzione dei canoni qualora, in conseguenza di provvedimenti dell’autorità, il rapporto contrattuale risulti notevolmente modificato.
- l’art. 3, comma 6-bis del D.L. n. 6/2020, assimilando il lockdown a un’ipotesi di impossibilità oggettiva sopravvenuta della prestazione ai sensi dell’art. 1256 del Codice Civile (anche se, come si è detto in precedenza, tale norma in realtà non riguarda le obbligazioni a carattere pecuniario, come appunto il pagamento del canone).
- l’applicazione analogica delle menzionate norme del Decreto Rilancio che hanno disposto la riduzione del canone per le locazioni di immobili adibiti a palestre, piscine e impianti sportivi da privati (anche, se, come si è visto, la giurisprudenza tende ad escludere tale possibilità, ritenendo che tali norme possono applicarsi tassativamente ai soli casi individuati dal legislatore).
In ogni caso, occorrerà che il conduttore/affittuario:
- dimostri con precisione sia i giorni di chiusura dell’attività aziendale sia soprattutto il calo di fatturato subìto in tale periodo;
- chieda una riduzione dei canoni parametrata alle effettive limitazioni legali all’esercizio di impresa vigenti “tempo per tempo”;
- dia conto, a corredo della domanda, del precedente tentativo di rinegoziazione fallito (nonostante la buona fede del conduttore/affittuario) e della precedente domanda di mediazione.
9.5 Il blocco dell’escussione delle garanzie
Qualora, infine, siano state rilasciate fidejussioni/garanzie autonome/assegni/cambiali a garanzia del pagamento del canone, occorrerà procedere con un procedimento cautelare urgente ai sensi dell’art. 700 C.p.c. per cercare di impedire ai proprietari l’escussione della garanzia.
A tal fine, occorrerà dimostrare l’esistenza dei due presupposti per il provvedimento cautelare, ovvero:
- il fumus boni juris, in questo caso costituito dalla impossibilità di usufruire dei locali oggetto di locazione/affitto di azienda e del conseguente diritto del locatario/affittuario ad una riduzione/sospensione del pagamento dei canoni (anche in questo caso è rilevante l’atteggiamento pregresso delle parti nella trattativa sulla rinegoziazione);
- il periculum in mora, in questo caso costituito dal pregiudizio irreparabile che del locatario/affittuario verrebbe a subìre in caso di escussione della garanzia, in considerazione della propria situazione finanziaria.
Su questo tema, l’Avv. Valerio Pandolfini condurrà un legal talk, gratuito, il 14 giugno 2021 alle 14.30, dal titolo: “Rinegoziazione del canone di locazione e di affitto d’azienda a seguito della pandemia Covid 19”.
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Avv. Valerio Pandolfini
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