La postergazione dei finanziamenti dei soci
L’art. 2467 c.c., dettato in tema di S.r.l., prevede che i crediti da finanziamenti concessi dai soci in favore della società sono postergati rispetto alla soddisfazione degli altri creditori terzi. Tale effetto non riguarda indistintamente tutti i finanziamenti erogati dai soci, ma solo quelli eseguiti in una condizione di eccessivo squilibrio dell’indebitamento rispetto al patrimonio netto, oppure in una situazione finanziaria della società nella quale sarebbe stato ragionevole attendersi un conferimento.
Il Codice della crisi e dell’insolvenza ha fornito nuovi spunti interpretativi in merito ai presupposti applicativi dell’art. 2467 c.c. ed ha altresì introdotto una disciplina differenziata per i finanziamenti dei soci nell’ambito delle procedure concorsuali.
1. La ratio della norma di cui all’art. 2467 c.c.
In linea generale, per il socio di una società di capitali il finanziamento è più conveniente rispetto alla ricapitalizzazione; non solo perché è meno costoso, più informale e veloce rispetto all’aumento di capitale, ma anche perché gli consente di trasferire almeno parzialmente il rischio d’impresa sui creditori, con i quali concorre nell’esercizio del diritto di credito che dal finanziamento deriva, per di più partendo da un punto di osservazione privilegiato, in quanto il socio dispone di una conoscenza approfondita delle dinamiche societarie rispetto ai creditori.
Ed infatti, se ai sensi dell’art. 2476, comma 2, c.c., anche i soci che non esercitano poteri di amministrazione hanno diritto di avere dagli amministratori notizie sullo svolgimento degli affari sociali e di consultare, anche tramite professionisti di loro fiducia, i libri sociali ed i documenti relativi all’amministrazione (si veda il relativo articolo di approfondimento), è evidente quindi che essi possono valutare il merito creditizio dell’azienda sulla scorta di elementi che al resto dei finanziatori sono sconosciuti.
Con l’art. 2467 c.c. – dettato in tema di S.r.l. – il legislatore ha inteso introdurre un sistema di contrappesi volto a “moralizzare” il finanziamento dell’impresa e scongiurare operazioni di ricapitalizzazione societaria in contrasto con il principio della par condicio creditorum, prevedendo, al comma 1, la postergazione dei crediti da finanziamenti concessi dai soci in favore della società. Tale effetto non riguarda, peraltro, indistintamente tutti i finanziamenti erogati dai soci, ma solo quelli eseguiti in una condizione di eccessivo squilibrio dell’indebitamento rispetto al patrimonio netto, oppure in una situazione finanziaria della società nella quale sarebbe stato ragionevole attendersi un conferimento, come si vedrà in seguito (v. par. 6).
L’originario comma 1 dell’art. 2467 c.c. prevedeva inoltre l’obbligo di restituzione del rimborso dei finanziamenti, se avvenuto nell’anno precedente la dichiarazione di fallimento della società. Tale previsione è stata abrogata dal D.lgs. n. 14/2019 (Codice della Crisi di Impresa e dell’Insolvenza, “CCII”) – entrato in vigore, per effetto del D.lgs. n. 83/2022, il 15 luglio 2022 – che lo ha sostituito con la norma di cui all’art. 164, comma 2, CCII, come si vedrà in seguito (v. par.9).
La norma disciplina il fenomeno della c.d. “sottocapitalizzazione nominale”, ovvero della prassi, largamente utilizzata dai soci di società di capitali soprattutto a ristretta compagine sociale, di finanziare l’impresa apportando capitale di rischio senza una formale imputazione a capitale sociale, o addirittura ricorrendo allo schema negoziale del capitale di credito, che permette al socio finanziatore di esigerne la restituzione prima dello scioglimento della società.
L’ampia flessibilità concessa ai soci nella pianificazione delle proprie scelte finanziarie trova un limite nella necessità di tutela dei terzi finanziatori, onde evitare che la scelta dei soci si trasformi in abuso nei confronti di costoro. La situazione di sottocapitalizzazione è infatti pericolosa per i creditori sociali, dato che attraverso i prestiti alla società (sottocapitalizzata) i soci precostituiscono un titolo in sede fallimentare per collocare i propri crediti al medesimo grado di quelli degli altri creditori, sovvertendo così il principio secondo cui nelle società il rischio del socio è postergato a quello dei creditori sociali.
Tale situazione può verificarsi sia in fase di start up se la società è sottocapitalizzata (perché i soci hanno preferito finanziarla anziché conferire capitale di rischio) e quindi v’è il pericolo che il rischio di impresa sia trasferito sui terzi creditori, sia successivamente, quando, a fronte di perdite, i soci, anziché conferire capitale come sarebbe “ragionevole”, effettuino finanziamenti, aumentando l’indebitamento e concorrendo, quindi, con i creditori terzi (su cui verrebbe trasferito il rischio di impresa in situazione di “crisi”), proseguendo l’attività sociale in danno di questi ultimi, che, “normalmente” in una tale situazione non sarebbero disponibili ad erogare finanziamenti.
Per tutelare dunque i creditori sociali nei confronti dei soci che abbiano di fatto abusato della personalità giuridica della società, l’art. 2467 c.c. sanziona il comportamento del socio che, conoscendo o potendo conoscere lo stato di crisi della società, ha sostenuto economicamente la stessa con mezzi non ragionevoli e non adeguati, e cioè non attraverso attribuzioni incrementative del patrimonio (quindi non implicanti un obbligo di restituzione), ma con ulteriore indebitamento della società, aggravandone lo squilibrio patrimoniale, disponendo appunto che il rimborso dei finanziamento dei soci alla società è postergato rispetto alla soddisfazione degli altri creditori.
Occorre tuttavia evidenziare che l’art. 8 del D.L. 8 Aprile 2020, n. 23 (Decreto Liquidità) ha disposto che ai finanziamenti effettuati a favore delle società dalla data di entrata in vigore del Decreto (9 aprile 2020) e sino alla data del 31 dicembre 2020 non si applicano gli artt. 2467 e 2497 quinquies c.c.
Si tratta di una misura emergenziale tesa ad attenuare gli effetti della pandemia Covid-19 sulla situazione economico-finanziaria delle imprese. Come esposto, la norma di cui all’art. 2467 c.c. (così come quella, come si vedrà, di cui all’art. 2497 quinquies c.c.) risponde alla ratio di disincentivare la sottocapitalizzazione delle imprese attuata mediante il ricorso ai finanziamenti soci; tuttavia, in una situazione emergenziale quale quella risultante a seguito della pandemia da Covid-19, il legislatore ha previsto il temporaneo congelamento di tali previsioni, in modo da incentivare i canali necessari per assicurare l’adeguato finanziamento delle imprese, indipendentemente dalla relativa forma giuridica.
Di conseguenza, i crediti da finanziamento erogati (in situazioni di eccessivo squilibrio tra indebitamento e patrimonio netto ovvero in cui sarebbe stato ragionevole effettuare un conferimento) entro il 31 dicembre 2020 non sono postergati, né sono inefficaci i rimborsi in favore del socio, ove eseguiti entro l’anno che precede la dichiarazione di fallimento.
2. La nozione di “finanziamenti” ai sensi dell’art. 2647 c.c.
Costituiscono ”finanziamenti”, ai sensi dell’art. 2467 c.c., quelli “in qualsiasi forma effettuati, che sono stati concessi in un momento in cui, anche in considerazione del tipo di attività esercitata dalla società, risulta un eccessivo squilibrio dell’indebitamento rispetto al patrimonio netto oppure in una situazione finanziaria della società nella quale sarebbe stato ragionevole un conferimento.
La nozione di finanziamento di cui all’art. 2467 c.c. abbraccia qualsiasi operazione volta a trasferire alla società una somma di danaro, ovvero a concedergliene la disponibilità, con obbligo di restituzione. La norma infatti, con funzione antielusiva, si riferisce a tutte le concessioni di finanziamenti “in qualsiasi forma effettuati”, comprendendo quindi tutte le operazioni che hanno come fine, direttamente o indirettamente, il trasferimento o la messa a disposizione della società di una somma di denaro, con l’obbligo di rimborso.
Rientrano quindi nell’ambito applicativo della norma in esame, oltre ai contratti tipicamente creditizi (mutuo, apertura di credito, anticipazione bancaria, sconto, prestito obbligazionario,etc.), anche tutte le operazioni che, a prescindere dalla forma tecnica con la quale è stato concesso il credito, hanno comunque funzione di finanziamento, quali il leasing finanziario, il lease back e la vendita con patto di retrocessione a termine, anche se effettuati per interposta persona, attraverso simulazione o ricorso ad un fiduciario.
È controverso se la postergazione operi anche in caso di mancata riscossione di un credito certo, liquido ed esigibile (derivante, ad esempio, da un contratto di godimento di beni), tramite mera inerzia del socio, o in caso di dilazione di pagamento.
La giurisprudenza prevalente sembra orientata a ritenere che i crediti derivanti da precedenti rapporti commerciali (ad esempio, vendita di un cespite, fornitura di merci alla società) ovvero quelli dovuti a titolo di compenso per prestazioni d’opera o di servizi, o anche i dividendi per cui sia stata deliberata la distribuzione, per quanto non ascrivibili alla categoria dei “finanziamenti”, possano essere riqualificati come tali non solo quando, divenuti esigibili, il socio concordi una dilazione, ma anche quando semplicemente ometta di riscuoterli per un rilevante periodo di tempo.
In particolare, la giurisprudenza ha ritenuto che la fornitura di merci, in esclusiva e per un lungo periodo di tempo, accompagnata dalla sistematica ed abnorme dilazione di pagamento, senza previsione di garanzie, in palese contrasto con la prassi del settore, integri la nozione di finanziamento ai sensi dell’art. 2467 c.c. – con conseguente assoggettamento alla relativa disciplina – trattandosi in tal caso di un finanziamento anomalo o sostitutivo del capitale, dato che nessun altro creditore sul mercato del credito lo avrebbe mai concesso, e comunque non a tali condizioni.
Rientrano altresì nella portata applicativa dell’art. 2467 c.c. anche le operazioni in cui il socio, anziché concedere il finanziamento si renda garante del medesimo, assumendo la veste di fideiussore, nonché le ipotesi di garanzia reale concessa dal socio al fine di ottenere un finanziamento a favore della società da parte di un istituto di credito, le quali anch’esse configurano una forma di finanziamento indiretto del socio. Infatti, pur non sussistendo una movimentazione materiale di denaro dalle disponibilità del socio a quelle della società all’atto della prestazione della garanzia, nel momento in cui il debito non viene onorato dalla società il creditore può rivolgersi direttamente al socio garante, e il pagamento eseguito da costui nei confronti dell’istituto di credito che ha erogato il finanziamento costituisce di fatto l’esecuzione materiale della promessa di finanziamento alla società sorta con la concessione di garanzia contestuale alla stipulazione del contratto di mutuo.
Non rientrano invece nel campo applicativo dell’art. 2467 c.c. i versamenti dei soci con natura di conferimenti di patrimonio, in quanto in tal caso non si realizza una lesione della posizione degli altri creditori sociali, non venendo violato il principio della par condicio creditorum. Infatti, il versamento è acquisito al patrimonio della società come mezzo proprio, e pertanto non aggrava la situazione di “eccessivo squilibrio dell’indebitamento rispetto al patrimonio netto”, anzi la rende meno pesante (aumentando il patrimonio netto).
Secondo la tesi prevalente, non rientrano altresì nell’ambito applicativo della norma di cui all’art. 2467 c.c. i finanziamenti effettuati mediante sottoscrizione di un prestito obbligazionario.Secondo la tesi prevalente infine è consentito al socio di compensare il proprio credito da rimborso di finanziamento con il debito verso la società per la sottoscrizione dell’aumento di capitale e relativo versamento, non operando in tal caso la norma di cui all’art. 2467 c.c. in quanto nel contesto di un aumento di capitale l’apporto del socio ha luogo attraverso sottoscrizione di capitale di rischio. Qualora tuttavia il finanziamento sia postergato, essendo il credito da rimborso non esigibile, si rientra nell’ipotesi di compensazione volontaria ed è quindi necessaria autorizzazione della società.
3. La qualifica di socio finanziatore
La norma di cui all’art. 2467 c.c. si applica a qualsiasi socio di S.r.l., senza distinguere se questi sia persona fisica o persona giuridica e neppure in funzione della sua percentuale di partecipazione.
La disciplina di cui all’art. 2467 c.c. si applica qualora il finanziamento provenga da un soggetto avente la qualifica di socio nel momento in cui il finanziamento viene erogato, essendo irrilevante sia la successiva perdita che il successivo acquisto di tale qualità.
La giurisprudenza prevalente ritiene infatti che l’assoggettamento di finanziamenti soci alla disciplina legale della postergazione non venga automaticamente meno in conseguenza della successiva fuoriuscita del socio finanziatore dalla compagine sociale, dato che la disciplina di cui all’art. 2467 c.c. è posta a salvaguardia delle aspettative del ceto creditorio, e su questa non possono incidere le vicende successive e soggettive del socio mutuante, altrimenti la norma si presterebbe a facili elusioni in danno di creditori e dei terzi.
Qualora dunque il socio finanziatore ceda la propria partecipazione, egli resta creditore della società, e permane la postergazione del credito.
La norma si applica anche nel caso in cui un soggetto che abbia in precedenza finanziato la società divenga successivamente socio, acquistando una partecipazione sociale.
In caso invece di finanziamento condizionato all’acquisto della qualità di socio, l’esistenza di un collegamento negoziale tra le due operazioni non è invece sufficiente a rendere applicabile l’art. 2467 c.c., poiché la ratio della norma è quella di rimediare all’indebito utilizzo delle informazioni da parte del socio, il quale decida di finanziare la società laddove avrebbe dovuto ricapitalizzarla, così sgravandosi dai rischi d’impresa connessi alla ricapitalizzazione.
La norma in esame non si applica neppure qualora il finanziamento rappresenta il “corrispettivo” dell’assunzione della qualità di socio, il quale si determina ad entrare nella società in quanto ha ricevuto tutte quelle informazioni cui avrebbe avuto diritto se fosse stato socio, in quanto il finanziatore ha chiesto ed ottenuto le informazioni che ha reputato necessarie per orientare il suo business (e che in ipotesi avrebbero potuto coincidere con quelle autonomamente acquisibili quale socio) nell’ambito delle ordinarie dinamiche della contrattazione, sicché l’applicazione o la disapplicazione della disciplina codicistica non può costituire il precipitato della maggiore o minore diligenza o perizia con cui la parte ha valutato la convenienza economica dell’affare.
Parimenti, l’art. 2467 c.c. non si applica nel caso in cui, stipulato il contratto di finanziamento e di contestuale acquisto della qualità di socio, questo venga materialmente eseguito nel momento in cui si è già assunta la veste di socio, o anche in caso di contratto preliminare di finanziamento, il cui contratto definitivo sopraggiunge all’ingresso nella compagine sociale. Ciò in quanto la spendita dell’autonomia negoziale (ovvero l’obbligo di eseguire il finanziamento) è avvenuta in un momento in cui il finanziatore non era socio, a meno che non si possa ritenere, in via interpretativa, che costui si sia riservato la possibilità di decidere, successivamente all’acquisto della qualità di socio, se eseguire o meno un finanziamento, in forza di pattuizioni riconducibili ad un preliminare unilaterale o ad un patto di opzione.
Secondo la tesi prevalente, la disciplina in oggetto si applica anche ai finanziamenti erogati da soggetti terzi, strettamente legati a un socio della società finanziata (si pensi ad es. ad un prestito – o una dilazione di pagamento – concesso a favore della società Alfa – controllata in egual misura dai due soci, Tizio e Caio – da parte della società Beta, le cui quote sono interamente detenute da Caio). Si ritiene infatti che la norma di cui all’art. 2467 c.c. rivesta carattere generale dell’ordinamento, essendo applicabile a qualunque soggetto si trovi in una relazione tale con la società da beneficiare di asimmetrie informative rispetto ad un normale terzo creditore, al di là della specifica qualificazione di socio.
Secondo l’opinione prevalente, l’art. 2467 c.c. si applica anche ai finanziamenti infragruppo, ovvero:
- ai finanziamenti c.d. “discendenti” (downstream), posti in essere da parte di società controllanti
- verso società controllate;
- ai finanziamenti da parte di società assoggettate al medesimo controllo (cross stream);
- ai finanziamenti c.d. “ascendenti” (upstream), erogati dalle società assoggettate a direzione e coordinamento a favore della holding.
Essendo infatti la norma espressione di un principio generale, di ordine pubblico economico, circa il corretto finanziamento delle società di capitali, si ritiene debba essere postergato il credito per il finanziamento da parte di qualsiasi soggetto inserito in modo stabile nella struttura del gruppo, in quanto si presume che fra soggetti appartenenti al medesimo agglomerato societario i finanziatori godano di un vantaggio informativo anche solo potenziale, rispetto alle condizioni della società finanziata.
4. La cessione del credito avente ad oggetto il rimborso del finanziamento
In caso di cessione del credito avente ad oggetto il rimborso del finanziamento, occorre distinguere due ipotesi:
- la cessione del credito da finanziamento erogato dal socio;
- la cessione al socio del credito erogato alla società da un soggetto estraneo alla compagine sociale.
Nella prima situazione, si ritiene che il credito resti postergato (e, se rimborsato entro l’anno, sia suscettibile di essere ripetuto dal curatore). I diritti del cessionario cedono quindi alle esigenze di ordine pubblico cui è sottesa la norma in esame.
Quando invece il diritto al rimborso è incorporato in un titolo di credito, la disciplina dell’art. 2467 c.c. non è applicabile, trattandosi di un’eccezione personale al socio che non può essere fatta valere contro l’acquirente del titolo di credito, se non avvalendosi dell’exceptio doli.
Nell’ipotesi invece della cessione in favore del socio del credito da finanziamento erogato da soggetto estraneo alla compagine sociale, si ritiene che il credito non diventi postergabile, in quanto elemento decisivo ai fini della postergazione è che il credito provenga dal soggetto che rivesta formalmente la posizione di socio (fermo restando quanto precisato a proposito del socio garante).
5. Come opera la postergazione ai sensi dell’art. 2467 c.c.
Secondo l’opinione prevalente, la postergazione legale prevista dalla norma in esame opera come una condizione sospensiva dell’esigibilità del credito del socio. Di conseguenza, la società è tenuta a rifiutare al socio il rimborso del finanziamento, in presenza della situazione di cui all’art. 2467 c.c., ove esistente al momento della richiesta di rimborso, che è compito degli amministratori riscontrare.
Secondo la giurisprudenza prevalente, infatti, la norma di cui all’art. 2467 c.c. stabilisce un principio di inesigibilità legale e temporanea del diritto di credito avente ad oggetto il rimborso dei finanziamenti anomali concessi dai soci, che perdura fino a quando non sia superata la situazione di difficoltà economico-finanziaria della società.
Ciò impone agli amministratori un costante dovere di monitoraggio dello stato di salute della società, tanto all’atto della concessione del finanziamento, quanto successivamente, ed in particolare in prossimità della scadenza del rimborso, dovendo gli amministratori rifiutarsi di procedere all’estinzione del debito finanziario, pur contrattualmente scaduto, nel caso in cui la situazione di squilibrio di cui al secondo comma dell’art. 2467 c.c. perduri a tale data.
Il socio finanziatore può invece pretendere dalla società il rimborso anche prima che tutti i creditori beneficiari della postergazione siano stati soddisfatti, se la società ha superato la situazione di difficoltà economico-finanziaria che aveva reso anomalo il finanziamento. Infatti, ai fini dell’operatività della postergazione legale, tale condizione di crisi, presente al momento dell’erogazione del finanziamento deve persistere fino al momento della richiesta di restituzione del finanziamento da parte del socio.
Un eventuale successivo miglioramento dell’equilibrio economico della società fa quindi venire meno l’applicazione della regola della postergazione, venendo meno le ragioni di protezione dei creditori dal rischio di mancata soddisfazione del credito dagli stessi vantato. Un’applicazione illimitata dell’art. 2467 c.c. scongiurerebbe altrimenti qualsiasi tipo di sostegno finanziario del socio alla società in difficoltà, in quanto anche in caso di riuscito risanamento, il socio finanziatore vedrebbe il suo rimborso sempre inesigibile.
L’onere della prova dell’esistenza e persistenza della causa di inesigibilità del credito da restituzione del finanziamento vantato dal socio grava sulla società debitrice, trattandosi di un fatto impeditivo del diritto del socio finanziatore ad ottenere la restituzione del prestito.
Tuttavia, diversamente da quanto accade per la restituzione dei conferimenti – che è vietata in assoluto – il rimborso del finanziamento al socio, in una situazione in cui operi il principio della postergazione legale ex art. 2467 c.c., è comunque valido – anche se il relativo credito vantato dal socio era inesigibile – con conseguente estinzione del relativo debito della società (salva l’applicazione dell’art. 164 CCII in caso di successiva apertura di una procedura concorsuale: v. par. 9.
Pertanto, qualora venga effettuato il rimborso dei finanziamenti ai soci in spregio del principio di postergazione legale, gli amministratori sono responsabili nei confronti dei creditori sociali e della società, ai sensi degli artt. 2393 e 2394 c.c., qualora per effetto di tale rimborso si sia prodotto un danno patrimoniale alla società stessa; danno che non è cagionato automaticamente dal pagamento del credito postergato in sé – poiché esso produce la corrispondente estinzione di una posta passiva dello stato patrimoniale – ma che deve essere dimostrato dal creditore (o dalla società), come nel caso in cui, ad esempio, si sia prodotto in conseguenza della mancanza di fondi un mancato guadagno per la perdita di un affare.
In particolare, per quanto concerne la responsabilità degli amministratori nei confronti dei creditori sociali, un inopportuno rimborso di un finanziamento ai soci, qualora non consentisse alla società di soddisfare regolarmente le proprie obbligazioni, porterebbe infauste conseguenze alla società, fino a giungere, nei casi più gravi, ad una situazione di insolvenza. Allo stesso modo, gli amministratori sarebbero responsabili nei confronti della società, la quale, in conseguenza di una restituzione indebita e pregiudizievole delle legittime pretese dei terzi, potrebbe subire azioni di recupero crediti da parte dei creditori non soddisfatti, fino alla presentazione di una richiesta di fallimento (rectius liquidazione giudiziale).
L’indebita restituzione da parte degli amministratori di finanziamenti postergati dei soci potrebbe altresì avere rilevanza penale, integrando gli estremi del reato di bancarotta fraudolenta per distrazione.
Gli amministratori possono dunque trovarsi in una situazione assai difficile, dal momento che, da un lato, la società potrebbe essere tenuta, in virtù del contratto di finanziamento stipulato con i soci, al rimborso ad una certa data e, dall’altro, potrebbero sussistere dubbi in ordine all’esistenza dei presupposti indicati dall’art. 2467 c.c., non essendo sempre agevole verificare se il finanziamento sia stato concesso in una situazione anomala e si sia possibile, nonostante il rimborso, soddisfare regolarmente gli altri creditori. Né gli amministratori possono superare tale situazione di difficile valutazione, rivolgendosi ai soci o all’assemblea, sia perché in ogni caso sarebbero pur sempre responsabili, sia perché i soci potrebbero trovarsi in situazioni di conflitto di interessi, dovendo decidere in ordine al rimborso dei finanziamenti a loro favore o a favore di alcuni di essi. La restituzione di un finanziamento può quindi generare responsabilità in capo agli amministratori qualora sia stata eseguita nella consapevolezza che il patrimonio esistente al momento del pagamento del debito non era sufficiente a soddisfare anche tutti gli altri creditori; consapevolezza che gli amministratori devono avere, poiché l’art. 2086, comma secondo c.c. (aggiunto dall’art. 375, comma 2, CCII) obbliga la società a dotarsi di un assetto organizzativo, amministrativo e contabile capace di rilevare tempestivamente situazioni di crisi dell’impresa, ed ad attivarsi senza indugio per il superamento della crisi (attraverso uno degli strumenti previsti dall’ordinamento), e per il recupero della continuità aziendale.
In altri termini, la predisposizione di assetti di tipo contabile ai sensi dell’art. 2086 comma 2 c.c. devono consentire agli amministratori di fotografare la situazione economico-patrimoniale e finanziaria della società, non soltanto, staticamente, al momento della concessione del finanziamento, ma, altresì, dinamicamente, all’avvicinarsi del rimborso ed alle sue conseguenze sulla capacità dell’impresa di soddisfare regolarmente le (altre) obbligazioni pianificate, consentendo, in tal modo, agli stessi di rifiutare il rimborso dei finanziamenti qualora permanga la situazione di squilibrio finanziario della società.
Analogamente, gli amministratori dovranno negare (o, comunque, posticipare) il rimborso di quei finanziamenti dei soci concessi originariamente in condizioni fisiologiche, ma giunti a scadenza in sopravvenute situazioni critiche per la società
Qualora, d’altra parte, dai controlli periodici sulla situazione finanziaria della società risulti che, al momento in cui i finanziamenti – nati anomali dalla soggezione alla postergazione – giungano a scadenza, la società abbia raggiunto una situazione di equilibrio finanziario, tali finanziamenti potranno essere rimborsati ai soci.
6. I presupposti della postergazione
L’art. 2467, comma due c.c., subordina l’operatività della postergazione e della inefficacia dei rimborsi al ricorrere di due condizioni, le quali devono sussistere nel momento in cui il finanziamento viene erogato . La regola della postergazione del rimborso del finanziamento soci non opera infatti automaticamente, ma solo quando i finanziamenti siano stati effettuati in un momento in cui:
- anche in considerazione del tipo di attività esercitata dalla società, risulti un eccessivo squilibrio dell’indebitamento rispetto al patrimonio netto; oppure
- nella concreta situazione finanziaria della società sarebbe stato più ragionevole un conferimento.
Il legislatore ha utilizzato una formulazione volutamente ampia ed elastica, dettata della estrema eterogeneità delle dinamiche societarie. La mancata previsione di un criterio normativamente predeterminato fa quindi sì che l’individuazione del giusto “equilibrio” debba essere sempre relativizzata e adattata al contesto specifico, ossia al settore merceologico, alle dimensioni e ai connotati dell’impresa, nonché al periodo congiunturale in cui la società opera.
Secondo l’opinione prevalente, non si tratta di due criteri alternativi, in quanto il secondo (situazione finanziaria che presuppone la necessità di un conferimento), costituisce in realtà il criterio fondamentale, del quale il primo è una esemplificazione (forse la più ricorrente). Dunque, i finanziamenti incisi dalla postergazione sono quelli concessi dai soci in ogni situazione che comporti, secondo ragionevolezza, la necessità di un conferimento, quale sarebbe, ad esempio, da ravvisare in ipotesi di eccessivo squilibrio tra indebitamento e patrimonio netto.
La nozione di “eccessivo indebitamento” è volutamente generica – dal momento che sarebbe controproducente, se non impossibile, individuare dei limiti quantitativi validi per tutti i settori economici, viste le peculiarità che contraddistinguono ogni impresa – e deve essere concretizzata caso per caso, alla luce dell’analisi del settore economico in cui opera l’impresa.
Secondo la dottrina e la giurisprudenza prevalenti, particolarmente significativo quale indizio di una situazione di disequilibrio finanziario è il ”rapporto di indebitamento” (leverage), il quale si ottiene rapportando il totale dei mezzi di terzi con il capitale netto, ottenendo così indicazioni sull’incidenza del totale dei mezzi di terzi sul capitale netto e, di conseguenza, sul grado di copertura patrimoniale delle passività, e che consente di indicare la sostenibilità del rapporto tra indebitamento e capitale di rischio. Tale rapporto, peraltro, dovrà essere individuato non semplicemente sulla base dei dati di bilancio, bensì sulla base del netto riclassificato e rettificato sulla scorta della reale consistenza patrimoniale della società.
In particolare, si ritiene che non ricorra il requisito della eccessiva sproporzione nel rapporto tra indebitamento e patrimonio netto qualora l’indice di liquidità dell’impresa (cioè il raffronto della posizione di liquidità a breve termine dell’azienda con l’ammontare delle passività correnti) sia di poco inferiore, uguale o superiore a 1. Un rapporto superiore a 3 (0,3 se invertito) viene invece considerato preoccupante, soprattutto se la struttura dell’indebitamento è a breve.
Nel contesto di tale analisi assume rilievo anche la dinamica reddituale, posto che per una società che produce ricavi con continuità e in abbondanza, un minimo squilibrio finanziario, o anche patrimoniale, può non assumere una rilevanza critica; laddove in una società priva di una reale attività operativa, produttiva di flussi di cassa e reddituali costanti e rilevanti, ad es. per una holding di partecipazioni appartenente a un gruppo che espone una gestione finanziaria modesta (rectius, proventi finanziari da partecipazione scarsi), uno squilibrio assume un’importanza ben superiore. Il calcolo degli indici non può altresì prescindere dal livello complessivo del passivo della società nel momento rilevante, ossia quello in cui matura la decisione di finanziamento, ivi comprese le somme precedentemente erogate e già soggette a postergazione ai sensi dell’art. 2467 c.c.
Per quanto riguarda il presupposto della situazione finanziaria della società nella quale sarebbe stato ragionevole un conferimento, deve trattarsi di una situazione di “finanziamento anomalo”, non ragionevole, che un finanziatore esterno non avrebbe concesso perché sarebbe stato consapevole della difficoltà di ottenere la restituzione.
Questa situazione (in cui sarebbe più ragionevole effettuare un conferimento, che non obblighi la società ad indebitarsi pesantemente e ad avere difficoltà nella restituzione futura del mutuo) può verificarsi non solo quando deve essere superata una situazione di crisi, ma anche quando si vogliano assecondare i programmi di sviluppo della società e tuttavia il finanziamento sia di entità tale che la prognosi di possibile restituzione del mutuo da parte della società, sottocapitalizzata, sia negativa.
In quest’ottica, sono stati individuati quali indici sintomatici di “anomalia” – cioè tali da garantire alla società condizioni più vantaggiose di quelle reperibili sul mercato – i seguenti:
- la durata particolarmente lunga del finanziamento, stabilita per tutto il tempo in cui il finanziatore resta socio;
- l’infruttuosità del finanziamento o la previsione di un tasso d’interesse sensibilmente inferiore a quello di mercato;
- l’assenza di garanzie del finanziamento;
- la particolare rilevanza della quota di partecipazione in società del socio finanziatore.
Viceversa, si ritengono indici di “ragionevolezza” di un finanziamento:
- la partecipazione comune di soci e terzi finanziatori ad un progetto di risanamento dell’impresa;
- l’esistenza di linee di credito non utilizzate;
- la provenienza dei finanziamenti sia da soci che da terzi;
- la capacità di costituire garanzie con beni disponibili all’interno del patrimonio della società.
In ogni caso, secondo la giurisprudenza prevalente il presupposto della postergazione è una situazione di crisi che pone la società a rischio di insolvenza. Infatti, è in situazioni di crisi e perdite sociali che sarebbe più ragionevole per i soci conferire capitale (non immediatamente restituibile), invece che operare finanziamenti che hanno l’effetto di aumentare l’indebitamento della società e dunque il suo rischio di insolvenza. Il rimborso dei finanziamenti ai soci non è invece di per sé precluso dalla presenza, comunque, di crediti della società verso terzi, perché si tratta di una condizione pressoché costante, che renderebbe altrimenti perennemente inesigibile il credito del socio.
In questo senso, si è ritenuto in giurisprudenza che la condizione di inesigibilità del credito può essere eccepita al socio finanziatore solo qualora il finanziamento sia stato erogato, e il rimborso richiesto, in presenza di una situazione di specifica situazione di crisi della società, coincidente con il rischio di insolvenza, idoneo a fondare una sorta di “concorso potenziale” tra tutti i creditori della società”, onde evitare che il rischio di impresa sia trasferito in capo agli altri creditori e che l’attività sociale prosegua a danno di questi ultimi.
In definitiva, dunque, il finanziamento del socio deve essere postergato quando, secondo un giudizio di prognosi postuma, nel momento in cui venne concesso era altamente probabile che la società (perché sottocapitalizzata e il finanziamento era troppo elevato o perché già in situazione di crisi per pregresso squilibrio tra indebitamento e patrimonio), rimborsandolo, non sarebbe stata in grado di soddisfare regolarmente gli altri creditori.
Il CCII ha inciso notevolmente sull’interpretazione dell’art. 2467 c.c., i cui presupposti applicativi, notevolmente elastici come si è visto, devono essere interpretati alla luce del concetto di crisi di cui all’art. 2, comma 1, CCII, nonché alla luce dei relativi indicatori previsti dall’art. 13 CCII (v. par. seguente).
7. I presupposti della postergazione a seguito dell’entrata in vigore del CCII
Con l’entrata in vigore del CCII, l’art. 2467 c.c. non è più l’unica norma a disciplinare la postergazione dei finanziamenti dei soci, in quanto in ambito concorsuale trova applicazione la norma di cui all’art. 164 CCII (su cui si soffermeremo al par. 9).
Il CCII ha offerto nuovi spunti interpretativi per risolvere alcune questioni applicative della postergazione anche fuori dall’ambito liquidatorio e concorsuale, in particolare per quanto riguarda la verifica della presenza dei presupposti oggettivi (eccessivo squilibrio e ragionevolezza del conferimento) all’interno dell’operazione di finanziamento oggetto di richiesta di rimborso.
Tuttavia, che, anche se indirettamente,
L’art. 2, comma 1, CCII definisce lo stato di crisi come la difficoltà economico-finanziaria che rende probabile l’insolvenza del debitore, e che si manifesta come inadeguatezza dei flussi di cassa prospettici a far fronte regolarmente alle obbligazioni pianificate. In tale contesto, un eventuale intervento finanziario dei soci a favore della società non può che avvenire nell’ottica di favorire un miglioramento della situazione in cui versa quest’ultima, al fine di allontanare il rischio di insolvenza.
L’art. 13 CCII contiene un rinvio all’elaborazione, da parte del Consiglio Nazionale dei Dottori Commercialisti ed Esperti Contabili (CNDCEC), di una serie di indici, da aggiornare su base almeno triennale, per verificare anche periodicamente la presenza di uno stato di crisi o, in situazioni più gravi, di insolvenza.
In particolare, il comma 1 dell’art. 13 CCII specifica che per indicatori debbano essere intesi «gli squilibri di carattere reddituale, patrimoniale o finanziario, rapportati alle specifiche caratteristiche dell’impresa e dell’attività imprenditoriale svolta dal debitore, tenuto conto della data di costituzione e di inizio dell’attività, rilevabili attraverso appositi indici che diano evidenza della sostenibilità dei debiti per almeno i sei mesi successivi e delle prospettive di continuità aziendale per l’esercizio in corso o, quando la durata residua dell’esercizio al momento della valutazione è inferiore a sei mesi, per i sei mesi successivi».
La seconda parte del comma aggiunge, poi, che «sono indici significativi quelli che misurano la sostenibilità degli oneri dell’indebitamento con i flussi di cassa che l’impresa è in grado di generare e l’adeguatezza dei mezzi propri rispetto a quelli di terzi» e che, in tale ambito, rientrano anche i «ritardi nei pagamenti reiterati e significativi, anche sulla base di quanto previsto nell’articolo 24».
Quest’ultima norma detta i termini per l’assunzione delle iniziative intraprese dal debitore al fine delle concessioni premiali di cui al successivo art. 25 CCII e il richiamo si riferisce, in particolare, alle condizioni dettate dalle lett. a) e b) del comma 1 dell’art. 24 CCII, ossia «l’esistenza di debiti per retribuzioni scaduti da almeno sessanta giorni per un ammontare pari ad oltre la metà dell’ammontare complessivo mensile delle retribuzioni», nonché «l’esistenza di debiti verso fornitori scaduti da almeno centoventi giorni per un ammontare superiore a quello dei debiti non scaduti».
Il CNDCEC ha quindi elaborato un sistema di indici a controllo progressivo, da quantificarsi per verificare la presenza di una ragionevole presunzione dello stato di crisi. Tale sistema comprende due indici generici, applicabili a qualsiasi società di capitali, a prescindere dalla dimensione e dall’oggetto sociale e cinque indici specifici, da quantificare in base alle peculiarità della singola società. Il valore su cui parametrare il risultato di tali indici è differenziato a seconda del settore di attività dell’impresa.
Gli indici generali sono costituiti dal patrimonio netto negativo e dal Debt Service Coverage Ratio a sei mesi inferiore a 1.
Il patrimonio netto negativo, così come la discesa del capitale sociale al di sotto del minimo legale ai sensi dell’art. 2463 c.c., è un segnale macroscopico di perdite pregresse della società non ripianate da nuovo capitale di rischio concesso dai soci, e rappresenta quindi un efficace indicatore di entrambi i presupposti oggettivi per l’applicazione della postergazione. Si tratta di un indice di facile applicabilità a qualunque impresa rediga il bilancio, anche in forma semplificata, controbilanciata d’altra parte dalla tardività della sua segnalazione, in quanto legato a dati storici.
Il secondo indice introduce un maggiore livello di complessità e raffinatezza, in quanto si calcola su dati previsionali e prospettici e non più storici. Il Debt Service Coverage Ratio, infatti, è calcolato come un rapporto: al numeratore trovano posto i flussi di cassa in entrata liberi previsti (o, più banalmente, gli incassi), mentre al denominatore si trovano i flussi di cassa in uscita previsti a servizio dei debiti finanziari. In questo caso, un valore superiore a 1 indica la capacità dell’impresa di far fronte alle proprie obbligazioni con i flussi di cassa previsti dalla sua ordinaria attività, mentre è segnale di difficoltà ad adempiere qualora vi sia inferiore. Anche la valutazione di tale indice è applicabile alla valutazione dei presupposti per la postergazione, in quanto in tale situazione la concessione di un finanziamento soci sarebbe irragionevole (nel senso dell’art. 2467 c.c.) in quanto non farebbe che aggravare tale indicatore, costringendo la società ad erodere le proprie disponibilità liquide oppure a non soddisfare arbitrariamente determinate esposizioni debitoria; allo stesso modo, qualora fosse già stato concesso, la restituzione di un finanziamento finirebbe per annullare i flussi di cassa liberi mettendo a repentaglio la soddisfazione dei terzi creditori sociali.
Gli indici specifici sono invece costituiti da:
- indice di sostenibilità degli oneri finanziari;
- indice di adeguatezza patrimoniale;
- indice di ritorno liquido dell’attivo;
- indice di liquidità;
- indice di indebitamento previdenziale e tributario.
In definitiva, dunque, il sistema elaborato dal CNDCEC sulla base dell’art. 13 CCII consente di identificare con maggiore precisione, rispetto alla formulazione dell’art. 2467 c.c., l’ambito di analisi economico-aziendalistica cui si devono riferire gli “squilibri”: essi devono essere di carattere “reddituale” (incapacità dell’impresa di produrre una quantità di ricavi tale da coprire i costi sostenuti e remunerare i conferenti capitale di rischio), “finanziario” (capacità degli incassi di soddisfare le obbligazioni di pagamento) e “patrimoniale” (efficiente combinazione tra capitale proprio e capitale di terzi).
Peraltro, essendo gli indicatori elaborati dal CNDCEC sintomatici di uno stato di insolvenza – quindi di una situazione di squilibrio economico-finanziario molto più grave di quello delineato dall’art. 2467 c.c. – nel caso del test di solvibilità finalizzato all’applicazione della postergazione dei finanziamenti dei soci, gli stessi devono essere rimodulati in maniera più estensiva, in modo da considerare situazioni di disequilibrio più moderate di quelle di caratterizzanti un’impresa insolvente.
Tali indici possono essere utili ai soci che intendano sostenere finanziariamente la propria società nella c.d. twilight zone – ossia anche nei momenti di incertezza economico-finanziaria che non sia ancora sfociata in uno stato di crisi – senza rischiare di vedere il proprio diritto di credito postergato rispetto a quello degli altri creditori, oppure sostanzialmente riclassificato quale conferimento qualora la debitrice divenga insolvente.
8. L’applicazione dell’art. 2467 c.c. alle S.p.A.
Prima delle modifiche introdotte dal CCII, si discuteva in dottrina circa l’applicabilità dell’art. 2467 c.c. (dettato in tema di S.r.l.) alle S.p.A., ed in generale circa la possibilità di una applicazione analogica della norma.
L’orientamento maggioritario era favorevole ad estendere la disposizione a tutti i tipi societari (e quindi anche alle S.p.A.), posto che essa costituiva la risposta dell’ordinamento ad un problema proprio di tutte le società di capitali. In particolare, si evidenziava che, essendo scopo della norma quello di impedire al socio di sfruttare a proprio vantaggio, e quindi in pregiudizio dei terzi creditori della società, le informazioni e gli eventuali poteri di gestione derivanti dalla sua qualità di socio, tale obiettivo doveva essere assicurato anche nelle S.p.A., poiché anche in esse i soci possono disporre di quel bagaglio conoscitivo che consente loro di assumere le decisioni relative alla concessione di un finanziamento in posizione privilegiata rispetto ai terzi.
Altro orientamento riteneva ammissibile l’applicazione dell’art. 2467 c.c. alle S.p.A. solo in presenza di alcuni elementi ulteriori, rappresentati da una organizzazione di modeste dimensioni, oppure dall’esistenza di una compagine societaria “chiusa” (ad esempio, perché avente struttura familiare).
Ciò in quanto la ratio della norma sulla postergazione dei finanziamenti dei soci postula una presunzione di conoscenza anticipata da parte degli stessi delle condizioni economico-finanziarie della società beneficiaria, oltre che un potere di diretto intervento nella gestione della stessa maggiore rispetto a quello riscontrabile in altri tipi sociali; tale situazione è tipica delle S.r.l., tendenzialmente caratterizzate da una ristretta base societaria, il divieto di circolazione tra il pubblico delle quote sociali e il coinvolgimento dei soci nella gestione della società, per cui l’art. 2467 c.c. poteva trovare applicazione alle S.p.A. solo nei casi in cui, di fatto, la società finanziata presenti caratteristiche analoghe a quelle di una S.r.l.
Tale orientamento deve ritenersi in parte superato alla luce dell’art. 164 CCII, il quale ha previsto l’inefficacia dei rimborsi eseguiti entro l’anno precedente la presentazione della domanda cui è seguita la dichiarazione di liquidazione giudiziale (v. par. 9), senza limitare l’ambito di applicazione della norma alle sole S.r.l. Da ciò si desume che la disciplina dell’inefficacia prevista dal CCII opererà indistintamente per tutte le società di capitali.
Secondo l’orientamento prevalente, a seguito dell’entrata in vigore del CCII si avrebbe dunque un’applicazione differenziata della normativa sulla postergazione dei finanziamenti dei soci: per le S.r.l. i rimborsi dei finanziamenti dei soci sono postergati, ai sensi dell’art. 2467 c.c., e se compiuti nell’anno che precede la domanda da cui deriva la liquidazione giudiziale devono essere restituiti, ai sensi dell’art. 164 CCII, mentre per i rimborsi dei finanziamenti dei soci eseguiti nelle S.p.A. non sarebbero postergati, ma resterebbero ugualmente inefficaci, se compiuti nell’anno, in caso di sopravvenuta liquidazione giudiziale.
Tuttavia, secondo l’opinione prevalente, il comma 1 dell’art. 2467 c.c. continuerebbe comunque ad applicarsi, per estensione analogica, anche alle altre forme di società di capitali a scopo lucrativo, purché «chiuse» e sottocapitalizzate. Secondo questo orientamento, quindi, alle S.p.a. «chiuse» si applica, per analogia, la postergazione del finanziamento ex art. 2467 c.c., dato che le stesse presentano un assetto di interessi analogo a quello caratteristico di una S.r.l.
In tali ipotesi, infatti, l’organizzazione della S.p.a. finanziata consente al socio di ottenere informazioni paragonabili a quelle di cui potrebbe disporre il socio di una S.r.l. ai sensi dell’art. 2476 c.c., e dunque di informazioni idonee a far apprezzare l’esistenza dell’eccessivo squilibrio dell’indebitamento della società rispetto al patrimonio netto ovvero la situazione finanziaria tale da rendere ragionevole il ricorso al conferimento, in ragione delle quali è posta, per i finanziamenti dei soci, la regola di postergazione.
9. L’inefficacia dei rimborsi eseguiti entro l’anno precedente la domanda cui è seguita la dichiarazione di liquidazione giudiziale
Come si è accennato, l’entrata in vigore del CCII ha suddiviso in due testi normativi distinti la disciplina sulla postergazione dei finanziamenti dei soci, separando la norma sostanziale di cui all’art. 2467 c.c. da quella concorsuale, contenuta appunto nel CCII.
L’art. 164, comma 2, CCII dispone che sono privi di effetto rispetto ai creditori i rimborsi dei finanziamenti concessi dai soci a favore della società – qualora sussista la situazione di squilibrio economico-finanziario di cui all’art. 2467 comma 2 c.c. – quando eseguiti dopo il deposito della domanda a cui è seguita l’apertura della procedura concorsuale o nell’anno anteriore.
Si tratta di un’ipotesi di revocatoria ex lege, con la conseguenza che il socio è tenuto a restituire alla massa ciò che ha ricevuto ed ha diritto ad insinuarsi al passivo come creditore chirografario postergato, ai sensi dell’art. 171 CCII.
Il comma 3 dell’art. . 164 CCII dispone altresì che l’inefficacia relativa si applica anche ai rimborsi dei finanziamenti effettuati, nel medesimo lasso temporale di cui al comma 2 della norma, dalla società assoggettata alla liquidazione giudiziale a favore di chi esercita un’attività di direzione e coordinamento nei confronti della stessa (c.d. finanziamenti infragruppo discendenti), o da altri soggetti sottoposti al medesimo potere di indirizzo (c.d. finanziamenti infragruppo orizzontali), così richiamando quanto disposto dall’art. 2497-quinquies c.c. La norma si applica ai casi in cui l’attività da direzione e coordinamento è attuata in forza di un rapporto extrasociale, in quanto il comma 2 già copre i casi in cui essa deriva dal possesso di una partecipazione (sia essa di controllo, oppure che comporta l’obbligo per la società o l’ente holding di consolidare i bilanci ai sensi dell’art. 2497-sexies c.c.).
La postergazione riguardare anche i finanziamenti erogati dalla società o dall’ente esercente un’attività di direzione o coordinamento, oppure da parte di un’altra sottoposta, a favore di una controllata sottocapitalizzata ai sensi dell’art. 2497-quinquies c.c. (c.d. finanziamenti infragruppo discendenti e orizzontali), nonché quelli che da queste ultime potranno essere effettuati a favore dell’esercente l’attività di direzione e coordinamento ai sensi del primo periodo del comma 1 dell’art. 292 CCII (c.d. finanziamenti infragruppo ascendenti).
10. I finanziamenti dei soci in caso di concordato preventivo, accordo di ristrutturazione dei debiti e composizione negoziata della crisi
La disciplina introdotta dal CCII per i finanziamenti dei soci nell’ambito dei concordati preventivi e degli accordi di ristrutturazione presenta alcune peculiarità rispetto alla fase fallimentare o liquidatoria.
Ai sensi dell’art. 102 CCII, , nel caso in cui il finanziamento del socio sia stato erogato – in qualsiasi forma, inclusa l’emissione di garanzie – in funzione della presentazione della domanda di ammissione alla procedura di concordato preventivo oppure della domanda di omologazione dell’accordo di ristrutturazione dei debiti, il credito da restituzione non solo (a determinate condizioni) è prededucibile, ma sono espressamente disapplicate le previsioni di cui all’art. 2467 c.c., sino alla concorrenza dell’80% del loro ammontare. Lo stesso principio vale per i finanziamenti effettuati in esecuzione del concordato preventivo o dell’accordo di ristrutturazione dei debiti omologato. Il restante 20% dell’importo erogato deve invece considerarsi come credito chirografario.
La norma favorisce quindi il finanziamento dei soci qualora esso sia funzionale alla presentazione delle corrispondenti domande di ammissione e di omologazione. Pertanto, qualora siano stati concessi dai soci finanziamenti “ponte” – ossia erogati in funzione della presentazione della domanda di concordato preventivo o di accordo di ristrutturazione – “interinali” – ossia erogati durante l’attesa dell’omologa della procedura concorsuale a sostegno delle esigenze finanziarie della società – o “in esecuzione” – ossia erogati durante l’attesa dell’omologa della procedura concorsuale a sostegno delle esigenze finanziarie della società – tali finanziamenti godono del il beneficio della prededuzione, in deroga a quanto previsto dall’art. 2497 c.c., limitatamente al’80% dell’ammontare concesso. Inoltre, anche in caso di successivo rimborso effettuato in prossimità dell’apertura di una liquidazione giudiziale, tale percentuale non è soggetta all’inefficacia di cui all’art. 164 CCII.
Tale trattamento di favore è giustificato dalla peculiare disciplina della concessione di questi finanziamenti, i quali richiedono l’attestazione di un professionista e l’autorizzazione del Tribunale, tali da assicurare la ragionevolezza dell’operazione, nonostante lo squilibrio.
Anche la disciplina della composizione negoziata della crisi d’impresa favorisce l’erogazione di sostegno finanziario all’impresa in stato di “pre-crisi”, anche sotto forma di finanziamento (invece che di conferimento), considerando la concessione di finanziamenti come una forma di sostegno economico che possa portare a una soluzione dello stato di crisi, senza sconfinare in una situazione di squilibrio economico-finanziario.
L’art. 22, comma 1, CCII prevede infatti che l’imprenditore possa chiedere l’autorizzazione al Tribunale a contrarre dei finanziamenti, anche se concessi da soci, per i quali sarà garantita la piena prededucibilità, qualora gli stessi siano funzionali alla continuità aziendale e alla migliore soddisfazione dei creditori. Tale disposizione è fortemente agevolativa rispetto alla prededucibilità solo parziale riservata ai finanziamenti concessi nell’ambito di un concordato preventivo o di un accordo di ristrutturazione, in ragione della volontà del legislatore di stimolare gli imprenditori, attraverso tale sistema di tutele “crescenti”, a usufruire di soluzione il più possibile preventive per rimediare a situazioni di difficoltà economica.
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Avv. Valerio Pandolfini
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