La postergazione dei finanziamenti dei soci
L’art. 2467 c.c., dettato in tema di S.r.l., prevede che i crediti da finanziamenti concessi dai soci in favore della società sono postergati rispetto alla soddisfazione degli altri creditori terzi. Tale effetto non riguarda indistintamente tutti i finanziamenti erogati dai soci, ma solo quelli eseguiti in una condizione di eccessivo squilibrio dell’indebitamento rispetto al patrimonio netto, oppure in una situazione finanziaria della società nella quale sarebbe stato ragionevole attendersi un conferimento.
1. La postergazione dei finanziamenti dei soci (art. 2467 c.c.): ratio della norma
In linea generale, per il socio di una società di capitali il finanziamento è più conveniente rispetto alla ricapitalizzazione; non solo perché è meno costoso, più informale e veloce rispetto all’aumento di capitale, ma anche perché gli consente di trasferire almeno parzialmente il rischio d’impresa sui creditori, con i quali concorre nell’esercizio del diritto di credito che dal finanziamento deriva, per di più partendo da un punto di osservazione privilegiato, in quanto il socio dispone di una conoscenza approfondita delle dinamiche societarie rispetto ai creditori.
Ed infatti, se ai sensi dell’art. 2476, comma 2, c.c., anche i soci che non esercitano poteri di amministrazione hanno diritto di avere dagli amministratori notizie sullo svolgimento degli affari sociali e di consultare, anche tramite professionisti di loro fiducia, i libri sociali ed i documenti relativi all’amministrazione (si veda il relativo articolo di approfondimento), è evidente quindi che essi possono valutare il merito creditizio dell’azienda sulla scorta di elementi che al resto dei finanziatori sono sconosciuti.
Con l’art. 2467 c.c. – dettato in tema di S.r.l. – il legislatore ha inteso introdurre un sistema di contrappesi volto a “moralizzare” il finanziamento dell’impresa e scongiurare operazioni di ricapitalizzazione societaria in contrasto con il principio della par condicio creditorum, prevedendo, al comma 1, la postergazione dei crediti da finanziamenti concessi dai soci in favore della società. Tale effetto non riguarda, peraltro, indistintamente tutti i finanziamenti erogati dai soci, ma solo quelli eseguiti in una condizione di eccessivo squilibrio dell’indebitamento rispetto al patrimonio netto, oppure in una situazione finanziaria della società nella quale sarebbe stato ragionevole attendersi un conferimento, come si vedrà in seguito (v. par. 6).
L’originario comma 1 dell’art. 2467 c.c. prevedeva inoltre l’obbligo di restituzione del rimborso dei finanziamenti, se avvenuto nell’anno precedente la dichiarazione di fallimento della società. Tale previsione è stata abrogata dal D.lgs. n. 14/2019 (Codice della Crisi di Impresa e dell’Insolvenza, “CCII”) – entrato in vigore, per effetto del D.lgs. n. 83/2022, il 15 luglio 2022 – che lo ha sostituito con la norma di cui all’art. 164, comma 2, CCII, come si vedrà in seguito (v. par.9).
La norma disciplina il fenomeno della c.d. “sottocapitalizzazione nominale”, ovvero della prassi, largamente utilizzata dai soci di società di capitali soprattutto a ristretta compagine sociale, di finanziare l’impresa apportando capitale di rischio senza una formale imputazione a capitale sociale, o addirittura ricorrendo allo schema negoziale del capitale di credito, che permette al socio finanziatore di esigerne la restituzione prima dello scioglimento della società.
L’ampia flessibilità concessa ai soci nella pianificazione delle proprie scelte finanziarie trova un limite nella necessità di tutela dei terzi finanziatori, onde evitare che la scelta dei soci si trasformi in abuso nei confronti di costoro. La situazione di sottocapitalizzazione è infatti pericolosa per i creditori sociali, dato che attraverso i prestiti alla società (sottocapitalizzata) i soci precostituiscono un titolo in sede fallimentare per collocare i propri crediti al medesimo grado di quelli degli altri creditori, sovvertendo così il principio secondo cui nelle società il rischio del socio è postergato a quello dei creditori sociali.
Tale situazione può verificarsi sia in fase di start up se la società è sottocapitalizzata (perché i soci hanno preferito finanziarla anziché conferire capitale di rischio) e quindi v’è il pericolo che il rischio di impresa sia trasferito sui terzi creditori, sia successivamente, quando, a fronte di perdite, i soci, anziché conferire capitale come sarebbe “ragionevole”, effettuino finanziamenti, aumentando l’indebitamento e concorrendo, quindi, con i creditori terzi (su cui verrebbe trasferito il rischio di impresa in situazione di “crisi”), proseguendo l’attività sociale in danno di questi ultimi, che, “normalmente” in una tale situazione non sarebbero disponibili ad erogare finanziamenti.
Per tutelare dunque i creditori sociali nei confronti dei soci che abbiano di fatto abusato della personalità giuridica della società, l’art. 2467 c.c. sanziona il comportamento del socio che, conoscendo o potendo conoscere lo stato di crisi della società, ha sostenuto economicamente la stessa con mezzi non ragionevoli e non adeguati, e cioè non attraverso attribuzioni incrementative del patrimonio (quindi non implicanti un obbligo di restituzione), ma con ulteriore indebitamento della società, aggravandone lo squilibrio patrimoniale, disponendo appunto che il rimborso dei finanziamento dei soci alla società è postergato rispetto alla soddisfazione degli altri creditori.
Occorre tuttavia evidenziare che l’art. 8 del D.L. 8 Aprile 2020, n. 23 (Decreto Liquidità) ha disposto che ai finanziamenti effettuati a favore delle società dalla data di entrata in vigore del Decreto (9 aprile 2020) e sino alla data del 31 dicembre 2020 non si applicano gli artt. 2467 e 2497 quinquies c.c.
Si tratta di una misura emergenziale tesa ad attenuare gli effetti della pandemia Covid-19 sulla situazione economico-finanziaria delle imprese. Come esposto, la norma di cui all’art. 2467 c.c. (così come quella, come si vedrà, di cui all’art. 2497 quinquies c.c.) risponde alla ratio di disincentivare la sottocapitalizzazione delle imprese attuata mediante il ricorso ai finanziamenti soci; tuttavia, in una situazione emergenziale quale quella risultante a seguito della pandemia da Covid-19, il legislatore ha previsto il temporaneo congelamento di tali previsioni, in modo da incentivare i canali necessari per assicurare l’adeguato finanziamento delle imprese, indipendentemente dalla relativa forma giuridica.
Di conseguenza, i crediti da finanziamento erogati (in situazioni di eccessivo squilibrio tra indebitamento e patrimonio netto ovvero in cui sarebbe stato ragionevole effettuare un conferimento) entro il 31 dicembre 2020 non sono postergati, né sono inefficaci i rimborsi in favore del socio, ove eseguiti entro l’anno che precede la dichiarazione di fallimento.
2. La nozione di “finanziamenti” ai sensi dell’art. 2647 c.c.
Costituiscono ”finanziamenti”, ai sensi dell’art. 2467 c.c., quelli “in qualsiasi forma effettuati, che sono stati concessi in un momento in cui, anche in considerazione del tipo di attività esercitata dalla società, risulta un eccessivo squilibrio dell’indebitamento rispetto al patrimonio netto oppure in una situazione finanziaria della società nella quale sarebbe stato ragionevole un conferimento“.
La nozione di finanziamento di cui all’art. 2467 c.c. abbraccia qualsiasi operazione volta a trasferire alla società una somma di danaro, ovvero a concedergliene la disponibilità, con obbligo di restituzione. Rientrano quindi nell’ambito applicativo della norma in esame, oltre ai contratti tipicamente creditizi (mutuo, apertura di credito, anticipazione bancaria, sconto, etc.), anche tutte le operazioni che, a prescindere dalla forma tecnica con la quale è stato concesso il credito, hanno comunque funzione di finanziamento, quali il leasing finanziario, il lease back e la vendita con patto di retrocessione a termine, anche se effettuati per interposta persona, attraverso simulazione o ricorso ad un fiduciario.
In giurisprudenza si è altresì ritenuto che rientri nella nozione di finanziamento ai sensi dell’art. 2467 c.c. anche la fornitura di merci, in esclusiva e di lungo periodo, accompagnata da una sistematica ed abnorme dilazione di pagamento, in quanto la società, grazie al sistematico mancato pagamento di un debito scaduto o il suo pagamento con un ritardo abnorme, in palese contrasto con la prassi commerciale del settore, e al continuo beneficiare delle forniture, mantiene la possibilità di spostare la liquidità su altri pagamenti o investimenti, usufruendo di un’operatività che, diversamente, non avrebbe avuto. In tal caso quindi la fornitura di merci costituisce un finanziamento anomalo, sostitutivo del capitale, dato che nessun altro creditore sul mercato del credito lo concederebbe.
È controverso se la postergazione operi anche in caso di mancata riscossione di un credito certo, liquido ed esigibile (derivante, ad esempio, da un contratto di godimento di beni), tramite mera inerzia del socio, o dilazione di pagamento. La giurisprudenza prevalente sembra orientata a ritenere che i crediti derivanti da precedenti rapporti commerciali (ad esempio, vendita di un cespite, fornitura di merci alla società) ovvero quelli dovuti a titolo di compenso per prestazioni d’opera o di servizi, o anche i dividendi per cui sia stata deliberata la distribuzione, per quanto non ascrivibili alla categoria dei “finanziamenti”, potrebbero essere riqualificati come tali non solo quando, divenuti esigibili, il socio concordi una dilazione, ma anche quando semplicemente ometta di riscuoterli per un rilevante periodo di tempo.
Rientrano altresì nella portata applicativa dell’art. 2467 c.c. anche le operazioni in cui il socio, anziché concedere il finanziamento si renda garante del medesimo, assumendo la veste di fideiussore, nonché le ipotesi di garanzia reale concessa dal socio al fine di ottenere un finanziamento a favore della società da parte di un istituto di credito, le quali anch’esse configurano una forma di finanziamento indiretto del socio. Infatti, pur non sussistendo una movimentazione materiale di denaro dalle disponibilità del socio a quelle della società all’atto della prestazione della garanzia, nel momento in cui il debito non viene onorato dalla società il creditore può rivolgersi direttamente al socio garante, e il pagamento eseguito da costui nei confronti dell’istituto di credito che ha erogato il finanziamento costituisce di fatto l’esecuzione materiale della promessa di finanziamento alla società sorta con la concessione di garanzia contestuale alla stipulazione del contratto di mutuo.
Non rientrano invece nel campo applicativo dell’art. 2467 c.c. i versamenti dei soci con natura di conferimenti di patrimonio, in quanto in tal caso non si realizza una lesione della posizione degli altri creditori sociali, non venendo violato il principio della par condicio creditorum. Infatti, il versamento è acquisito al patrimonio della società come mezzo proprio, e pertanto non aggrava la situazione di “eccessivo squilibrio dell’indebitamento rispetto al patrimonio netto”, anzi la rende meno pesante (aumentando il patrimonio netto).
Si ritiene invece che la disciplina sulla postergazione non operi in caso di aumento di capitale sociale liberato dal socio mediante compensazione con propri precedenti crediti vantati nei confronti della società; con la conseguenza che al socio è consentito di compensare il proprio credito da rimborso di finanziamento postergato con il debito verso la società per la sottoscrizione dell’aumento di capitale e relativo versamento.
3. La qualifica di socio finanziatore
La disciplina di cui all’art. 2467 c.c. si applica qualora il finanziamento provenga da un soggetto avente la qualifica di socio nel momento in cui il finanziamento viene erogato, essendo irrilevante sia la successiva perdita che il successivo acquisto di tale qualità.
La giurisprudenza prevalente ritiene tuttavia ì che l’assoggettamento di finanziamenti soci alla disciplina legale della postergazione non venga automaticamente meno in conseguenza della successiva fuoriuscita del socio finanziatore dalla compagine sociale, dato che la disciplina di cui all’art. 2467 c.c. è posta a salvaguardia delle aspettative del ceto creditorio, e su questa non possono incidere le vicende successive e soggettive del socio mutuante, altrimenti la norma si presterebbe a facili elusioni in danno di creditori e dei terzi.
Per evitare quindi il pericolo di un facile aggiramento ad opera del socio che, prima di erogare finanza, maliziosamente dismetta tale qualifica per poi rivestirla nuovamente ad eseguito finanziamento, occorrerà procedere ad una ricostruzione storica della compagine sociale per verificare quali eventuali dinamiche anomale l’abbiano interessata nell’arco temporale che precede e segue il finanziamento.
In caso di finanziamento condizionato all’acquisto della qualità di socio, l’esistenza di un collegamento negoziale tra le due operazioni non è invece sufficiente a rendere applicabile l’art. 2467 c.c., poiché la ratio della norma è quella di rimediare all’indebito utilizzo delle informazioni da parte del socio, il quale decida di finanziare la società laddove avrebbe dovuto ricapitalizzarla, così sgravandosi dai rischi d’impresa connessi alla ricapitalizzazione.
La norma in esame non si applica neppure qualora il finanziamento rappresenta il “corrispettivo” dell’assunzione della qualità di socio, il quale si determina ad entrare nella società in quanto ha ricevuto tutte quelle informazioni cui avrebbe avuto diritto se fosse stato socio, in quanto il finanziatore ha chiesto ed ottenuto le informazioni che ha reputato necessarie per orientare il suo business (e che in ipotesi avrebbero potuto coincidere con quelle autonomamente acquisibili quale socio) nell’ambito delle ordinarie dinamiche della contrattazione, sicché l’applicazione o la disapplicazione della disciplina codicistica non può costituire il precipitato della maggiore o minore diligenza o perizia con cui la parte ha valutato la convenienza economica dell’affare.
Parimenti, l’art. 2467 c.c. non si applica nel caso in cui, stipulato il contratto di finanziamento e di contestuale acquisto della qualità di socio, questo venga materialmente eseguito nel momento in cui si è già assunta la veste di socio, o anche in caso di contratto preliminare di finanziamento, il cui contratto definitivo sopraggiunge all’ingresso nella compagine sociale. Ciò in quanto la spendita dell’autonomia negoziale (ovvero l’obbligo di eseguire il finanziamento) è avvenuta in un momento in cui il finanziatore non era socio, a meno che non si possa ritenere, in via interpretativa, che costui si sia riservato la possibilità di decidere, successivamente all’acquisto della qualità di socio, se eseguire o meno un finanziamento, in forza di pattuizioni riconducibili ad un preliminare unilaterale o ad un patto di opzione.
La norma di cui all’art. 2497 – quinquies c.c. trova applicazione anche ai finanziamenti all’interno dei gruppi di società (finanziamenti infragruppo), sia a quelli erogati dalle società assoggettate a direzione e coordinamento in favore della holding (c.d. upstream, o ascendenti), sia a quelli posti in essere dalla holding in favore delle altre società di gruppo (c.f. downstream, o discendenti), sia, infine, a quelli posti in essere tra società del gruppo (sorelle) (c.d. cross-stream o collaterali).
4. La cessione del credito avente ad oggetto il rimborso del finanziamento
In caso di cessione del credito avente ad oggetto il rimborso del finanziamento, occorre distinguere due ipotesi:
- la cessione del credito da finanziamento erogato dal socio;
- la cessione al socio del credito erogato alla società da un soggetto estraneo alla compagine sociale.
Nella prima situazione, si ritiene che il credito resti postergato (e, se rimborsato entro l’anno, sia suscettibile di essere ripetuto dal curatore. Quando invece il diritto al rimborso è incorporato in un titolo di credito, la disciplina dell’art. 2467 c.c. non è applicabile, trattandosi di un’eccezione personale al socio che non può essere fatta valere contro l’acquirente del titolo di credito, se non avvalendosi dell’exceptio doli.
Nell’ipotesi invece della cessione in favore del socio del credito da finanziamento erogato da soggetto estraneo alla compagine sociale, si ritiene che il credito non diventi postergabile, in quanto elemento decisivo ai fini della postergazione è che il credito provenga dal soggetto che rivesta formalmente la posizione di socio (fermo restando quanto precisato a proposito del socio garante).
5. Come opera la postergazione ai sensi dell’art. 2467 c.c.
Secondo l’opinione prevalente, la postergazione legale prevista dalla norma in esame opera come una condizione sospensiva dell’esigibilità del credito del socio. Di conseguenza, la società è tenuta a rifiutare al socio il rimborso del finanziamento, in presenza della situazione di cui all’art. 2467 c.c., ove esistente al momento della richiesta di rimborso, che è compito degli amministratori riscontrare. Inoltre, detto rimborso è revocabile ai sensi dell’art. 2901 c.c., indipendentemente dal fatto che esso sia avvenuto nell’anno anteriore alla dichiarazione di fallimento della società.
Tuttavia, diversamente da quanto accade per la restituzione dei conferimenti – che è vietata in assoluto – il rimborso del finanziamento al socio, in una situazione in cui operi il principio della postergazione legale ex art. 2467 c.c., è comunque valido – anche se il relativo credito vantato dal socio era inesigibile – con conseguente estinzione del relativo debito della società.
Pertanto, qualora venga effettuato il rimborso dei finanziamenti ai soci in spregio del principio di postergazione legale, gli amministratori sono responsabili nei confronti dei creditori sociali e della società qualora per effetto di tale rimborso si sia prodotto un danno patrimoniale alla società stessa; danno che non è cagionato automaticamente dal pagamento del credito postergato in sé – poiché esso produce la corrispondente estinzione di una posta passiva dello stato patrimoniale –ma che deve essere dimostrato dal creditore (o dalla società), come nel caso in cui, ad esempio, si sia prodotto in conseguenza della mancanza di fondi un mancato guadagno per la perdita di un affare).
La restituzione di un finanziamento può quindi generare responsabilità qualora sia stata eseguita nella consapevolezza che il patrimonio esistente al momento del pagamento del debito non era sufficiente a soddisfare anche tutti gli altri creditori, consapevolezza che l’imprenditore deve avere poiché l’art. 2086, comma secondo c.c. (aggiunto dall’art. 375, comma 2, CCII) lo obbliga a dotarsi di un assetto organizzativo, amministrativo e contabile capace di rilevare tempestivamente situazioni di crisi dell’impresa , ed ad attivarsi senza indugio per il superamento della crisi (attraverso uno degli strumenti previsti dall’ordinamento), e per il recupero della continuità aziendale. Del resto, lo stesso art. 2394 c.c. espone a responsabilità gli amministratori che in una situazione di crisi non preservano l’integrità del patrimonio.
Secondo l’orientamento consolidato della giurisprudenza, in caso di finanziamento del socio “anomalo”, ovvero in presenza di una situazione di crisi dell’impresa, ai sensi dell’art. 2467 c.c., il credito del socio nei confronti della società è dunque inesigibile fino all’avvenuto soddisfacimento di tutti gli altri creditori. Tuttavia, il socio finanziatore può pretendere dalla società il rimborso anche prima che tutti i creditori beneficiari della postergazione siano stati soddisfatti, se la società ha superato la situazione di difficoltà economico-finanziaria che aveva reso anomalo il finanziamento.
Infatti, ai fini dell’operatività della postergazione legale, tale condizione di crisi, presente al momento dell’erogazione del finanziamento deve persistere fino al momento della richiesta di restituzione del finanziamento da parte del socio. Quando invece sia stato superato lo squilibrio patrimoniale o la situazione finanziaria “di pericolo” della società, il credito del socio ritorna esigibile, anche qualora non fossero stati a quel momento adempiuti tutti gli altri debiti sociali, potendosi ritenere realizzata una situazione di soddisfazione “astratta” dei creditori terzi, in virtù del ritrovato equilibrio patrimoniale e finanziario della società.
L’onere della prova dell’esistenza e persistenza della causa di inesigibilità del credito da restituzione del finanziamento vantato dal socio grava sulla società debitrice, trattandosi di un fatto impeditivo del diritto del socio finanziatore ad ottenere la restituzione del prestito.
Ad avviso della giurisprudenza, la delibera dell’assemblea dei soci con la quale venga deciso di non restituire i finanziamenti erogati dai soci, qualora non venga approvata all’unanimità (quindi con il consenso di tutti i soci eroganti), è illegittima, in quanto con la erogazione del finanziamento si instaura tra il socio e la società un rapporto di natura contrattuale, che può essere modificato solo con il consenso di entrambe le parti e non con una delibera assembleare non adottata all’unanimità.
6. I presupposti della postergazione
L’art. 2467, comma due c.c., subordina l’operatività della postergazione e della inefficacia dei rimborsi al ricorrere di due condizioni, le quali devono essere accertate come sussistenti nel momento in cui il finanziamento viene erogato. La regola della postergazione del rimborso del finanziamento soci non opera infatti automaticamente, ma solo quando i finanziamenti siano stati effettuati in un momento in cui:
- anche in considerazione del tipo di attività esercitata dalla società, risulti un eccessivo squilibrio dell’indebitamento rispetto al patrimonio netto; oppure
- nella concreta situazione finanziaria della società sarebbe stato più ragionevole un conferimento.
Il legislatore ha utilizzato una formulazione volutamente ampia ed elastica, dettata della estrema eterogeneità delle dinamiche societarie. La mancata previsione di un criterio normativamente predeterminato fa quindi sì che l’individuazione del giusto “equilibrio” debba essere sempre relativizzata e adattata al contesto specifico, ossia al settore merceologico, alle dimensioni e ai connotati dell’impresa, nonché al periodo congiunturale in cui la società opera.
Secondo l’opinione prevalente, non si tratta di due criteri alternativi, in quanto il secondo (situazione finanziaria che presuppone la necessità di un conferimento), costituisce in realtà il criterio fondamentale, del quale il primo è una esemplificazione (forse la più ricorrente). Dunque, i finanziamenti incisi dalla postergazione sono quelli concessi dai soci in ogni situazione che comporti, secondo ragionevolezza, la necessità di un conferimento, quale sarebbe, ad esempio, da ravvisare in ipotesi di eccessivo squilibrio tra indebitamento e patrimonio netto.
La nozione di “eccessivo indebitamento” è volutamente generica – dal momento che sarebbe controproducente, se non impossibile, individuare dei limiti quantitativi validi per tutti i settori economici, viste le peculiarità che contraddistinguono ogni impresa – e deve essere concretizzata caso per caso, alla luce dell’analisi del settore economico in cui opera l’impresa.
Secondo la dottrina e la giurisprudenza prevalenti, particolarmente significativo quale indizio di una situazione di disequilibrio finanziario è il ”rapporto di indebitamento” (leverage), il quale si ottiene rapportando il totale dei mezzi di terzi con il capitale netto, ottenendo così indicazioni sull’incidenza del totale dei mezzi di terzi sul capitale netto e, di conseguenza, sul grado di copertura patrimoniale delle passività, e che consente di indicare la sostenibilità del rapporto tra indebitamento e capitale di rischio. Tale rapporto, peraltro, dovrà essere individuato non semplicemente sulla base dei dati di bilancio, bensì sulla base del netto riclassificato e rettificato sulla scorta della reale consistenza patrimoniale della società.
In particolare, si ritiene che non ricorra il requisito della eccessiva sproporzione nel rapporto tra indebitamento e patrimonio netto qualora l’indice di liquidità dell’impresa (cioè il raffronto della posizione di liquidità a breve termine dell’azienda con l’ammontare delle passività correnti) sia di poco inferiore, uguale o superiore a 1. Un rapporto superiore a 3 (0,3 se invertito) viene invece considerato preoccupante, soprattutto se la struttura dell’indebitamento è a breve.
Nel contesto di tale analisi assume rilievo anche la dinamica reddituale, posto che per una società che produce ricavi con continuità e in abbondanza, un minimo squilibrio finanziario, o anche patrimoniale, può non assumere una rilevanza critica; laddove in una società priva di una reale attività operativa, produttiva di flussi di cassa e reddituali costanti e rilevanti, ad es. per una holding di partecipazioni appartenente a un gruppo che espone una gestione finanziaria modesta (rectius, proventi finanziari da partecipazione scarsi), uno squilibrio assume un’importanza ben superiore. Il calcolo degli indici non può altresì prescindere dal livello complessivo del passivo della società nel momento rilevante, ossia quello in cui matura la decisione di finanziamento, ivi comprese le somme precedentemente erogate e già soggette a postergazione ai sensi dell’art. 2467 c.c.
Per quanto riguarda il presupposto della situazione finanziaria della società nella quale sarebbe stato ragionevole un conferimento, deve trattarsi di una situazione di “finanziamento anomalo”, non ragionevole, che un finanziatore esterno non avrebbe concesso perché sarebbe stato consapevole della difficoltà di ottenere la restituzione.
Questa situazione (in cui sarebbe più ragionevole effettuare un conferimento, che non obblighi la società ad indebitarsi pesantemente e ad avere difficoltà nella restituzione futura del mutuo) può verificarsi non solo quando deve essere superata una situazione di crisi, ma anche quando si vogliano assecondare i programmi di sviluppo della società e tuttavia il finanziamento sia di entità tale che la prognosi di possibile restituzione del mutuo da parte della società, sottocapitalizzata, sia negativa.
In quest’ottica, sono stati individuati quali indici sintomatici di “anomalia” – cioè tali da garantire alla società condizioni più vantaggiose di quelle reperibili sul mercato – i seguenti:
- la durata particolarmente lunga del finanziamento, stabilita per tutto il tempo in cui il finanziatore resta socio;
- l’infruttuosità del finanziamento o la previsione di un tasso d’interesse sensibilmente inferiore a quello di mercato;
- l’assenza di garanzie del finanziamento;
- la particolare rilevanza della quota di partecipazione in società del socio finanziatore.
Viceversa, si ritengono indici di “ragionevolezza” di un finanziamento:
- la partecipazione comune di soci e terzi finanziatori ad un progetto di risanamento dell’impresa;
- l’esistenza di linee di credito non utilizzate;
- la provenienza dei finanziamenti sia da soci che da terzi;
- la capacità di costituire garanzie con beni disponibili all’interno del patrimonio della società.
In ogni caso, secondo la giurisprudenza prevalente il presupposto della postergazione è una situazione di crisi che pone la società a rischio di insolvenza. Infatti, è in situazioni di crisi e perdite sociali che sarebbe più ragionevole per i soci conferire capitale (non immediatamente restituibile), invece che operare finanziamenti che hanno l’effetto di aumentare l’indebitamento della società e dunque il suo rischio di insolvenza. Il rimborso dei finanziamenti ai soci non è invece di per sé precluso dalla presenza, comunque, di crediti della società verso terzi, perché si tratta di una condizione pressoché costante, che renderebbe altrimenti perennemente inesigibile il credito del socio.
In questo senso, si è ritenuto in giurisprudenza che la condizione di inesigibilità del credito può essere eccepita al socio finanziatore solo qualora il finanziamento sia stato erogato, e il rimborso richiesto, in presenza di una situazione di specifica situazione di crisi della società, coincidente con il rischio di insolvenza, idoneo a fondare una sorta di “concorso potenziale” tra tutti i creditori della società”, onde evitare che il rischio di impresa sia trasferito in capo agli altri creditori e che l’attività sociale prosegua a danno di questi ultimi.
In definitiva, dunque, il finanziamento del socio deve essere postergato quando, secondo un giudizio di prognosi postuma, nel momento in cui venne concesso era altamente probabile che la società (perché sottocapitalizzata e il finanziamento era troppo elevato o perché già in situazione di crisi per pregresso squilibrio tra indebitamento e patrimonio), rimborsandolo, non sarebbe stata in grado di soddisfare regolarmente gli altri creditori.
7. I presupposti della postergazione a seguito dell’entrata in vigore del CCII
Il CCII non ha modificato la definizione di società sottocapitalizzata desumibile dall’art. 2467, comma 2, c.c., ma, anzi ne fa rinvio diretto in forza del comma 2 dell’art. 164 CCII. Tuttavia, che, anche se indirettamente, il CCII sembra destinato a incidere notevolmente sulla interpretazione della norma. I presupposti applicativi della norma, notevolmente elastici come si è visto, possono essere, infatti, reinterpretati alla luce del concetto di crisi di cui all’art. 2, comma 1, CCII, nonché alla luce dei relativi indicatori previsti dall’art. 13 CCII.
L’art. 2, comma 1, CCII definisce lo stato di crisi come la «difficoltà economico-finanziaria che rende probabile l’insolvenza del debitore, e che per le imprese si manifesta come inadeguatezza dei flussi di cassa prospettici a far fronte regolarmente alle obbligazioni pianificate». In tale contesto, un eventuale intervento finanziario dei soci a favore della società non può che avvenire nell’ottica di favorire un miglioramento della situazione in cui versa quest’ultima, al fine di allontanare il rischio di insolvenza. In quest’ottica, gli indicatori di crisi di cui all’art. 13 CCII possono quindi essere utilizzati – sia pure con opportuni accorgimenti – anche per verificare preventivamente se il finanziamento che i soci hanno intenzione di effettuare rischi di avvenire nella cornice di «un eccessivo squilibrio dell’indebitamento rispetto al patrimonio netto», o di «una situazione finanziaria della società nella quale sarebbe stato ragionevole un conferimento», ai sensi dell’art. 2467 comma 1 c.c.
Il comma 1 dell’art. 13 CCII specifica che per indicatori debbano essere intesi «gli squilibri di carattere reddituale, patrimoniale o finanziario, rapportati alle specifiche caratteristiche dell’impresa e dell’attività imprenditoriale svolta dal debitore, tenuto conto della data di costituzione e di inizio dell’attività, rilevabili attraverso appositi indici che diano evidenza della sostenibilità dei debiti per almeno i sei mesi successivi e delle prospettive di continuità aziendale per l’esercizio in corso o, quando la durata residua dell’esercizio al momento della valutazione è inferiore a sei mesi, per i sei mesi successivi».
La seconda parte del comma aggiunge, poi, che «sono indici significativi quelli che misurano la sostenibilità degli oneri dell’indebitamento con i flussi di cassa che l’impresa è in grado di generare e l’adeguatezza dei mezzi propri rispetto a quelli di terzi» e che, in tale ambito, rientrano anche i «ritardi nei pagamenti reiterati e significativi, anche sulla base di quanto previsto nell’articolo 24».
Quest’ultima norma detta i termini per l’assunzione delle iniziative intraprese dal debitore al fine delle concessioni premiali di cui al successivo art. 25 CCII e il richiamo si riferisce, in particolare, alle condizioni dettate dalle lett. a) e b) del comma 1 dell’art. 24 CCII, ossia «l’esistenza di debiti per retribuzioni scaduti da almeno sessanta giorni per un ammontare pari ad oltre la metà dell’ammontare complessivo mensile delle retribuzioni», nonché «l’esistenza di debiti verso fornitori scaduti da almeno centoventi giorni per un ammontare superiore a quello dei debiti non scaduti».
Tali parametri possono essere utilizzati per individuare «un eccessivo squilibrio dell’indebitamento rispetto al patrimonio netto» o «una situazione finanziaria della società nella quale sarebbe stato ragionevole un conferimento», e quindi per applicare in concreto l’art. 2467, comma 2, c.c. Ciò può essere utile ai soci che intendano sostenere finanziariamente la propria società nella c.d. twilight zone – ossia anche nei momenti di incertezza economico-finanziaria che non sia ancora sfociata in uno stato di crisi – senza rischiare di vedere il proprio diritto di credito postergato rispetto a quello degli altri creditori, oppure sostanzialmente riclassificato quale conferimento qualora la debitrice divenga insolvente.
8. L’applicazione analogica dell’art. 2467 alle S.p.A.
Prima delle modifiche introdotte dal CCII, si discuteva in dottrina circa l’applicabilità dell’art. 2467 c.c. (dettato in tema di S.r.l.) alle S.p.A., ed in generale circa la possibilità di una applicazione analogica della norma.
L’orientamento maggioritario era favorevole ad estendere la disposizione a tutti i tipi societari (e quindi anche alle S.p.A.), posto che essa costituiva la risposta dell’ordinamento ad un problema proprio di tutte le società di capitali. In particolare, si evidenziava che, essendo scopo della norma quello di impedire al socio di sfruttare a proprio vantaggio, e quindi in pregiudizio dei terzi creditori della società, le informazioni e gli eventuali poteri di gestione derivanti dalla sua qualità di socio, tale obiettivo doveva essere assicurato anche nelle S.p.A., poiché anche in esse i soci possono disporre di quel bagaglio conoscitivo che consente loro di assumere le decisioni relative alla concessione di un finanziamento in posizione privilegiata rispetto ai terzi.
Altro orientamento riteneva ammissibile l’applicazione dell’art. 2467 c.c. alle S.p.A. solo in presenza di alcuni elementi ulteriori, rappresentati da una organizzazione di modeste dimensioni, oppure dall’esistenza di una compagine societaria “chiusa” (ad esempio, perché avente struttura familiare).
Tale orientamento deve ritenersi in parte superato alla luce dell’art. 164 CCII, il quale ha previsto l’inefficacia dei rimborsi eseguiti entro l’anno precedente la presentazione della domanda cui è seguita la dichiarazione di liquidazione giudiziale (v. par. 9), inefficacia che opera indistintamente per tutte le società.
Ne consegue che, mentre per le S.r.l. i rimborsi dei finanziamenti dei soci sono postergati, e se compiuti nell’anno che precede la domanda da cui deriva la liquidazione giudiziale vanno restituiti, i rimborsi dei finanziamenti dei soci eseguiti nelle S.p.A. non sono postergati, ma restano ugualmente inefficaci, se compiuti nell’anno, in caso di sopravvenuta liquidazione giudiziale.
Tuttavia, secondo parte della dottrina il comma 1 dell’art. 2467 c.c. continua ad applicarsi, per estensione analogica, alle altre forme di società di capitali a scopo lucrativo purché «chiuse» e sottocapitalizzate. Secondo questo orientamento, quindi, alle S.p.a. «chiuse» si applica, per analogia, la postergazione del finanziamento ex art. 2467 c.c.
9. L’inefficacia dei rimborsi eseguiti entro l’anno precedente la prestazione della domanda cui è seguita la dichiarazione di liquidazione giudiziale
L’art. 164, comma 2, CCII dispone che sono privi di effetto rispetto ai creditori i rimborsi dei finanziamenti concessi dai soci a favore della società quando eseguiti dopo il deposito della domanda a cui è seguita l’apertura della procedura concorsuale o nell’anno anteriore; la parte finale della stessa norma aggiunge, poi, che alla medesima fattispecie si continuerà ad applicare la definizione del fenomeno della società sottocapitalizzata, desumibile dall’art. 2467, comma 2, c.c.
La previsione dell’inefficacia dei rimborsi dei finanziamenti dei soci nei confronti dei creditori – in luogo dell’obbligo di restituzione previsto dall’art. 2467, comma 1, c.c. – sembra ricollegarsi all’intento di allargare i confini dell’istituto dell’inefficacia relativa per i crediti non scaduti di cui al vigente art. 65 l. fall., previsione sostanzialmente trasposta nel comma 1 dell’art. 164 CCII.
Il comma 3 dell’art. nell’art. 164 CCII dispone che l’inefficacia relativa si applica anche ai rimborsi dei finanziamenti effettuati nel medesimo lasso temporale dalla società assoggettata alla liquidazione giudiziale a favore di chi esercita un’attività di direzione e coordinamento nei confronti della stessa (c.d. finanziamenti infragruppo discendenti), o da altri soggetti sottoposti al medesimo potere di indirizzo (c.d. finanziamenti infragruppo orizzontali), così richiamando quanto disposto dall’art. 2497-quinquies c.c.
La previsione contenuta nell’art. 164, comma 2, CCII è dettata per tutte le società sottoposte a liquidazione giudiziale, a prescindere dalla loro forma, struttura finanziaria o sottoposizione ad una etero direzione. Ne consegue che l’inefficacia dei rimborsi dei finanziamenti a danno dei creditori investe anche quelli effettuati, ad esempio, a favore di azionisti di S.p.a. accedenti al mercato del capitale di rischio (si pensi al caso dell’azionista che sia contemporaneamente obbligazionista delle medesima emittente) che non siano sottoposte ad amministrazione straordinaria, oppure di accomandanti di s.a.s. o s.a.p.a., o, forse, anche di soci di cooperative esercenti un’impresa commerciale quando sottoposte a liquidazione giudiziale, ossia nei confronti di soggetti che potrebbero facilmente non avere contezza dello stato patrimoniale finanziario della debitrice, in quanto estranei alla sfera gestionale della stessa, ma che risulteranno coinvolti solo in forza di una cercata par condicio creditorum concorsuale.
L’ampiezza della previsione racchiusa nell’art. 164, comma 2, c.c. sembra imporre, peraltro, una lettura riduttiva del successivo comma 3, il quale, come visto, prevede l’inefficacia a favore dei creditori sociali dei rimborsi dei finanziamenti effettuati da parte della debitrice assoggettata alla liquidazione giudiziale nei confronti dell’esercente un’attività di direzione e coordinamento nei suoi confronti o da altri soggetti suoi sottoposti (c.d. finanziamenti infragruppo discendenti ed orizzontali). Quest’ultima previsione pare, infatti, destinata a coprire i casi in cui l’attività da direzione e coordinamento è attuata in forza di un rapporto extrasociale, in quanto il comma 2 già copre i casi in cui essa deriva dal possesso di una partecipazione (sia essa di controllo, oppure che comporta l’obbligo per la società o l’ente holding di consolidare i bilanci ai sensi dell’art. 2497-sexies c.c.).
La postergazione continua, poi, a riguardare anche i finanziamenti erogati dalla società o dall’ente esercente un’attività di direzione o coordinamento, oppure da parte di un’altra sottoposta, a favore di una controllata sottocapitalizzata ai sensi dell’art. 2497-quinquies c.c. (c.d. finanziamenti infragruppo discendenti e orizzontali), nonché quelli che da queste ultime potranno essere effettuati a favore dell’esercente l’attività di direzione e coordinamento ai sensi del primo periodo del comma 1 dell’art. 292 CCII (c.d. finanziamenti infragruppo ascendenti).
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Avv. Valerio Pandolfini
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