Il software: tutela giuridica, contratti di sviluppo, contratti di licenza
Il software è un programma che, congiuntamente all’elaboratore elettronico (hardware) rappresenta la parte costitutiva del computer. Il software è costituito da un codice sorgente, ovvero il linguaggio convenzionale utilizzato dal programmatore per scrivere il software, e un codice oggetto, ovvero il linguaggio della macchina (in bit), necessario a trasformare automaticamente il codice sorgente e a renderlo elaborabile dall’hardware, per l’esecuzione di uno specifico compito. Il software può essere protetto essenzialmente tramite due istituti: il diritto d’autore e il brevetto per invenzione. Si tratta di due strumenti notevolmente diversi, in quanto implicano differenti modi di acquisizione dei diritti e differente durata del diritto. Il software può essere oggetto di due contratti: lo sviluppo e la licenza d’uso.
1. Cos’è il software sotto il profilo giuridico
Secondo la definizione adottata dal WIPO (World Intellectual Property Organization) nel 1984, il software consiste “nell’espressione di un insieme organizzato e strutturato di istruzioni (o simboli) contenuti in qualsiasi forma o supporto (nastro, disco, film, circuito), capace direttamente o indirettamente, di far eseguire o far ottenere una funzione, un compito od un risultato particolare per mezzo di un sistema di elaborazione elettronica dell’informazione”.
Tale definizione, volutamente ampia, ben si adatta al rapido evolversi della scienza informatica. Più sinteticamente, il programma è stato definito come “un complesso di tutte le istruzioni necessarie a far eseguire al computer un determinato lavoro”.
Il software è quindi essenzialmente un programma per elaboratore (computer) che, congiuntamente all’elaboratore elettronico (hardware) rappresenta, come è stato efficacemente scritto, “la parte costitutiva del computer”. Il software rappresenta la c.d. “componente logica” attraverso la quale un sistema informatico è messo nella condizione di svolgere la sua funzione di elaborazione dei dati.
Semplificando, si può affermare che il software non è altro che l’insieme di input impartiti alla macchina (hardware) per ottenere da questa l’esecuzione di un determinato compito volto a risolvere un problema pratico.
I software possono essere:
- programmi di base (sistemi operativi), attraverso i quali è possibile eseguire le operazioni più comuni (ad esempio, premendo un tasto sulla tastiera, il computer fa comparire sul monitor la relativa lettera, oppure attivare un dato programma);
- programmi applicativi (c.d. software dell’utente), idonei ad esercitare una funzione per l’utente finale (ad esempio, sistemi di archiviazione, soluzioni grafiche, elaboratori di testo).
Il software è costituito da:
- un codice sorgente, ovvero il linguaggio convenzionale del programmatore per scrivere il software;
- un codice oggetto (detto “binario”), ovvero il linguaggio della macchina (in bit), necessario a trasformare automaticamente il codice sorgente e a renderlo elaborabile dal hardware, per l’esecuzione di uno specifico compito.
Affinché un programma sia eseguito da un elaboratore, il codice sorgente (comprensibile per l’uomo) deve essere tradotto nel codice oggetto (un linguaggio comprensibile solo per l’elaboratore); tale operazione (c.d. compilazione) viene svolta in modo automatizzato da appositi software. L’operazione inversa, che permette dal codice oggetto al risalire al codice sorgente attraverso specifici tools informatici, è la c.d. decompilazione.
I programmi per elaboratori appartengono alla categoria dei beni giuridici immateriali, in quanto non sono consumabili (e dunque non sono soggetti a usura) e possono essere utilizzati simultaneamente da un numero indefinito di soggetti, senza che la loro utilità venga diminuita. Sotto il profilo giuridico, pertanto, il software rientra nelle creazioni intellettuali, ed in quanto tale è tutelabile:
- come opera d’ingegno (ai sensi dell’art. 2575 c.c.), e quindi soggetta al diritto di autore (copyright);
- come invenzione industriale (ai sensi dell’art.2585 c.c.), e quindi soggetta a brevetto.
2. La tutela del software in base al diritto d’autore (copyright)
Il software, essendo assimilato ad un’opera letteraria, rientra tra le opere protette ai sensi della Legge sul diritto d’autore (L. n. 633/1941, “LdA”). L’art. 2, comma 8, LdA prevede infatti che sono tutelati «i programmi per elaboratore in qualsiasi forma espressi, purché originali quale risultato di creazione intellettuale dell’autore».
La tutela apprestata dalla LdA implica che venga protetta la forma espressiva del software, e non le idee (o funzioni) su cui il programma è basato. Il diritto di autore, infatti, non protegge lo scopo e gli algoritmi matematici che implementano le funzioni che il programma deve compiere, né i diagrammi di flusso che descrivono in dettaglio le modalità con cui le diverse parti interagiscono tra loro. Pertanto, con il diritto d’autore viene tutelato il codice sorgente, il codice oggetto e il materiale preparatorio, ma non le idee ed i principi alla base del codice sorgente od oggetto di un programma.
La creatività necessaria ad un software per ottenere la protezione d’autore sussiste anche quando l’opera è composta da idee e nozioni semplici, comprese nel patrimonio intellettuale di persone aventi esperienza nella materia propria dell’opera stessa, purché formulate ed organizzavate in modo personale ed autonomo rispetto ad opere precedenti.
Il diritto d’autore sul software si divide in una componente morale, che rimane sempre attribuita all’autore del programma, e in una di natura patrimoniale, che può essere oggetto di cessione. Entrambe nascono in modo originario al momento della creazione del programma, come previsto dall’art. 6 LdA, senza alcuna formalità; peraltro, chi voglia acquisire la certezza della data in cui il programma è venuto a esistenza può usufruire del servizio di deposito di inedito, tenuto presso la SIAE (Società Italiana degli Autori ed Editori).
Il diritto di autore sorge al momento della creazione dell’opera e la durata della tutela è di 70 anni dalla morte dell’autore o, in caso di più autori, dell’ultimo di questi.
I diritti morali sono inalienabili ed esistono indipendentemente dalla cessione a terzi dell’opera o dalla stipula di un contratto che ne preveda l’utilizzazione economica, in quanto sono strettamente legali all’autore. Tali diritti, sanciti dagli artt. 20 e 24 della LdA sono;
- il diritto alla paternità del software;
- il diritto all’onere e alla reputazione;
- il diritto di inedito, che concede all’autore la possibilità di scegliere se pubblicare o meno il software.
I diritti patrimoniali permettono invece all’autore lo sfruttamento economico dell’opera (previsto dall’art. 12 LdA), sia in forma originale che nella forma derivata, e di ricevere un compenso per ogni tipo di utilizzo della stessa, tra cui;
- l’attività di commissione/sviluppo software;
- il noleggio;
- la licenza d’uso.
Per quanto riguarda i diritti patrimoniali, il diritto d’autore sul software si differenzia sostanzialmente da quello classico. In quest’ultimo, nessuno può moltiplicare le copie, ma è libero di utilizzare il singolo esemplare (per esempio, la vendita del volume); inoltre, è prevista la possibilità di effettuare copie di un’opera per uso personale (art. 68, LdA). Nel caso di software, invece all’autore è riservata la riproduzione, permanente e temporanea, totale o parziale, del programma per elaboratore con qualsiasi mezzo e in qualsiasi forma. Sono soggette all’autorizzazione del titolare dei diritti anche il caricamento, la visualizzazione, l’esecuzione, la trasmissione o la memorizzazione se comportano una riproduzione del programma (art. 64 LdA), nonché la traduzione, adattamento, trasformazione e ogni altra modificazione del programma per elaboratore, e la riproduzione dell’opera che risulti.
In base all’art. 64 ter LdA, sono consentite, senza alcuna autorizzazione del titolare, le attività di riproduzione, traduzione, adattamento, trasformazione e ogni altra modificazione del programma, qualora siano necessarie per l’uso del programma per elaboratore conformemente alla sua destinazione da parte del legittimo acquirente, inclusa la correzione degli errori (c.d. debugging). Non può quindi essere impedito per contratto, a chi ha acquistato il diritto di usare una copia del programma per elaboratore di effettuare una copia di riserva del programma (la cosiddetta copia di backup), qualora sia necessaria per l’uso; ogni ulteriore duplicazione è vietata.
Il terzo comma dell’art. 64 ter LdA, inoltre, conferisce a chi ha il diritto di usare una copia del programma le facoltà di osservare, studiare, sperimentare il funzionamento dello stesso durante le operazioni di caricamento, visualizzazione, esecuzione, trasmissione e memorizzazione del programma allo scopo di determinare i principi su cui è basato per una più corretta utilizzazione. La legge consente quindi solo l’osservazione dall’esterno del funzionamento del programma, che difficilmente è in grado di fornire al tecnico programmatore importanti indicazioni (c.d. black box analysis). Ogni eventuale accordo diverso tra le parti deve considerarsi nullo.
L’art. 64 quater LdA disciplina la decompilazione (o reverse engineering), procedimento che, consentendo di risalire dal programma oggetto/eseguibile al programma sorgente, è necessario al fine di sviluppare programmi che possano interagire tra loro e permettere prestazioni più complesse e complete. La decompilazione ha la finalità di garantire la divulgazione delle informazioni tecniche contenute nei programmi per elaboratore, degli algoritmi che ne sono la base, dalla loro struttura, e in generale di tutte le conoscenze tecniche impiegate nello sviluppo dei programmi, in modo che chi ne venga a conoscenza sia messo in grado di impiegarle per programmi diversi, al fine di favorire lo sviluppo tecnologico del settore.
Nel campo della tutela dei programmi per elaboratore, la decompilazione può essere effettuata solo nel rispetto di precisi limiti:
- la decompilazione deve essere eseguita da chi ha il diritto di usare il software (64 quater comma 1, lett. a);
- le informazioni non devono essere già “facilmente reperibili e rapidamente accessibili” (art. 64 quater comma 1, lett. b);
- la decompilazione deve essere limitata solo alle “parti del programma originale necessarie per conseguire l’interoperabilità” (art. 64 quater comma 1, lett. c);
- le informazioni acquisite non devono essere comunicate a terzi (art. 64 quater comma 2, lett. b);
- le informazioni acquisite non possono essere utilizzate per costruire programmi sostanzialmente simili nella loro forma espressiva (art. 64 quater comma 2, lett. c).
3. La brevettabilità del software
L’invenzione industriale è tutelata attraverso il brevetto, ai sensi dell’RD n. 1127/1939, c.d. Legge sulle invenzioni (L.I). L’art. 12 L.I., la legge sulle invenzioni, modificato dal DPR n. 338/1979, che recepisce la Convenzione di Monaco sul Brevetto Europeo, dispone che non sono considerati come invenzioni (e pertanto non sono brevettabili) i programmi di elaboratori “in quanto tali”.
Il divieto di brevettabilità del programma per elaboratore “in quanto tale” non esclude di fatto la tutela del software mediante il brevetto, se inserito nell’ambito di una invenzione. E’ possibile ottenere il presupposto brevetto di un’invenzione di combinazione, in cui si faccia uso di un elaboratore programmato in modo da ottenere un risultato tecnico nuovo e originale tramite il coordinamento di elementi e mezzi già conosciuti.
L’utilizzazione di un software quale componente di un prodotto non pregiudica quindi di per sé la brevettabilità di un’invenzione; il software deve necessariamente rispettare i requisiti richiesti per qualsiasi invenzione, ovvero deve possedere:
- carattere tecnico (cioè presentare caratteristiche tecnologiche sostanziali e non puramente commerciali o matematiche);
- novità (non deve cioè essere compreso nello stato della tecnica fino a quel momento);
- originalità (non deve cioè essere evidente per un tecnico medio settore);
- liceità (non deve cioè essere contrario all’ordine pubblico o al buon costume);
- applicabilità industriale (cioè deve contribuire alla soluzione di un problema tecnico).
Per la tutela di un’invenzione industriale è necessario presentare domanda di brevetto presso l’Ufficio Centrale Brevetti (UCB). I diritti sull’invenzione sorgono nel momento del conseguimento del brevetto: in base all’art. 3 della L.I, il brevetto dura venti anni a decorrere dalla data di deposito della domanda e non può essere rinnovato né può esserne prorogata la durata.
4. Tutela del software in base a diritto d’autore e brevetto a confronto
Il brevetto e il diritto d’autore (copyright) sono due strumenti notevolmente diversi per garantire la tutela giuridica del software, in quanto implicano differenti modi di acquisizione dei diritti e differente durata del diritto.
In primo luogo, mentre il brevetto permette lo sfruttamento del software con riguardo al suo contenuto (algoritmo)-e, quindi, permette a chi lo detiene la possibilità di impedire lo sviluppo indipendente di un programma dotato di funzionalità identiche o analogiche- il diritto d’autore protegge la forma dell’espressione creativa del software, a prescindere dal suo contenuto; pertanto, colui il quale ha creato il software può vietare la duplicazione del codice, ma non quella dell’idea o della funzionalità cui si riferisce quel codice.
Il principale vantaggio della protezione offerta dal brevetto è dunque costituito dal fatto che la protezione brevettuale non si limita a impedire la copia del programma (come nel copyright) potendosi invece focalizzare sulle idee di soluzione, di portata più ampia, che sono alla base dello stesso, così che non è più sufficiente per aggirare la protezione discostarsi dalla sua forma espressiva (scrittura).
Le potenzialità della tutela in base al diritto di autore possono essere minate da condotte di difficile eliminazione, tra le quali in particolare il reverse engineering, cioè la possibilità di risalire dal programma al suo diagramma di flusso, riuscendo così a crearne uno nuovo e apparentemente diverso, ma che svolga però le medesime funzioni. A fronte di questo tipo di condotte il copyright appresta una tutela solo parzialmente efficace, in quanto protegge i software informatici limitatamente al modo in cui è scritto il codice sorgente, cioè il linguaggio di programmazione usato dall’esperto ma percepibile (più o meno facilmente) dall’utente. Il brevetto proteggere invece non il codice in quanto tale, bensì le funzionalità e prestazioni proprie del software, e questo rende di fatto impossibile attuare il reverse engineering o condotte similari.
Sotto il profilo, peraltro, del contemperamento tra la pubblica utilità a conoscere il bene oggetto di tutela (al fine di favorire il progresso tecnico) e l’esclusiva in capo al suo inventore, mentre nel sistema del copyright questo rapporto è più favorevole all’autore – in quanto il software è generalmente distribuito sotto forma di codice oggetto, non intelligibile per l’utilizzatore – nell’ottica brevettuale il rapporto tra conoscenza pubblica ed esclusiva dell’ideatore è più equilibrato, in quanto per la concessione del brevetto è necessaria una descrizione chiara ed esaustiva dell’invenzione, che entra così a far parte del patrimonio scientifico della collettività.
I presupposti delle due tutele sono diversi. Per accedere alla tutela brevettuale occorre che l’invenzione sia dotata degli elementi di industrialità, novità, originalità e liceità; viceversa il diritto d’autore prende in considerazione principalmente l’elemento della creatività, inteso come grado di originalità di un’opera, per cui il relativo diritto sorge automaticamente in capo all’autore al momento dell’estrinsecazione dell’idea nella realtà fattuale.
Sotto il profilo dell’acquisto del diritto, diritti sull’invenzione industriale sorgono nel momento del conseguimento del brevetto, mentre i diritti d’autore sulle opere di ingegno sorgono nel momento stesso della creazione dell’opera; la registrazione del brevetto, laddove ne ricorrano i requisiti, ha infatti valenza costitutiva del diritto, mentre nel diritto d’autore rileva la data di creazione dell’opera.
Infine, il brevetto ha un termine di validità di 20 anni dalla domanda di deposito, mentre il diritto di autore di 70 anni dalla morte dell’autore.
In ogni caso, le esigenze e gli scopi legati alla creazione di un software sono molteplici e quindi presuppongono un grado di tutela differente; prima di scegliere una determinata forma di tutela è opportuno quindi comprendere a cosa questa risulterà utile, in base agli obiettivi e le strategie del titolare.
Se siete interessati a scaricare un modello di contratto di licenza d’uso di software, inviate una mail al seguente indirizzo: info@studio-pandolfini.it.
5. La distribuzione del software. Il principio di esaurimento comunitario
In base al principio di esaurimento comunitario, una volta messo in commercio un bene nel territorio dell’Unione europea, il titolare di uno o più diritti di proprietà industriale su quel bene specifico perde le relative facoltà di privativa. In particolare, l’art. 4 della direttiva 2001/29 UE prevede che: “Gli Stati membri riconoscono agli autori il diritto esclusivo di autorizzare o vietare qualsiasi forma di distribuzione al pubblico dell’originale delle loro opere o di loro copie, attraverso la vendita o in altro modo. Il diritto di distribuzione dell’originale o di copie dell’opera non si esaurisce nella Comunità, tranne nel caso in cui la prima vendita o il primo altro trasferimento di proprietà nella Comunità di detto oggetto sia effettuata dal titolare del diritto o con il suo consenso”.
Il principio di esaurimento ha, quindi, efficacia esclusivamente nel caso in cui l’immissione del bene nel commercio sia effettuata direttamente dal titolare del diritto, o comunque, nel caso in cui essa avvenga con il suo consenso.
Tale principio trova applicazione anche in materia di software. L’art. 4, par. 2, della direttiva 2009/24/CE prevede infatti che “La prima vendita della copia di un programma nella Comunità da parte del titolare del diritto o con il suo consenso esaurisce il diritto di distribuzione della copia all’interno della Comunità, ad eccezione del diritto di controllare l’ulteriore locazione del programma o di una copia dello stesso.”
Alla luce del principio della parità di trattamento, l’esaurimento del diritto di distribuzione previsto da tale disposizione è efficace indipendentemente dal fatto che la vendita riguardi una copia tangibile o intangibile del programma stesso.
Come affermato dalla Corte di Giustizia Europea (sentenza del 3 luglio 2012, C-128/11, caso Oracle), il diritto di distribuzione della copia di un programma per elaboratore è esaurito qualora il titolare del diritto d’autore che abbia autorizzato, anche a titolo gratuito, il download della copia su un supporto informatico via Internet abbia conferito, dietro pagamento di un compenso, il diritto di utilizzare la copia dell’opera di cui è proprietario, senza limitazioni di durata.
Qualora, quindi, il titolare dei diritti conceda una licenza senza limitazione di durata, l’acquirente potrà trasmettere a terzi la sua copia, avvalendosi dell’esaurimento del diritto di distribuzione previsto dall’art. 4, par. 2 della direttiva 2009/24/CE. Tale operazione consente anche ad ogni legittimo acquirente successivo di essere considerato legittimo acquirente a tutti gli effetti, beneficiando di tutti i diritti attribuitigli dalle norme in materia.
Nonostante le problematiche per le aziende produttrici di software determinate dal sopra descritto principio di esaurimento, mantenere il controllo dei propri software dopo la prima vendita è possibile, regolamentando con attenzione la cessione dei diritti nel contratto di contratto di licenza d’uso del software o di sviluppo del software.
È quindi opportuno a tale scopo disciplinare dettagliatamente il contenuto dei diritti ceduti, limitando nel tempo il diritto d’uso, di modo da assimilare il relativo contratto di licenza non ad una vendita, ma ad una locazione.
Un’altra possibilità, sempre più utilizzata dai vari produttori di software, è il cloud-computing. Tale strumento consente alle software house di distribuire i propri software senza bisogno di cederne delle copie. Il contratto di licenza è in tal modo assimilabili ad un abbonamento, che permette agli utenti di accedere ad un servizio online per un periodo limitato di tempo. In questo modo le software house possono mantenere il controllo sui propri software, evitando la cessione sia del codice sorgente che del codice oggetto.
6. Il contratto di sviluppo del software
Il contratto di sviluppo del software è un contratto atipico (cioè non disciplinato dalla legge) con cui un soggetto (committente) richiede la realizzazione di un determinato software personalizzato (custom made), cioè un software avente specifiche caratteristiche, richieste dal committente stesso (come, ad esempio, l’informatizzazione della contabilità di un’impresa o della gestione del magazzino), ad un altro soggetto, professionista autonomo o lavoratore dipendente (sviluppatore), verso un determinato corrispettivo.
Attraverso il contratto di sviluppo, dunque, l’utente non acquista un prodotto già esistente sul mercato, ma dà incarico di “redigere” uno specifico programma adatto alle sue necessità e per mezzo del quale intende procedere all’informatizzazione dell’intera sua attività o di una fase di essa.
In base all’accordo tra le parti, il contratto di sviluppo del software può essere strutturato come un contratto d’opera (regolato dall’art. 2222 e ss. c.c.) o come un contratto di appalto (regolato dall’art, 1655 c.c.). Tale diversa configurazione si riflette direttamente sul regime di responsabilità dello sviluppatore e sui diritti di sfruttamento del software.
Qualora il contratto di sviluppo del software sia ricondotto al contratto d’opera, lo sviluppatore è obbligato ad impegnarsi nello sviluppo del programma con lavoro prevalentemente proprio e con autonomia, ed è responsabile solo per danni derivanti da dolo o colpa grave, in base all’art. 2236 c.c.
Qualora invece il contratto di sviluppo del software sia strutturato come contratto di appalto , lo sviluppatore è tenuto ad una obbligazione di risultato, ed è tenuto quindi a consegnare al committente il software commissionato secondo le specifiche richieste ed esigenza tecniche precisate da quest’ultimo. In tal caso, trova applicazione la garanzia per vizi e difformità di cui agli artt. 1667 e 1668 c.c.
I diritti morali sul software, discendenti dal diritto di autore, fanno sempre capo allo sviluppatore, in quanto autore del bene, poiché sono inalienabili; dunque, nel momento in cui un programmatore genera un software, egli rimane il titolare dell’opera, e di conseguenza mantiene la possibilità di rivendicare la paternità dell’opera in qualsiasi momento, nonché il diritto di vietarne le modifiche.
I diritti patrimoniali sul software spettano anch’essi allo sviluppatore, il quale potrà modificare, riprodurre, distribuire il software a terzi o cederlo ad altri committenti, mentre il committente godrà di una semplice licenza d’uso del software.
Qualora tuttavia l’attività inventiva e/o creativa sia prevista espressamente come oggetto del contratto tra le parti, i diritti patrimoniali legati allo sviluppo del software spettano al committente, ai sensi dell’ art. 4 L. n. 81/2017.
Qualora inoltre sussista un rapporto di lavoro subordinato tra committente e sviluppatore, la regola generale secondo cui diritti economici derivanti dall’opera creativa spettano all’autore originario sopporta due rilevanti eccezioni:
- nel caso di invenzione creata dal dipendente, i diritti di utilizzazione economica ricadono in capo al datore di lavoro, fatto salvo il diritto morale del creatore dell’opera di esserne riconosciuto quale autore (64 Codice di Proprietà Industriale, CPI);
- salvo patto contrario, il datore di lavoro è titolare del diritto esclusivo di utilizzazione economica del programma per elaboratore o della banca dati creati dal lavoratore dipendente nell’esecuzione delle sue mansioni o su istruzioni impartite dallo stesso datore di lavoro (12 – bis LdA).
Tutelato dalla normativa sul diritto d’autore è anche il codice sorgente del programma, che può essere definito come il testo di un algoritmo di un programma scritto in un linguaggio di programmazione da parte del creatore del software.
Nel contratto di sviluppo del software è opportuno precisare se il codice di sorgente resta di esclusiva proprietà dello sviluppatore del software, che ne detiene tutti i relativi diritti morali e patrimoniali con conseguente divieto al cliente di effettuare qualsiasi forma di cessione, distribuzione, diffusione, adattamento, trasformazione, e ogni altra modifica o intervento al codice sorgente- oppure se lo stesso sia messo a disposizione del committente per determinate finalità, come:
- tutelare l’investimento economico sopportato dal committente per la realizzazione del software, nel caso in cui lo sviluppatore – licenziatario, per qualsiasi motivo, cessi la sua attività e quindi non sia più in grado di fornire assistenza tecnica e di sviluppo;
- permettere l’interconnessione del software con database esterni, altri programmi o hardware in uso al cliente;
- per attività di diagnostica e manutenzione.
Le diverse situazioni che possono presentarsi in ordine all’utilizzazione del codice sorgente devono essere specificatamente disciplinate nel contratto di sviluppo del software. Ad esempio, è possibile prevedere che la titolarità del codice sorgente e la possibilità di sfruttarlo economicamente sia in capo allo sviluppatore, ma che il committente possa utilizzarlo internamente per eventuali modifiche ed estensioni; oppure è possibile prevedere che il codice sorgente del software sia di titolarità dello sviluppatore, ma questi non possa cederlo ad altri soggetti con i quali il committente compete sul mercato; e così via.
La conclusione di un contratto di sviluppo di software si articola generalmente in due fasi:
- lo studio di fattibilità, consistente in un’analisi effettuata dallo sviluppatore circa le specifiche tecniche e funzionali richieste dal committente, nella verifica circa la realizzabilità delle stesse e nella descrizione di tempi e costi della realizzazione; in questa fase, spesso il cliente comunica allo sviluppatore una serie di informazioni aziendali riservate, che devono essere protette con un idoneo impegno di riservatezza.
- la progettazione, consistente nella traduzione delle richieste del cliente nel linguaggio scientifico di programmazione, attraverso la scheda tecnica del software (che verrà in seguito allegata al contratto); questa fase può essere in alcuni casi oggetto di autonomo contratto;
- il collaudo, ovvero la verifica della funzionalità del software in base a quanto previsto nel contratto, che si concretizza in un apposito test, oggetto di verbale scritto; se il collaudo ha esito positivo, il committente procedere all’accettazione del programma informatico, altrimenti, qualora emergano errori o vizi, lo sviluppatore dovrà procedere alle opportune modiche. Possono essere previste anche verifiche intermedie, nel caso in cui sia concordato il rilascio di alcune versioni del software preliminari rispetto alla consegna finale.
Di centrale importanza nell’ambito dei contratti di sviluppo del software è il piano di fattibilità iniziale: infatti, solo una intensa e fattiva collaborazione tra committente e sviluppatore, già nel momento preliminare di definizione dei requisiti del software commissionato, consente di soddisfare appieno le necessità del committente e di contenere al massimo la possibilità di contenziosi in fase di esecuzione del contratto. Poiché l’apporto dello sviluppatore già in questa fase è fondamentale, è opportuno che il piano di fattibilità sia redatto sia dal committente che appunto dallo sviluppatore, in cooperazione tra loro.
Altrettanto importante è la fase di collaudo, che deve essere descritta nel contratto di sviluppo del software in modo esauriente, precisando quali test dovranno essere effettuati, tempi e forme, con l’indicazione delle modalità con cui dovrà avvenire la comunicazione del mancato superamento di uno o più test; il tutto dovrà essere descritto in una apposita procedura di accettazione del software, nella quale dovranno essere riportate sia le modalità con cui sottoporre a test il software consegnato che il comportamento atteso che il software deve esibire.
Il contratto di sviluppo di un software deve essere quindi redatto in modo analitico e preciso, tenendo conto delle precise esigenze di entrambe le parti. E’ necessario in particolare che nel contratto di sviluppo vengano indicati chiaramente, anche sotto il profilo della proprietà intellettuale, i diritti spettanti allo sviluppatore e al committente, con specifico riferimento al codice sorgente.
7. Il contratto di licenza d’uso del software
Il contratto di licenza d’uso del software è un contratto atipico, generalmente a titolo oneroso, che permette al titolare di un software di cederlo in uso a uno o più soggetti per un determinato periodo di tempo, trasferendo loro tutti o parte dei propri diritti patrimoniali d’autore, dietro corresponsione di un determinato canone d’uso, periodico o annuale.
Per fare un esempio, ipotizziamo che un imprenditore intenda innovare la propria azienda, velocizzando alcuni processi lavorativi e offrendo ai clienti servizi più efficienti, avvalendosi di un software gestionale di titolarità di una società di sviluppo software (c.d. software house); in tal caso l’accordo di licenza vedrà la società di sviluppo del software in qualità di licenziante del software e l’imprenditore in qualità di licenziatario dell’uso di esso.
I diritti patrimoniali che, nell’ambito di un contratto di licenza d’uso, l’autore del programma può trasferire al beneficiario sono elencati agli artt. 12 e ss. LdA, ovvero:
- il diritto di pubblicazione, che permette all’autore di portare la propria opera alla conoscenza del pubblico, essendo considerata come prima pubblicazione la prima forma di esercizio del diritto stesso (art. 12 comma 3 LdA);
- il diritto di riproduzione, ossia “la moltiplicazione in copie diretta o indiretta, temporanea o permanente, in tutto o in parte dell’opera, in qualunque modo o forma”(art. 13 LdA);
- il diritto di modificazione e trasformazione e traduzione dell’opera (art. 18 LdA);
- il diritto di distribuzione, cioè il diritto in capo all’autore di stabilire la modalità con la quale rende accessibile la propria opera al pubblico (art. 17 LdA);
- il diritto di noleggio e prestito, cioè il diritto esclusivo dell’autore di autorizzare la cessione in uso dell’opera per un periodo limitato di tempo per un beneficio economico o commerciale diretto o indiretto (art. 18-bis LdA).
Attraverso il contratto di licenza, il software non viene quindi ceduto (cioè venduto) al licenziatario – come invece avviene con il contratto di cessione del software – ma solo concesso appunto in uso. Di conseguenza, mentre in caso di cessione del software l’acquirente ottiene tutti i diritti patrimoniali sullo stesso – ivi compreso il codice sorgente – ed è dunque libero di disporne secondo la propria volontà, il contratto di licenza permette al licenziatario solo di utilizzare il software secondo determinate condizioni e limitazioni – temporali e sostanziali – imposte dal licenziante, che rimane proprietario del software stesso.
Il licenziatario potrà quindi godere dell’utilizzo del software solo per il periodo di tempo stabilito nel contratto, non potrà venire a conoscenza del codice sorgente del software, né quindi modificarlo, implementarlo o migliorarlo. Possono essere inoltre stabiliti dal licenziante altri limiti sostanziali, variabili a seconda del caso concreto, ad esempio in ordine al numero massimo di copie effettuabili o di installazioni del software eseguibili su dispositivi.
La licenza d’uso concessa dal licenziante al licenziatario può essere:
- proprietaria: in tal caso il licenziante concede al licenziatario il solo utilizzo del software per un periodo di tempo;
- open source: in tal caso il licenziante concede al licenziatario non solo l’utilizzo del software ma anche la possibilità di modificarlo, migliorarlo e in alcuni casi cederlo a terzi.
Il contratto di licenza ha generalmente ad oggetto software “standard”, cioè già esistenti e disponibili sul mercato e non creati ad hoc per utenti specifici; questi ultimi, qualora intendano soddisfare esigenze precise, saranno invece portati a richiedere non una licenza semplice bensì un software personalizzato, oggetto di un contratto di sviluppo.
Esistono vari tipi di licenza, in ragione della molteplicità e varietà delle esigenze da tutelare. In generale, la licenza può essere:
- esclusiva, qualora un solo licenziatario ottenga il diritto di utilizzare il software per tutta la durata del contratto;
- non esclusiva, qualora una pluralità di licenziatari ed anche il licenziante possono goderne.
Esistono poi licenze che fungono da prova per il licenziatario (c.d. trial license), il quale può scaricare il software senza dover apporre alcuna firma e utilizzarlo per un determinato periodo di tempo, alla scadenza del quale valuterà se acquistarlo o meno.
In caso di cessione di ramo d’azienda, la giurisprudenza prevalente ritiene che l’acquirente dell’azienda non subentri automaticamente nel contratto di licenza del software ai sensi dell’art. 2558 c.c., ma solo se ciò sia espressamente previsto nel contratto di cessione, dato il carattere personale dei diritti sul software, legato all’inventiva, che implica il pieno dominio del titolare anche nella determinazione dell’uso da parte dei terzi, salvo una diversa pattuizione tra le parti.
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Avv. Valerio Pandolfini
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