Il software: tutela giuridica, contratti di sviluppo, contratti di licenza
Il software è un programma che, congiuntamente all’elaboratore elettronico (hardware) rappresenta la parte costitutiva del computer. Il software è costituito da un codice sorgente, ovvero il linguaggio convenzionale utilizzato dal programmatore per scrivere il software, e un codice oggetto, ovvero il linguaggio della macchina (in bit), necessario a trasformare automaticamente il codice sorgente e a renderlo elaborabile dall’hardware, per l’esecuzione di uno specifico compito. Il software può essere protetto essenzialmente tramite due istituti: il diritto d’autore e il brevetto per invenzione. Si tratta di due strumenti notevolmente diversi, in quanto implicano differenti modi di acquisizione dei diritti e differente durata del diritto. Il software può essere oggetto di due contratti: lo sviluppo e la licenza d’uso.
1. Cos’è il software sotto il profilo giuridico
Secondo la definizione adottata dal WIPO (World Intellectual Property Organization) nel 1984, il software consiste “nell’espressione di un insieme organizzato e strutturato di istruzioni (o simboli) contenuti in qualsiasi forma o supporto (nastro, disco, film, circuito), capace direttamente o indirettamente, di far eseguire o far ottenere una funzione, un compito od un risultato particolare per mezzo di un sistema di elaborazione elettronica dell’informazione”.
Tale definizione, volutamente ampia, ben si adatta al rapido evolversi della scienza informatica. Più sinteticamente, il programma è stato definito come “un complesso di tutte le istruzioni necessarie a far eseguire al computer un determinato lavoro”.
Il software è quindi essenzialmente un programma per elaboratore (computer) che, congiuntamente all’elaboratore elettronico (hardware) rappresenta, come è stato efficacemente scritto, “la parte costitutiva del computer”. Il software rappresenta la c.d. “componente logica” attraverso la quale un sistema informatico è messo nella condizione di svolgere la sua funzione di elaborazione dei dati.
Semplificando, si può affermare che il software non è altro che l’insieme di input impartiti alla macchina (hardware) per ottenere da questa l’esecuzione di un determinato compito volto a risolvere un problema pratico.
I software possono essere:
- programmi di base (sistemi operativi), attraverso i quali è possibile eseguire le operazioni più comuni (ad esempio, premendo un tasto sulla tastiera, il computer fa comparire sul monitor la relativa lettera, oppure attivare un dato programma);
- programmi applicativi (c.d. software dell’utente), idonei ad esercitare una funzione per l’utente finale (ad esempio, sistemi di archiviazione, soluzioni grafiche, elaboratori di testo).
Il software è costituito da:
- un codice sorgente, ovvero il linguaggio convenzionale del programmatore per scrivere il software;
- un codice oggetto (detto “binario”), ovvero il linguaggio della macchina (in bit), necessario a trasformare automaticamente il codice sorgente e a renderlo elaborabile dal hardware, per l’esecuzione di uno specifico compito.
Affinché un programma sia eseguito da un elaboratore, il codice sorgente (comprensibile per l’uomo) deve essere tradotto nel codice oggetto (un linguaggio comprensibile solo per l’elaboratore); tale operazione (c.d. compilazione) viene svolta in modo automatizzato da appositi software.
L’operazione inversa, che permette dal codice oggetto al risalire al codice sorgente attraverso specifici tools informatici, è la c.d. decompilazione. Si tratta di una complessa attività di analisi e decodificazione del codice binario.
Il codice sorgente, essendo l’unico elemento che consente ogni tipo di intervento sulla struttura del programma per elaboratore, costituisce il nucleo essenziale del software, il suo cuore vitale ed il centro originario di tutte le sue potenzialità future. Da qui l’importanza dell’accessibilità al codice sorgente e della sua segretezza o mancanza di disponibilità nelle consuete licenze d’uso di software a carattere oneroso (v. par. 8).
I programmi per elaboratori appartengono alla categoria dei beni giuridici immateriali, in quanto non sono consumabili (e dunque non sono soggetti a usura) e possono essere utilizzati simultaneamente da un numero indefinito di soggetti, senza che la loro utilità venga diminuita. Sotto il profilo giuridico, pertanto, il software rientra nelle creazioni intellettuali, ed in quanto tale è tutelabile:
- come opera d’ingegno (ai sensi dell’art. 2575 c.c.), e quindi soggetta al diritto di autore (copyright);
- come invenzione industriale (ai sensi dell’art.2585 c.c.), e quindi soggetta a brevetto.
2. La tutela del software in base al diritto d’autore (copyright)
Il software, essendo assimilato ad un’opera letteraria, rientra tra le opere protette ai sensi della Legge sul diritto d’autore (L. n. 633/1941, “LdA”). L’art. 2, comma 8, LdA prevede infatti che sono tutelati «i programmi per elaboratore in qualsiasi forma espressi, purché originali quale risultato di creazione intellettuale dell’autore».
La tutela apprestata dalla LdA implica che venga protetta la forma espressiva del software, e non le idee (o funzioni) su cui il programma è basato. Il diritto di autore, infatti, non protegge lo scopo e gli algoritmi matematici che implementano le funzioni che il programma deve compiere, né i diagrammi di flusso che descrivono in dettaglio le modalità con cui le diverse parti interagiscono tra loro. Pertanto, con il diritto d’autore viene tutelato il codice sorgente, il codice oggetto e il materiale preparatorio, ma non le idee ed i principi alla base del codice sorgente od oggetto di un programma.
La creatività necessaria ad un software per ottenere la protezione d’autore sussiste anche quando l’opera è composta da idee e nozioni semplici, comprese nel patrimonio intellettuale di persone aventi esperienza nella materia propria dell’opera stessa, purché formulate ed organizzavate in modo personale ed autonomo rispetto ad opere precedenti.
Il diritto d’autore sul software si divide in una componente morale, che rimane sempre attribuita all’autore del programma, e in una di natura patrimoniale, che può essere oggetto di cessione. Entrambe nascono in modo originario al momento della creazione del programma, come previsto dall’art. 6 LdA, senza alcuna formalità; peraltro, chi voglia acquisire la certezza della data in cui il programma è venuto a esistenza può usufruire del servizio di deposito di inedito, tenuto presso la SIAE (Società Italiana degli Autori ed Editori).
Il diritto di autore sorge al momento della creazione dell’opera e la durata della tutela è di 70 anni dalla morte dell’autore o, in caso di più autori, dell’ultimo di questi.
I diritti morali sono inalienabili ed esistono indipendentemente dalla cessione a terzi dell’opera o dalla stipula di un contratto che ne preveda l’utilizzazione economica, in quanto sono strettamente legali all’autore. Tali diritti, sanciti dagli artt. 20 e 24 della LdA sono;
- il diritto alla paternità del software;
- il diritto all’onere e alla reputazione;
- il diritto di inedito, che concede all’autore la possibilità di scegliere se pubblicare o meno il software.
I diritti patrimoniali permettono invece all’autore lo sfruttamento economico dell’opera (previsto dall’art. 12 LdA), sia in forma originale che nella forma derivata, e di ricevere un compenso per ogni tipo di utilizzo della stessa, tra cui;
- l’attività di commissione/sviluppo software;
- il noleggio;
- la licenza d’uso.
Per quanto riguarda i diritti patrimoniali, il diritto d’autore sul software si differenzia sostanzialmente da quello classico. In quest’ultimo, nessuno può moltiplicare le copie, ma è libero di utilizzare il singolo esemplare (per esempio, la vendita del volume); inoltre, è prevista la possibilità di effettuare copie di un’opera per uso personale (art. 68, LdA). Nel caso di software, invece all’autore è riservata la riproduzione, permanente e temporanea, totale o parziale, del programma per elaboratore con qualsiasi mezzo e in qualsiasi forma. Sono soggette all’autorizzazione del titolare dei diritti anche il caricamento, la visualizzazione, l’esecuzione, la trasmissione o la memorizzazione se comportano una riproduzione del programma (art. 64 LdA), nonché la traduzione, adattamento, trasformazione e ogni altra modificazione del programma per elaboratore, e la riproduzione dell’opera che risulti.
In base all’art. 64 ter LdA, sono consentite, senza alcuna autorizzazione del titolare, le attività di riproduzione, traduzione, adattamento, trasformazione e ogni altra modificazione del programma, qualora siano necessarie per l’uso del programma per elaboratore conformemente alla sua destinazione da parte del legittimo acquirente, inclusa la correzione degli errori (c.d. debugging). Non può quindi essere impedito per contratto, a chi ha acquistato il diritto di usare una copia del programma per elaboratore di effettuare una copia di riserva del programma (la cosiddetta copia di backup), qualora sia necessaria per l’uso; ogni ulteriore duplicazione è vietata.
Il terzo comma dell’art. 64 ter LdA, inoltre, conferisce a chi ha il diritto di usare una copia del programma le facoltà di osservare, studiare, sperimentare il funzionamento dello stesso durante le operazioni di caricamento, visualizzazione, esecuzione, trasmissione e memorizzazione del programma allo scopo di determinare i principi su cui è basato per una più corretta utilizzazione. La legge consente quindi solo l’osservazione dall’esterno del funzionamento del programma, che difficilmente è in grado di fornire al tecnico programmatore importanti indicazioni (c.d. black box analysis). Ogni eventuale accordo diverso tra le parti deve considerarsi nullo.
L’art. 64 quater LdA disciplina la decompilazione (o reverse engineering), procedimento che, consentendo di risalire dal programma oggetto/eseguibile al programma sorgente, è necessario al fine di sviluppare programmi che possano interagire tra loro e permettere prestazioni più complesse e complete. La decompilazione ha la finalità di garantire la divulgazione delle informazioni tecniche contenute nei programmi per elaboratore, degli algoritmi che ne sono la base, dalla loro struttura, e in generale di tutte le conoscenze tecniche impiegate nello sviluppo dei programmi, in modo che chi ne venga a conoscenza sia messo in grado di impiegarle per programmi diversi, al fine di favorire lo sviluppo tecnologico del settore.
Nel campo della tutela dei programmi per elaboratore, la decompilazione può essere effettuata solo nel rispetto di precisi limiti:
- la decompilazione deve essere eseguita da chi ha il diritto di usare il software (64 quater comma 1, lett. a);
- le informazioni non devono essere già “facilmente reperibili e rapidamente accessibili” (art. 64 quater comma 1, lett. b);
- la decompilazione deve essere limitata solo alle “parti del programma originale necessarie per conseguire l’interoperabilità” (art. 64 quater comma 1, lett. c);
- le informazioni acquisite non devono essere comunicate a terzi (art. 64 quater comma 2, lett. b);
- le informazioni acquisite non possono essere utilizzate per costruire programmi sostanzialmente simili nella loro forma espressiva (art. 64 quater comma 2, lett. c).
3. La brevettabilità del software
L’invenzione industriale è tutelata attraverso il brevetto, ai sensi dell’RD n. 1127/1939, c.d. Legge sulle invenzioni (L.I). L’art. 12 L.I., la legge sulle invenzioni, modificato dal DPR n. 338/1979, che recepisce la Convenzione di Monaco sul Brevetto Europeo, dispone che non sono considerati come invenzioni (e pertanto non sono brevettabili) i programmi di elaboratori “in quanto tali”.
Il divieto di brevettabilità del programma per elaboratore “in quanto tale” non esclude di fatto la tutela del software mediante il brevetto, se inserito nell’ambito di una invenzione. E’ possibile ottenere il presupposto brevetto di un’invenzione di combinazione, in cui si faccia uso di un elaboratore programmato in modo da ottenere un risultato tecnico nuovo e originale tramite il coordinamento di elementi e mezzi già conosciuti.
L’utilizzazione di un software quale componente di un prodotto non pregiudica quindi di per sé la brevettabilità di un’invenzione; il software deve necessariamente rispettare i requisiti richiesti per qualsiasi invenzione, ovvero deve possedere:
- carattere tecnico (cioè presentare caratteristiche tecnologiche sostanziali e non puramente commerciali o matematiche);
- novità (non deve cioè essere compreso nello stato della tecnica fino a quel momento);
- originalità (non deve cioè essere evidente per un tecnico medio settore);
- liceità (non deve cioè essere contrario all’ordine pubblico o al buon costume);
- applicabilità industriale (cioè deve contribuire alla soluzione di un problema tecnico).
Per la tutela di un’invenzione industriale è necessario presentare domanda di brevetto presso l’Ufficio Centrale Brevetti (UCB). I diritti sull’invenzione sorgono nel momento del conseguimento del brevetto: in base all’art. 3 della L.I, il brevetto dura venti anni a decorrere dalla data di deposito della domanda e non può essere rinnovato né può esserne prorogata la durata.
4. Tutela del software in base a diritto d’autore e brevetto a confronto
Il brevetto e il diritto d’autore (copyright) sono due strumenti notevolmente diversi per garantire la tutela giuridica del software, in quanto implicano differenti modi di acquisizione dei diritti e differente durata del diritto.
In primo luogo, mentre il brevetto permette lo sfruttamento del software con riguardo al suo contenuto (algoritmo)-e, quindi, permette a chi lo detiene la possibilità di impedire lo sviluppo indipendente di un programma dotato di funzionalità identiche o analogiche- il diritto d’autore protegge la forma dell’espressione creativa del software, a prescindere dal suo contenuto; pertanto, colui il quale ha creato il software può vietare la duplicazione del codice, ma non quella dell’idea o della funzionalità cui si riferisce quel codice.
Il principale vantaggio della protezione offerta dal brevetto è dunque costituito dal fatto che la protezione brevettuale non si limita a impedire la copia del programma (come nel copyright) potendosi invece focalizzare sulle idee di soluzione, di portata più ampia, che sono alla base dello stesso, così che non è più sufficiente per aggirare la protezione discostarsi dalla sua forma espressiva (scrittura).
Le potenzialità della tutela in base al diritto di autore possono essere minate da condotte di difficile eliminazione, tra le quali in particolare il reverse engineering, cioè la possibilità di risalire dal programma al suo diagramma di flusso, riuscendo così a crearne uno nuovo e apparentemente diverso, ma che svolga però le medesime funzioni. A fronte di questo tipo di condotte il copyright appresta una tutela solo parzialmente efficace, in quanto protegge i software informatici limitatamente al modo in cui è scritto il codice sorgente, cioè il linguaggio di programmazione usato dall’esperto ma percepibile (più o meno facilmente) dall’utente. Il brevetto proteggere invece non il codice in quanto tale, bensì le funzionalità e prestazioni proprie del software, e questo rende di fatto impossibile attuare il reverse engineering o condotte similari.
Sotto il profilo, peraltro, del contemperamento tra la pubblica utilità a conoscere il bene oggetto di tutela (al fine di favorire il progresso tecnico) e l’esclusiva in capo al suo inventore, mentre nel sistema del copyright questo rapporto è più favorevole all’autore – in quanto il software è generalmente distribuito sotto forma di codice oggetto, non intelligibile per l’utilizzatore – nell’ottica brevettuale il rapporto tra conoscenza pubblica ed esclusiva dell’ideatore è più equilibrato, in quanto per la concessione del brevetto è necessaria una descrizione chiara ed esaustiva dell’invenzione, che entra così a far parte del patrimonio scientifico della collettività.
I presupposti delle due tutele sono diversi. Per accedere alla tutela brevettuale occorre che l’invenzione sia dotata degli elementi di industrialità, novità, originalità e liceità; viceversa il diritto d’autore prende in considerazione principalmente l’elemento della creatività, inteso come grado di originalità di un’opera, per cui il relativo diritto sorge automaticamente in capo all’autore al momento dell’estrinsecazione dell’idea nella realtà fattuale.
Sotto il profilo dell’acquisto del diritto, diritti sull’invenzione industriale sorgono nel momento del conseguimento del brevetto, mentre i diritti d’autore sulle opere di ingegno sorgono nel momento stesso della creazione dell’opera; la registrazione del brevetto, laddove ne ricorrano i requisiti, ha infatti valenza costitutiva del diritto, mentre nel diritto d’autore rileva la data di creazione dell’opera.
Infine, il brevetto ha un termine di validità di 20 anni dalla domanda di deposito, mentre il diritto di autore di 70 anni dalla morte dell’autore.
In ogni caso, le esigenze e gli scopi legati alla creazione di un software sono molteplici e quindi presuppongono un grado di tutela differente; prima di scegliere una determinata forma di tutela è opportuno quindi comprendere a cosa questa risulterà utile, in base agli obiettivi e le strategie del titolare.
Se siete interessati a scaricare un modello di contratto di licenza d’uso di software, inviate una mail al seguente indirizzo: info@studio-pandolfini.it.
5. La distribuzione del software. Il principio di esaurimento comunitario
In base al principio di esaurimento comunitario, una volta messo in commercio un bene nel territorio dell’Unione europea, il titolare di uno o più diritti di proprietà industriale su quel bene specifico perde le relative facoltà di privativa. In particolare, l’art. 4 della direttiva 2001/29 UE prevede che: “Gli Stati membri riconoscono agli autori il diritto esclusivo di autorizzare o vietare qualsiasi forma di distribuzione al pubblico dell’originale delle loro opere o di loro copie, attraverso la vendita o in altro modo. Il diritto di distribuzione dell’originale o di copie dell’opera non si esaurisce nella Comunità, tranne nel caso in cui la prima vendita o il primo altro trasferimento di proprietà nella Comunità di detto oggetto sia effettuata dal titolare del diritto o con il suo consenso”.
Tale principio, sancito dall’art. 17 della L.N. 633/1941 sul diritto d’autore, trova applicazione anche in materia di software. L’art. 4, par. 2, della direttiva 2009/24/CE prevede infatti che “La prima vendita della copia di un programma nella Comunità da parte del titolare del diritto o con il suo consenso esaurisce il diritto di distribuzione della copia all’interno della Comunità, ad eccezione del diritto di controllare l’ulteriore locazione del programma o di una copia dello stesso.”
Di conseguenza, il cessionario del software ha il diritto di trasferire a sua volta a terzi il software, senza necessità` di autorizzazione da parte del suo titolare originario.
In proposito, si è posto il problema dei limiti del principio di esaurimento, ovvero dell’applicabilità di tale principio, oltre che ai contratti di vendita di software – i quali comportano il trasferimento del diritto di utilizzo del software definitivo, irrevocabile ed esclusivo, con la conseguenza che il cedente non può cedere ulteriormente a terzi lo stesso diritto di utilizzazione – anche ai contratti di licenza d’uso del software, con i quali viene attribuito al licenziatario non il diritto di proprietà sul software, bensì la facoltà di utilizzo o sfruttamento di una riproduzione dello stesso, secondo i termini e le condizioni stabilite nel contratto (v. par. 8). Si tratta in altri termini di verificare se, al di là della qualificazione formale data dalle parti al contratto avente ad oggetto il software, si debba fare riferimento alla concreta funzione economica perseguita dai contraenti.
La prevalente giurisprudenza comunitaria è orientata a seguire un criterio non formalistico, riconducendo l’esaurimento del diritto a qualunque atto di messa in commercio del software, inteso quale atto volontario dell’esercizio del diritto di distribuzione che può avvenire in qualunque modalità o mezzo, anche in forma intangibile, per il tramite delle reti telematiche. In particolare, secondo l’interpretazione della Corte di Giustizia Europea, sono qualificabili come “vendita” – con conseguente esaurimento del diritto esclusivo di distribuzione – tutte le forme di commercializzazione di un prodotto caratterizzate dalla concessione di un diritto di utilizzare una copia del software, per una durata illimitata, a fronte del pagamento di un prezzo diretto a consentire al titolare del diritto d’autore di ottenere una remunerazione corrispondente al valore economico della copia dell’opera di cui è proprietario (sentenza del 3 luglio 2012, C-128/11, caso Oracle).
Nel caso in questione, la Oracle distribuiva programmi per computer mediante download in rete; il cliente scaricava una copia del software e lo poteva utilizzare acquistando una licenza che includeva il diritto di memorizzare in modo permanente la copia del programma sul proprio computer, oltre al diritto di utilizzarlo a tempo indeterminato. La Corte ha ritenuto che le operazioni di download del programma e di licenza dovessero essere qualificate nel loro complesso come vendita (e non come licenza) di software, in quanto nella fattispecie si trattava di una cessione a tempo indeterminato a fronte di un pagamento di un prezzo; di conseguenza, la distribuzione di un software implicava il trasferimento di un diritto del tutto analogo a quello di proprietà della singola copia, anche se il programma non veniva fornito su supporto fisico bensì immaterialmente, tramite appunto download.
Dunque, secondo la Corte, il diritto di distribuzione della copia di un programma per elaboratore è esaurito qualora il titolare abbia conferito, dietro pagamento di un compenso, il diritto di utilizzare la copia del software senza limitazioni di durata, a fronte di un compenso corrispondente al valore economico della copia stessa. In questo caso, infatti, il titolare dei diritti ha già soddisfatto la propria rendita di posizione monopolistica con la percezione del corrispettivo economico versato dal licenziatario per la licenza, e non ha quindi più diritto a controllare l’eventuale successiva commercializzazione dell’opera.
Nella stessa sentenza, la Corte ha altresì ritenuto che l’esaurimento del diritto di distribuzione è efficace indipendentemente dal fatto che la vendita riguardi una copia tangibile o intangibile del programma; tale principio si estende infatti anche alla commercializzazione dell’opera on-line, cioè attraverso un download del software dal sito Internet del soggetto titolare. Pertanto, la vendita di un programma per elaboratore su CDROM o DVD e la vendita mediante download via Internet, quanto agli effetti, sono operazioni negoziali analoghe.
D’altra parte, limitare l’applicazione del principio di esaurimento del diritto di distribuzione alle sole copie di software vendute su supporto informatico tangibile contrasterebbe con il principio di parità di trattamento di situazioni giuridiche analoghe, posto che permetterebbe al titolare del diritto d’autore di controllare la rivendita delle copie scaricate mediante reti telematiche e di pretendere, in tal modo, in occasione di ogni successiva rivendita, una nuova remunerazione, laddove la prima vendita della copia avrebbe già consentito al titolare medesimo di ottenere un’adeguata remunerazione per la posizione monopolistica che la legge gli riconosce sulla propria opera.
Di conseguenza, in caso di rivendita di una licenza di utilizzazione che implichi la rivendita di una copia di un programma per elaboratore scaricata dal sito Internet del titolare del diritto d’autore – licenza che era stata inizialmente concessa al primo acquirente dal titolare senza limitazione di durata ed a fronte del pagamento di un prezzo – ogni acquirente successivo della licenza può avvalersi dell’esaurimento del diritto di distribuzione previsto dall’art. 4, par. 2, della direttiva 2009/24/CE e dunque essere considerato quale legittimo acquirente di una copia di un programma per elaboratore.
Qualora dunque un software sia concesso in “licenza” in favore dell’acquirente per un periodo illimitato di tempo e a fronte del pagamento di un compenso che corrisponda al valore economico della copia del software, è legittima la licenza di software usato (c.d. relicensing) da parte dell’acquirente stesso, sia nel caso di vendita di software tramite un supporto fisico (quale, ad esempio, un CD o DVD) che qualora sia riprodotto online, mediante download (cd. modello client/server). Ciò significa che le eventuali restrizioni del titolare del software dirette a impedire l’ulteriore circolazione del software, contenute nel contratto di licenza, sono invalide, in quanto predisposte al fine di aggirare l’esaurimento del diritto di distribuzione, ai sensi dell’art. 1379 c.c.
Tuttavia, il software acquistato attraverso un contratto on-line, non avendo un supporto fisico che lo racchiude, rimane inscindibilmente legato all’elaboratore elettronico sul quale è installato; quindi, nonostante con l’acquisto del programma si sia verificato l’effetto proprio dell’esaurimento del diritto, l’acquirente, in virtu` dei limiti imposti dalla normativa in tema di programma per elaboratore, non può effettuare una copia del programma, diversa da quella di back-up. Infatti, secondo i principi generali in materia di diritto d’autore, il soggetto che acquista l’opera dell’ingegno racchiusa in un supporto, acquisisce il diritto di godere in ambito privato dell’opera medesima secondo le facoltà concesse dal contratto, rimanendo però esclusa la possibilità di poter estrarre gratuitamente e senza limiti l’opera immateriale dal supporto, al fine di realizzare altre copie, anche se queste sono per uso privato o personale.
Ne deriva che, una volta perfezionato l’acquisto del software ed installato lo stesso sul proprio computer, l’acquirente, per commercializzarlo nuovamente, deve necessariamente rendere inutilizzabile la propria copia (originaria) al momento della rivendita. In altri termini, affinché la successiva riproduzione del programma finalizzata alla sua rivendita possa essere considerata lecita, occorre che lo stesso acquirente cessi l’utilizzo del software, rendendo inutilizzabile sul proprio elaboratore, in modo definitivo, irreversibile e verificabile (cioè predisponendo tutte le necessarie e documentabili evidenze del caso), la copia originariamente acquistata. Solo in tal modo, infatti, viene evitata l’immissione in commercio di un numero di esemplari del programma superiore a quelli originariamente ceduti dal titolare, il cui diritto di distribuzione, sotto il profilo del controllo in ordine alla quantità delle licenze commercializzate, viene così preservato.
Il titolare del diritto d’autore potrà verificare che effettivamente l’acquirente iniziale abbia smesso di utilizzare il programma dopo averlo venduto utilizzando delle misure tecniche di protezione, quali le chiavi di accesso al software, che agiscono on line direttamente sul singolo elaboratore connesso in rete.
Connesso all’obbligo del rivenditore di rendere inutilizzabile il programma, poi, è il divieto, posto allo stesso, di scorporare le licenze di cui dispone, comprensive di diritti di utilizzazione per più utenti, al fine di cedere solo quelli eccedenti rispetto alle sue necessità. La Corte nel citato caso Oracle ha in tal senso stabilito il principio di inscindibilità della licenza del software, alla stregua del quale, qualora la licenza acquisita dall’iniziale acquirente preveda un numero di utenti superiore alle sue esigenze, questi, per effetto della regola dell’esaurimento, non è comunque legittimato a scindere la licenza in questione e a rivendere unicamente il diritto di utilizzare il programma di cui si tratta corrispondente ad un numero di utenti dallo stesso stabilito. Come chiarito dalla Corte di Giustizia, infatti, se l’acquirente iniziale procedesse alla vendita degli utenti eccedenti, continuando a servirsi del software per la parte residua, contravverrebbe all’obbligo di rendere inutilizzabile la propria copia.
Il divieto di scissione si riferisce solo alle licenze c.d. Client/Server, mediante le quali il produttore concede all’originario acquirente il diritto di memorizzare in modo permanente su un proprio server il software ceduto, provvedendo contestualmente ad attribuirne l’accesso dalle postazioni di lavoro di un determinato numero di utenti. Viceversa, le c.d. licenze Volume, vendute in pacchetto per ragioni che attengono alle politiche di distribuzione, marketing e scontistica adottate dalle Software House, possono essere rivendute singolarmente, poiché la cessione parziale non altera in alcun modo il numero di licenze originariamente immesso in commercio con il consenso della Software House titolare dei diritti sulle stesse.
Infine, l’acquirente di un software usato non può beneficiare dell’assistenza e della manutenzione allo stesso, in quanto, come chiarito dalla Corte di Giustizia, l’erogazione di tali servizi costituisce parte integrante della copia inizialmente scaricata dal primo acquirente. Dunque, il trasferimento della proprietà del programma non si trasferisce anche l’eventuale contratto di servizi per l’assistenza e la manutenzione stipulato dall’acquirente originario e, pertanto, per usufruire anche di questi servizi, il successivo acquirente dovrà espressamente richiederli.
Nonostante le problematiche per le aziende produttrici di software determinate dal principio di esaurimento, mantenere il controllo dei propri software dopo la prima vendita è possibile, regolamentando con attenzione la cessione dei diritti nel contratto di contratto di licenza d’uso del software o di sviluppo del software.
È quindi opportuno a tale scopo disciplinare dettagliatamente il contenuto dei diritti ceduti, limitando nel tempo il diritto d’uso, prevedendo non un corrispettivo unitario bensì un canone periodico, che non sia equivalente al valore economico di mercato della copia del software, in modo da assimilare il relativo contratto di licenza non ad una vendita, ma ad una locazione.
Un’altra possibilità, sempre più utilizzata dai vari produttori di software, è il cloud-computing. Tale strumento consente alle software house di distribuire i propri software senza bisogno di cederne delle copie. Il contratto di licenza è in tal modo assimilabili ad un abbonamento, che permette agli utenti di accedere ad un servizio online per un periodo limitato di tempo. In questo modo le software house possono mantenere il controllo sui propri software, evitando la cessione sia del codice sorgente che del codice oggetto.
6. Il contratto di sviluppo del software
Il contratto di sviluppo del software è un contratto atipico (cioè non disciplinato dalla legge) con cui un soggetto (committente) richiede la realizzazione di un determinato software personalizzato (custom made), cioè un software avente specifiche caratteristiche, richieste dal committente stesso (come, ad esempio, l’informatizzazione della contabilità di un’impresa o della gestione del magazzino), ad un altro soggetto, professionista autonomo o lavoratore dipendente (sviluppatore), verso un determinato corrispettivo.
Attraverso il contratto di sviluppo, dunque, l’utente non acquista un prodotto già esistente sul mercato, ma dà incarico di “redigere” uno specifico programma adatto alle sue necessità e per mezzo del quale intende procedere all’informatizzazione dell’intera sua attività o di una fase di essa.
In base all’accordo tra le parti, il contratto di sviluppo del software può essere strutturato come un contratto d’opera (regolato dall’art. 2222 e ss. c.c.) o come un contratto di appalto (regolato dall’art, 1655 c.c.). Tale diversa configurazione si riflette direttamente sul regime di responsabilità dello sviluppatore e sui diritti di sfruttamento del software.
Qualora il contratto di sviluppo del software sia ricondotto al contratto d’opera, lo sviluppatore è obbligato ad impegnarsi nello sviluppo del programma con lavoro prevalentemente proprio e con autonomia, ed è responsabile solo per danni derivanti da dolo o colpa grave, in base all’art. 2236 c.c.
Qualora invece il contratto di sviluppo del software sia strutturato come contratto di appalto , lo sviluppatore è tenuto ad una obbligazione di risultato, ed è tenuto quindi a consegnare al committente il software commissionato secondo le specifiche richieste ed esigenza tecniche precisate da quest’ultimo. In tal caso, trova applicazione la garanzia per vizi e difformità di cui agli artt. 1667 e 1668 c.c.
I diritti morali sul software, discendenti dal diritto di autore, fanno sempre capo allo sviluppatore, in quanto autore del bene, poiché sono inalienabili; dunque, nel momento in cui un programmatore genera un software, egli rimane il titolare dell’opera, e di conseguenza mantiene la possibilità di rivendicare la paternità dell’opera in qualsiasi momento, nonché il diritto di vietarne le modifiche.
I diritti patrimoniali sul software spettano anch’essi allo sviluppatore, il quale potrà modificare, riprodurre, distribuire il software a terzi o cederlo ad altri committenti, mentre il committente godrà di una semplice licenza d’uso del software.
Qualora tuttavia l’attività inventiva e/o creativa sia prevista espressamente come oggetto del contratto tra le parti, i diritti patrimoniali legati allo sviluppo del software spettano al committente, ai sensi dell’ art. 4 L. n. 81/2017.
Qualora inoltre sussista un rapporto di lavoro subordinato tra committente e sviluppatore, la regola generale secondo cui diritti economici derivanti dall’opera creativa spettano all’autore originario sopporta due rilevanti eccezioni:
- nel caso di invenzione creata dal dipendente, i diritti di utilizzazione economica ricadono in capo al datore di lavoro, fatto salvo il diritto morale del creatore dell’opera di esserne riconosciuto quale autore (64 Codice di Proprietà Industriale, CPI);
- salvo patto contrario, il datore di lavoro è titolare del diritto esclusivo di utilizzazione economica del programma per elaboratore o della banca dati creati dal lavoratore dipendente nell’esecuzione delle sue mansioni o su istruzioni impartite dallo stesso datore di lavoro (12 – bis LdA).
La conclusione di un contratto di sviluppo di software si articola generalmente in due fasi:
- lo studio di fattibilità, consistente in un’analisi effettuata dallo sviluppatore circa le specifiche tecniche e funzionali richieste dal committente, nella verifica circa la realizzabilità delle stesse e nella descrizione di tempi e costi della realizzazione; in questa fase, spesso il cliente comunica allo sviluppatore una serie di informazioni aziendali riservate, che devono essere protette con un idoneo impegno di riservatezza.
- la progettazione, consistente nella traduzione delle richieste del cliente nel linguaggio scientifico di programmazione, attraverso la scheda tecnica del software (che verrà in seguito allegata al contratto); questa fase può essere in alcuni casi oggetto di autonomo contratto;
- il collaudo, ovvero la verifica della funzionalità del software in base a quanto previsto nel contratto, che si concretizza in un apposito test, oggetto di verbale scritto; se il collaudo ha esito positivo, il committente procedere all’accettazione del programma informatico, altrimenti, qualora emergano errori o vizi, lo sviluppatore dovrà procedere alle opportune modiche. Possono essere previste anche verifiche intermedie, nel caso in cui sia concordato il rilascio di alcune versioni del software preliminari rispetto alla consegna finale.
Di centrale importanza nell’ambito dei contratti di sviluppo del software è il piano di fattibilità iniziale: infatti, solo una intensa e fattiva collaborazione tra committente e sviluppatore, già nel momento preliminare di definizione dei requisiti del software commissionato, consente di soddisfare appieno le necessità del committente e di contenere al massimo la possibilità di contenziosi in fase di esecuzione del contratto. Poiché l’apporto dello sviluppatore già in questa fase è fondamentale, è opportuno che il piano di fattibilità sia redatto sia dal committente che appunto dallo sviluppatore, in cooperazione tra loro.
Altrettanto importante è la fase di collaudo, che deve essere descritta nel contratto di sviluppo del software in modo esauriente, precisando quali test dovranno essere effettuati, tempi e forme, con l’indicazione delle modalità con cui dovrà avvenire la comunicazione del mancato superamento di uno o più test; il tutto dovrà essere descritto in una apposita procedura di accettazione del software, nella quale dovranno essere riportate sia le modalità con cui sottoporre a test il software consegnato che il comportamento atteso che il software deve esibire.
Il contratto di sviluppo di un software deve essere quindi redatto in modo analitico e preciso, tenendo conto delle precise esigenze di entrambe le parti. E’ necessario in particolare che nel contratto di sviluppo vengano indicati chiaramente, anche sotto il profilo della proprietà intellettuale, i diritti spettanti allo sviluppatore e al committente, con specifico riferimento al codice sorgente.
Il contratto di sviluppo del software deve in particolare regolamentare i seguenti aspetti:
- gli obblighi del committente, in relazione alle richieste e agli obiettivi del software;
- le fasi della realizzazione del software;
- gli obblighi dello sviluppatore;
- le modifiche al software in corso d’opera e successive alla consegna;
- termini e tempistiche della denuncia di eventuali vizi e malfunzionamenti del software;
- eventuale esclusiva di utilizzo del software da parte del committente;
- proprietà intellettuale e del diritto d’autore sul software;
- durata della garanzia sul software.
E’ possibile scaricare un modello di contratto di sviluppo di software cliccando qui, con l’avvertenza che è necessario procedere alle opportune modifiche in rapporto alle specificità del singolo caso.
7. Il contratto di licenza d’uso del software
Tutelato dalla normativa sul diritto d’autore è anche il codice sorgente del programma, che può essere definito come il testo di un algoritmo di un programma scritto in un linguaggio di programmazione da parte del creatore del software. In altri termini, il codice sorgente è definibile come l’insieme di istruzioni scritte, in linguaggio comprensibile al programmatore, all’interno di uno o più file, le quali, considerate nel loro complesso, costituiscono il programma.
Come tale, il codice sorgente si distingue dal codice oggetto, che consiste nella forma del programma, direttamente intellegibile dalla macchina, che consente alla stessa di funzionare, Il codice sorgente, infatti, affinché sia eseguibile dal processore, deve essere tradotto in codice oggetto attraverso un compilatore, oppure elaborato da un programma (interprete), che trasforma in linguaggio macchina e memorizza su appositi file il codice oggetto, eseguito da parte del processore.
L’operazione attraverso la quale il codice sorgente viene trasformato in codice oggetto è chiamata compilazione ed avviene tramite appositi software detti “interpreti” o “compilatori”.
Codice sorgente e codice oggetto sono autonomi, seppur collegati, ed entrambi oggetto di tutela giuridica come opera dell’ingegno. Entrambi possono quindi godere della protezione prevista dalla Legge sul diritto d’autore anche in modo autonomo e disgiunto.
In linea generale, e salvo diversa pattuizione tra le parti, il diritto di proprietà e i relativi diritti di utilizzazione economica in ordine sia al codice sorgente che al codice oggetto spettano al soggetto committente, in base alle norme in tema di contratto d’opera.
È tuttavia frequente che il fornitore (software house) si tuteli (contrattualmente) prevedendo che al committente venga consegnato solo il programma eseguibile (codice oggetto) ma non il codice sorgente, che consentirebbe di modificarne la struttura e il funzionamento; ciò per evitare facili abusi da parte del cliente, dal momento che il codice sorgente costituisce il patrimonio di maggior valore di qualsiasi software house. In tal caso, il committente è soltanto licenziatario del codice sorgente; quest’ultimo resta di esclusiva proprietà dello sviluppatore del software, che ne detiene tutti i relativi diritti morali e patrimoniali, mentre al committente può, a seconda dei casi, essere vietato di effettuare qualsiasi forma di cessione, distribuzione, diffusione, adattamento, trasformazione, e ogni altra modifica o intervento al codice sorgente, oppure essere concesso di utilizzarlo internamente per eventuali modifiche ed estensioni.
Tale situazione può dare luogo a diverse problematiche, in quanto il cliente-committente può andare incontro al rischio di danni derivanti da un inadempimento della software house titolare del software, qualora quest’ultima, ad esempio, non sia più in grado di garantire la manutenzione ed assistenza del software, oppure sia nel frattempo venuta meno, non consentendo così al committente di effettuare aggiornamenti, migliorie o nuovi interventi sul software (non avendo appunto la disponibilità del codice sorgente).
Per ovviare a tali problematiche, si può ricorre al c.d. contratto di source code escrow, in base al quale committente e software house si accordano prevedendo il deposito di una copia del codice sorgente presso un terzo, soggetto di fiducia di entrambe le parti (normalmente un notaio), il quale lo trattiene in garanzia con l’obbligo di consegnarlo al committente al verificarsi di determinati eventi o condizioni (ad esempio nel caso in cui la software house sia inadempiente o non sia più in grado di adempiere alle prestazioni di manutenzione o assistenza previste nel contratto, o sia soggetta a fallimento, o sia assorbita da altra azienda che non intenda gestire il software oggetto di licenza, vi siano errori nella manutenzione del software, etc.).
Ricorrendo tali eventi, che l’agente di escrow (notaio) provvederà a certificare, il cliente potrà ottenere il rilascio del codice sorgente; tale rilascio potrà avvenire, a seconda dei casi, automaticamente, con la sola notifica all’agente di escrow del verificarsi di una delle condizioni (c.d. opzione a prima richiesta), subordinatamente alla verifica delle condizioni contrattuali, che può essere rimandata anche ad un’autorità amministrativa o a un collegio arbitrale.
8. Il contratto di licenza d’uso del software
Il contratto di licenza d’uso del software è un contratto atipico, generalmente a titolo oneroso, che permette al titolare di un software di cederlo in uso a uno o più soggetti per un determinato periodo di tempo, trasferendo loro tutti o parte dei propri diritti patrimoniali d’autore, dietro corresponsione di un determinato canone d’uso, periodico o annuale.
Ad esempio, ipotizziamo che un imprenditore intenda innovare la propria azienda, velocizzando alcuni processi lavorativi e offrendo ai clienti servizi più efficienti, avvalendosi di un software gestionale di titolarità di una società di sviluppo software (c.d. software house); in tal caso l’accordo di licenza vedrà la società di sviluppo del software in qualità di licenziante del software e l’imprenditore in qualità di licenziatario dell’uso di esso.
I diritti patrimoniali che, nell’ambito di un contratto di licenza d’uso, l’autore del programma può trasferire al beneficiario sono elencati agli artt. 12 e ss. LdA, ovvero:
- il diritto di pubblicazione, che permette all’autore di portare la propria opera alla conoscenza del pubblico, essendo considerata come prima pubblicazione la prima forma di esercizio del diritto stesso (art. 12 comma 3 LdA);
- il diritto di riproduzione, ossia “la moltiplicazione in copie diretta o indiretta, temporanea o permanente, in tutto o in parte dell’opera, in qualunque modo o forma”(art. 13 LdA);
- il diritto di modificazione e trasformazione e traduzione dell’opera (art. 18 LdA);
- il diritto di distribuzione, cioè il diritto in capo all’autore di stabilire la modalità con la quale rende accessibile la propria opera al pubblico (art. 17 LdA);
- il diritto di noleggio e prestito, cioè il diritto esclusivo dell’autore di autorizzare la cessione in uso dell’opera per un periodo limitato di tempo per un beneficio economico o commerciale diretto o indiretto (art. 18-bis LdA).
Attraverso il contratto di licenza, il software non viene quindi ceduto (cioè venduto) al licenziatario – come invece avviene con il contratto di cessione del software – ma solo concesso appunto in uso. Di conseguenza, mentre in caso di cessione del software l’acquirente ottiene tutti i diritti patrimoniali sullo stesso – ivi compreso il codice sorgente – ed è dunque libero di disporne secondo la propria volontà, il contratto di licenza permette al licenziatario solo di utilizzare il software secondo determinate condizioni e limitazioni – temporali e sostanziali – imposte dal licenziante, che rimane proprietario del software stesso.
La copia del software oggetto d licenza è infatti fornita al licenziatario in versione eseguibile, ossia fornendo una copia del suo codice oggetto del programma e non consentendo invece l’accesso al codice sorgente dello stesso. Per tale caratteristica, il software oggetto del contratto di licenza è definito “proprietario“, in quanto il titolare dei diritti d’autore esercita sul software un diritto analogo al diritto di proprietà, limitandosi a concedere unicamente la facoltà di installazione e di utilizzo, senza consentire l’accesso al codice sorgente né la possibilità di apportare modifiche al software.
Possono essere inoltre stabiliti dal licenziante altri limiti sostanziali, variabili a seconda del caso concreto, ad esempio in ordine al numero massimo di copie effettuabili o di installazioni del software eseguibili su dispositivi.
Il contratto di licenza ha generalmente ad oggetto software “standard”, cioè già esistenti e disponibili sul mercato e non creati ad hoc per utenti specifici; questi ultimi, qualora intendano soddisfare esigenze precise, saranno invece portati a richiedere non una licenza semplice bensì un software personalizzato, oggetto di un contratto di sviluppo (v. par. 6).
Esistono vari tipi di licenza, in ragione della molteplicità e varietà delle esigenze da tutelare. In generale, la licenza può essere:
- esclusiva, qualora un solo licenziatario ottenga il diritto di utilizzare il software per tutta la durata del contratto;
- non esclusiva, qualora una pluralità di licenziatari ed anche il licenziante possono goderne.
Esistono poi licenze che fungono da prova per il licenziatario (c.d. trial license), il quale può scaricare il software senza dover apporre alcuna firma e utilizzarlo per un determinato periodo di tempo, alla scadenza del quale valuterà se acquistarlo o meno.
Il contratto di licenza d’uso del software deve chiaramente indicare l’ambito di utilizzo del software da parte del licenziatario, cioè le modalità, i contesti e i limiti entro i quali il licenziatario è autorizzato a utilizzare il software, in modo da tutelare i diritti del licenziante ed evitare abusi o utilizzi impropri del software. Occorre in particolare prevedere:
- il numero di utenti che possono usufruire della licenza d’uso di software; la licenza può essere rilasciata per un singolo utente (licenza individuale) o per più utenti (licenza multipla o aziendale);
- i tipi di dispositivi sui quali il software può essere installato e utilizzato (come computer desktop, laptop, tablet o dispositivi mobili); in alcuni casi può essere consentito l’utilizzo su una piattaforma specifica (ad esempio, solo su Windows o solo su Mac).
- l’utilizzo del software, che può essere commerciale (cioè all’interno di un’azienda o per scopi di lucro) e/o personale;
- l’ambito geografico in cui può essere utilizzato il software;
- se il licenziatario è autorizzato o meno a modificare o personalizzare il software e in quali limiti;
- quali sono le limitazioni e i divieti d’uso del software in capo al licenziatario (ad es. il divieto di reverse engineering, di distribuire copie del software a terze parti, di concedere sub-licenze, di utilizzare il software per scopi illegali o contrari all’etica).
In caso di cessione di ramo d’azienda, la giurisprudenza prevalente ritiene che l’acquirente dell’azienda non subentri automaticamente nel contratto di licenza del software ai sensi dell’art. 2558 c.c., ma solo se ciò sia espressamente previsto nel contratto di cessione, dato il carattere personale dei diritti sul software, legato all’inventiva, che implica il pieno dominio del titolare anche nella determinazione dell’uso da parte dei terzi, salvo una diversa pattuizione tra le parti.
9. Le licenze d’uso open source
Come si è visto, il tradizionale modello di circolazione del software adottato dalle software house prevede che venga immesso sul mercato il solo codice oggetto. In relazione a tale modello, pur venire incontro alle istanze di condivisione del sapere informatico, si è sviluppato un secondo modello, denominato open source (OS), anch’esso ancorato al diritto di autore, il quale prevede la circolazione/distribuzione del software nella sua versione in codice sorgente.
Le licenze di uso OS prevedono infatti la fornitura al licenziatario del software nella sua versione completa sia del codice oggetto sia del corrispondente codice sorgente; l’accesso a quest’ultimo consente così al licenziatario di comprendere a pieno il funzionamento e la struttura del programma oggetto della licenza. Al licenziatario, inoltre, vengono espressamente attribuite facoltà e diritti ulteriori rispetto alla mera utilizzazione della singola copia del software concessa in licenza; in particolare, il licenziatario può alle condizioni poste dalla licenza d’uso, riprodurre il programma, modificarlo, effettuarne copie e talvolta anche distribuirlo, il tutto senza corrispettivo.
Affinché si possa parlare di software OS, occorre che il codice sorgente del programma per elaboratore sia accessibile a chiunque; il codice sorgente deve essere esplicito in modo chiaro e senza alcuna forma intermedia o sua traduzione. Qualora il codice sorgente non sia distribuito insieme al software, deve essere ben pubblicizzato il modo per ottenerlo, privilegiando la forma gratuita del downloading attraverso internet.
L’essenza dell’OS consiste nella mancanza di qualunque restrizione circa l’uso del programma, che può essere anche ridistribuito dall’utente a terzi e ciò senza previsione di alcun corrispettivo; e la sua ridistribuzione deve riconoscere al nuovo utilizzatore i medesimi diritti e le stesse facoltà attribuiti al precedente utente, senza che sia necessario per l’utente successivo una licenza aggiuntiva.
Il programma OS piò poi costituire la base per creare un altro software derivato od essere inserito da chiunque come parte di un altro programma per elaboratore per arricchirne, ad esempio, le funzionalità ed il prodotto così ottenuto dovrà garantire le stesse ampie facoltà attribuite all’utente del programma originario e quindi non dovrà prevedere alcun corrispettivo per il suo utilizzo, in sostanza, è consentito a tutti operare le modifiche del programma in qualunque forma e modo.
Le licenze OS prevedono la concessione di un diritto, non esclusivo e non soggetto a limitazioni temporali o territoriali, di utilizzare, distribuire, riprodurre, modificare, ridistribuire e rappresentare in pubblico il programma per elaboratore. Tali diritti sono riconosciuti all’utente direttamente nel momento in cui lo stesso ha la disponibilità del software e lo utilizza per i propri scopi. Nel caso di una sublicenza, tali facoltà sono automaticamente attribuite al sub licenziatario senza alcuna restrizione, ed il successivo utilizzo viene regolato dalle condizioni e dai termini espressi dalla licenza originaria.
Gli obblighi dell’utente sono piuttosto limitati. Qualora il licenziatario intenda ridistribuire a terzi il programma, è tenuto a consegnare, unitamente al software, anche una copia dello schema contrattuale della licenza, e deve fare in modo che il codice sorgente sia liberamente accessibile; nei casi in cui quest’ultimo non sia allegato al programma per elaboratore, l’utente-distributore ha il dovere di indicare tutte le informazioni su come ottenerlo senza particolari oneri. Inoltre, l’utente che intende distribuire a terzi il software è tenuto a mantenere l’indicazione del copyright, cioè il riferimento al soggetto che, per primo, ha fornito al pubblico il programma per elaboratore ed il codice sorgente.
Qualora l’utente sia intenzionato ad apportare delle modifiche al software concesso in uso, anche queste verranno regolate dai termini e dalle condizioni presenti nella licenza originaria. Tutte le modifiche o gli interventi sul software devono, peraltro, essere accompagnati nella loro distribuzione al pubblico dal codice sorgente che non può subire restrizioni nella sua accessibilità. Inoltre, il soggetto che ha apportato le modifiche è tenuto ad attestare gli interventi effettuati attraverso la creazione di un documento che rechi al suo interno l’indicazione che le modifiche sono derivate dal software (OS) originario, la data degli interventi compiuti e le proprie generalità.
Nel caso in cui poi il software OS venga incluso in un altro software per dar vita ad un prodotto diverso da distribuire al pubblico, la parte di software OS dovrà essere sempre regolata dalla licenza originaria. Per le opere derivate, inoltre, dovrà essere predisposta una versione diversa dell’originario schema contrattuale della licenza, omettendo i riferimenti al soggetto che per primo ha realizzato e concesso in uso il programma od altrimenti indicando la fonte di provenienza della nuova licenza con l’avvertenza che essa contiene termini e condizioni differenti da quella originaria.
All’utente del software OS che intenda distribuire al pubblico il programma, è concessa anche la facoltà di richiedere un corrispettivo per le prestazioni di assistenza o di manutenzione che possono essere aggiunti quali ulteriori pattuizioni nella successiva licenza d’uso che accompagna il programma nella distribuzione. Si tratta comunque di obbligazioni personali che non possono in alcun modo riferirsi al soggetto che per primo ha concesso in uso il programma.
Per quanto attiene alle garanzie. i modelli di licena OS sono generalmente privi di obblighi per il soggetto concedente; il software viene concesso in uso nello stato di fatto in cui si trova (“as it is“) ed il licenziante non garantisce che esso sia privo di difetti o che possa causare errori, perdita di dati o che possa creare delle disfunzioni o dei malfunzionamenti con le apparecchiature o con gli altri programmi preesistenti. Il programma viene, dunque, rimesso nella libera disponibilità dei terzi che si assumono ogni rischio derivante dal suo impiego. Allo stesso modo, le responsabilità, per qualunque titolo, derivanti dall’utilizzo del software OS non potranno essere attribuite al soggetto che ha concesso al pubblico il diritto d’uso del programma.
A parte le caratteristiche comuni sopra delineate, le licenze OS presentano un contenuto variegato, sia in termini di facoltà concesse al licenziatario che di limiti di utilizzo del software e della licenza stessa.
Alcune licenze OS (come nel caso della licenza GPL e la AGPL) prevedono che ciascun utilizzatore del software abbia l’obbligo, previsto nella licenza, di ridistribuire qualunque copia del programma (anche modificata) alle medesime condizioni (c.d. clausola copyleft): in tal modo, viene impedito che il programma originariamente licenziato possa poi divenire un prodotto proprietario. Una licenza copyleft consente infatti l’utilizzo di un software OS per creare un programma derivato soltanto a condizione che il software derivato venga a sua volta distribuito utilizzando la medesima licenza, e che sia consentito l’accesso al codice sorgente sia del software originale che di quello derivato. Ciò fa sì anche le successive modifiche di un codice nato come OS restino aperte e disponibili per la comunità.
Altre licenze (come la Apache, la MIT e la BSD) sono invece permissive, non ponendo con dizioni alla redistribuzione del software e permettendo di incorporare il codice in un software proprietario e rivenderlo al suo interno. Tali licenze richiedono generalmente a chi usa il software il rispetto di poche condizioni, quali l’indicazione del copyright e la presenza di un disclaimer nel codice sorgente e nella documentazione allegata al programma.
Pertanto, se il contratto di licenza non prevede l’obbligo di distribuire l’opera derivata come software libero, questo rimane una facoltà dell’utente, il quale potrebbe anche decidere diversamente, concedendo in licenza il solo uso della versione modificata del programma, senza distribuirne il codice sorgente. In tal caso ci ritroveremmo di fronte ad un programma proprietario derivato da un software originariamente libero.
Anche in caso di semplice distribuzione di copie di un programma libero, senza che vengano effettuate modifiche, qualora il contratto di licenza lo consenta, l’utente potrebbe sub-licenziare il programma a condizioni diverse da quelle originarie.
Alcune licenze OS (come la GPL) non consentono che il software OS possa essere integrato o associato con programmi proprietari, imponendo che, in tali ipotesi, l’interno programma realizzato venga distribuito garantendo l’applicazione della licenza OS. Altre invece (come la Apache) consentono la possibilità di collegare un software (in particolare una libreria) OS a un software proprietario, senza che a quest’ultimo debba essere applicata la licenza OS.
Assia discussa è la natura giuridica delle licene OS. Sembra prevalere la tesi per cui esse costituiscano un contratto gratuito atipico, in cui è riscontrabile un interesse economico del licenziante, che si realizza in modo indiretto attraverso la prospettiva di concludere altri negozi collegati, caratterizzati da uno scambio di prestazioni a carattere oneroso.
In alcuni casi, l’organizzatore dell’opera dei programmatori è una società produttrice di software, che sceglie di sviluppare e distribuire gratuitamente il software OS, da combinarsi con altri programmi per elaboratore di tipo proprietario aventi funzionalità maggiori che vengano non licenziati senza corrispettivo, bensì commercializzati. In queste ipotesi, il produttore, come politica commerciale,
sceglie di distribuire sul mercato, ed a fronte del pagamento di un corrispettivo, dei programmi aggiuntivi da aggregare al software OS. In altri casi, invece, il produttore di software OS mira a ricavare degli utili dalle vendite al pubblico dei manuali esplicativi e della documentazione descrittiva inerente al programma. Altre volte, infine, il produttore del software OS intende conseguire un risultato economico vantaggioso attraverso il servizio di personalizzazione del programma che può essere offerto a pagamento, o offrire all’utente (dietro corrispettivo) il servizio di assistenza e di manutenzione al programma per elaboratore.
In sostanza, dunque, la concessione in forma gratuita del software risponde sempre a logiche lucrative, correlate alla commercializzazione e diffusione di ulteriori prodotti o servizi.
Stante la natura di contratto gratuito atipico delle licenze OS, i diritti del licenziatario trovano come unica fonte il contratto, non essendo riconosciuti all’utente i diritti di cui agli articoli 64-bis e ss. della legge sul diritto d’autore.
Per le stesse ragioni, la licenza d’uso OS comporta l’inapplicabilità del principio dell’esaurimento (v. par. 5); rimangono quindi in capo al titolare tutte le facoltà riservate relative agli atti di utilizzazione. Infatti, La conseguenza giuridica dell’esaurimento è tipica del meccanismo che prevede uno scambio dietro il versamento di un corrispettivo e dunque presuppone in sé l’elemento della patrimonialità.
La tutela offerta dal diritto d’autore, invece, è invocabile dal licenziante, dato che il diritto d’autore sull’opera è acquisito a titolo originario dall’autore con la semplice creazione del software. Ne consegue che il titolare originario del programma potrà sempre contare sull’operatività e sulla forza vincolante delle disposizioni normative che gli attribuiscono il potere di effettuare in via esclusiva, o di autorizzare i terzi a compiere, le attività di cui all’art. 64-bis della L. n. 633/1941. Al soggetto originario titolare dei diritti sul software OS è quindi riconosciuta una doppia tutela nei confronti del concessionario del programma: una tutela derivante dalla sua posizione di autore, titolare dei diritti esclusivi sull’opera dell’ingegno conferitagli dalle disposizioni di legge in materia (con possibilità di ottenere la distruzione o la rimozione dell’opera, oltre che il sequestro e, più in generale, la tutela inibitoria nei confronti di qualsiasi attività che costituisca una violazione dei diritti esclusivi), ed una tutela che gli deriva dal contratto di licenza accettato dall’utente.
Se siete interessati a scaricare un modello di contratto di licenza d’uso di software, inviate una mail al seguente indirizzo: info@studio-pandolfini.it. Si evidenza che il modello non è gratuito. Il costo verrà indicato a seguito di ricevimento di mail all’indirizzo info@studio-pandolfini.it.
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Avv. Valerio Pandolfini
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