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cessione di azienda trasferimento lavoratori

Il trasferimento dei lavoratori nella cessione o affitto di azienda

25 Febbraio 2020/in Contratti commerciali, News

Indice

1.La finalità della disciplina sui rapporti di lavoro in caso di trasferimento di azienda

In tema di trasferimento di azienda, la sorte dei rapporti di lavoro è uno degli aspetti più rilevanti e delicati.

In caso di cessione o affitto di azienda, il Codice civile prevede una specifica disciplina in tema di trasferimento dei lavoratori subordinati dell’azienda cedente (o affittante), a tutela dei diritti di questi.

L’art. 2112 c.c. garantisce infatti al lavoratore la continuità del rapporto di lavoro alle dipendenze del cessionario (o affittuario) dell’azienda nella quale presta attività lavorativa, prevedendo che i rapporti di lavoro di tutti i dipendenti addetti all’azienda (o al ramo d’azienda) passano automaticamente dal cedente (o affittante) al cessionario (o affittuario), senza necessità del consenso del singolo lavoratore, in deroga all’art. 1406c.c.

L’art. 2112 c.c. prevede inoltre una tutela rafforzata dei crediti che il lavoratore aveva al momento del trasferimento dell’azienda, in quanto stabilisce che cedente e cessionario sono responsabili in solido, indipendentemente dal fatto che il debito nei confronti del lavoratore risulti dalle scritture contabili del cedente.

Il lavoratore trasferito al cessionario conserva tutti i diritti derivanti dal pregresso rapporto di lavoro (ad esempio l’anzianità) e il cessionario è tenuto ad applicare gli stessi trattamenti economici e normativi previsti dai CCNL vigenti alla data della cessione. Il trasferimento d’azienda non è considerato di per sé giustificato motivo di licenziamento; la cessione non può dunque costituire un espediente per ridurre il personale dipendente in organico dell’azienda.

La nozione di trasferimento di azienda contenuta nell’art. 2112 cod. civ. è molto ampia, grazie anche all’interpretazione estensiva della giurisprudenza. Tale nozione include infatti ogni operazione che comporti il mutamento, anche parziale, della titolarità di un’attività economica organizzata, al di là del mezzo giuridico impiegato.

Rientra quindi nell’ambito del trasferimento di azienda ai fini dell’art. 2112 c.c. anche  l’affitto e l’usufrutto di un ramo di azienda, come pure  fenomeni successori, fusioni, scissioni, cambi di appalto con cessione di elementi materiali, etc.

E’ invece escluso dall’ambito applicativo della norma in esame  del passaggio di controllo di una società di capitali, mediante trasferimento del pacchetto azionario o delle quote, in quanto esso non incide sulla soggettività giuridica dell’azienda.

Non trova inoltre applicazione l’art. 2112 cod. civ. qualora il trasferimento d’azienda sia disposto da imprese in crisi oppure qualora penda una procedura concorsuale, ove sia raggiunto, in seno alla procedura di cui all’art. 47, L. n. 428/1990 un accordo circa il mantenimento, anche parziale, dell’occupazione.

2.La disciplina dell’art. 2112 cod. civ. sui rapporti di lavoro in caso di trasferimento di azienda e le conseguenze della sua violazione

In sintesi, l’art. 2112 cod. civ. prevede quindi la seguente disciplina:

  • tutti i lavoratori applicati alla azienda o al ramo in trasferimento passano automaticamente al cessionario (affittuario), con prosecuzione dei relativi rapporti di lavoro, senza interruzioni, purché preesistenti al trasferimento.
  • cedente (affittante) e cessionario (affittuario) sono responsabili in solido tra loro per tutti i crediti che i lavoratori avevano al tempo del trasferimento, anche se i crediti non siano risultanti dai libri contabili, a prescindere dalla conoscibilità da parte del cessionario (non trova dunque applicazione l’art. 2560 cod. civ., a cui sono assoggettati invece i debiti verso enti previdenziali, esclusi dalla solidarietà di cui all’art. 2112 cod. civ.).
  • il licenziamento intimato dal cedente (affittante) in ragione del trasferimento d’azienda è nullo, ai sensi dell’art. 18 Statuto dei Lavoratori, con conseguente condanna alla reintegra del lavoratore e condanna solidale di cedente (affittante) e cessionario (affittuario) al pagamento di un’indennità risarcitoria, oltre al versamento dei contributi maturati.
  • il cessionario (affittuario) deve applicare il medesimo contratto collettivo applicato dal cedente (affittante) fino a scadenza, salvo che il cessionario (affittuario) già applichi un diverso contratto collettivo (del medesimo livello); in tal caso il cessionario (affittuario) potrà applicare il proprio contratto collettivo, anche se contenga condizioni peggiorative per i lavoratori.
  • i  lavoratori hanno diritto di recedere per giusta causa del contratto di lavoro qualora nei 3 mesi successivi al trasferimento avvenga una modifica delle condizioni di lavoro  rilevante, sostanziale, incidente in modo peggiorativo, in senso quantitativo o qualitativo, su aspetti economici, normativi e professionali del lavoratore.

In caso dei violazione della disciplina di cui sopra, un dipendente ceduto può impugnare l’atto con cui gli è stato imposto il passaggio alle dipendenze del cessionario (affittuario). Anche un dipendente escluso dal trasferimento può far valere i propri diritti di prosecuzione del rapporto direttamente verso il cessionario (affittuario), impugnando l’atto e chiedendo al tribunale di pronunciare una sentenza costituiva del rapporto di lavoro in capo al cessionario.

Il termine per impugnare in via stragiudiziale il trasferimento è di 60 giorni dalla data del trasferimento stesso (ovvero dalla conoscenza dell’atto notarile di trasferimento da parte del lavoratore). Entro i successivi 180 giorni il lavoratore deve promuovere il giudizio o comunicare al datore di lavoro l’istanza di tentativo di conciliazione o di arbitrato, fallito il quale il giudizio dovrà iniziarsi entro 60 giorni.

Un dipendente escluso o licenziato dal cedente a causa del trasferimento ha inoltre diritto di precedenza sulle nuove assunzioni disposte dal cessionario entro un anno dalla data del trasferimento.

3.La consultazione sindacale 

L’art. 47 della L. n. 428/1990 prevede una particolare procedura di consultazione sindacale, in caso di trasferimento di un’azienda o di un ramo d’azienda in cui siano occupati più di 15 lavoratori.

In tal caso infatti cedente e cessionario devono comunicare per iscritto alle RSU, almeno 25 giorni prima che sia perfezionato l’atto da cui deriva il trasferimento o che sia raggiunta un’intesa vincolante tra le parti, se precedente, una serie di informazioni (tra cui i motivi del trasferimento) allo scopo di consentire al sindacato di conoscere la capacità di gestione del cessionario e le sue intenzioni con riferimento ai piani di investimento, ai programmi produttivi, ai livelli occupazionali e alle condizioni di lavoro dei dipendenti.

Entro 7 giorni dal ricevimento di tale comunicazione, i sindacati possono chiedere un esame congiunto. La consultazione si intende esaurita se, decorsi 10 giorni dal suo inizio, non sia stato raggiunto un accordo con i sindacati.

Il mancato rispetto della procedura ex art. 47 L. n. 428/1990 non incide sulla validità dell’atto di cessione  ma costituisce condotta antisindacale ai sensi dell’art. 28 dello Statuto dei lavoratori. Per tale ragione, di solito le parti subordinano l’efficacia del contratto di cessione d’azienda all’esperimento del procedimento di consultazione sindacale ora descritto (condizione sospensiva).

La giurisprudenza prevalente esclude infatti che l’inosservanza delle procedure suddette provochi illegittimità o vizi la procedura di trasferimento d’azienda e che quindi le stesse costituiscano un requisito di validità del negozio traslativo dell’azienda. Tuttavia, un orientamento minoritario ritiene che tale violazione provochi la temporanea inefficacia del trasferimento, con l’effetto di sospendere il perfezionamento dell’atto traslativo dell’azienda o del suo ramo quantomeno finché la procedura non sia stata regolarmente esperita.

4.La nozione di ramo di azienda agli effetti della disciplina dei rapporti di lavoro

Un delle tematiche più discusse in materia è quella relativa alla corretta individuazione del ramo di azienda ceduto. La cessione di un ramo d’azienda non può infatti costituire un mezzo per estromettere lavoratori eccedenti dall’impresa del cedente (affittante); si tratta quindi di capire quali caratteristiche debba avere un ramo di azienda affinché la sua cessione sia riconducibile alla disciplina del trasferimento di cui all’art. 2112 c.c.

In ambito giuslavoristico,  il concetto di azienda ha assunto connotazioni particolari non proprio coincidenti con quelli tipici di altri ambiti quali, ad esempio, il diritto commerciale. L’art. 2112 cod. civ. – nel testo modificato dal D.lgs. n. 276/2003, in attuazione della Direttiva 2001/23/CE – definisce l’azienda come l’”articolazione funzionalmente autonoma di un’attività economica organizzata, identificata come tale dal cedente e dal cessionario al momento del suo trasferimento”. La norma prevede altresì che “le disposizioni del presente articolo si applicano al trasferimento di parte dell’azienda intesa come articolazione funzionalmente autonoma di un’attività economica organizzata identificata come tale dal cedente e dal cessionario al momento del suo trasferimento”.

Ai sensi dell’art. 2112 c.c. è quindi considerato trasferimento di azienda quello di una entità economica che conserva la propria identità, intesa come un insieme di mezzi organizzati al fine di svolgere un’attività economica, sia essa essenziale o accessoria.

Coerentemente, la giurisprudenza ha chiarito che per ramo d’azienda deve intendersi ogni entità economica organizzata in maniera stabile, la quale, in occasione del trasferimento, conservi la sua identità, e quindi, costituisca, comunque, una preesistente entità produttiva, funzionalmente autonoma. Ciò comporta che “è preclusa l’esternalizzazione, intesa come forma incontrollata di espulsione di frazioni non coordinate fra loro, di semplici reparti o uffici, di articolazioni non autonome unificate soltanto dalla volontà dell’imprenditore e non dall’inerenza del rapporto ad una entità economica dotata di autonoma ed obiettiva funzionalità”.

Dunque, elemento costitutivo del trasferimento di ramo d’azienda è l’autonomia funzionale del ramo ceduto, ovvero la capacità di questo, già al momento dello scorporo dal complesso cedente, di provvedere ad uno scopo produttivo con i propri mezzi, funzionali e organizzativi e, quindi, di svolgere, autonomamente dal cedente e senza integrazioni di rilievo da parte del cessionario, il servizio o la funzione cui risultava finalizzato nell’ambito dell’impresa cedente al momento della cessione.

La giurisprudenza prevalente ritiene inoltre che  che non sussiste alcun divieto di cessione in favore di un soggetto che, per le sue caratteristiche imprenditoriali e in base alle circostanze del caso concreto, renda probabile la cessazione dell’attività produttiva e dei rapporti di lavoro. In altre parole, non esiste un divieto di cessione nel caso in cui sia prospettata la mancanza di solidità economica dell’azienda cessionaria che, ad esempio, fallisca di lì a poco.

Infatti, il legislatore ha predisposto una serie di cautele (che vanno dalla previsione della responsabilità solidale del cedente con il cessionario, in relazione ai crediti maturati dai dipendenti, all’intervento delle organizzazioni sindacali), ma non pone alcun limite ulteriore nel rispetto dell’articolo 41 Cost. Nessun altro limite, dunque, neppure implicito, è stato posto alla libertà dell’imprenditore di dismettere l’azienda. Da ciò consegue che la validità della cessione non è condizionata alla prognosi della continuazione dell’attività produttiva, e, di conseguenza, all’onere del cedente di verificare le capacità e potenzialità imprenditoriali del cessionario.

Qualora il trasferimento di ramo d’azienda sia stato dichiarato illegittimo dal Giudice e, conseguentemente, il lavoratore (illegittimamente ceduto) abbia messo la propria prestazione lavorativa a disposizione del cedente che la rifiuti senza motivo, la giurisprudenza prevalente ritiene che il datore di lavoro ha l’obbligo di corrispondere al lavoratore la retribuzione, e non di risarcire un danno.

Sul tema, già pubblicati: La cessione di azienda: qualifica del contratto, forma; La cessione di azienda: trasferimento dei debiti e dei crediti, subentro nei contratti

Per approfondire i nostri servizi di assistenza e consulenza in tema di contratti commerciali, visionate la pagina dedicata del nostro sito .

Avv. Valerio Pandolfini

Avvocato Contrattualistica d’Impresa

 

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Tags: Contratti Commerciali
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