Il passaggio generazionale in azienda: un processo complesso, da realizzare per tempo e con strumenti giuridici adeguati
Il passaggio generazionale in azienda è tema più che mai di grande attualità. Circa l’85% delle imprese sono di tipo familiare, e solo il 30% di esse sopravvive con la seconda generazione. Ciò è dovuto in primo luogo all’assenza di adeguata pianificazione del passaggio generazionale: un processo (e non un evento) articolato e complesso, che dovrebbe interessare tutta la struttura aziendale e prevedere un opportuno affiancamento generazionale. Per tutelare la continuità aziendale, occorre adottare una precisa strategia affinché il passaggio generazionale non impatti negativamente sull’impresa, ed anzi diventi un’opportunità per trasferire non solo quote e/o ruoli, ma anche know-how e valori. I tradizionali strumenti successori non garantiscono stabilità e certezza giuridica al trasferimento generazionale e non consentono all’imprenditore di sperimentare la qualità imprenditoriale del proprio successore. Vi sono altri strumenti che possono essere opportunamente utilizzati per assicurare un efficace passaggio generazionale in azienda, come i patti di famiglia, clausole statutarie, interventi sulla governance aziendale riassetti societari (utilizzando la holding di famiglia) e il trust.
1. Le imprese familiari
Il passaggio generazionale in azienda è tema più che mai di grande attualità, in un momento così complesso come quello che stiamo vivendo per effetto della pandemia da Covid-19. La pandemia ha innescato una crisi economica e una discontinuità molto rapide e intense, tali da indurre molti imprenditori a riflettere con maggior consapevolezza circa le strategie da adottare per salvaguardare il valore dell’azienda ed assicurarne la sopravvivenza nella generazione successiva, contemperando l’obiettivo di salvaguardare la competitività dell’impresa con quello di garantire gli equilibri all’interno della famiglia.
La crisi pandemica ha rappresentato dunque un fattore di accelerazione dei processi di passaggio generazionale e di consolidamento e aggregazione di imprese.
Ciò è vero, in particolare, per le imprese familiari– ovvero le imprese il cui capitale è controllato da una o più famiglie e nelle quali uno o più familiari prestano il proprio lavoro (manageriale o operativo) – caratterizzate dal legame, che spesso diventa commistione, tra la famiglia e l’impresa. Le imprese familiari sono presenti in tutti i Paesi del mondo e rappresentano mediamente tra il 65% e il 90% del totale delle aziende. L’Italia è certamente tra i paesi in cui il legame tra impresa e famiglia è più intenso, dato che circa l’85% delle imprese italiane può essere ritenuto “family business”.
Se sotto il profilo dell’incidenza delle imprese familiari sul totale delle imprese l’Italia può essere ritenuta in linea con le principali economie europee, vi sono tuttavia alcuni elementi differenzianti.
In primo luogo, i dati italiani mostrano una tendenza da parte dei capi azienda/famiglia a rimanere sempre alla guida delle imprese fono ad una età mediamente più avanzata rispetto agli altri paesi, con conseguente immobilismo in termini di ricambio generazionale. L’età media di chi guida le aziende è infatti aumentata notevolmente negli ultimi 11 anni, passando da una media di 53 anni nel 2007 ad una media di 60 anni nel 2018. Inoltre, circa il 30% dei capi azienda in carica nel 2018 aveva più di 65 anni, e circa il 15% tra i 61 e i 65 anni.
In secondo luogo, gli studi evidenziano una elevata mortalità delle imprese familiari alla prova del passaggio generazionale, rispetto agli altri paesi europei. Delle circa 35.000 imprese familiari coinvolte ogni anno in un passaggio generazionale, mediamente solo il 30% circa di esse sopravvive con la seconda generazione, solo il 12% con la terza, e un esiguo 3% continua a operare oltre la quarta generazione.
In terzo luogo, la tipologia di passaggio generazionale nettamente più diffusa in Italia prevede il mantenimento di proprietà e amministrazione in capo alla famiglia imprenditrice, mentre è assai meno frequente che negli altri paesi il ricorso a manager esterni (che invece generalmente assicura maggiori benefici in termini di competitività aziendale). Il 66% delle aziende familiari italiane ha un management composto da componenti della famiglia, contro poco più del 30% della media degli altri paesi europei.
2. Passaggio o affiancamento generazionale?
Questi dati dimostrano come molti imprenditori sono alquanto restii ad affrontare il tema del passaggio generazionale dell’azienda in modo consapevole e lungimirante. Tale atteggiamento può creare gravi problemi, in particolare con riferimento alla continuità aziendale. Un passaggio generazionale non gestito in modo opportuno rischia infatti di dare luogo ad una discontinuità che a sua volta può influire negativamente sulle performance dell’azienda, fino a decretarne addirittura il fallimento, provocando la conseguente perdita di posti di lavoro e la dispersione del patrimonio di conoscenze, capacità manuali, tradizioni, legami con il territorio.
Gli imprenditori, per tutelare la continuità aziendale, devono invece adottare precise strategie affinché il passaggio generazionale non impatti negativamente sull’impresa, ma anzi diventi un’opportunità di trasferimento, non solo di quote e/o ruoli, ma anche di know-how e di valori. In effetti, se opportunamente gestita, la successione in azienda può rappresentare un’importante opportunità di rilancio per l’impresa, in un’ottica più moderna e innovativa.
Il passaggio generazionale dovrebbe dunque essere gestito non come un evento, ma come un processo, che coinvolge temi legati alla proprietà, al governo e alla gestone dell’azienda e si articola in varie fasi, interessando generalmente tutta la struttura aziendale. Per questo, più che di passaggio generazionale si dovrebbe parlare di affiancamento generazionale, dato che appunto il passaggio dovrebbe essere graduale e accompagnato da un periodo di convivenza di diverse generazioni.
Il passaggio generazionale dell’impresa non può infatti essere improvvisato, né realizzato affrettatamente, in un’ottica emergenziale. Al contrario, esso necessita di attenta pianificazione e richiede un arco di tempo piuttosto lungo per la sua realizzazione, in quanto implica un lavoro di valutazione della struttura e dell’evoluzione attesa della famiglia, della proprietà e dell’azienda, e comprende l’analisi di aspetti di natura non solo organizzativa, gestionale, giuridica, fiscale, economica e finanziaria, ma anche affettivi e psicologici.
Recenti casi di cronaca dimostrano come, in assenza di una strategia successoria pianificata in vita dall’imprenditore, in presenza di più soggetti legittimari, possono crearsi dissidi familiari, che possono sfociare in accese liti giudiziarie e condurre alla chiusura dell’azienda. Ciò conferma che la pianificazione delle fasi e delle modalità del processo di ricambio generazionale è efficace solo se avviata per tempo, ossia quando la generazione uscente è nel pieno delle proprie capacità, e con un orizzonte temporale di attività ancora sufficientemente lungo, tale da garantire un efficace presidio del processo, sotto la stretta supervisione degli organi di governo della società.
Uno dei passaggi essenziali al fine di garantire la riuscita del passaggio generazionale consiste nello scollegare la vita dell’azienda dal ciclo di vita del titolare, per evitare che l’età, la modifica degli obiettivi, motivazioni, aspirazioni e il bisogno di stabilità influisca negativamente sulla performance aziendale. Le imprese sono infatti immerse in uno scenario competitivo complesso e mutevole, e necessitano di innovazione, di continui cambiamenti per adattarsi al contesto esterno e di sempre nuovi investimenti per vincere la sfida della competitività.
Ciò è particolarmente vero per le imprese di tipo familiare, nelle quali spesso il titolare tende a ritenere che le fortune dell’azienda siano necessariamente legate ai suoi criteri di gestione e al suo stile, da perpetuare attraverso i suoi figli, i quali a loro volta possono avere idee o temperamenti molto diversi. Può quindi nascere un conflitto, che assume due aspetti: manageriale (legato ad aspetti organizzativi, finanziari, legali, societari e fiscali) e psicologico (legato all’età, al potere, all’esperienza e alle aspirazioni personali).
Il modello operativo tipico dell’impresa familiare italiana è ritagliato sulla persona del suo titolare, sulla sua creatività, sulla sua determinazione e spirito di sacrificio, in particolare quando si tratta del fondatore. Questi vive spesso l’impresa come una creazione propria, e pur essendo consapevole della necessità di adeguamento ed evoluzione, è restio a lasciare il comando alle nuove generazioni; il passaggio delle consegne diviene pertanto difficoltoso da gestire, in quanto non esiste una figura alternativa che possieda lo stesso vissuto e la stessa personalità del titolare.
È invece importante che il passaggio generazionale avvenga gradualmente, attraverso il progressivo ingresso delle nuove generazioni in azienda. A tal fine è opportuno che i giovani, assumano presto limitate responsabilità dirette in azienda – se del caso facendo esperienza in imprese minori del gruppo, o nelle filiali dei mercati esteri con maggiore potenziale di sviluppo – e al contempo che il capo-azienda rinunzi progressivamente al proprio ruolo di comando.
Naturalmente questa fase di convivenza intergenerazionale, che può essere anche molto lunga, non è sempre semplice da gestire; anche perché spesso è vissuta in modo intensamente emotivo dai familiari coinvolti, rendendo così difficile bilanciare l’unità familiare e le esigenze aziendali.
3. Il passaggio dell’impresa in via successoria
Qualsiasi processo di successione aziendale dovrebbe rispondere a tre esigenze primarie:
- garantire la continuità dell’azienda, attraverso una nuova leadership che assicuri una buona gestione imprenditoriale e produca risultati positivi;
- garantire soluzioni eque dal punto di vista patrimoniale tra gli eredi, tenuto conto non soltanto del valore dell’azienda ma anche di altri beni patrimoniali;
- ridurre il più possibile i rischi di litigi tra i familiari della nuova generazione.
Tali esigenze sono possono essere difficilmente soddisfatte dalla rigidità dei tradizionali strumenti successori, i quali scontano gravi limiti.
Come è noto, in mancanza di un testamento, la successione è regolata dal Codice civile, in base alle norme sulla c.d. “successione legittima”: si tratta di una serie di complessi criteri che individuano i soggetti aventi diritto all’eredità e le quote spettanti a ciascuno degli eredi. In presenza di una pluralità di eredi si forma una comunione ereditaria, che dovrà essere divisa tra gli eredi stessi, attribuendo a ciascuno dei beni presenti nel patrimonio della persona scomparsa.
Si tratta di una situazione non certo semplice, spesso fonte di litigiosità tra gli eredi – e dunque in ogni caso da scongiurare, attraverso la redazione di un testamento – in quanto occorre procedere ad una stima concorde sia del valore dei beni relitti che del valore delle eventuali donazioni del defunto, delle quali ciascun erede abbia beneficiato in precedenza, e che devono essere computate nella quota di spettanza di ciascuno degli eredi, secondo il complesso meccanismo della cd. “collazione”.
Peraltro, anche quando la successione è regolata da un testamento possono verificarsi situazioni non semplici, che possono notevolmente ostacolare la prosecuzione dell’attività. La volontà del de cuius, infatti, trova dei limiti posti a tutela della posizione dei familiari più stretti, ai quali spetta una quota inderogabile del patrimonio (c.d. “quota di legittima”); tale quota non può essere pretermessa, qualunque sia la volontà del testatore (c.d. “successione necessaria”), per cui se uno dei familiari “legittimari” si ritiene leso nella propria quota di legittima, può adìre l’Autorità giudiziaria per chiedere che sia loro assegnata la parte di eredità spettante per legge, riducendo le disposizioni testamentarie lesive della propria quota di legittima.
Tale quota viene, peraltro, calcolata con riferimento al valore del patrimonio non alla data del testamento (e quindi sulla base di quanto era stato eventualmente calcolato dal testatore), bensì alla data dell’apertura della successione (cioè al momento della morte del testatore), data che può essere di molto posteriore. Inoltre, nel calcolo della legittima devono essere incluse anche le eventuali donazioni che il defunto abbia effettuato in favore dei parenti più prossimi, secondo il meccanismo della collazione a cui si è prima accennato.
Inoltre, affidare la continuazione dell’impresa a tutti gli eredi senza operare una selezione tra quelli di essi che siano più meritevoli o capaci può mettere a repentaglio la continuità aziendale, nella misura in cui gli eredi o alcuni di essi non abbiano sufficienti attitudini imprenditoriali e non siano interessati alla gestione dell’azienda, anche perché divenendo titolari delle partecipazioni sociali non in seguito ad un investimento del proprio patrimonio personale, bensì iure successionis, potrebbero non essere incentivati ad assumere scelte di amministrazione accurate.
Affidare il passaggio generazionale alle sole regole di diritto successorio rischia di essere quindi una scelta inadeguata nell’ottica della continuità ed efficienza dell’impresa. Ciò nonostante, la pianificazione della successione dell’impresa deve comunque fare i conti con le ineludibili regole del diritto successorio, non potendo tradursi in una lesione delle pretese ereditarie degli altri familiari. In particolare, in presenza di più eredi, la trasmissione della partecipazione di controllo a uno o solo alcuni di essi implica la necessità che vengano assegnati agli eredi non selezionati alla continuazione dell’impresa ulteriori beni, in modo da attribuire loro un adeguato ristoro patrimoniale ed impedire che la complessiva operazione si traduca in una violazione dei diritti dei riservatari.
Occorre d’altra parte considerare che, qualora l’attività d’impresa sia svolta non in forma individuale bensì in forma societaria, e quindi si verifichi più che un trasferimento dell’azienda un i trasferimento della quota societaria facente capo al de cuius, per la pianificazione del passaggio generazionale occorre prendere in considerazione, da una parte, il diverso regime legale vigente per le società di persone e le società di capitali, dall’altra le previsioni dello statuto societario: sul punto si rimanda all’approfondimento pubblicato in un altro articolo.
4. I patti di famiglia
I patti di famiglia sono disciplinati dall’art. 768-bis del Codice civile, norma che è stata introdotta nel 2006 allo scopo di favorire il passaggio generazionale nell’ambito delle imprese familiari, tramite l’attenuazione del tradizionale divieto dei patti successori (cioè le pattuizioni con cui vengono attribuiti o negati diritti su beni coinvolti in una successione non ancora aperta).
Tale istituto ha infatti la finalità di fornire all’imprenditore uno strumento mediante il quale disporre – in via unitaria ed anticipata rispetto alla ordinaria successione – dell’azienda (ovvero delle partecipazioni societarie da egli detenute) in favore dei propri discendenti (e senza pregiudizio per le ragioni degli altri eventuali legittimari).
In sintesi, si tratta di contratto con cui l’imprenditore trasferisce, in tutto o in parte, l’azienda o una quota di partecipazione societaria qualificata (ovvero tale da assicurare un potere di concorso e influenza nella gestione dell’impresa) ad uno o più discendenti, garantendo la tutela dei futuri legittimari.
E’ altresì possibile che l’imprenditore trasferisca, attraverso il patto di famiglia, la nuda proprietà dell’azienda (o la nuda proprietà delle partecipazioni societarie), riservando per sé il diritto di usufrutto, in modo da evitare bruschi passaggi generazionali che possano compromettere l’efficienza dell’azienda, continuando a gestire personalmente l’impresa per la durata della sua vita o per un periodo determinato, e attribuendo con effetto immediato la proprietà del cespite produttivo, garantendo così la continuazione dell’attività.
Il patto di famiglia deve essere concluso per atto pubblico (quindi tramite un notaio) e ad esso devono partecipare il coniuge del titolare e tutti coloro che sarebbero legittimari se in quel momento si aprisse la successione. Ai legittimari è dovuta, da parte degli assegnatari dell’azienda o delle partecipazioni societarie, la liquidazione degli importi corrispondenti al valore delle quote di legittima, mediante il pagamento di una somma o l’attribuzione di beni in natura (sempre che i legittimari stessi non vi rinuncino).
Tramite il patto di famiglia è quindi possibile, con il consenso di tutti i familiari, trasferire l’azienda o le quote di partecipazione al discendente o ai discendenti prescelti, liquidando economicamente i familiari aventi diritto per legge a una quota della futura eredità; in tal modo anticipando, in modo programmato, gli effetti della successione, equilibrando la posizione dei diversi eredi ed evitando il sorgere di liti e contenziosi.
Tale strumento gode – come del resto le successioni e le donazioni – di un regime fiscale di favore: tuttavia, esso presenta numerosi limiti applicativi, che incidono pesantemente sulla sua utilizzabilità sotto il profilo pratico. In particolare:
- devono necessariamente partecipare – e dunque essere d’accordo – alla stipula del patto tutti i legittimari (cosa non sempre semplice da ottenere; basta infatti che uno solo dei membri della famiglia, ad esempio perché estraneo alla conduzione dell’azienda o meno interessato al suo sviluppo, si opponga affinché lo strumento del patto di famiglia non sia utilizzabile);
- può essere utilizzato solamente per trasferire l’azienda o le partecipazioni sociali ai discendenti e non al coniuge, né a fratelli, nipoti o soggetti estranei alla famiglia;
- i beneficiari devono liquidare ai futuri legittimari una somma di denaro, o l’equivalente in natura, il cui valore è determinato al momento della stipula del patto, secondo, i criteri della successione necessaria (il che può costituire un limite insormontabile qualora, come spesso accade, tali soggetti non possiedano sufficienti risorse finanziarie, essendo queste generalmente nella disponibilità del disponente).
D’altra parte, l’evenienza di conflitti tra i successori del capostipite non è del tutto scongiurata anche in seguito alla stipula del patto di famiglia. Il contratto, infatti, potrebbe essere impugnato per vizi del consenso; inoltre, i coniugi ed i legittimari che non hanno partecipato al patto potrebbero far valere le loro pretese all’apertura della successione, richiedendo l’importo della liquidazione che sarebbe loro spettata.
5. La pianificazione successoria tramite gli statuti societari
Nelle piccole e medie imprese di famiglia – che, come è noto, costituiscono la principale componente del tessuto imprenditoriale italiano – si riscontra spesso la tendenza ad impiegare la maggior parte del patrimonio personale nell’impresa, con la conseguenza che la quota sociale costituisce il cespite più rilevante da trasmettere ereditariamente.
In questo scenario, le imprese di piccole e medie dimensioni, quando non assumono la veste di società personali, sono costituite in forma di S.r.l. Tale tipo societario è particolarmente adeguato a permettere un’efficace pianificazione della trasmissione di impresa, in quanto rende utilizzabili strumenti che consentono di distinguere la successione nella proprietà delle quote e nell’amministrazione della società, che costituisce uno dei profili nevralgici della gestione del passaggio generazionale.
Nello statuto delle S.r.l. si possono infatti inserire apposite clausole che (anche in eventuale combinazione con ulteriori strumenti giuridici) possono soddisfare diverse esigenze dell’imprenditore legate al passaggio generazionale, consentendogli di accrescere la sua partecipazione a quella degli altri soci superstiti oppure di fare in modo che i suoi eredi conseguano la qualità di soci, o ancora di controllare l’ingresso di estranei nella compagine societaria. La possibilità di introdurre limiti alla circolazione delle quote e di attribuire diritti particolari a singoli soci rende la S.r.l. più appetibile rispetto a modelli alternativi di organizzazione dell’impresa, in quanto idonea a superare gli ostacoli alla realizzazione di un ricambio indolore sia nella proprietà della ricchezza produttiva, che nella selezione dell’erede designato ad assumere la guida della società.
Lo strumento più immediato per il trasferimento della governance dell’impresa esercitata in forma societaria consiste nell’inserimento nello statuto di una clausola che indica il nome del futuro amministratore, il quale ricoprirà tale ruolo al verificarsi di una determinata condizione, come la morte del capofamiglia, o il raggiungimento di una data soglia di età. L’inserimento di tale clausola nello statuto consente di derogare alla norma di cui all’art. 2475 c.c. – che prevede la reviviscenza del regime legale di nomina dell’amministratore, ovvero per decisione dei soci – determinando la successione dell’erede designato senza una formale decisione dei soci.
È inoltre possibile inserire nello statuto della società una clausola che prevede, alla morte del titolare, il passaggio insieme alla quota dei diritti particolari, ai sensi dell’art. 2468 c.c. Con la circolazione dei diritti particolari è possibile assicurare la successione non solo nella carica di amministratore della società, ma anche di altri diritti minori riguardanti la gestione, o la distribuzione di utili, garantendo in tal modo la permanenza dello stesso equilibrio tra i componenti della società anche a seguito dell’ingresso di nuove generazioni. La successione nell’amministrazione mediante trasmissione dei diritti particolari consente di assicurare maggiore stabilità all’assetto organizzativo, in quanto la modifica richiede il consenso di tutti i soci, salvo diversa disposizione dell’atto costitutivo.
Un altro strumento che può essere adottato nello statuto di S.r.l. consiste nel prevede che in caso di decesso del socio la sua partecipazione si accresca direttamente (ovvero si possa accrescere, ove venga esercitata l’opzione all’uopo riconosciuta) a quella dei soci superstiti in proporzione alle partecipazioni al capitale sociale detenute da questi ultimi, con conseguente liquidazione in favore degli eredi del socio defunto del valore della partecipazione “consolidata” da parte dei soci superstiti beneficiari dell’accrescimento (c.d. clausola di consolidazione impura). Lo scopo di tale clausola è quello di mantenere la continuazione dell’impresa nelle mani dei soci superstiti, evitando l’ingresso degli eredi del socio defunto nel capitale sociale.
Una variante di tale clausola prevede che agli eredi del socio defunto venga consentito di scegliere se continuare a partecipare alla società in sua vece oppure chiedere la liquidazione del valore della partecipazione caduta in successione agli altri soci superstiti (c.d. clausola di continuazione facoltativa).
Si può altresì inserire nello statuto una clausola di gradimento, in base alla quale l’ingresso dell’erede nella compagine sociale è subordinato al possesso di determinati requisiti indicati nello statuto, ovvero al consenso insindacabile e arbitrario di un determinato organo sociale (in genere, l’assemblea dei soci superstiti) o di un terzo (in caso di Srl). Gli eredi, quindi, potranno divenire soci a seguito dell’accertamento della sussistenza dei requisiti richiesti ovvero del rilascio del placet; in caso contrario, avranno diritto alla liquidazione del controvalore economico della partecipazione sociale, secondo la disciplina sul recesso.
La pianificazione successoria di una società è infine attuabile anche attraverso le clausole di riscatto o di opzione, le quali prevedono in caso di morte di un socio l’obbligo degli eredi di offrire le quote o azioni acquistate agli altri soci ad un prezzo stabilito nella clausola statutaria.
6.Gli interventi sulla governance aziendale
Spesso è opportuno che il processo di passaggio generazionale in azienda sia accompagnato e preparato da opportuni interventi sulla governance aziendale.
Sotto questo profilo, può essere opportuno:
- ristrutturare l’organigramma aziendale, in modo da favorire il principio meritocratico, separare ruoli e funzioni strategiche ed evitare ambiguità tra assetti formali e sostanziali;
- potenziare la struttura finanziaria, in modo da evitare situazioni di sotto-capitalizzazione e carenza di liquidità e di confusione tra la finanza personale dell’imprenditore e quella dell’azienda.
In presenza di una pluralità di possibili successori dell’imprenditore, diventa fondamentale assicurare una buona governance aziendale, differenziata a seconda che:
- vi sia un unico successore che prende in mano la leadership dell’azienda, mentre gli altri successori ricoprano il ruolo di soci non attivi (rimanendo eventualmente rappresentati nel CdA o impegnati in ruoli aziendali minori), oppure
- tutti o alcuni dei successori interessati e capaci ricoprano ruoli manageriali di vertice, con frazionamento della gestione dell’azienda tra di essi (collegialità al vertice).
Nel primo caso, occorre che chi si assume l’onere della gestione dell’azienda possa avere sufficiente libertà per deliberare in merito a temi di gestione ordinaria, evitando pericolosi blocchi decisionali, pur sempre nel rispetto dei soci di minoranza.
Nella seconda ipotesi, il modello di passaggio generazionale con frazionamento della gestione aziendale tra due o più successori – che risulta abbastanza diffuso, essendo adottato da oltre un terzo delle imprese familiari italiane di dimensioni medio-grandi – richiede un’attenta valutazione, dovendo in particolare riflettere un principio di specializzazione funzionale o di business.
7. I riassetti proprietari: la holding di famiglia e lo spin-off immobiliare
Spesso, soprattutto nei casi in cui vi sia una pluralità di successori – e in particolare di collegialità al vertice – può essere opportuno, al fine di garantire la convergenza tra equilibri aziendali ed equilibri familiari, procedere ad operazioni di riassetto societario, separando le dinamiche proprietarie da quelle gestionali in modo da scongiurare il rischio di divergenze di vedute sulla linea imprenditoriale da seguire, o che vi siano uno o più soggetti non interessati a svolgere alcun ruolo in azienda.
Tra le operazioni di riassetto all’interno della famiglia proprietaria assume un ruolo di primaria rilevanza la costituzione di una holding di famiglia. Come è noto, la holding è una società finanziaria che detiene quote di capitale di altre imprese, al fine di controllarne la gestione e indirizzarne le attività conformemente alla strategia di gruppo. La holding di famiglia non è altro che una holding i cui soci di controllo sono membri di una stessa famiglia o ramo familiare.
La holding di famiglia (che può essere costituita da una società di persone o di capitali) può essere realizzata tramite cessione delle partecipazioni detenute dai familiari in una società operativa o, più spesso, tramite conferimento delle stesse, laddove il corrispettivo del bene (o partecipazione) conferita non è costituito da denaro, bensì da una partecipazione nella società conferitaria.
Nel momento in cui al genitore-imprenditore unico succedono due o più figli nella gestione della società, o nel momento in cui i figli dell’imprenditore vengono coinvolti nell’attività del genitore, l’unitarietà decisionale lascia il posto alla pluralità dei centri decisionali, con conseguenti possibilità di conflitto e scontro. Per evitare che la gestione ordinaria e straordinaria della società sia inficiata da dinamiche familiari, la fase decisionale può essere appunto trasferita all’interno di una holding familiare, la quale, operando al di sopra della o delle società operative – nelle quali si suppone partecipino solo i familiari effettivamente coinvolti nella gestione dell’impresa – consente di scindere gli interessi dei soci maggiormente legati alla percezione degli utili da quelli più legati all’amministrazione. In questo modo, gli eventuali contrasti tra familiari vengono gestiti a livello di holding senza che sia compromesso l’andamento dell’attività delle società operative.
La creazione di una holding di famiglia comporta quindi numerosi vantaggi, consentendo in particolare di:
- razionalizzare il controllo societario(dando luogo ad un’unica compagine stabile di soci che gestisce indirettamente le società del gruppo);
- contenere al livello della holding eventuali conflitti e divergenze di vedute tra i familiari, che potrebbero creare stalli decisionali e danneggiare l’attività operativa del gruppo;
- attribuire ai familiari una collocazione societaria nel rispetto e nella valorizzazione delle attitudini personali di ciascuno;
- tutelare efficacemente il patrimonio e diversificare il rischio imprenditoriale;
- rafforzare l’immagine dell’azienda, grazie alla percezione delle capacità aggregative della famiglia.
In particolare, la costituzione di una holding consente di ridurre la moltiplicazione degli eredi, in cui ciascuno è portatore di interessi, aspettative, attitudini, competenze differenti, che ostacola la prosecuzione ordinata ed unitaria dell’impresa familiare, determinando una disgregazione del patrimonio imprenditoriale. La holding è quindi lo strumento societario più idoneo alla formazione di una volontà comune, quale momento di sintesi e composizione della dialettica familiare, separando il piano dei soci rispetto a quello delle decisioni imprenditoriali. Nelle aziende familiari di dimensioni medio-grandi, le holding rappresentano il luogo ideale dove far convergere gli interessi della famiglia proprietaria, separandoli dalle decisioni di business, ed esprimere un indirizzo unitario in relazione alle decisioni di investimento.
Uno dei tipi societari più adatti per la costituzione della holding di famiglia è la S.r.l.; utilizzando il modello della S.r.l., è possibile infatti, tramite apposite clausole statutarie, stabilire le regole sulla nomina degli amministratori, sula circolazione delle quote, sule cause di esclusione e di recesso, sui diritti patrimoniali ed amministrativi attribuiti alle singole quote di partecipazione o ai singoli soci. Il conferimento delle partecipazioni della società operativa nella holding S.r.l., dunque, permette non solo di separare le vicende della società operativa dalle dinamiche famigliari, ma altresì di:
- attribuire a ciascun socio un ruolo peculiare nella società familiare, tramite clausole che attribuiscono diritti ad personam, che ripartiscono le competenze tra amministratori e soci o tramite clausole che permettono conferimenti non proporzionali al capitale sottoscritto;
- regolamentare adeguatamente i rapporti all’interno della famiglia tramite clausole di esclusione, recesso, e di nomina degli amministratori;
- blindare gli asset familiari impedendo la circolazione delle partecipazioni tramite apposite clausole di blocco alla circolazione sia inter vivos che mortis causa.
All’interno dell’atto costitutivo sia di una S.r.l. può essere inoltre prevista la possibilità di effettuare conferimenti non proporzionali (2468 comma2 c.c.), Tale previsione statutaria può risultare di estremo interesse al fine di modellare la partecipazione dei diversi figli dell’imprenditore nella società familiare in conformità alle scelte del genitore ed alle attitudini degli stessi figli.
Il conferimento di beni o partecipazioni in uno strumento societario, quale appunto la holding di famiglia, consente altresì una maggiore tutela nei confronti dei creditori, prevenendo situazioni di default personale, soprattutto nel caso di quote di società di persone. La giurisprudenza consolidata ritiene infatti che queste ultime, salvo contrarie disposizioni dello statuto, non sono sequestrabili né pignorabili, in quanto l’inserimento nella compagine sociale di un soggetto terzo senza che vi sia il consenso degli altri soci è incompatibile con i caratteri delle società di persone.
Essendo la holding una società, essa può assumere tecnicamente una qualsiasi delle forme giuridiche previste dal Codice civile: società semplice, S.n.c., S.a.s., S.p.a., S.r.l., S.a.p.a. Un tipo societario particolarmente adatto ad essere impiegato in funzione di holding familiare, soprattutto se essa si limite all’attività di gestione di partecipazioni e quindi svolge il ruolo di “cassaforte” del patrimonio della famiglia, è la società semplice, che presenta delle caratteristiche tali da renderla uno strumento prezioso nell’ottica della pianificazione patrimoniale quali, per esempio:
- la mancanza di previsioni di legge per quanto riguarda lo statuto sociale (il che consente ai soci di regolare in totale autonomia la struttura organizzativa);
- la mancanza di obbligo di bilancio;
- la mancanza di organi sociali obbligatori;
- la mancanza di obbligo di tenuta delle scritture contabili;
- la non assoggettabilità a fallimento e alla normativa sulle società di comodo.
In particolare, nella società semplice la disciplina per la circolazione delle quote inter vivos e mortis causa non ha carattere imperativo, con la conseguenza che i soci possono preventivamente decidere ciò che accadrà in caso di morte di un socio. Ciò si rivela molto utile per gestire le (frequenti) ipotesi in cui l’imprenditore-capo famiglia decida di conferire in una società, costituita con il nucleo familiare, l’intero suo patrimonio, e voglia preventivamente ovviare alle ingerenze delle famiglie allargate, prevedendo già in sede di costituzione (e quindi con il consenso dei soci/figli), l’esclusione dei non consanguinei in caso di loro premorienza.
Le risorse finanziarie per l’operazione di riassetto possono provenire alternativamente dall’azienda (con acquisto di azioni proprie), o dai soci familiari stessi, che immetteranno risorse private all’interno del perimetro aziendale. Tuttavia, poiché l’esigenza di reperire risorse potrebbe avere impatti negativi sulla crescita, può essere opportuno procedere ad un riassetto che preveda l’intervento di soci finanziatori non familiari, ad esempio attraverso l’ingresso di un fondo di private equity in posizione di minoranza (e dunque con controllo ancora nelle mani della famiglia).
Quando vi è l’esigenza di permettere la fuoriuscita dalla compagine sociale di eventuali soci-familiari non più interessati all’impresa, lasciando il possesso (e la gestione) della stessa agli altri familiari, la holding familiare può essere altresì costituita attraverso un’operazione di leverage, che prende il nome di family buy-out. Tale operazione si articola essenzialmente nei seguenti passaggi:
- costituzione di una holding mediante versamento del capitale sociale (apporto di denaro o conferimento delle partecipazioni detenute nella società operativa) da parte dei familiari interessati;
- indebitamento da parte della holding, che rende possibile l’acquisto delle quote o azioni della S.r.l. operativa;
- acquisto delle partecipazioni detenute dai familiari non più interessati alla gestione della società operativa da parte della holding.
Al termine di tali operazioni, generalmente viene realizzata una fusione tra la holding e la società operativa, che permette alla holding di onorare il debito nei confronti dei propri creditori che le hanno permesso di acquisite le quote o azioni della società operativa mediante i flussi di cassa garantiti dall’operatività di quest’ultima. In alternativa, si può provvedere alla distribuzione di utili a favore della holding da parte della società operativa, affinché questa possa onorare i propri debiti con i creditori.
Nell’ambito delle operazioni di riassetto societario finalizzato al passaggio generazionale, un altro strumento frequentemente utilizzato è lo spin-off immobiliare, attraverso il quale una parte del patrimonio dell’impresa (quello immobiliare) viene scorporato ed assegnato ad una distinta entità giuridica (già esistente o di nuova costituzione). Tale operazione può essere realizzata attraverso diversi strumenti, tra i quali uno dei più impiegati è la scissione del patrimonio immobiliare sociale e la conseguente assegnazione dello stesso ad una o più società beneficiarie, siano esse new-co o società preesistenti. In tal caso, l’entità giuridica scissa non riceve in cambio azioni o quote della beneficiaria, che vengono invece assegnate, proporzionalmente o meno in base alle finalità dell’operazione, ai soci della società scissa.
Lo spin-off immobiliare realizzato tramite scissione, soprattutto se non proporzionale, rappresenta uno strumento molto flessibile per ridefinire gli assetti proprietari nell’ambito del passaggio generazionale, consentendo in particolare la divisione dei gruppi familiari derivanti dall’unico capostipite, attraverso un assetto proprietario idoneo ad evitare conflitti fra i diversi rami di una medesima famiglia e a facilitare, attraverso la disarticolazione organizzativa dell’impresa originaria, il passaggio di mano dell’attività.
E’ così possibile separare il patrimonio di una società tra una o più società beneficiarie, per esempio dividendo il compendio immobiliare da quello finanziario e, ancora, da quello operativo, permettendo a soci o gruppi di soci si dedicarsi al settore di attività più congeniale o più vicino ai propri interessi o competenze.
8. Il Trust
Tra le possibili soluzioni per il passaggio generazionale dell’impresa, una posizione particolare occupa il Trust, istituto di origine anglosassone, applicabile in Italia in virtù della Convenzione dell’Aja del 1° luglio 1985, recepita dalla L. n. 364/1989 e la cui validità è stata definitivamente riconosciuta dalla giurisprudenza.
In estrema sintesi, attraverso il trust un soggetto (disponente o settlor) affida un patrimonio (c.d. Trust fund) ad un altro soggetto (fiduciario o trustee) affinché, sulla base di quanto istituito nell’atto di Trust, quest’ultimo lo gestisca per il raggiungimento di determinati scopi e a beneficio di uno o più soggetti beneficiari (beneficiaries), ai quali dovrà essere ritrasferito al termine del periodo indicato nell’atto costitutivo del Trust. Il trust consente quindi di tutelare determinati beni affidandoli ad un altro soggetto , che ha l’incarico di gestirli.
Ciò è possibile in base alla caratteristica del trust, data dallo sdoppiamento del diritto di proprietà (c.d. dual ownership), in quanto né la posizione del trustee né quella del beneficiario corrispondono a quella del proprietario, così come definito dall’art. 832 del codice civile. I beni in trust non fanno infatti parte del patrimonio personale del trustee, non sono quindi attaccabili da eventuali creditori e sono insensibili alle vicende personali, familiari, successorie e fiscali sia del disponente che dello stesso trustee (c.d. segregazione patrimoniale).
Il trustee ha l’onere di amministrare, gestire e disporre dei beni, in conformità a quanto previsto nell’atto dispositivo del trust dal settlor.
Tale caratteristica rende il trust uno strumento particolarmente utile ed evoluto ai fini della trasmissione di un patrimonio imprenditoriale, e quindi per attuare il passaggio generazionale. Con il trust, infatti, l’imprenditore può incaricare un soggetto (trustee) di gestire il patrimonio aziendale nell’interesse dei successori (beneficiaries) e di trasferirlo a questi al termine di un certo periodo, in base a determinati criteri; in questo modo, i soggetti che subentreranno nell’azienda possono essere individuati anticipatamente, ma il loro effettivo subentro può essere rinviato ad una data successiva.
Il trust consente quindi all’imprenditore di valutare adeguatamente la scelta del subentrante, evitando che alla sua morte si apra la successione legittima e l’azienda cada in mani non capaci di un’opportuna gestione, ma evitando anche che l’azienda venga trasferita immediatamente a quest’ultimo, con i conseguenti rischi che ciò potrebbe comportare (in termini di cattiva gestione, dispersione del valore aziendale etc.).
Si pensi, ad esempio, al caso in cui nella famiglia dell’imprenditore non si riesca a trovare un accordo per stipulare un patto di famiglia, oppure al caso in cui l’imprenditore non abbia legittimari, ma intenda comunque provvedere alla trasmissione generazionale dell’impresa in favore di un dato soggetto (ad esempio, un parente di grado non immediato oppure un suo collaboratore) o a favore di una persona ancora non individuata, ma che con il tempo sarà scelta tra coloro che, lavorando per l’azienda, manifesteranno idonee capacità. In questi (e in altri) casi, l’imprenditore può nominare un trustee (ad esempio un professionista), affidandogli il compito di gestire ed in seguito trasferire l’azienda a colui che manifesterà le caratteristiche più idonee alla conduzione dell’impresa.
In tal modo, inoltre, si evitano i rischi derivanti dall’applicazione del diritto successorio; si evita, infatti, che la proprietà venga frammentata tra eredi litigiosi disinteressati alle sorti dell’azienda, o ancora che si realizzino brusche interruzioni nel management (dovute, ad esempio, alla mancanza di una comune visione imprenditoriale o di reale capacità gestoria di alcuni successori).
Il compito del trustee non è solo quello di garantire la continuità della conduzione dell’azienda in conformità alle indicazioni provenienti dal fondatore dell’impresa, ma anche – e soprattutto – quello di individuare, all’interno del gruppo dei beneficiari, i discendenti maggiormente idonei ad assumere il controllo aziendale. Questi ultimi hanno il potere di rimuovere il trustee inadempiente ai propri doveri stabiliti nell’atto costitutivo del trust, e possono esercitare un controllo sull’attività svolta dal trustee, ma entro certi limiti, non essendo loro consentito di ingerirsi nella gestione del patrimonio, che spetta esclusivamente al trustee, salvo ciò sia stato stabilito in sede di costituzione.
Spesso si prevede la nomina di uno o più protectors (guardiani del trustee, col compito di vigilare sull’operato di quest’ultimo e sull’osservanza dell’atto istitutivo, mediante l’esercizio dei poteri più o meno penetranti, quali ad esempio il consenso preventivo al compimento di determinate operazioni ovvero la revoca del trustee che abusi del proprio ufficio.
Il trust presenta, rispetto al patto di famiglia e agli strumenti di diritto societario, numerosi vantaggi, quali ad esempio:
- ha funzione protettiva, in quanto la segregazione dei beni affidati al trustee assicura che i beni in trust siano finalizzati a realizzare lo scopo per cui il trust è stato istituito, isolandoli dalle vicende patrimoniali del disponente, del trustee e del beneficiario;
- i poteri attribuibili al trustee possono essere diversificati (può ad esempio nominare o revocare i beneficiari, sperimentare le qualità del beneficiario designato a subentrare nella gestione, regolamentare la distribuzione dei dividendi, l’assegnazione della proprietà dei beni in trust, etc.);
- consente di lasciare il controllo dell’azienda di famiglia all’imprenditore, di verificare la meritevolezza dell’attribuzione dell’azienda o delle partecipazioni in favore di uno specifico beneficiario e di adattare periodicamente le determinazioni assunte al tempo della redazione dell’atto istitutivo al mutare delle circostanze, senza modificare l’atto che regolamenta la pianificazione patrimoniale;
- assicura che la volontà del disponente di devolvere la ricchezza familiare sia affidata ad un soggetto terzo (il trustee), imparziale rispetto agli interessi dei familiari, per tutto il tempo voluto dal disponente.
In sintesi, il trust costituisce uno strumento ideale per la pianificazione del passaggio generazionale dell’azienda in chiave prospettica, in quanto è estremamente duttile e flessibile, e dunque particolarmente idoneo a preservare l’unità dell’impresa e a preservare le decisioni del disponente, lasciando il controllo dell’azienda all’imprenditore.
Peraltro, anche il trust non può determinare una lesione dei diritti dei legittimari, in quanto l’intestazione delle quote al trustee non può essere effettuata in modo da eludere le regole in materia di tutela patrimoniale dei legittimari. Sotto questo profilo, l’attribuzione patrimoniale operata attraverso il trust è soggetta all’azione di riduzione, qualora ve ne siano i presupposti.
Si tratta in ogni caso di uno strumento tecnicamente molto complesso, da maneggiare con grande cura e attenzione; in particolare, deve essere assoggettato ad una legge straniera, che ne governa le regole di operatività e le connesse responsabilità, e che pertanto deve essere scelta molto oculatamente.
In definitiva, per affiancare l’imprenditore e la sua famiglia nel delicato processo del passaggio generazionale sono indispensabili regole e strumenti tali da consentire l’assunzione di decisioni tempestive, ordinate ed efficienti; la scelta dello strumento più opportuno deve essere effettuata in base a una valutazione attenta della situazione patrimoniale ed economica della famiglia, dei rapporti familiari e delle aspirazioni e delle necessità delle varie generazioni coinvolte.
Ciò è possibile coinvolgendo, per tempo e in modo oculato, un pool di professionisti – consulenti patrimoniali, commercialisti, avvocati, notai – che individuino gli strumenti più idonei a raggiungere una più efficace e meno onerosa tutela del patrimonio familiare, coordinando tutte le fasi della transizione. Si tratta senza dubbio di un compito complesso, che privilegia, oltre a competenze tecniche (giuridiche, aziendalistiche, tributarie), doti comunicative, di ascolto e di mediazione.
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Avv. Valerio Pandolfini
Avvocato specializzato in diritto Societario
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