Società: la disciplina sulla riduzione del capitale sociale per perdite
Nel corso della vita aziendale, il manifestarsi di perdite di esercizio, determinate da eventi interni o esterni che alterano la condizione di equilibrio economico dell’impresa, è un fenomeno abbastanza frequente, soprattutto in periodi di crisi. Queste situazioni richiedono l’adozione di adeguati provvedimenti, espressamente disciplinati dagli artt. 2446 e 2447 (2482-bis e 2482-ter per le S.r.l.) del Codice civile, diretti a riportare la gestione in una posizione di stabilità. La disciplina della riduzione del capitale sociale per perdite è diversa a seconda che la perdita del capitale sia o meno superiore ad un terzo, e, in quest’ultimo caso, a seconda che il capitale sociale sia sceso o meno al di sotto del minimo legale. In alternativa all’aumento del capitale sociale (che richiede una modifica statutaria), le perdite sociali possono essere coperte dai soci mediante un intervento finanziario, effettuato in particolare mediante rinuncia al credito vantato (per effetto del finanziamento, o per altre cause) dai soci nei confronti della società. Per fronteggiare le conseguenze negative generate dall’emergenza pandemica Covid-19 sull’attività d’impresa, l’art. 6 del Decreto Liquidità, successivamente modificato dall’art. 1, comma 266, della Legge di Bilancio 2021 e da ultimo dalla L. n. 15/2022, ha previsto la sospensione dell’obbligo di ridurre il capitale sociale per perdite rilevanti, ai sensi degli artt. 2446 e 2447 c.c., nonché della causa di scioglimento in caso di mancato assolvimento dell’obbligo di riportare il capitale sociale, intaccato da una perdita rilevante, entro il limite del minimo di legge. Il Codice della Crisi d’Impresa e dell’insolvenza, entrato in vigore nel luglio 2022, prevede la sospensione, pur in presenza di perdite rilevanti, degli obblighi di riduzione nominale del capitale e di ricapitalizzazione.
1. Patrimonio sociale e capitale sociale
Come è noto, il patrimonio sociale è il complesso dei rapporti giuridici attivi e passivi che fanno capo alla società. Esso è inizialmente costituito dai conferimenti eseguiti o promessi dai soci, e successivamente subisce continue variazioni qualitative e quantitative in relazione alle vicende economiche della società. La consistenza del patrimonio sociale (attività e passività) è accertata periodicamente attraverso la redazione annuale del bilancio di esercizio.
Ai sensi dell’art. 2740 c.c., il patrimonio sociale (rectius l’attivo patrimoniale) costituisce la garanzia principale (se per le obbligazioni sociali rispondono anche i soci col proprio patrimonio) o esclusiva (se si tratta di un tipo di società nel quale per le obbligazioni sociali risponde solo la società col proprio patrimonio) dei creditori della società.
Il capitale sociale (nominale) è invece un’entità numerica, che esprime il valore in denaro dei conferimenti quale risulta dalla valutazione compiuta nell’atto costitutivo della società. Il capitale sociale nominale rimane immutato nel corso della vita della società fin quando, con modifica dell’atto costitutivo, non se ne decide l’aumento (ad esempio, per nuovi conferimenti) o la riduzione (ad esempio, per perdite subite).
Il capitale sociale indica la frazione (quota ideale) del patrimonio netto non distribuibile fra i soci e perciò assoggettata ad un vincolo di stabile destinazione all’attività sociale; per tale ragione, l’importo dello stesso è iscritto in bilancio fra le passività, insieme ai debiti della società. I creditori possono fare affidamento, per soddisfare i propri crediti, su un attivo patrimoniale eccedente le passività; per un valore corrispondente almeno all’ammontare del capitale sociale.
Il capitale sociale nominale, in tutte le società, costituisce il termine di riferimento per accertare periodicamente, tramite il bilancio di esercizio, se la società ha conseguito utili (qualora le attività superino le passività aumentate del capitale sociale nominale) o ha subito perdite (qualora le attività siano inferiori alle passività più il capitale sociale).
Nelle società di capitali, inoltre, il capitale sociale nominale svolge un ulteriore ruolo organizzativo, in quanto funge anche da base di misurazione di alcune fondamentali situazioni soggettive dei soci, sia di carattere amministrativo (diritto di voto), sia di carattere patrimoniale (diritto agli utili ed alla quota di liquidazione). Tali diritti spettano infatti a ciascun socio in misura proporzionale alla parte del capitale sociale sottoscritto.
Il capitale sociale nominale costituisce dunque un fondamentale termine di riferimento per un ordinato e corretto svolgimento della vita sociale. Da qui la previsione di una disciplina- analitica per le società di capitali, volta a garantire sia la veritiera determinazione iniziale del suo ammontare, sia l’integrità dello stesso nel corso della vita sociale.
2. La riduzione del capitale sociale per perdite
Il patrimonio netto della società (o capitale reale) può scendere, per effetto di perdite, al di sotto del capitale sociale nominale. La riduzione del capitale sociale per perdite consiste nell’adeguare la cifra del capitale sociale nominale all’attuale minor valore del capitale reale. E’ quindi una riduzione puramente nominale, dato che non comporta di per sé alcuna riduzione del patrimonio sociale; quest’ultima si è infatti già verificata per effetto delle perdite subite dalla società.
Nel corso della vita aziendale, il manifestarsi di perdite di esercizio, determinate da eventi interni ed esterni che alterano la condizione di equilibrio economico dell’impresa, è un fenomeno abbastanza frequente, soprattutto in periodi di crisi. Queste situazioni richiedono l’adozione di adeguati provvedimenti, espressamente disciplinati dagli artt. 2446 e 2447 (2482-bis e 2482-ter per le S.r.l.) del Codice civile, diretti a riportare la gestione in una posizione di stabilità.
La disciplina della riduzione del capitale sociale per perdite è diversa a seconda che la perdita del capitale sia o meno superiore ad un terzo, e, in quest’ultimo caso, a seconda che il capitale sociale sia sceso o meno al di sotto del minimo legale.
2.1 Le perdite inferiori a un terzo del capitale
Se la perdita del capitale sociale non è superiore ad un terzo, la società non è obbligata a ridurre il capitale. Se quindi ad esempio il capitale sociale nominale è 300, fin quando il patrimonio netto non sia sceso al di sotto di 200 per effetto di perdite, la riduzione è facoltativa. Affinché tale situazione ricorra è necessario che le perdite abbiamo completamente eroso tutte le riserve; non si ha infatti perdita del capitale fin quando l’importo delle perdite non supera l’ammontare delle riserve.
Il capitale cui parametrare la perdita è il capitale nominale ossia quello sottoscritto. Dunque non è il capitale deliberato, dato che, sinché esso non sia stato sottoscritto, l’obbligo di conferimento non è attuale; né il capitale versato, dato che nell’attivo patrimoniale è compreso anche il credito verso i soci per conferimenti ancora dovuti.
Anche se non obbligata, la società può tuttavia ugualmente ridurre il capitale per perdite per poter distribuire gli utili successivamente conseguiti; distribuzione altrimenti vietata fin quando le perdite non siano state colmate (art.2433, 3° comma c.c.).
Inoltre, con la riduzione del capitale si fanno definitivamente gravare sui soci attuali le perdite pregresse, riducendo il valore nominale delle azioni in circolazione. Si rende così più agevole la sottoscrizione di un successivo aumento di capitale da parte dei terzi, che altrimenti avrebbe scarse probabilità di successo dato il divieto di emettere le azioni per somme inferiori al loro valore nominale.
La riduzione facoltativa per perdite segue la disciplina generale delle modificazioni dell’atto costitutivo; se la società ha emesso obbligazioni, la riduzione facoltativa per perdite può essere disposta solo in proporzione delle obbligazioni rimborsate (art. 2413 c.c.).
Per la copertura della perdita di esercizio, occorre procedere dapprima con l’abbattimento delle riserve – la cui funzione primaria è quella della difesa del capitale in caso di perdite – e, successivamente, con la riduzione del capitale sociale. Secondo la giurisprudenza, è invalida la delibera di riduzione del capitale sociale a causa delle perdite sofferte non determinate al netto delle riserve, attesa la necessità di tutelare l’affidamento che i terzi ripongono sulla consistenza ed integrità del capitale sociale.
L’abbattimento delle riserve deve avvenire secondo un ordine prestabilito, che tiene conto del loro grado di disponibilità per i soci, a pena di nullità della relativa delibera. L’ordine è il seguente:
- prima occorre utilizzare le riserve volontarie o facoltative;
- successivamente, le riserve statutarie, sia libere sia vincolate;
- quindi i fondi di rivalutazione, la parte di riserva da sovrapprezzo equiparata alla riserva legale, la riserva legale.
2.2 Le perdite superiori a un terzo del capitale
Se il capitale è diminuito di oltre un terzo in conseguenza di perdite, la riduzione del capitale sociale diventa obbligatoria.
Affinché tale situazione si verifichi, il valore del patrimonio netto – che ha come componenti positivi il capitale sociale e le riserve e come componenti negativi le perdite dei vari esercizi – deve risultare inferiore ai due terzi del capitale sociale. La perdita deve essere al netto anche degli utili di periodo che si manifestano dopo la chiusura del bilancio.
In tal caso, se il capitale sociale non scende al di sotto del minimo legale, ai sensi dell’art. 2446 c.c. gli amministratori o nel caso di loro inerzia il collegio sindacale devono convocare senza indugio l’assemblea straordinaria e sottoporle una relazione sulla situazione patrimoniale della società, con le osservazioni del collegio sindacale.
L’obbligo di convocazione dell’assemblea scatta nel momento in cui l’organo amministrativo accerta la gravità della perdita, o si trova davanti a una situazione che ritiene irreversibile e che presume non possa migliorare. Il carattere di urgenza, evidenziato dalla locuzione “senza indugio”, deve essere comunque intesa in senso ragionevole, ovvero in funzione del tempo necessario per la predisposizione dei documenti da offrire al vaglio dei soci.
La mancata adozione dei provvedimenti necessari per far fronte alla riduzione per perdite di oltre un terzo del capitale sociale costituisce fonte di responsabilità per gli amministratori per i danni derivanti alla società e ai creditori sociali per avere proseguito l’attività dopo la perdita del capitale sociale.
Gli amministratori sono tenuti a redigere un vero e proprio bilancio (comprensivo dello stato patrimoniale e del conto economico), redatto secondo i criteri di valutazione stabiliti per il bilancio di esercizio e che si differenzia da quest’ultimo solo perché redatto nel corso esercizio (bilancio straordinario infra annuale).
Ai fini della determinazione dell’entità della perdita, si deve tenere conto anche degli eventuali utili di esercizio che emergono da tale bilancio straordinario (c.d. utili di periodo). Secondo la giurisprudenza, la situazione contabile deve essere riferita ad una data non anteriore di oltre 120 giorni dall’assemblea dei soci convocata per l’approvazione del progetto di ripianamento delle perdite.
L’ultimo bilancio d’esercizio può sostituire la situazione redatta ad hoc, purché sia aggiornato, ed in tal caso non occorre il deposito prima della riunione presso la sede sociale. Per le S.r.l., in questi casi, è possibile che l’atto costitutivo preveda la possibilità di fornire notizie ed informazioni ai soci secondo modalità diverse da quelle sopra indicate.
Situazione patrimoniale, relazione degli amministratori e osservazioni devono restare depositate nella sede della società durante gli otto giorni che precedono l’assemblea, in modo che i soci possano prenderne visione. Inoltre, gli amministratori devono dare conto nell’assemblea dei fatti di rilievo avvenuti dopo la redazione della situazione patrimoniale.
L’assemblea, sulla base della situazione patrimoniale della società e delle recenti notizie sull’andamento economico della gestione, è chiamata a adottare gli opportuni provvedimenti, fra cui:
- l’immediata riduzione del capitale, adeguando la relativa cifra all’attuale valore in dipendenza della perdita; la delibera di riduzione è di competenza dell’assemblea straordinaria, la quale decide con la maggioranza calcolata secondo le regole comuni, non essendo richiesta la volontà unanime di tutti i soci;
- l’eliminazione della perdita con operazioni di ripianamento da parte dei soci (su cui infra, paragrafo 3);
- la riduzione solo parziale delle perdite, che consenta ridurre la stessa a meno di un terzo;
- il semplice rinvio a nuovo delle perdite, qualora si ritenga che vi siano i presupposti per una copertura della medesima mediante utili che matureranno nell’esercizio successivo.
Qualora l’assemblea non decida la riduzione o l’eliminazione della perdita, se entro l’esercizio successivo la perdita non risulta diminuita a meno di un terzo, l’assemblea ordinaria che approva il bilancio di tale esercizio deve ridurre il capitale in proporzione delle perdite accertate. In mancanza, la riduzione del capitale è disposta d’ufficio dal Tribunale, con proprio decreto, su richiesta degli amministratori o dei sindaci.
Nel caso delle S.r.l., considerato che relativamente a tipo societario è possibile optare tra un organo di controllo interno, anche monocratico e un soggetto esterno alla società che svolga unicamente la funzione della revisione legale, l’art. 2482-bis, secondo comma, c.c., precisa che la relazione redatta degli amministratori è accompagnata dalle osservazioni del collegio sindacale o del soggetto incaricato di effettuare la revisione legale. Tali documenti devono essere depositati presso la sede sociale negli otto giorni precedenti l’assemblea per consentire ai soci di prenderne visione, purché una previsione dell’atto costitutivo non disponga diversamente, stabilendo che il documento siano posti a disposizione dei cosi con altre modalità (ad esempio per tramite di una comunicazione scritta al domicilio dei soci) o che relazione e osservazioni siano comunicati direttamente in assemblea, senza alcun deposito preventivo.
2.3 Le perdite superiori a un terzo che hanno intaccato il capitale sociale minimo
Qualora, per effetto della perdita di oltre un terzo, il capitale scende al di sotto del minimo legale, gli amministratori (o in caso di loro inerzia dal collegio sindacale) devono convocare senza indugio l‘assemblea, nei medesimi termini previsti nel caso di convocazione di cui all’art. 2446 c.c.) con l’osservanza degli adempimenti previsti dall’art. 2446 c.c.
Ai sensi dell’art. 2447 c.c. l’assemblea, convocata sempre senza indugio dagli amministratori, deve necessariamente deliberare (c.d. regola “ricapitalizza o liquida”):
- la riduzione del capitale sociale ed il contemporaneo aumento ad una cifra non inferiore al minimo legale; oppure
- la trasformazione della società.
Se l’assemblea non adotta nessuna di tali decisioni, la società si scioglie ed entra in stato di liquidazione. Gli amministratori devono infatti senza indugio accertare il verificarsi della causa di scioglimento, e procedere alla sua iscrizione nel registro delle imprese; in caso di ritardo od omissione, sono personalmente e solidamente responsabili per i danni subiti dalla società, dai soci e dai creditori sociali (art. 2485 c.c.).
Lo scioglimento – o, meglio, gli effetti dello scioglimento – della società non si verifica quindi automaticamente al momento del verificarsi della causa dello scioglimento, cioè quando le perdite hanno ridotto il capitale sociale al disotto del minimo legale, ma solo alla data dell’iscrizione presso l’ufficio del registro delle imprese della dichiarazione con cui gli amministratori accertano che si è verificata una causa di scioglimento della società (art. 2484 c.c.).
Da tale momento (cioè dall’l’iscrizione nel registro delle imprese della dichiarazione degli amministratori che si sono verificate perdite che hanno ridotto il capitale sociale al disotto del minimo legale), i poteri degli amministratori di gestire la società sono limitati alla conservazione dell’integrità e del valore del patrimonio sociale (art. 2486 c.c.).
Dal momento in cui il capitale sociale si è ridotto al di sotto del minimo legale, quindi, gli amministratori non possono continuare a gestire la società secondo normali criteri di gestione, ma devono limitarsi, ai sensi dell’art. 2486 c.c., ai soli atti conservativi dell’integrità e del valore del patrimonio sociale. Qualora invece gli amministratori omettano o ritardino di accertare e di iscrivere senza indugio la causa di scioglimento nel registro delle imprese, compiendo operazioni non finalizzate alla liquidazione della società, si rendono responsabili nei confronti di quest’ultima, dei creditori sociali e dei soci.
La disciplina dettata dall’art.2247 c.c. si applica anche in caso di perdita integrale del capitale sociale. La maggioranza potrà quindi evitare la messa in liquidazione della società deliberando la riduzione a zero del capitale sociale e la contestuale reintegrazione dello stesso, con riconoscimento agli azionisti del diritto di opzione.
La competenza a deliberare spetta all’assemblea straordinaria per le S.p.A., ed all’assemblea qualificata per le S.r.l., in quanto tali provvedimenti comportano modifiche dello statuto.
In tal caso, l’interesse del singolo socio allo scioglimento della società non è prevalente su quello della maggioranza alla conservazione della stessa. D’altra parte, i soci dissenzienti sono tutelati dal riconoscimento del diritto di opzione sull’aumento di capitale, sicché la perdita della qualità di socio, per la mancata sottoscrizione di quest’ultimo, è pur sempre imputabile ad una loro libera scelta.
Ai sensi dell’art. 2484 terzo comma c.c. gli effetti dello scioglimento di S.p.A., S.a.p.A. e S.r.l. per riduzione del capitale sociale al disotto del minimo legale si determinano solo alla data dell’iscrizione presso l’ufficio del Registro delle imprese della dichiarazione con cui gli amministratori accertano la causa di scioglimento. Dunque, la riduzione del capitale al disotto del minimo legale non opera automaticamente come causa istantanea di scioglimento della società: affinché lo scioglimento si realizzi, è richiesto l’adempimento degli opportuni obblighi pubblicitari a carico degli amministratori o, in caso di loro inerzia, del Tribunale.
La complessiva operazione può prestarsi ad abusi a danno della minoranza, qualora la maggioranza si comporti fraudolentemente al solo fine di liberarsi della minoranza che non è in grado di sottoscrivere l’aumento di capitale. In tali casi, è possibile l’impugnazione della delibera per abuso di potere.
Tabella riassuntiva delle diverse ipotesi di riduzione del capitale sociale per perdite
Riduzione del capitale per perdite | Adempimenti |
inferiori a 1/3 del capitale che non intaccano il capitale minimo | può essere riportata a nuovo senza limiti di tempo |
superiori a 1/3 del capitale che non intaccano il capitale minimo | rinvio a nuovo delle perdite di un esercizio. Se entro l’esercizio successivo la perdita non risulta diminuita a meno di un terzo l’assemblea deve ridurre il capitale in proporzione alle perdite accertate |
superiori a 1/3 del capitale che comportano la diminuzione del capitale sotto il minimo legale | l’assemblea deve deliberare la riduzione del capitale sociale a copertura della perdita ed il contestuale aumento o la trasformazione della società o la messa in liquidazione |
perdita integrale del capitale | l’assemblea deve deliberare la riduzione del capitale sociale ed il contemporaneo aumento |
3.La copertura delle perdite tramite rinunzia al credito da finanziamento dei soci
Tra le varie possibilità di copertura delle perdite sociali vi è anche quella che prevede, in alternativa all’aumento del capitale sociale (che richiede una modifica statutaria) l’ intervento finanziario diretto dei soci.
In particolare, la copertura delle perdite può essere effettuata mediante rinuncia al credito vantato dai soci nei confronti della società. La rinuncia al credito è un atto unilaterale da parte dei soci, cui consegue la rinuncia all’esercizio del diritto, senza generare effetti estintivi né dell’obbligazione né, tantomeno, del rapporto sottostante.
I crediti a cui il socio può rinunciare possono essere i più diversi. Nella maggior parte dei casi si tratta di crediti derivanti da finanziamenti in senso proprio-ovvero a titolo di mutuo-ma può aversi anche una rinunzia a crediti commerciali, derivanti da cessioni di beni o prestazioni di servizi.
In quest’ultimo caso, la giurisprudenza ritiene possibile l’utilizzo del credito vantato dai soci nei confronti della società, ai fini della copertura delle perdite sofferte senza procedere alla sua stima ai sensi dell’art. 2343 c.c., in quanto trattasi di una operazione su poste contabili già iscritte in bilancio. E’ stata peraltro ritenuta inammissibile la compensazione nell’ipotesi di perdite superiori al terzo che riducano il capitale al di sotto del minimo legale.
In caso di crediti derivanti da finanziamenti, occorre evidenziare che i finanziamenti dei soci – anche se particolarmente rilevanti e potenzialmente in grado di assorbire del tutto o in parte le perdite – non contribuiscono a formare il patrimonio netto della società, e quindi non possono essere automaticamente utilizzati al fine di assorbire le perdite d’esercizio.
Ciò differenzia i finanziamenti dai versamenti a fondo perduto che sono privi della natura del mutuo (in quanto non ne è pattuito il diritto al rimborso) e che vengono iscritti nel passivo dello stato patrimoniale tra le riserve, rendendoli così utilizzabili dall’assemblea per ripianare le perdite o per aumentare gratuitamente il capitale, imputandole a ciascun socio proporzionalmente alla partecipazione al capitale sociale.
Tuttavia, qualora il socio finanziatore rinunci alla restituzione del finanziamento erogato alla società, tale finanziamento è considerato “versamento a fondo perduto”, contribuendo ad assorbire le eventuali perdite di bilancio. La rinuncia, infatti, determina l’acquisizione definitiva al patrimonio sociale di quanto finanziato e consente il trasferimento di nuove risorse in favore della società, indipendentemente dal fatto che il finanziamento fosse stato originariamente disposto solo da alcuni dei soci.
Pertanto, pur in presenza di perdite rilevanti ai sensi degli artt. 2446 e 2447 c.c., quest’ultime disposizioni non trovano applicazione laddove vi siano finanziamenti dei soci già qualificabili quali “versamenti a fondo perduto” – previa rinunzia dei soci – idonei ad assorbire le perdite entro il limite di un terzo del capitale sociale: in questo caso, infatti, non è rilevabile alcuna perdita rilevante.
Si ritiene altresì che i soci finanziatori possano rinunciare anche ex post – cioè dopo l’accertamento delle perdite – al proprio credito verso la società, consentendo il sorgere di sopravvenienze attive tali da ricondurre le perdite entro il terzo del capitale sociale, così da evitare l’adozione dei provvedimenti di cui agli artt. 2446 e 2447 c.c.
Per quanto concerne, in particolare, le perdite di cui all’art. 2447 c.c., poiché
ai sensi dell’art. 2484 terzo comma c.c. gli effetti dello scioglimento di S.p.A., S.a.p.A. e S.r.l. per riduzione del capitale sociale al disotto del minimo legale si determinano solo alla data dell’iscrizione presso l’ufficio del Registro delle imprese della dichiarazione con cui gli amministratori accertano la causa di scioglimento, eventuali sopravvenienze attive – quale, appunto, una rinunzia al credito debito rappresentato dal finanziamento del socio in favore della società – che precedano la delibera di riduzione e contemporaneo aumento del capitale sociale, la delibera di trasformazione o quella di liquidazione, possono essere utilizzate al fine di assorbire perdite anteriori alle sopravvenienze stesse, evitando così l’adozione delle suddette delibere.
Dunque, prima di provvedere alla convocazione dell’assemblea ai sensi dell’art. 2447 c.c., l’organo amministrativo dovrà valutare se, in forza della rinuncia da parte di una o più soci ad un credito verso la società intervenuta dopo la perdita rilevante, la perdita sia stata del tutto o in parte assorbita; parimenti, in caso di convocazione, l’assemblea dovrà tenere conto di tutti gli eventi migliorativi della situazione patrimoniale della società, compresi quelli eventualmente intercorsi tra la data di convocazione e l’assemblea stessa, tra i quali rientra di certo l’estinzione di debiti sociali tramite rinuncia dei creditori e il conseguente assorbimento, mediante detta rinuncia, delle perdite accertate.
4. La ricostituzione del capitale in assenza del socio di minoranza
Può verificarsi – soprattutto nelle società a ristretta base sociale, caratterizzate da un conflitto tra soci – che una società di capitali intenda procedere alla ricostituzione del proprio capitale, interamente perduto a causa di perdite, e in assemblea sia presente una maggioranza del capitale sufficiente a deliberare, ma non tutti i soci siano presenti.
In tal caso, si pone il problema di tutelare il socio di minoranza assente, in modo da consentirgli di esercitare il proprio diritto di opzione, e quindi mantenere la partecipazione nella società. In proposito, la prassi ha individuato diverse soluzioni pratiche.
La prima soluzione, più comune, consiste nel far sottoscrivere dal socio di maggioranza anche la quota di capitale spettante al socio di minoranza, obbligandosi il primo poi (tramite proposta irrevocabile) a trasferire al secondo tale quota entro un termine determinato, a parità di costi e senza oneri aggiuntivi; in tal modo, il socio di minoranza risulta avere un’opzione sulla sua quota non più nei confronti della società ma verso il socio di maggioranza.
Tale soluzione non consente tuttavia di fare chiarezza circa la spettanza dei diritti patrimoniali e/o amministrativi derivanti alla partecipazione nel periodo di possesso della medesima da parte del socio di maggioranza.
Una seconda soluzione consiste nell’esercizio da parte del socio di maggioranza del diritto di prelazione sulle azioni o quote inoptate: il socio di maggioranza esercita il proprio diritto di prelazione sulla quota di capitale eventualmente rimanga, dopo l’opportuna offerta, definitivamente inoptata, e in assemblea accompagna a tale dichiarazione di prelazione il versamento nelle casse sociale dell’intero importo dovuto per il caso in cui la prelazione esercitata si concreti in un’effettiva sottoscrizione. Il versamento sarà restituito al socio di maggioranza qualora pervengano sottoscrizioni da parte dei soci assenti. Il diritto di prelazione sulle azioni inoptate è previsto per le S.p.A. dell’art. 2441, terzo c.c., mentre per le S.r.l. è possibile prevedere espressamente tale diritto nella delibera assembleare di ricostituzione del capitale andato interamente perduto.
Questa soluzione esclude in radice – diversamente dalla prima soluzione – sia il problema dell’obbligazione del socio di maggioranza a cedere la quota di partecipazione sottoscritta in vece del socio assente sia il problema della spettanza dei relativi diritti amministrativi e patrimoniali.
Tuttavia, qualora la ricostituzione del capitale venga deliberata nell’ammontare minimo e previsto dalla legge, è dubbio se sia ammissibile un capitale sottoscritto per importi inferiori a quelli previsti dagli artt. 2327 e 2474 c.c.
Una terza soluzione consiste nella sottoscrizione da parte del socio di maggioranza della quota spettante ai soci assenti, sotto condizione risolutiva dell’adesione di questi ultimi all’aumento, con la conseguenza che l’esercizio del diritto di opzione da parte del socio di minoranza comporta il venir meno, con effetto “ex tunc”, della sottoscrizione del socio di maggioranza. L’esercizio dell’opzione ed il conseguente versamento da parte del socio di minoranza, oltre a risolvere la sottoscrizione, comportano anche, per il socio di maggioranza, comporta anche, per quest’ultimo, il sorgere di un diritto di credito nei confronti della società, per importo pari a quello della somma versata.
Il carattere retroattivo della condizione elimina i problemi connessi ai diritti patrimoniali che eventualmente abbiano a formarsi medio tempore, mentre per i diritti di natura amministrativa si applica l’art. 1361 c.c., secondo cui l’avveramento della condizione non pregiudica la validità degli atti di amministrazione compiuti dalla parte a cui, in pendenza della condizione stessa, spettava l’esercizio del diritto.
Si pone quindi il problema di quale somma deve versare il socio di minoranza per esercitare il diritto di opzione, che gli viene comunque garantito, se il capitale è andato “sottozero”. In altri termini, ci si chiede se il socio di minoranza oltre ai versamenti relativi al nominale delle partecipazioni sottoscritte in esercizio (successivo) dell’opzione, sia tenuto anche per la quota proporzionale delle perdite.
Ragioni di equità, prima che di diritto, portano a ritenere che il socio di minoranza sia comunque tenuto a versare anche la quota proporzionale delle perdite ripianate. La prassi utilizza a questo fine – anche per superare i divieto di obblighi di conferimento diversi da quello inziale – l’istituto del soprapprezzo: la delibera di ricostituzione del capitale prevede l’emissione di azioni gravate da un soprapprezzo destinato a copertura perdite e quindi il socio che, in esercizio del proprio diritto di opzione, sottoscrive le azioni di nuova emissione sarà tenuto al versamento del nominale e dell’intero soprapprezzo.
Analogamente, il socio di minoranza che acquisti la partecipazione messagli a disposizione del socio di maggioranza, secondo la prima soluzione prospettata, dovrà pagare a quest’ultimo un prezzo pari al nominale versato e relativo soprapprezzo.
5. La disciplina speciale del Decreto Liquidità per l’emergenza Covid-19
Tra le misure adottate dal legislatore italiano per fronteggiare le conseguenze negative generate dall’emergenza pandemica Covid-19 sull’attività d’impresa spicca l’art. 6 del D.L. 8 Aprile 2020, n. 23 (c.d. “Decreto Liquidità“), successivamente riscritto e sostituito dall’art. 1, comma 266, della L. n. 178 del 30 dicembre 2020 (Legge di Bilancio 2021) e da ultimo modificato dall’art. 3, comma 1-ter, del DL 30 dicembre 2021 n.228 (c.d. Decreto “Milleproroghe“), convertito con modificazioni dalla L. 25 febbraio 2022, n.15.
Per effetto di tale norme, è stato sospeso l’obbligo di ridurre il capitale sociale per perdite “rilevanti”, ai sensi degli artt. 2446, commi secondo e terzo, 2447, 2482-bis, commi quarto, quinto e sesto, 2482-ter, 2484, comma primo, numero 4) e 2454-duodecies c.c. – ovvero l’obbligo derivante dalla riduzione del valore del capitale sociale “reale” (i.e. il patrimonio netto), al di sotto del capitale sociale “nominale” per perdite di oltre un terzo del medesimo capitale nominale-nonché la causa di scioglimento in caso di mancato assolvimento dell’obbligo di riportare il capitale sociale, intaccato da una perdita rilevante, entro il limite del minimo di legge.
La ratio sottesa a tali interventi è essenzialmente quella di evitare:
- da un lato, la messa in liquidazione di società che si trovino in situazioni di deficit patrimoniale a causa di perdite straordinarie ed imprevedibili generate dalla pandemia da Covid-19;
- dall’altro lato, che gli amministratori di un elevato numero di società in perdita siano esposti alla responsabilità per gestione non conservativa ai sensi dell’art. 2486 c.c. (v. par. 5.5).
Peraltro, né la prima formulazione della norma, né le successive versioni aggiornate risultanti dalla Legge di Bilancio 2021 e della L. n. 15/2022, hanno derogato alla disposizione di cui al primo comma dell’art. 2446 c.c.; resta quindi fermo, come si è visto (par. 2.2) il dovere degli amministratori di accertare la perdita e di convocare “senza indugio” l’assemblea per gli “opportuni provvedimenti”, sottoponendo a quest’ultima una situazione patrimoniale ad hoc che dia conto dell’entità delle perdite maturate.
Inoltre, la normativa emergenziale non prevede deroghe all’applicazione di altre norme di legge rispetto alle quali rileva la sussistenza di perdite del capitale sociale: in particolare, continuano ad applicarsi l’art. 2433, comma 3, c.c. che pone il divieto di distribuzione di utili in caso di perdite, nonché l’art. 2412, comma 1, c.c. che individua nelle risultanze del patrimonio netto il limite quantitativo all’emissione di obbligazioni.
Le disposizioni in esame hanno peraltro sollevato molteplici questioni interpretative, in parte risolte dai successivi interventi del legislatore.
5.1 L’art.6 del Decreto Liquidità
L’art. 6 del Decreto Liquidità ha previsto la disapplicazione degli artt. 2446, commi 2 e 3, e 2447 cod. civ. e della causa di scioglimento delle società di cui all’art. 2484, comma 1, n. 4, cod. civ., sopra esposte a partire dalla data della sua entrata in vigore (9 aprile 2020) e fino al 31 dicembre 2020, per le “fattispecie” verificatesi nel corso degli esercizi chiusi entro il “31 dicembre 2020.”
Il termine “fattispecie” utilizzato dal legislatore nell’art. 6 del Decreto Liquidità ha sollevato numerosi dubbi interpretativi. In particolare, era dubbio se la sospensione prevista dalla norma emergenziale potesse essere estesa anche alle perdite maturate prima dell’entrata in vigore del Decreto ma accertate in bilanci successivamente approvati, oppure se essa fosse limitata alle sole perdite maturate a partire dal 9 aprile 2020 e, cioè, dalla data di entrata in vigore del Decreto.
In dottrina, si era affermata prevalentemente un’interpretazione di tipo estensivo dell’art. 6 Decreto Liquidità nella sua versione originaria: alla luce della indeterminatezza del termine “fattispecie” – nonché della potenziale riconducibilità di qualsiasi evento economico dell’impresa verificatosi durante il 2020 alla crisi economica generalizzata causata dalla pandemia –si era infatti ritenuto ragionevole assoggettare alla normativa emergenziale non soltanto le perdite maturate a partire dall’entrata in vigore del Decreto Liquidità, ma anche quelle maturate precedentemente a tale data e, potenzialmente, non ripianate a causa della emergenza pandemica.
In ogni caso, la norma escludeva la possibilità di applicare la sospensione alle perdite di quelle società il cui esercizio si ponga “a cavallo” del 31 dicembre 2020, ad esempio quelle per le quali l’esercizio si chiuda il 31 marzo 2021, con ciò creandosi un’evidente e illogica disparità di trattamento.
5.2 L’art.1 coma 266 della Legge di Bilancio 2021
L’art. 1, comma 266, della Legge di Bilancio 2021 ha interamente riscritto e sostituito l’art. 6 del Decreto Liquidità, da un lato prolungando l’orizzonte temporale del regime derogatorio e, dall’altro modificando la formulazione letterale che individua le perdite rilevanti ai fini dell’applicazione della disciplina emergenziale.
In primo luogo, la Legge di Bilancio 2021 ha esteso a cinque anni la finestra temporale entro cui le società possono procedere al ripianamento delle “perdite emerse nell’esercizio in corso alla data del 31 dicembre 2020”.
Tale previsione risulta coerente con la durata generalmente prevista sia dai piani sottesi alle domande di concordato preventivo ai sensi dell’art. 160 ss. L. fall. e agli accordi di ristrutturazione dei debiti ai sensi dell’art. 182-bis L. fall, sia dai piani attestati di risanamento ai sensi dell’art. 67, comma 3 lett. d), L. fall. Si tratta, dunque, di un orizzonte temporale durante il quale è possibile pianificare un complesso di azioni idonee a superare una situazione di crisi.
Sul versante della perimetrazione delle perdite rilevanti, invece, l’espressione “perdite emerse” utilizzata dalla attuale versione della norma non risolve del tutto il quesito interpretativo sorto nella vigenza della formulazione originaria; infatti, resta incerto se tale espressione si riferisce al momento della “maturazione” o dell’“accertamento” delle perdite rilevanti.
Secondo l’orientamento prevalente, la scelta lessicale operata dalla Legge di Bilancio 2021 lascerebbe propendere per un’interpretazione restrittiva, con conseguente esclusione dal campo di applicazione oggettivo della norma delle perdite maturate in esercizi antecedenti a quello “in corso al 31 dicembre 2020”, anche se accertate in tale esercizio. Le perdite “emerse” sono quindi quelle originate nel periodo pandemico (i.e. dopo il 9 aprile 2020), coincidente, per molte imprese (ma non per tutte), con l’esercizio in corso alla data del 31 dicembre 2020.
Non rientrano, verosimilmente, all’interno della sospensione le perdite che gli amministratori portino alla luce in un esercizio che comprenda la data del 31 dicembre 2020, ma risalenti ad un momento antecedente all’inizio della pandemia e colpevolmente occultate; la norma, infatti, non istituisce una moratoria generalizzata bensì un’agevolazione selettiva, di cui le imprese possono beneficiare solo per ciò che ha una connessione causale con la crisi pandemica. Applicare indiscriminatamente la nuova disposizione a tutte le società che abbiano fatto emergere perdite nel corso di un esercizio in essere al 31 dicembre 2020 rischierebbe, infatti, di determinare ingiustificate disparità di trattamento, premiando l’inerzia di chi abbia atteso di far emergere le perdite a discapito di chi, invece, quelle medesime perdite le abbia rilevate senza indugio.
Se quindi ad esempio, la società Alfa ha maturato perdite rilevanti, tali da rendere il patrimonio netto negativo, a giugno 2019, tali perdite non dovrebbero rientrare nell’ambito di applicazione della nuova norma, gravando sull’organo amministrativo l’obbligo di rilevarle prontamente e dunque durante l’esercizio 2019, non più in corso alla data del 31 dicembre 2020. Tuttavia qualora le stesse non siano state rilevate senza indugio, ma solo con l’assemblea che approva il bilancio dell’esercizio 2019 (tenutasi nel corso di esercizio in essere al 31 dicembre 2020), allora Alfa potrà beneficiare della sospensione. Se invece la società Beta, ha anch’essa maturato perdite rilevanti, tali da rendere il patrimonio netto negativo a giugno 2019, ma che, a differenza di Alfa, si è prontamente e diligentemente attivata per rilevare le stesse, trattandosi di perdite non solo maturate, ma anche emerse, ossia fatte oggetto di accertamento contabile, nel corso di un esercizio non più in corso al 31 dicembre 2020 (ossia l’esercizio 2019), esse non beneficiano della sospensione.
Occorre tuttavia evidenziare che fino al 1° gennaio 2021 è stato in vigore un disposto normativo – quello della versione originaria dell’art. 6 Decreto Liquidità – i cui ambito applicativo era più ampio e che ha probabilmente consentito di rinviare al 2021 gli obblighi connessi a:
- perdite, superiori ad un terzo del capitale sociale ma non intaccanti il minimo legale, maturate nell’esercizio chiuso al 31 dicembre 2018 e portate a nuovo nel 2019 (sempre che il bilancio non fosse stato ancora approvato al 9 aprile 2020);
- perdite maturate nel periodo pre-pandemico (perdite “non Covid-19”) e oggetto di accertamento solo dopo il 9 aprile 2020.
La scelta gestoria di rinviare al 2021 l’adempimento degli obblighi connessi a perdite “non-Covid-19” è insindacabile perché coperta da una legge al tempo vigente, ma il privilegio concesso dal legislatore si esaurisce con quel rinvio, non potendo gli amministratori giovarsi della sospensione disposta dalla nuova formulazione dell’art. 6 dato che tali perdite non sono “emerse” (se non per fatto colpevole degli amministratori) durante un esercizio in corso al 31 dicembre 2020.
5.3 L’art. 3, comma1-ter, Decreto “Milleproroghe”, convertito in L. n. 15/2022
L’art. 3, comma 1-ter, del DL 30 dicembre 2021 n. 228 (c.d. Decreto “Milleproroghe”), convertito con modificazioni dalla L. 25 febbraio 2022, n. 15, ha ulteriormente modificato l’art. 6, comma 1, del Decreto “Liquidità”, sostituendo le parole “31 dicembre 2020” con le parole “31 dicembre 2021”.
La nuova norma ha quindi esteso- a far data dall’entrata in vigore della legge n.15/2022, e dunque dal 1° marzo 2022 – alle perdite emerse nell’esercizio in corso al 31 dicembre 2021 la disciplina di “sterilizzazione” prevista per l’esercizio in corso al 31 dicembre 2020 dal Decreto Liquidità. Pertanto, anche per le perdite emerse nell’esercizio in corso al 31 dicembre 2021 non si applicano alcuni obblighi previsti dal Codice civile per le società a protezione del capitale sociale (tra cui lo scioglimento di società per riduzione del capitale al di sotto del minimo legale):
La previgente disposizione che ha consentito la “sterilizzazione” delle perdite emerse nell’esercizio in corso al 31 dicembre 2020, infatti, avendo valenza temporanea e provvisoria, in quanto contenuta in un provvedimento emergenziale, non poteva trovare applicazione al di fuori delle ipotesi descritte e, dunque, si applicava solo alle perdite emerse nell’esercizio in corso al 31 dicembre 2020.
Peraltro, le decisioni assunte in ordine alla sospensione degli obblighi civilistici di riduzione del capitale e della causa di scioglimento della società per le perdite emerse nell’esercizio in corso al 31 dicembre 2020, essendo state prese in conformità alla legge al tempo vigente, continuano a dispiegare i propri effetti fino alla data di approvazione del bilancio relativo al quinto esercizio successivo (e dunque fino al 2026 o al 2027, qualora l’esercizio non coincida con l’anno solare) anche se la società decida di “sterilizzare” le nuove perdite emerse nell’esercizio in corso al 31 dicembre 2021.
Il nuovo intervento di modifica operato dal Decreto “Milleproroghe” si pone in continuità con quanto previsto dalla L. di bilancio 2021, rendendo possibile la sterilizzazione delle perdite rilevanti emerse nell’esercizio in corso al 31 dicembre 2021.
La sostituzione dell’esercizio in cui le perdite devono essere maturate per poter fruire del regime derogatorio introdotto con la legislazione emergenziale conferma la tesi prevalente secondo cui per perdite “emerse” durante l’esercizio in corso devono intendersi le perdite registrate contabilmente per la prima volta nel bilancio relativo all’esercizio in corso. Pertanto, le perdite emerse nell’esercizio in corso al 31 dicembre 2021, sono le perdite che trovano rappresentazione contabile per la prima volta nel bilancio relativo all’esercizio 2021 e rilevanti secondo le richiamate disposizioni del Codice civile.
Da ultimo, atteso il prolungarsi dell’emergenza epidemiologica Covid-19, nonché la guerra Russo/Ucraina, l’art. 3, comma 9, del D.L. 29 dicembre 2022, n. 198 (Decreto “Milleproroghe”), ha ulteriormente prorogato il regime straordinario in tema di copertura delle perdite previsto dall’art. 6 del D.L. n. 23/2020, modificando la data di riferimento dei bilanci interessati che passa dal 31 dicembre 2021 al 31 dicembre 2022, al fine di sospendere la normativa civilistica sul ripianamento delle perdite.
Schema di sintesi sospensione perdite d’esercizio
Anno | Norma | Copertura perdita | Assemblea |
2020 | Art. 6, D.L. n. 23/2020 | Entro il 2025 | Bilancio da approvare nel 2026 |
2021 | Art. 3, comma 1-ter, D.L. n. 228/2021 | Entro il 2026 | Bilancio da approvare nel 2027 |
2022 | Art. 3, comma 9, D.L. n. 198/2022 | Entro il 2027 | Bilancio da approvare nel 2028 |
5.4 La nuova disciplina sulle perdite fino al 2026
L’art. 6 del Decreto Liquidità, così come modificato dai successivi interventi, ha quindi previsto che per le perdite emerse nell’esercizio in corso alla data del 31 dicembre 2022, il termine entro il quale la perdita deve risultare diminuita a meno di un terzo, ai sensi degli artt. 2446, secondo comma, e 2482-bis, quarto comma, c.c., è posticipato al quinto esercizio successivo. Solo in occasione dell’approvazione del bilancio di questo esercizio (il quinto dall’emersione della perdita) l’assemblea deve necessariamente ridurre il capitale in proporzione delle perdite accertate, qualora la perdita non sia stata riassorbita.
Per effetto dell’intervento legislativo viene pertanto concesso alle società un arco temporale ben più lungo rispetto a quello della disciplina ordinaria per adottare gli opportuni provvedimenti finalizzati a evitare la necessaria riduzione del capitale sociale laddove le perdite non siano ridotte a meno di un terzo. Il c.d. periodo di grazia, infatti, diventa di cinque esercizi, terminando con l’assemblea di approvazione del bilancio relativo all’esercizio 2027 (fissata nel 2028 ovvero nel 2029, a seconda che l’esercizio sociale coincida o meno con l’anno solare).
Se alla data di approvazione del bilancio relativo al quinto esercizio successivo all’esercizio 2022 (e dunque nel 2028 per gli esercizi coincidenti con l’anno solare), la perdita non risulterà diminuita di oltre un terzo, l’assemblea che approverà il bilancio di tal esercizio dovrà ridurre il capitale in proporzione delle perdite accertate.
Nel caso di una precedente delibera di sospensione degli obblighi di ricapitalizzazione assunta con riferimento alle perdite rilevanti emerse nell’esercizio in corso al 31 dicembre 2020, anche tali perdite potrebbero restare sterilizzate fino alla data di approvazione del bilancio relativo al quinto esercizio successivo a quello in cui sono emerse.
Ne consegue che tutte le perdite “sterilizzate” non concorrono per i cinque esercizi di riferimento successivi a quello in cui sono emerse nella determinazione del patrimonio netto della società per verificare se esso si sia ridotto a una misura inferiore di oltre 1/3 rispetto al capitale.
Lo spostamento del termine per il ripianamento delle perdite alla data dell’assemblea che approva il bilancio dell’esercizio 2027 non sembra peraltro precludere la possibilità, per le società interessate, di procedere in anticipo, rispetto alla suddetta data, ad assumere le determinazioni previste dalla legge. Pertanto, le società possono anche decidere di adottare le determinazioni previste dagli artt. 2447 e 2482-ter c.c., oppure optare per la rilevazione dell’intervenuta causa di scioglimento ex art. 2484 co. 1 n. 4 c.c. Ciò, eventualmente, anche dopo aver deciso (con delibera assembleare) di avvalersi della possibilità di rinviare tali decisioni all’assemblea che approva il bilancio dell’esercizio 2026.
Sebbene l’art. 2485 c.c. rimetta l’accertamento della causa di scioglimento in questione alla competenza degli amministratori, è necessario che l’assemblea adotti la decisione di rinvio.
In tal caso, peraltro, la decisione della maggioranza di ricapitalizzare la società, a fronte della richiesta di quello di minoranza di utilizzare la sospensione prevista dalla nuova disciplina, potrebbe essere impugnata dai soci di minoranza che si sono astenuti o che hanno votato contro l’aumento, qualora quest’ultimo, non più richiesto dalla legge in tempi immediati, venisse effettuato dalla maggioranza al solo scopo di diluire la quota di minoranza impossibilitata a ricapitalizzare, marginalizzando immotivatamente la partecipazione della stessa alla società. Per scongiurare tale eventualità, l’aumento di capitale per copertura perdite dovrà essere suffragato da idonee motivazioni aziendalistiche, organizzative o finanziarie.
Dato il carattere straordinario dell’intervento legislativo, le perdite non rilevano unicamente ai fini della disapplicazione delle norme sopra richiamate, ma vengono computate per la determinazione del patrimonio netto in relazione all’applicazione delle restanti disposizioni di legge. Le perdite, infatti, concorrono a ridurre l’entità del patrimonio netto contabile ai fini:
- dell’individuazione del limite per l’emissione di obbligazioni ai sensi dell’art. 2412 c.c.;
- della verifica di utili distribuibili ai sensi dell’art. 2433 c.c.;
- della determinazione dell’entità delle riserve disponibili ai sensi dell’art. 2442 c.c.;
- della determinazione della necessità di integrare la riserva legale.
La disciplina emergenziale in ordine alla “sterilizzazione” delle perdite non attiene, peraltro, alle ipotesi in cui il capitale, pur riducendosi di oltre un terzo in conseguenza delle perdite, non si è ridotto al disotto del limite legale; in tal caso continuano quindi a trovare applicazione anche nel periodo emergenziale le norme di cui agli artt. 2446, primo comma, c.c. e 2482-bis, commi primo, secondo e terzo, c.c., sulle quali ci siamo soffermati in precedenza (par. 2.2 )
La disapplicazione della regola “ricapitalizza o liquida” si accompagna altresì alla espressa sospensione dell’operatività della causa di scioglimento di cui all’art. 2484, comma 1, n. 4, c.c.; in forza della normativa emergenziale, la riduzione del capitale sociale al di sotto del minimo legale non comporta dunque lo scioglimento della società anche ove non siano adottati i provvedimenti di ricapitalizzazione o trasformazione.
La causa di scioglimento della società, pertanto, non opera fino all’assemblea convocata nel 2028 (o nel 2029) per l’approvazione del bilancio dell’esercizio 2026 relativo al quinto esercizio successivo a quello in cui le perdite sono emerse, che coincide, appunto, con quello in corso al 31 dicembre 2022. Conseguentemente, l’organo di amministrazione non sarà tenuto a procedere con l’accertamento della causa di scioglimento né a chiederne l’iscrizione presso il registro delle imprese ai sensi dell’art. 2484, terzo comma, c.c.
L’art. 6 del Decreto Liquidità non è invece applicabile anche al caso di perdite relative al 2023 (e agli anni successivi). Di conseguenza, in assenza di un nuovo intervento del legislatore, le perdite maturate nel 2023 e/o negli anni successivi, tali da fare scendere il capitale al di sotto del minimo, devono essere ripianate “senza indugio”, mentre quelle che non intaccano al di sotto del minimo, devono essere ripianate “senza indugio”, mentre quelle che non intaccano il capitale sociale devono essere ripianate nel 2025, in applicazione della ordinaria disciplina civilistica.
Per le società che mostrano una perdita nel bilancio 2023 che, da sola, non intacca il capitale sociale, ma che negli esercizi 2020 o 2021 o 2022 hanno beneficiato delle norme in deroga, sono stati avanzati due diversi orientamenti.
Secondo una prima tesi, diffusa dal Comitato Notarile del Triveneto, la norma in deroga prevista dal Decreto Liquidità stabilisce che la sterilizzazione delle perdite prescinderebbe dal fatto che queste siano tali da incidere sul capitale sociale e dunque ritiene che possano essere sospese le perdite emergenti dal conto economico degli esercizi dal 2020 al 2022 a prescindere dal loro importo, al lordo di eventuali riserve in grado di compensarle o ridurle.
Secondo invece altra tesi, condivisa dal Consiglio nazionale del Notariato, le perdite oggetto di sterilizzazione, delle quali occorre dare una specifica indicazione nella nota integrativa, sarebbero solo quelle che incidono sul capitale (c.d. “perdite di capitale”), quindi non quelle emerse dal conto economico degli esercizi oggetto della particolare disciplina. Pertanto, la perdita emersa nel 2023 dovrebbe essere interamente coperta (salvo trasformazione o scioglimento della società).
5.5 Gli obblighi dell’organo amministrativo
La disapplicazione della causa di scioglimento sembra escludere anche i doveri specifici degli amministratori correlati a tale evenienza, ovvero la necessità di adottare una gestione conservativa (ex art. 2486 c.c.) e le conseguenti responsabilità da prosecuzione dell’attività d’impresa in regime “non conservativo”.
Tuttavia, il dovere di diligenza degli amministratori non può che tenere conto della situazione effettiva, considerando ciò che accadrà al momento della reviviscenza del regime normale. Pur non suggerendosi una gestione meramente conservativa, quindi, appare indubbio che i rischi possano aumentare e che azioni successive potrebbero mettere in discussione la diligenza di quegli amministratori che abbiano aggravato o non risolto il dissesto.
Pertanto, gli amministratori possono compiere tutti gli atti che costituiscono una fisiologica attuazione dell’oggetto sociale, valutando anche nuove operazioni funzionali a reintegrare il valore del patrimonio netto. Occorre, comunque, valutare attentamente se da tali atti possano discendere conseguenze pregiudizievoli per i creditori, evitando condotte che rischino di aggravare ulteriormente la situazione economico-patrimoniale dell’impresa, e valutando, se necessario, il ricorso agli strumenti previsti dalla legge fallimentare.
In particolare, qualora siano emerse perdite emerse perdite rilevanti ai sensi degli artt. 2447 e 2482-ter c.c. per due esercizi consecutivi (2020 e 2021), è opportuno che la decisione dell’assemblea di rinviarne la copertura sia sostenuta dalla presenza di una pianificazione quinquennale che preveda il ritorno a risultati positivi a chiusura del quinto esercizio. Resta in ogni caso ferma la necessità della verifica della sussistenza della continuità ai sensi dell’art. 2423-bis, comma primo, n. 1, c.c., intesa quale capacità di poter far regolarmente fronte alle obbligazioni assunte nei 12 mesi successivi alla chiusura dell’esercizio.
Ciò premesso, gli amministratori dovranno comportarsi analogamente a quanto accadeva prima dell’entrata in vigore delle nuove disposizioni; pertanto:
- la rilevazione delle perdite dovrà essere tempestiva, ed altrettanto tempestiva dovrà essere la convocazione dell’assemblea, in funzione della misura delle perdite;
- gli obblighi contenuti nel primo comma dell’art. 2446 e nei commi, primo, secondo e terzo dell’art. 2482-bisc. sono rimasti in vigore, per cui all’assemblea dovrà essere sottoposta una relazione sulla situazione patrimoniale della società.
Nella relazione, gli amministratori dovranno individuare chiaramente le condizioni in cui versa la società, la natura e l’origine delle perdite maturate nel corso dell’esercizio e rilevate rispetto alle quali potranno trovar applicazione le sospensioni previste dall’art. 6 del Decreto “liquidità e prospettare la soluzione di avvalersi della possibilità di rinviare, al quinto esercizio successivo, l’adozione delle deliberazioni pertinenti e conseguentemente degli obblighi previsti dalla disciplina codicistica sul capitale, fornendo indicazioni sulla tempistica stimata per il ripianamento di tali perdite e, possibilmente, sugli interventi programmati.
La deliberazione della sospensione degli obblighi di cui GLI artt. 2447 e 2482-ter c.c. deve essere assunta sulla base di previsioni quanto più possibile prudenti ed equilibrate, anche nell’interesse dei creditori. Nella relazione ai sensi dell’art. 2446 primo comma c.c. gli amministratori dovranno pertanto dimostrare l’utilità della sospensione degli obblighi codicistici rispetto a differenti interventi – tra cui anche l’immediato supporto finanziario dei soci – da effettuare nella prospettiva della continuità senza posticipazione alla chiusura del quinto esercizio successivo. In quest’ottica, gli amministratori non dovranno trascurare di vagliare con attenzione le opportunità e i vantaggi che potrebbero derivare anche nell’interesse dei creditori oltre che dei soci, dalla presentazione di un’istanza per la composizione negoziata di cui all’art. 2 DL n. 118/2021 , ovvero all’adozione di altro strumento di regolazione della crisi disciplinato nell’ordinamento.
Se la società si è avvalsa della “sterilizzazione” delle perdite emerse nell’esercizio in corso al 31 dicembre 2020, la relazione degli amministratori relativa al 2021 dovrà evidenziare tale circostanza, dato che l’esercizio in corso al 31 dicembre 2021 è il primo dei cinque esercizi successivi ricompresi nel quinquennio oggetto della deliberazione di rinvio degli obblighi codicistici assunta con riferimento alle perdite merse nell’esercizio in corso al 31 dicembre 2020 e già “sterilizzate”. Infatti, da eventuali nuove perdite che potranno emergere negli esercizi successivi, fino alla data di approvazione del bilancio relativo all’esercizio 2026, non dovranno essere computate anche le perdite emerse nell’esercizio in corso al 31 dicembre 2020 e precedentemente “sterilizzate”.
Nella relazione degli amministratori potrà essere prospettata la possibilità di procedere con una copertura parziale della perdita emersa nel corso dell’esercizio in corso al 31 dicembre 2021, rinviando al 2027 (o al 2028) l’assunzione di ulteriori decisioni a copertura delle perdite residue; allo stesso modo potrà essere prospettato ai soci di ripianare le perdite emerse nell’esercizio in corso al 31 dicembre 2020 e in precedenza sterilizzate, qualora le risorse siano state reperite o di procedere anche per queste perdite a una copertura parziale.
Secondo quanto disposto dal quarto comma dell’art. 6 del Decreto Liquidità, la nota integrativa dovrà contenere specifica indicazione dell’origine delle perdite emerse nel corso dell’esercizio, della loro origine nonché delle movimentazioni occorse nell’esercizio.
6. La sospensione degli obblighi di riduzione del capitale nel Codice della crisi d’impresa
Il Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza (CCII), entrato in vigore il 15 luglio 2022, in tre diverse disposizioni (artt. 20,64 e 89), dal contenuto sostanzialmente analogo, prevede la sospensione, pur in presenza d perdite rilevanti, degli obblighi di riduzione nominale del capitale e di ricapitalizzazione e, così, anche della operatività della relativa causa di scioglimento.
Tali norme sono finalizzate a consentire alle società con perdite rilevanti di accedere ad una delle tre procedure all’interno delle quali dette norme sono collocate, ovvero la composizione negoziale delle crisi (CNC), gli accordi di ristrutturazione e il concordato preventivo.
Le menzionate norme non fanno venir meno, peraltro, l’obbligo dell’organo gestorio di convocare i soci affinché gli stessi, sula base di apposita relazione sulla situazione patrimoniale della società, accompagnata dalle osservazioni dell’organo di controllo, se previsto, possano prendere gli opportuni provvedimenti.
Per quanto concerne la composizione negoziata, il CCII prevede che all’atto del deposito della istanza di nomina dell’esperto o anche con successiva dichiarazione, e sino alla conclusione delle trattative o all’archiviazione, non si applichino le disposizioni codicistiche in materia di riduzione del capitale sociale per perdite, qualora l’imprenditore renda specifica dichiarazione in tal senso.
I relativi effetti decorrono a partire dalla pubblicazione nel Registro imprese di tale dichiarazione, e durano fino alla conclusione delle trattative o all’archiviazione dell’istanza. Nel caso in cui sia stata richiesta l’applicazione di misure protettive del patrimonio, ai sensi degli artt. 18 e 19 CCII, la sospensione degli obblighi e dell’operatività delle cause di scioglimento cessa a partire dalla eventuale pubblicazione nel Registro delle Imprese del provvedimento con il quale il Tribunale dichiari l’inefficacia delle stesse misure o ne disponga la revoca; il che può accadere quando l’esperto, che deve essere informato preventivamente in relazione agli atti che eccedono l’ordinaria amministrazione, manifesti il proprio dissenso.
Con riferimento agli accordi di ristrutturazione, l’art. 64 CCII prevede che, dalla data di deposito della domanda di omologazione di tali accordi, ovvero dalla richiesta di misure cautelari e protettive ai sensi dell’art. 54 CCII, e sino alla sua omologazione, non si applica il sistema di riduzione del capitale per perdite e per lo stesso periodo non opera la causa di scioglimento. Resta ferma, per il periodo anteriore al deposito delle domande e della richiesta di misure cautelari e protettive, l’applicazione dell’art. 2486 c.c.. Con l’omologazione degli accordi le norme del codice civile tornano poi pienamente efficaci; con l’omologa, dunque, la società dovrà dotarsi di un nuovo capitale di rischio, tornando pienamente operativi gli articoli 2446,2447,2482 bis e ter c.c..
Per il concordato preventivo, la disapplicazione delle norme in materia di riduzione del capitale per perdite ed il conseguente operare della causa di scioglimento, p prevista nell’art. 89 CCII nel quale prevede che tale effetto si produce a partire dal deposito della domanda fino all’omologazione del concordato.
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Avv. Valerio Pandolfini
Avvocato specializzato in Diritto Societario
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