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La ristrutturazione dell’impresa  in  crisi

La ristrutturazione dell’impresa in crisi: gli strumenti legali

10 Febbraio 2023/in News, Ristrutturazione azienda

Il 15 luglio 2022 è entrato in vigore il Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza (CCII), che ha abrogato la legge fallimentare del 1942 e la legge sul sovraindebitamento (Legge n. 3/2012), regolando in un unico testo normativo il fenomeno della crisi e dell’insolvenza delle imprese, attraverso principi generali applicabili a tutte le imprese e regole specifiche che variano in base alla diversa situazione di difficoltà in cui si trovano le stesse. Il CCII è finalizzato in generale a consentire il recupero della capacità produttiva dell’impresa in crisi: a tal fine disciplina una serie di strumenti per la ristrutturazione dell’impresa, modificando in parte il contenuto delle soluzioni per la regolazione della crisi previste dalla precedente legge fallimentare e introducendone di nuove, al fine di favorire la continuità, anche indiretta, dell’attività d’impresa. Analizziamo sinteticamente gli strumenti per la ristrutturazione dell’impresa in crisi, così come disciplinati dal CCII.

Indice

1. Il Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza (CCII) e i poteri-doveri degli amministratori

Il 15 luglio 2022 è entrato in vigore il Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza (CCII), dopo un iter molto travagliato, anche a seguito dei numerosi rinvii dovuti alla pandemia.

Il CCII ha abrogato la legge fallimentare del 1942 e la legge sul sovraindebitamento (L. n. 3/2012), regolando in un unico testo normativo il fenomeno della crisi e dell’insolvenza delle imprese, attraverso principi generali applicabili a tutte le imprese e regole specifiche che variano in base alla diversa situazione di difficoltà in cui si trovano le stesse.

Il CCII è finalizzato in generale a consentire il recupero della capacità produttiva dell’impresa in crisi, nell’interesse di tutti i soggetti coinvolti (imprenditore, creditori, lavoratori, soci, etc.), attraverso meccanismi di prevenzione e diagnosi tempestiva delle diverse situazioni di difficoltà in cui può trovarsi l’impresa e il rapido accesso a soluzioni giudiziali o stragiudiziali, modulabili in base alle caratteristiche della crisi.

Per realizzare questi obiettivi il CCII delinea due tipi di strumenti.

In primo luogo, il CCII prevede degli strumenti per la prevenzione della crisi dell’impresa, considerata come una disfunzione dell’attività economica programmata, che può essere intercettata tempestivamente attraverso la predisposizione di assetti organizzativi, amministrativi e contabili funzionali alla sua rilevazione e alla sua efficiente gestione e che può essere superata anche attraverso il ricorso alla procedura negoziata della crisi.

Il complesso di tali disposizioni è volto a promuovere un radicale cambiamento culturale nella concezione della crisi e nell’approccio alla stessa da parte dell’imprenditore, nel presupposto che tanto prima se ne intercettino i segnali, tanto maggiori possono essere le chance di risanamento e di preservazione del valore della continuità aziendale.

In questo senso, il CCII ha introdotto la nuova categoria della “probabilità di crisi”, che anticipa il momento a partire dal quale operano i doveri di monitoraggio e intervento posti in capo all’imprenditore, ed ha ampliato il ventaglio degli strumenti di soluzione della crisi, nell’ottica di anticipare il più possibile l’emersione dello stato di sofferenza dell’impresa e scongiurare quindi la liquidazione e la relativa perdita del valore “azienda”.

In secondo luogo, il CCII disciplina una serie di strumenti per la ristrutturazione dell’impresa, conservando tutte le soluzioni per la regolazione della crisi previste dalla precedente legge fallimentare (accordi in esecuzione dei piani di risanamento, convenzione di moratoria, accordi di ristrutturazione dei debiti, concordato preventivo), modificandone in parte il contenuto e introducendone di nuove (piano di ristrutturazione omologato, accordi di ristrutturazione ad efficacia estesa e agevolati), al fine di favorire la continuità, anche indiretta, dell’attività d’impresa.

La nuova disciplina segna un passo importante per l’ammodernamento delle regole per la ristrutturazione, in linea con i principi europei, tesi a valorizzare l’accessibilità alle procedure e l’autonomia negoziale delle parti verso il perseguimento di un equilibrio ottimale tra tutela del credito e tutela della continuità aziendale.

Il vantaggio assicurato dai nuovi strumenti di soluzione della crisi è notevole, anche in termini di costi, ma è necessario che da parte degli imprenditori vi sia un cambio di mentalità, che conduca al riconoscimento dei segnali di crisi in via anticipata e la decisione di intraprendere un percorso di soluzione della crisi prima che essa diventi ingovernabile.

Il potere di deliberare in ordine agli strumenti di soluzione della crisi spetta unicamente agli amministratori, i quali devono determinare il contenuto della proposta e le condizioni del piano di risanamento senza avere l’obbligo di convocare l’assemblea dei soci (art. 120-bis CCII); e ciò al fine di consentire agli amministratori di consentire il tempestivo salvataggio della società attraverso uno degli strumenti di regolazione previsti, una volta accertato lo stato di crisi, senza che i soci di maggioranza possano ostacolare la ristrutturazione aziendale perseguendo  propri interessi a scapito di quelli della società. In questo senso, è temporaneamente sospesa la prerogativa assembleare del diritto di revocare gli amministratori  dal momento della decisione di accedere ad uno strumento di regolazione della crisi, qualora non sussista una giusta causa di revoca.

Gli amministratori devono infatti monitorare la situazione economico-finanziaria della società sulla base di assetti organizzativi adeguati , e una volta accertato uno stato di crisi o di insolvenza, decidere quale strumento di regolazione sia possibile adottare, predisponendo la proposta e il contenuto del piano. Tale piano può prevedere la realizzazione di operazioni di fusione, scissione, ristrutturazione finanziaria mediante aumenti di capitale con o senza esclusione del diritto di opzione, cessione di assets strategici etc., senza che l’assemblea dei soci possa esprimersi, neppure attraverso pareri o autorizzazioni non vincolanti. I soci hanno solo diritto ad essere informati circa la decisione degli amministratori di accedere ad uno strumento di regolazione della crisi e di essere periodicamente aggiornati sul suo andamento.

Tuttavia, i soci mantengono un ruolo attivo in ordine all’adozione di piani di regolazione della crisi e dell’insolvenza, in quanto, in caso di modifiche che incidono direttamente sui loro diritti di partecipazione, devono essere chiamati a partecipare ad un’apposita classe che, insieme a quella dei creditori, esprime il proprio voto di adesione o meno ad un determinato piano (art. 120-ter CCII).

2. I presupposti per l’accesso alle procedure di ristrutturazione

Il presupposto oggettivo per l’accesso alle procedure di ristrutturazione varia in base allo stato di difficoltà dell’impresa.

Il CCII per la prima volta definisce espressamente la crisi come “lo stato del debitore che rende probabile l’insolvenza e che si manifesta con l’inadeguatezza dei flussi di cassa prospettici a far fronte alle obbligazioni nei successivi dodici mesi” (articolo 2, comma 1, lett. a).

La nozione di crisi indicata nel CCII adotta l’approccio delle scienze aziendalistiche, che si fonda su piani di natura previsionale circa le dinamiche future di gestione, attraverso la comparazione tra flussi di cassa futuri e debiti, sulla cui base si può valutare la sostenibilità futura dell’attività.  Tale nozione è separata concettualmente da quella di insolvenza, che continua invece ad essere definita come la situazione in cui il debitore non è più in grado di soddisfare regolarmente le proprie obbligazioni (articolo 2, comma 1, lett. b).

Qualora l’impresa si trovi in stato di crisi, può accedere a tutti gli strumenti per la regolazione della crisi disciplinati dal CCII, ovvero:

  • gli accordi in esecuzione dei piani attestati di risanamento;
  • gli accordi di ristrutturazione dei debiti (comprese le due varianti dell’accordo agevolato e ad efficacia estesa);
  • la convenzione di moratoria;
  • il piano di ristrutturazione soggetto ad omologazione;
  • il concordato preventivo.

Accanto alle nozioni di crisi e insolvenza, il CCII considera un’altra situazione di difficoltà dell’impresa, che si identifica con la condizione di “squilibrio patrimoniale o economico- finanziario che rende probabile la crisi o l’insolvenza” e che costituisce il presupposto per l’accesso al nuovo strumento della composizione negoziata della crisi .Viene quindi introdotto il nuovo concetto di “probabilità di crisi” (o pre-crisi) che si caratterizza per la sussistenza di uno squilibrio (patrimoniale o economico- finanziario), non tale da determinare la mancata copertura delle obbligazioni dei successivi 12 mesi con i corrispondenti flussi di cassa.

Qualora invece l’impresa si trovi in stato di insolvenza, può accedere alla liquidazione giudiziale (la quale ha sostituito il fallimento).

Gli strumenti per la ristrutturazione dell’impresa in crisi si possono distinguere in tre categorie:

  • strumenti puramente consensuali, che producono effetti soltanto nei confronti dei creditori aderenti all’accordo: rientrano in questa categoria gli accordi in esecuzione di piani attestati di risanamento e gli accordi di ristrutturazione, ordinari e agevolati;
  • strumenti idonei a vincolare una minoranza di creditori non consenzienti, inclusi in classi o categorie di creditori aderenti: rientrano in questa categoria gli accordi di ristrutturazione ad efficacia estesa e il piano di ristrutturazione omologato;
  • strumenti idonei a vincolare sia una minoranza di creditori inclusi in classi consenzienti, sia intere classi di creditori dissenzienti (cd. ristrutturazione trasversale): rientra in questa categoria il concordato preventivo con continuità aziendale.

3. Gli accordi in esecuzione dei piani attestati di risanamento

Il CCII prevede un’autonoma e dettagliata disciplina del piano attestato di risanamento. Nella legge fallimentare, tale istituto era regolato da alcune scarne previsioni nell’ambito della disciplina delle esenzioni dall’azione revocatoria (art. 67, terzo c., lett. d), l.f.). Il CCII, invece, dedica al piano uno specifico articolo (art. 56), riconoscendo la rilevanza assunta da questo strumento nella prassi per regolare la crisi dell’impresa.

Si tratta di una procedura completamente stragiudiziale che, a determinate condizioni, garantisce l’esonero da revocatoria e da responsabilità penale degli atti compiuti in esecuzione del piano, in caso di eventuale e successiva liquidazione giudiziale.

Per produrre i suoi effetti, il piano, rivolto ai creditori, deve apparire idoneo a consentire il risanamento dell’esposizione debitoria dell’impresa e ad assicurare il riequilibrio della situazione finanziaria. Pertanto, è possibile ricorrere a tale strumento solo in caso di continuità aziendale.

Il piano deve avere data certa ed essere accompagnato dalla documentazione di cui all’art. 39 CCII, nonché dalla relazione di un professionista indipendente che attesti la veridicità dei dati aziendali e la fattibilità economica del piano stesso.

Il piano è alla base di tutti gli istituti per la regolazione della crisi, in quanto contiene l’indicazione delle azioni di natura strategica e operativa da attuare per il riequilibrio della situazione economica-patrimoniale dell’impresa, nonché le proiezioni sui flussi di cassa da queste derivanti e l’indicazione dei tempi, dei modi e della misura di soddisfazione dei creditori. In particolare, esso deve indicare:

  • la situazione economico-patrimoniale e finanziaria dell’impresa;
  • le principali cause della crisi;
  • le strategie d’intervento e dei tempi necessari per assicurare il riequilibrio della situazione finanziaria;
  • i creditori e l’ammontare dei crediti dei quali si propone la rinegoziazione e lo stato delle eventuali trattative, nonché l’elenco dei creditori estranei, con l’indicazione delle risorse destinate all’integrale soddisfacimento dei loro crediti alla data di scadenza;
  • gli apporti di finanza nuova, se prevista;
  • i tempi delle azioni da compiersi, che consentono di verificarne la realizzazione, nonché gli strumenti da adottare nel caso di scostamento tra gli obiettivi e la situazione in atto;
  • il piano industriale e l’evidenziazione dei suoi effetti sul piano finanziario.

Il piano, l’attestazione e gli accordi conclusi con i creditori possono essere pubblicati nel registro delle imprese su richiesta del debitore, mentre gli atti unilaterali e i contratti posti in essere in esecuzione del piano devono essere provati per iscritto e devono avere data certa.

4. Gli accordi di ristrutturazione dei debiti

La disciplina degli accordi di ristrutturazione dei debiti non è stata sostanzialmente modificata rispetto a quella della legge fallimentare. L’imprenditore può concludere autonomamente un accordo con i creditori e chiederne al giudice l’omologa, quando abbia ottenuto il consenso di tanti creditori che rappresentino almeno il 60% dei crediti.

Con l’accordo deve essere depositata la documentazione prevista dall’articolo 39, commi 1 e 3, del CCII, ovvero:

  • le scritture contabili e fiscali obbligatorie;
  • le dichiarazioni dei redditi concernenti i tre esercizi o anni precedenti ovvero l’intera esistenza dell’impresa o dell’attività economica o professionale, se questa ha avuto una minore durata, le dichiarazioni IRAP e le dichiarazioni annuali IVA relative ai medesimi periodi;
  • i bilanci relativi agli ultimi tre esercizi;
  • una relazione sulla situazione economica, patrimoniale e finanziaria aggiornata; v) uno stato particolareggiato ed estimativo delle sue attività;
  • un’idonea certificazione sui debiti fiscali, contributivi e per premi assicurativi;
  • l’elenco nominativo dei creditori e l’indicazione dei rispettivi crediti e delle cause di prelazione, nonché l’elenco nominativo di coloro che vantano diritti reali e personali su cose in suo possesso e l’indicazione delle cose stesse e del titolo da cui sorge il diritto.

Unitamente all’accordo deve essere depositato anche il piano economico finanziario che ne consente l’esecuzione, il quale deve rispettare i requisiti previsti dall’art. 56 CCII per il piano di risanamento.

Deve essere altresì depositata una relazione di un professionista indipendente che attesti la veridicità dei dati e la fattibilità del piano su cui si basa l’accordo, nonché l’idoneità dell’accordo stesso ad assicurare il regolare pagamento dei creditori rimasti estranei.

L’accordo omologato, infatti, non è vincolante per i creditori non aderenti che devono essere pagati per l’intero entro 120 giorni dall’omologazione in caso di crediti scaduti a quella data, o entro 120 giorni dalla scadenza se si tratta di crediti non ancora scaduti alla data dell’omologazione.

Gli atti compiuti in esecuzione dell’accordo sono, inoltre, esenti da revocatoria e da responsabilità penale.

Gli effetti dell’accordo sono estesi ai soci responsabili, i quali, tuttavia, se hanno prestato garanzie, salvo patto contrario, continuano a rispondere a tale titolo.

E inoltre, prevista una specifica disciplina delle eventuali modifiche sostanziali al piano o agli accordi prima dell’omologazione. A tal fine, in particolare, è necessario presentare una nuova attestazione del professionista e rinnovare le manifestazioni di consenso dei creditori. La nuova attestazione è necessaria anche in caso di modifiche sostanziali successivamente all’omologa dell’accordo. In tal caso il piano modificato e la relazione sono depositati al registro delle imprese e il debitore deve dare comunicazione dell’avvenuta comunicazione ai creditori, i quali possono proporre opposizione entro trenta giorni dalla ricezione dell’avviso.

Quando viene presentato ricorso per l’omologa di un accordo di ristrutturazione dei debiti, già sottoscritto dai creditori e completo della documentazione prevista, nonché della relazione del professionista che attesti la veridicità dei dati, la fattibilità del piano e l’idoneità dell’accordo a pagare i creditori estranei, contestualmente la domanda e gli accordi devono essere depositati al registro delle imprese e acquistano efficacia da tale momento. Dalla pubblicazione al Registro delle imprese decorre inoltre il termine di 30 giorni per le opposizioni dei creditori e di ogni interessato.

Decorso tale termine, il Tribunale fissa l’udienza per la comparizione delle parti in camera di consiglio, decide sulle opposizioni eventualmente presentate e provvede con sentenza sull’omologazione. Con il decreto di fissazione dell’udienza il Tribunale può nominare un commissario giudiziale. In ogni caso la nomina è disposta quando sono pendenti istanze per l’apertura della liquidazione giudiziale se è necessaria per tutelare gli interessi delle parti.

La sentenza di omologazione è pubblicata nel registro delle imprese, e da tale momento si producono gli effetti degli accordi anche nei confronti dei terzi. Se non omologa l’accordo e uno dei soggetti legittimati abbia presentato la relativa istanza, accertato lo stato di insolvenza del debitore, il Tribunale dichiara l’apertura della liquidazione giudiziale.

Per incentivare il ricorso all’accordo di ristrutturazione dei debiti, il CCII ha introdotto due varianti dell’istituto:

  • l’accordo di ristrutturazione agevolato;
  • l’accordo di ristrutturazione dei debiti a efficacia estesa.

L’accordo di ristrutturazione agevolato, che viene stipulato con i creditori che rappresentino almeno il 30% dei crediti, prevede alcune agevolazioni in fase di accesso alla procedura. Esso può essere presentato soltanto quando il debitore non proponga la moratoria dei creditori estranei agli accordi e non abbia richiesto e rinunci a richiedere le misure protettive del patrimonio.

L’accordo di ristrutturazione ad efficacia estesa consente di estendere gli effetti dell’accordo, a determinate condizioni, anche ai creditori non aderenti, in deroga alla disciplina dell’accordo di ristrutturazione ordinario e alle disposizioni del Codice civile che attribuiscono al contratto forza di legge esclusivamente tra le parti (art. 1372) e che prevedono la stipulazione a favore di terzi solo se questi accettino di profittarne (art. 1411 c.c.).

L’estensione degli effetti dell’accordo può riguardare soltanto i creditori appartenenti alla medesima categoria e che abbiano, quindi, posizione giuridica e interessi omogenei. Affinché tale estensione si produca è necessario, inoltre, che:

  • tutti i creditori appartenenti alla categoria abbiano ricevuto adeguate informazioni sulla situazione del debitore, sull’accordo e sulle relative trattative, e siano stati messi in condizione di parteciparvi;
  • l’accordo preveda la prosecuzione dell’attività d’impresa e la soddisfazione dei creditori in misura significativa o prevalente attraverso il ricavato della continuità aziendale;
  • i creditori aderenti rappresentino il settantacinque per cento dei creditori appartenenti alla categoria,
  • i creditori della medesima categoria non aderenti cui vengono estesi gli effetti dell’accordo possano risultare soddisfatti in base all’accordo stesso in misura non inferiore rispetto alla liquidazione giudiziale;
  • il debitore abbia notificato l’accordo, la domanda di omologazione e i documenti allegati ai creditori nei confronti dei quali chiede di estendere gli effetti dell’accordo, ai quali è attribuito il diritto di opposizione.

E’ inoltre specificamente disciplinato l’accordo ad efficacia estesa con banche ed intermediari finanziari, che si ha quando il debitore ha un indebitamento verso banche e intermediari finanziari in misura non inferiore al 50% dell’indebitamento complessivo e richiede l’estensione dell’accordo anche ai creditori non aderenti appartenenti alla medesima categoria (banche e intermediari finanziari). Per l’estensione degli effetti ai non aderenti valgono le stesse condizioni previste per gli accordi ad efficacia estesa, ma non è necessario che l’accordo preveda la continuità aziendale, potendo tale disciplina applicarsi anche in caso di accordi a carattere liquidatorio. Restano fermi i diritti dei creditori diversi da banche e intermediari finanziari.

5. La convenzione di moratoria

La convenzione di moratoria, anch’essa già prevista dalla legge fallimentare, è finalizzata a disciplinare in via provvisoria gli effetti della crisi attraverso una moratoria temporanea dei crediti con la possibilità, a determinate condizioni, di estenderne gli effetti ai non aderenti.

La convenzione può essere stipulata dall’imprenditore con ogni categoria di creditori (a prescindere dal fatto che si tratti di banche o intermediari finanziari) e può avere ad oggetto la dilazione delle scadenze dei crediti, la rinuncia agli atti o la sospensione delle azioni esecutive e conservative e ogni altra misura che non comporti rinuncia al credito.

Per estendere gli effetti della moratoria ai creditori non aderenti è necessario che:

  • i creditori a cui si intende estendere gli effetti siano riuniti in categorie, con posizione giuridica ed interessi economici omogenei;
  • aderiscano alla convenzione i creditori rappresentanti almeno il 75% dei crediti della categoria;
  • tutti i creditori appartenenti alla categoria siano informati dell’avvio delle trattative o messi in condizione di parteciparvi in buona fede;
  • gli stessi creditori abbiano ricevuto complete e aggiornate informazioni sulla situazione patrimoniale, economica e finanziaria nonché sulla convenzione e sui suoi effetti.

Inoltre è necessario che i creditori non aderenti subiscano un pregiudizio proporzionato e coerente con le ipotesi di soluzione della crisi o dell’insolvenza in concreto perseguite. Tale requisito è oggetto della relazione di attestazione di un professionista indipendente che verifica altresì la veridicità dei dati aziendali e l’idoneità della convenzione a disciplinare provvisoriamente gli effetti della crisi.

In nessun caso per effetto della convenzione di moratoria possano essere imposti ai creditori non aderenti nuovi e ulteriori oneri di finanziamento.

La convenzione deve essere comunicata, insieme alla relazione del professionista, ai creditori non aderenti mediante lettera raccomandata con avviso di ricevimento o presso il domicilio digitale. Entro trenta giorni dalla comunicazione può essere proposta opposizione avanti al Tribunale.

6. Il concordato preventivo in continuità aziendale

Il concordato preventivo è finalizzato a realizzare il soddisfacimento dei creditori in misura non inferiore rispetto a quella realizzabile mediante la liquidazione giudiziale.

Il CCII disciplina due tipologie di concordato preventivo, prevedendo regole diverse in ordine al contenuto del piano, alle modalità di voto, alle regole di distribuzione del valore, al giudizio di omologazione:

  • il concordato preventivo in continuità aziendale;
  • il concordato preventivo liquidatorio.

Il concordato preventivo si qualifica in continuità aziendale quando la soddisfazione dei creditori si realizza in misura, “anche non prevalente”, con i proventi che derivano dalla prosecuzione – diretta o indiretta – dell’attività d’impresa. Il concordato in continuità aziendale si caratterizza infatti, per la sua finalità, oltre che di tutelare i creditori, di preservare, nella misura possibile, i posti di lavoro.

Si ha continuità diretta quando l’attività prosegue in capo allo stesso imprenditore che ha presentato la domanda di concordato; si ha continuità indiretta, quando il piano prevede la gestione dell’azienda in esercizio o la ripresa dell’attività da parte di un soggetto diverso, anche in forza di cessione, affitto, usufrutto, conferimento dell’azienda in una o più società, anche di nuova costituzione o qualsiasi altra forma (art. 84 comma 2 e 3 CCII).

La CCII allarga quindi il perimetro della continuità indiretta, che comprende anche le ipotesi di usufrutto ed affitto; la continuità aziendale può consistere anche nella pura e semplice acquisizione di canoni di affitto, magari associata alla liquidazione di qualche asset ritenuto non funzionale. Il contratto di affitto può essere stipulato anche prima del deposito del ricorso, perché sussista un chiaro nesso di funzionalità.

Rientra nell’ambito del concordato in continuità anche il cd. concordato misto, ovvero quella forma di concordato che accanto alla continuità prevede la cessione di attività non funzionali all’esercizio dell’azienda, anche se i creditori sono soddisfatti in misura non prevalente dal ricavato della continuità. Il CCII valorizza infatti la capacità del concordato in continuità di ripristinare l’equilibrio economico e finanziario dell’impresa in sé, anche se vengono liquidati beni non strategici e a prescindere da quanto il ricavato dalla loro liquidazione incida in termini quantitativi nella soddisfazione dei creditori.

La domanda di concordato è proposta dall’imprenditore con ricorso ai sensi dell’art. 40 CCII; il ricorso può essere presentato anche in pendenza di un procedimento per la dichiarazione della liquidazione giudiziale aperto da altri nei suoi confronti. I creditori che rappresentino almeno il 10% dei crediti chirografari possono presentare successivamente proposte concorrenti all’interno del procedimento incardinato dal debitore, sino a trenta giorni prima della votazione del concordato.

Unitamente al ricorso deve essere depositata, oltre alla documentazione prevista dall’art. 39 CCII, la proposta di concordato, il piano e la relazione dell’esperto. L’imprenditore, tuttavia, può riservarsi la possibilità di depositare tale documentazione successivamente, entro un termine concesso dal Tribunale, compreso tra 30 e 60 giorni, prorogabile di non oltre 60 giorni in presenza di giustificati motivi e solo nel caso in cui non siano state presentate istanze di liquidazione giudiziale.

L’effetto principale del concordato preventivo che è quello del cd. spossessamento attenuato, in base al quale l’imprenditore conserva la gestione dell’impresa e l’amministrazione dei suoi beni sotto il controllo degli organi della procedura. Dopo il deposito del ricorso e fino al decreto di apertura della procedura, infatti, l’imprenditore può compiere gli atti urgenti di straordinaria amministrazione previa autorizzazione del Tribunale (art. 46 CCII).

Dal deposito della domanda, inoltre, i crediti di terzi sorti per effetto di atti legalmente compiuti dall’imprenditore acquisiscono il grado di crediti prededucibili, da soddisfare con priorità in caso di successiva liquidazione giudiziale. I creditori non possono acquisire diritti di prelazione con efficacia rispetto ai creditori concorrenti e le ipoteche iscritte nei 90 giorni precedenti la pubblicazione della domanda nel registro delle imprese sono inefficaci rispetto ai creditori anteriori. Sono, inoltre, sospesi sino alla data dell’omologazione del concordato gli obblighi societari di riduzione del capitale per perdite e l’applicazione della connessa disciplina delle cause di scioglimento della società.

Il semplice deposito della domanda non produce (come in precedenza) l’effetto della sospensione automatica delle azioni esecutive e cautelari dei creditori sul patrimonio dell’imprenditore, essendo a tal fine necessaria la richiesta espressa dell’imprenditore stesso nella domanda di concordato). La durata massima della sospensione è di 12 mesi. L’imprenditore deve quindi attivarsi tempestivamente, ai primi segnali di difficoltà, per evitare che il termine del periodo di sospensione eventualmente maturato nel corso delle trattative possa pregiudicare il tentativo di risanamento.

Dal momento del deposito della domanda, i creditori non possono, unilateralmente, rifiutare l’adempimento dei contratti in corso di esecuzione o provocarne la risoluzione, né anticiparne la scadenza o modificarli in danno dell’imprenditore per il solo fatto del deposito della domanda di accesso al concordato in continuità aziendale, dell’emissione del decreto di apertura del procedimento e della concessione delle misure protettive o cautelari. Sono inefficaci eventuali patti contrari.

Con specifico riguardo ai cd. contratti essenziali, ovverosia relativi alle forniture la cui interruzione impedisce la prosecuzione dell’attività del imprenditore, i creditori interessati dalle misure protettive non possono, unilateralmente, rifiutare l’adempimento dei contratti in corso di esecuzione o provocarne la risoluzione, né possono anticiparne la scadenza o modificarli in danno dell’imprenditore per il solo fatto del mancato pagamento di crediti anteriori rispetto alla presentazione della domanda di accesso al concordato preventivo in continuità aziendale (art. 94-bis CCII).

L’imprenditore può richiedere al Tribunale l’autorizzazione a contrarre finanziamenti prededucibili funzionali all’esercizio dell’attività aziendale fino all’omologa o funzionali all’apertura del procedimento di concordato, nel caso di presentazione della domanda con riserva di deposito della documentazione o, ancora, funzionali all’esecuzione del concordato stesso.

Il piano di concordato in continuità deve contenere (art. 87 CCII):

  • l’indicazione dell’imprenditore e delle eventuali parti correlate, nonché la descrizione della situazione economico-finanziaria dell’impresa e della posizione dei lavoratori;
  • la descrizione delle cause e dell’entità dello stato di crisi o di insolvenza in cui si trova e l’indicazione delle strategie d’intervento;
  • il valore di liquidazione del patrimonio, alla data della domanda di concordato, in ipotesi di liquidazione giudiziale;
  • le modalità di ristrutturazione dei debiti e di soddisfazione dei crediti;
  • la descrizione analitica delle modalità e dei tempi di adempimento della proposta;
  • gli apporti di finanza nuova eventualmente previsti e le ragioni per cui sono necessari per l’attuazione del piano;
  • le azioni risarcitorie e recuperatorie esperibili in caso di apertura della procedura di liquidazione giudiziale e le prospettive di realizzo;
  • le iniziative da adottare qualora si verifichi uno scostamento dagli obiettivi pianificati;
  • le parti interessate dal piano con i relativi crediti e interessi;
  • le classi in cui le parti interessate sono state suddivise;
  • le eventuali parti non interessate dal piano;
  • le modalità di informazione e consultazione dei rappresentanti dei lavoratori nonché gli effetti della ristrutturazione sui rapporti di lavoro, sulla loro organizzazione o sulle modalità di svolgimento delle prestazioni;
  • l’indicazione del commissario giudiziale ove già nominato.

Il piano di concordato in continuità deve inoltre contenere il piano industriale con l’indicazione degli effetti sul piano finanziario, nonché l’indicazione dei tempi necessari per assicurare il riequilibrio della situazione finanziaria e – in caso di continuità diretta – l’analitica individuazione dei costi e dei ricavi attesi, del fabbisogno finanziario e delle relative modalità di copertura, nonché l’indicazione per ciascun creditore dell’utilità, specificatamente individuata ed economicamente valutabile, che si intende assicurare, utilità che può consistere anche nella semplice prosecuzione o rinnovazione di rapporti contrattuali.

Il piano in continuità può infine prevedere la moratoria dei creditori muniti di privilegio, pegno o ipoteca, salvo che il piano stesso preveda la liquidazione dei beni su cui insiste la prelazione. Per i crediti dei lavoratori subordinati, assistiti da privilegio ai sensi dell’art. 2751-bis c.c., il termine di durata della moratoria non può essere superiore a sei mesi.

Unitamente al piano di concordato, l’imprenditore deve depositare la relazione del professionista indipendente che attesti la veridicità dei dati aziendali e la fattibilità del piano. Il professionista deve attestare, altresì, che il piano è atto a impedire o superare l’insolvenza dell’imprenditore, a garantire la sostenibilità economica dell’impresa e a riconoscere a ciascun creditore un trattamento non deteriore rispetto a quello che riceverebbe in caso di liquidazione giudiziale. Una nuova attestazione deve essere presentata in caso di modifiche sostanziali della proposta o del piano.

Il Tribunale si limita a verificare la ritualità della proposta, potendo dichiarare l’inammissibilità della domanda di accesso al concordato nei soli casi di “manifesta inidoneità” del piano alla soddisfazione dei creditori come proposta dall’imprenditore e alla conservazione dei valori aziendali.

Con il decreto di apertura della procedura il Tribunale:

  • nomina il giudice delegato e il commissario giudiziale;
  • stabilisce la data iniziale e finale per la votazione dei creditori (essendo stata soppressa l’adunanza fisica dei creditori) tenuto conto del numero dei creditori, dell’entità del passivo e della necessità di assicurare la tempestività ed efficacia della procedura;
  • determina le modalità di voto che dovranno essere idonee a salvaguardare il contraddittorio e l’effettiva partecipazione degli aventi diritto anche utilizzando strutture informatiche messe a disposizione da soggetti terzi;
  • fissa un termine non superiore a 15 giorni per il deposito del 50% delle spese ritenute necessarie per lo svolgimento della procedura (o della minor somma disposta dal Tribunale, purché non inferiore al 20%).

Nel caso in cui, invece, accerti la mancanza delle condizioni di ammissibilità del concordato, il Tribunale, sentiti l’imprenditore, i creditori che hanno presentato domanda di apertura della liquidazione giudiziale e il pubblico ministero, dichiara con decreto l’inammissibilità del concordato e, se è stato presentato ricorso da uno dei soggetti legittimati, dispone con sentenza l’apertura della liquidazione giudiziale. Tuttavia, il Tribunale può concedere all’imprenditore un termine non superiore a 15 giorni per apportare integrazioni al piano e produrre nuovi documenti.

Il commissario giudiziale dopo la nomina comunica ai creditori il piano e la data iniziale e finale del voto stabilita dal Tribunale, la proposta dell’imprenditore, il decreto di apertura della procedura. Se tale comunicazione non è possibile per l’eccessivo numero dei creditori il Tribunale può autorizzare la notifica su quotidiani a diffusione nazionale o locale. Almeno 45 giorni prima del termine previsto per l’inizio del voto, il commissario giudiziale deposita in cancelleria una relazione particolareggiata sulle cause del dissesto, precisando se l’impresa si trovi in crisi o in insolvenza, sulla condotta dell’imprenditore e sulla proposta di concordato e la trasmette al pubblico ministero.

Almeno 15 giorni prima dell’inizio del voto, il commissario illustra la relazione e le proposte definitive dell’imprenditore e quelle eventualmente presentate dai creditori con comunicazione inviata ai creditori, all’imprenditore e a tutti gli altri interessati e depositata nella cancelleria del giudice delegato. Dieci giorni prima del voto imprenditore e creditori possono formulare osservazioni e contestazioni al commissario giudiziale e almeno 7 giorni prima il commissario giudiziale deposita e comunica agli interessati la relazione finale. Il voto è espresso a mezzo posta elettronica certificata inviata al commissario giudiziale.

I creditori sono suddivisi in classi; è possibile prevedere trattamenti differenziati tra creditori appartenenti a classi diverse, in deroga ai principi della par condicio creditorum, al fine di agevolare il raggiungimento delle maggioranze necessarie per l’approvazione del concordato. Devono formare classi separate le imprese minori titolari di crediti chirografari derivanti da rapporti di fornitura di beni e servizi e i creditori muniti di privilegio, pegno e ipoteca, quando non sono soddisfatti integralmente nel rispetto delle condizioni previste dall’art. 109, comma 5 CCII.

Il CCII, pur mantenendo fermo, in linea generale, il principio previsto dalla legge fallimentare in base al quale la suddivisione dei creditori in classi non può alterare l’ordine delle cause di prelazione, prevede espressamente alcune deroghe nell’ambito del concordato in continuità.

In particolare, l’art. 84, comma 6 CCII distingue tra valore di liquidazione (ovvero quello individuabile in ipotesi di liquidazione giudiziale) e valore eccedente quello di liquidazione (cd. surplus da continuità): mentre il primo deve essere distribuito sempre nel rispetto dell’ordine delle cause di prelazione, con la conseguenza che le classi di rango inferiore non potranno essere soddisfatte se non siano state pagate integralmente le classi di rango superiore, il secondo può essere distribuito anche in deroga a tale principio, con la conseguenza che le classi di rango inferiore possono essere soddisfatte purché alle classi di rango superiore sia garantito un trattamento almeno pari a quello della classi dello stesso grado e superiore a quello delle classi di grafo inferiore. Tale distinzione non opera, tuttavia, per i crediti indicati dall’art. 2751-bis c.c., vantati dai lavoratori subordinati, per i quali si applica sempre la regola della priorità assoluta.

Il concordato è approvato se tutte le classi votano a favore. A tal fine, in ciascuna classe deve essere raggiunta la maggioranza dei crediti ammessi al voto. In alternativa il concordato si considera approvato dalla classe quando abbiano votato favorevolmente almeno i due terzi dei crediti dei creditori votanti, purché abbiano votato almeno la metà del totale dei crediti della stessa classe. Sono esclusi dal voto:

  • il coniuge, il convivente di fatto o la parte dell’unione civile;
  • i parenti, gli affini fino al quarto grado dell’imprenditore;
  • le società controllanti, le società controllate e quelle soggette a comune controllo;
  • i cessionari e aggiudicatari di crediti da meno di un anno prima della domanda di concordato;
  • i creditori in conflitto di interessi.

I creditori muniti di privilegio, pegno o ipoteca sono esclusi dal voto solo se nella proposta è previsto il soddisfacimento integrale del loro credito, in denaro, entro 180 giorni dall’omologazione del piano (per i lavoratori assistiti da privilegio di cui all’art. 2751-bis c.c. il termine è ridotto a 30 giorni) e purché la loro garanzia resti ferma fino alla liquidazione dei beni sulla quale insiste (art. 109 comma 5 CCII). Se non ricorrono tutte tali condizioni, anche se pagati integralmente, i creditori privilegiati hanno diritto al voto per l’intero credito e vanno inseriti in un’apposita classe.

All’esito del voto, il commissario giudiziale redige un’apposita relazione con le risultanze, da depositare in cancelleria il giorno dopo la chiusura delle operazioni di voto. Nel caso in cui non siano raggiunte le maggioranze previste il giudice delegato riferisce al Tribunale che in caso di istanza dei soggetti legittimati dichiara aperta la liquidazione giudiziale.

Se il concordato è stato approvato dai creditori, il Tribunale fissa l’udienza in camera di consiglio per la comparizione delle parti e del commissario giudiziale. I creditori dissenzienti e qualsiasi interessato possono fare opposizione nel termine perentorio di almeno 10 giorni prima dell’udienza.

In sede di omologa, il Tribunale verifica:

  • la regolarità della procedura;
  • l’esito della votazione;
  • l’ammissibilità della proposta;
  • la corretta formazione delle classi;
  • la parità di trattamento dei creditori all’interno di ciascuna classe;
  • che tutte le classi abbiano votato favorevolmente;
  • che il piano non sia privo di ragionevoli prospettive di impedire o superare l’insolvenza;
  • che eventuali nuovi finanziamenti siano necessari per l’attuazione del piano e non pregiudichino ingiustamente gli interessi dei creditori.

Il Tribunale può omologare il piano con effetti vincolanti per tutti i creditori, su richiesta dell’imprenditore, o con il suo consenso se si tratta di proposta concorrente, anche in presenza di classi dissenzienti (quando quindi il concordato non sia approvato da ciascuna classe) a condizione che:

  • il valore di liquidazione sia distribuito nel rispetto della graduazione delle cause legittime di prelazione e il valore eccedente quello di liquidazione nel rispetto della regola di priorità relativa;
  • nessun creditore riceva più dell’importo del proprio credito;
  • la proposta sia approvata dalla maggioranza delle classi, purché almeno una sia formata da creditori titolari di diritti di prelazione, oppure, in mancanza, la proposta sia approvata da almeno una classe di creditori che sarebbero stati almeno parzialmente soddisfatti rispettando la regola di priorità assoluta anche sul valore eccedente quello di liquidazione.

Ogni creditore dissenziente ha diritto di eccepire tramite opposizione il difetto di convenienza della proposta. In caso di opposizione, il Tribunale procede all’omologazione qualora ritenga che il credito possa risultare soddisfatto dal concordato in misura non inferiore rispetto alla liquidazione giudiziale (cd. cram down). In quest’ipotesi e quando il creditore contesta l’assenza delle condizioni per procedere alla ristrutturazione trasversale dei debiti, il Tribunale può anche disporre la stima del valore del complesso aziendale dell’imprenditore.

Il concordato è omologato con sentenza soggetta a reclamo. In caso di accoglimento del reclamo da parte della Corte di appello, quest’ultima su richiesta delle parti può confermare la sentenza di omologazione se ritiene prevalente l’interesse generale dei creditori e dei lavoratori rispetto al pregiudizio subito dal singolo reclamante, riconoscendogli il diritto al solo risarcimento del danno subito. In tal modo il concordato resta eseguibile.

L’omologazione deve intervenire entro 12 mesi dalla presentazione della domanda di accesso alla procedura, termine che corrisponde a quello di durata massima delle misure protettive. Se il Tribunale, invece, non omologa il concordato, su ricorso di uno dei soggetti legittimati, dichiara aperta la liquidazione giudiziale accertata l’insolvenza dell’imprenditore.

Una volta omologato, il concordato è obbligatorio nei confronti di tutti i creditori anteriori alla pubblicazione nel registro delle imprese della domanda di accesso. Sull’esecuzione del concordato vigila il commissario giudiziale che deve riferire al giudice delegato ogni fatto che possa pregiudicare i creditor. Sull’imprenditore grava l’obbligo di dare esecuzione alla proposta, anche se presentata dai creditori. In caso di inerzia o ritardo nel compimento degli atti necessari, il Tribunale può attribuire al commissario giudiziale i poteri necessari a provvedere in luogo di questi.

Nel caso in cui la proposta approvata e omologata sia quella presentata da un terzo, il proponente può chiedere al Tribunale (in caso di inerzia o ritardo dell’imprenditore nell’esecuzione della proposta) non solo l’attribuzione al commissario giudiziale dei poteri necessari a provvedere, ma anche la revoca dell’organo amministrativo della società e la nomina di un amministratore giudiziario.

Se il piano di concordato prevede un aumento del capitale sociale della società debitrice o altre deliberazioni di competenza dell’assemblea dei soci, all’amministratore giudiziario eventualmente nominato è attribuito anche il potere di convocare l’assemblea ed esercitare in essa i diritti di voto per le azioni o quote facenti capo ai soci di maggioranza.

La liquidazione giudiziale dell’imprenditore può essere dichiarata solo a seguito della risoluzione del concordato, salvo che lo stato di insolvenza consegua a debiti sorti successivamente all’apertura del concordato preventivo. È conseguentemente estesa al commissario giudiziale la legittimazione a richiedere la risoluzione del concordato.

7. Il concordato preventivo liquidatorio

Il concordato preventivo si qualifica liquidatorio quando la soddisfazione dei creditori è realizzata attraverso il ricavato della liquidazione del patrimonio. La funzione di questo tipo di concordato è quindi quella di procurare la soddisfazione dei creditori in alternativa alla liquidazione giudiziale, attraverso un piano che non preveda la continuità diretta o indiretta dell’attività imprenditoriale, ma la liquidazione del patrimonio.

Ai fini dell’ammissibilità del concordato liquidatorio, la proposta deve prevedere un apporto di risorse esterne che determini un incremento del 10% dell’attivo disponibile al momento della domanda e che assicuri una soddisfazione minima del 20% dell’ammontare complessivo dei crediti chirografari privilegiati degradati (art. 84 quarto comma CCII).

Il procedimento per l’apertura del concordato e gli effetti della domanda seguono le medesime regole previste per il concordato in continuità aziendale. Anche il contenuto del piano è il medesimo (art. 87 CCII), salva la non applicabilità delle previsioni specifiche previste per l’ipotesi della continuità.

Il piano può, inoltre, prevedere l’offerta da parte di un soggetto già individuato, volta all’affitto o al trasferimento dell’azienda, di un suo ramo o di specifici beni aziendali, anche prima dell’omologazione (art. 84 co. 9 CCII). In tal caso si applica la disciplina delle offerte concorrenti (art. 91 CCII), finalizzata a sollecitare l’interesse di terzi a mettersi in competizione con gli offerenti individuati dal debitore, aumentando la contendibilità dell’impresa nell’interesse dei creditori.

In fase di apertura del concordato, il Tribunale effettua una valutazione non solo sull’ammissibilità giuridica della proposta, ma anche sulla fattibilità del piano, intesa come non manifesta inattitudine del concordato a raggiungere gli obiettivi prefissati. Tale valutazione implica dunque un giudizio atto a verificare oltre i profili di legalità, anche quelli di fattibilità economica del concordato, con riferimento quanto meno alla possibilità di raggiungimento della soglia minima del 20% del credito complessivo di chirografari e privilegiati degradati.

Le regole di voto, il principio della divisione in classi di creditori e le regole sulla distribuzione del valore sono significativamente diverse rispetto al concordato in continuità. In primo luogo, nel concordato liquidatorio la divisione in classi dei creditori e la previsione di trattamenti differenziati tra creditori appartenenti a classi diverse è meramente facoltativa, salvo che per alcune categorie di creditori per le quali è sempre obbligatoria, ovvero i titolari di crediti tributari o previdenziali (per i quali non è previsto l’integrale pagamento), i titolari di garanzie prestate da terzi, i creditori che vengono soddisfatti anche in parte con utilità diverse dal denaro e i creditori che hanno presentato proposte concorrenti e le parti ad esse correlate.

Il concordato è approvato dai creditori che rappresentano la maggioranza dei crediti ammessi al voto (art. 109 CCII). In caso di divisione in classi tale maggioranza deve essere raggiunta anche nel maggior numero di classi. Sono sottoposte a votazione tutte le proposte presentate dall’imprenditore e dai creditori, seguendo per queste ultime l’ordine temporale di deposito. Se un solo creditore è titolare di oltre la maggioranza dei crediti ammessi al voto, per l’approvazione del concordato è necessaria anche la maggioranza per teste.

Si applicano le esclusioni dal voto previste per il concordato in continuità. I creditori muniti di privilegio, pegno o ipoteca sono esclusi dal voto se nella proposta è previsto il soddisfacimento integrale del loro credito (salvo che non rinuncino alla prelazione), mentre sono equiparati ai creditori chirografari per la parte residua del credito quando non ne è previsto il pagamento integrale.

Per la distribuzione del valore il CCII prevede l’obbligo di rispettare la regola della priorità assoluta, in base alla quale i creditori di rango inferiore non possono essere pagati se non sono soddisfatti integralmente i creditori di rango superiore. Resta ferma, inoltre, come già previsto dalla legge fallimentare, la possibilità di procedere al pagamento non integrale dei creditori muniti di privilegio, pegno o ipoteca, purché in misura non inferiore a quella realizzabile in caso di liquidazione dei beni o dei diritti sui quali sussiste la causa di prelazione, al netto delle spese di procedura inerenti al bene o diritto e della quota parte delle spese generali, per come attestata dal professionista indipendente. La parte residua di credito è degradata a chirografo (art. 84 co. 5 CCII).

Le risorse esterne, equiparate a nuova finanza, possono invece essere distribuite ai creditori liberamente, anche in deroga all’ordine legittimo delle cause di prelazione97 e possono essere apportate dai soci senza obbligo di restituzione o con postergazione delle loro ragioni di debito.

Nel giudizio di omologa, anche nel concordato liquidatorio il Tribunale deve verificare:

  • la regolarità della procedura;
  • l’esito della votazione;
  • l’ammissibilità della proposta;
  • la corretta formazione delle classi (rispetto al criterio della omogeneità per posizione giuridica ed interesse economico all’interno del piano e della non alterazione dell’ordine legittimo delle cause di prelazione);
  • la parità di trattamento all’interno di ciascuna classe.

Accanto a tali profili, il Tribunale deve valutare la fattibilità del piano, intesa come non manifesta inettitudine a raggiungere gli obiettivi prefissati. Si tratta di una forma di controllo diverso e più incisivo rispetto a quello previsto nel concordato in continuità, in cui la verifica del Tribunale è volta a verificare semplicemente che il piano non sia privo di ragionevoli chance di successo.

Il Tribunale può omologare ugualmente il concordato quando un creditore dissenziente appartenente a una classe dissenziente, oppure in caso di mancata formazione delle classi, i creditori dissenzienti che rappresentino almeno il 20% dei crediti ammessi al voto, contestino la convenienza della proposta, purché il loro credito possa essere soddisfatto dal concordato in misura non inferiore al ricavato della liquidazione giudiziale (art. 112 CCII).

Con la sentenza che omologa il concordato il Tribunale nomina uno o più liquidatori e il comitato dei creditori (art. 114 CCII). Al liquidatore spetta l’esercizio di ogni azione prevista dalla legge per conseguire la disponibilità dei beni compresi nel patrimonio del debitore e ogni azione diretta al recupero dei crediti, nonché l’esercizio dell’azione sociale di responsabilità o la sua prosecuzione se già pendente (art.115 CCII). Gli effetti che discendono dall’omologazione e l’esecuzione sono disciplinati come per il concordato preventivo in continuità dagli artt. 117 e ss. CCII.

8. Il piano di risanamento soggetto a omologazione

Il piano di ristrutturazione soggetto ad omologazione (PRO), previsto dall’art. 64-bis CCII, è uno strumento innovativo volto a consentire la ristrutturazione dell’imprenditore attraverso la valorizzazione di alcuni profili privatistici, come la libertà di definizione degli accordi conclusi con i creditori all’esterno di una procedura concorsuale, unita alla produzione degli effetti che normalmente derivano dall’apertura della procedura e dall’omologazione di un procedimento di concordato preventivo.

Strutturalmente il PRO ricalca la disciplina del concordato preventivo in continuità, prevedendo le diverse fasi della presentazione della domanda, ammissione, approvazione e omologazione.

Come nel concordato preventivo in continuità, la suddivisione dei creditori in classi per omogeneità di posizione giuridica ed interesse economico è obbligatoria. Non è tuttavia mai possibile accedere al meccanismo della ristrutturazione trasversale dei debiti (di cui all’art. 112 co. 2 CCII,) ma è ammessa la possibilità che il piano risulti approvato da ciascuna classe quando al suo interno è raggiunta la maggioranza dei crediti ammessi al voto o tramite il criterio alternativo, previsto anche per il concordato preventivo, dell’approvazione da parte dei due terzi dei creditori votanti purché all’interno della classe abbiano votato creditori rappresentanti almeno la metà dei crediti della stessa. Sono inoltre richiamate le regole relative alla esclusione dal diritto di voto (per le classi di voto che sono pagate integralmente, in denaro, entro 180 giorni dall’omologazione) previste per il concordato in continuità.

Il piano può prevedere la distribuzione dell’attivo senza vincoli distributivi, in deroga non solo al principio della responsabilità patrimoniale generale dell’imprenditore di cui all’art. 2740 c.c. e e al principio della par condicio creditorum, ma anche alle norme che regolano la graduazione delle cause legittime di prelazione. Nel PRO, quindi, non solo il piano non deve soggiacere alla regola di priorità assoluta, come accade per il surplus che deriva dalla prosecuzione dell’attività per il concordato preventivo, ma non deve nemmeno soggiacere alla regola di priorità relativa e alla inalterabilità dell’ordine dei criteri di priorità derivanti dai diversi titoli di preferenza, a differenza di quanto accade nel concordato preventivo in continuità. Sono fatti salvi i diritti dei lavoratori che devono essere soddisfatti integralmente, in denaro, entro 30 giorni dall’omologazione.

Dalla presentazione della domanda e fino all’omologazione l’imprenditore conserva la gestione ordinaria e straordinaria dell’impresa, sotto il controllo del commissario giudiziale. A differenza del concordato preventivo, gli atti di straordinaria amministrazione non sono soggetti ad un regime di autorizzazione giudiziaria (cd. spossessamento attenuato) ma la gestione dell’impresa rimane esclusivamente in capo all’imprenditore, che può porre in essere gli atti di ordinaria o straordinaria amministrazione.

Per questi ultimi è però previsto un regime di informazione preventiva al commissario giudiziale. Infatti, l’imprenditore deve informare il commissario giudiziale prima del compimento degli atti di straordinaria amministrazione e dell’esecuzione di pagamenti che non sono coerenti con il piano di ristrutturazione. Qualora questi ritenga che l’atto in questione possa arrecare pregiudizio ai creditori o che non sia coerente con il piano dovrà segnalarlo all’imprenditore e all’organo di controllo, se presente. Se, nonostante la segnalazione, l’atto viene compiuto il commissario ne informa immediatamente il Tribunale affinché assuma le determinazioni necessarie alla revoca del provvedimento di ammissione del PRO.

La domanda di accesso al PRO segue le forme del procedimento unitario (potendo essere presentata anche con riserva di deposito della documentazione) oltre alla proposta e al piano, cui si applicano i medesimi contenuti previsti dall’art. 87 CCII per il concordato preventivo. Devono essere depositati i documenti di cui all’art. 39 al comma 1 e 2 e la relazione del professionista che attesta veridicità dei dati e fattibilità del piano.

Dal deposito della domanda conseguono alcuni degli effetti previsti per il caso di concordato in continuità, tra cui quelli relativi alle misure protettive se richieste nella domanda, all’inefficacia dei diritti di prelazione acquisiti dopo la domanda nei confronti degli altri creditori concorrenti, alla prededuzione per i crediti sorti per effetto degli atti legalmente compiuti durante il procedimento, alla sospensione degli obblighi societari di riduzione del capitale per perdite e della connessa disciplina delle cause di scioglimento della società.

La fase dell’ammissione è estremamente semplificata: il Tribunale deve infatti verificare esclusivamente la mera ritualità della proposta e la correttezza della formazione delle classi. Nel decreto di ammissione il Tribunale provvede alla nomina del commissario giudiziale (cui si applica l’art. 92 CCII) e a definire la data inziale e finale per le operazioni di voto dei creditori. Sono ammesse proposte concorrenti e offerte concorrenti, stante il richiamo della relativa disciplina rispettivamente prevista dagli artt. 90 e 91 CCII.

Anche la fase dell’omologazione è disciplinata dalle stesse regole del concordato in continuità (art. 48 CCII); tuttavia non si applica l’art. 112 CCII sul contenuto del giudizio di omologazione nel concordato. In sede di omologa del PRO ciascun creditore dissenziente ha diritto di contestare la convenienza del concordato (art.64-bis comma 8 CCII), solo in tal caso il Tribunale procede alla verifica che il piano garantisce la soddisfazione del credito in misura non inferiore rispetto alla liquidazione giudiziale, e se la verifica dà esito positivo procede alla omologazione.

L’omologazione del PRO, nonostante la presenza di creditori dissenzienti, è possibile solo se esso è approvato in ciascuna classe. L’imprenditore, tuttavia, può contestare i risultati del voto attestati dalla relazione del commissario giudiziale che certifichi la mancata unanimità, richiedendo l’accertamento del conteggio al Tribunale, con richiesta da presentare entro 15 giorni dal deposito della relazione medesima.

In alternativa, l’imprenditore, qualora la proposta non abbia raggiunto l’approvazione dell’unanimità delle classi, può modificare la domanda chiedendo la conversione del procedimento in concordato preventivo. La stessa possibilità è espressamente riconosciuta all’imprenditore se un creditore contesta la convenienza del piano nelle osservazioni formulate al commissario giudiziale prima del voto e in ogni fase del procedimento, anche al di fuori delle due ipotesi espressamente regolate (art. 64-quater CCII).

Se decorso il termine di 15 giorni dal deposito della relazione l’imprenditore non chiede il riconteggio o la conversione del procedimento, il giudice delegato deve riferire al Tribunale il mancato raggiungimento dell’unanimità che, in presenza dello stato di insolvenza e della relativa domanda, può disporre l’apertura della liquidazione giudiziale (art. 111 CCII).

L’imprenditore che abbia presentato una domanda di concordato preventivo può modificarla chiedendo l’omologazione secondo la disciplina del piano di ristrutturazione soggetto ad omologazione. fino a quando non siano iniziate le operazioni di voto.

Gli effetti che derivano dall’omologazione del PRO sono assimilabili a quelli previsti per il concordato. Trova altresì applicazione anche la disciplina della risoluzione e annullamento del concordato. Gli atti posti in essere in esecuzione del piano sono esenti da revocatoria (art. 166 co. 3 lett. e CCII).

Avv. Valerio Pandolfini

Consulenza legale d’impresa

 

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Le informazioni contenute nel presente articolo hanno carattere generale e non sono da considerarsi un esame esaustivo né intendono esprimere un parere o fornire una consulenza di natura legale. Le considerazioni e opinioni riportate nell’articolo non prescindono dalla necessità di ottenere pareri specifici con riguardo alle singole fattispecie. Di conseguenza, il presente articolo non costituisce un (né può essere altrimenti interpretato quale) parere legale, né può in alcun modo considerarsi come sostitutivo di una consulenza legale specifica.

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