La ristrutturazione dell’impresa in crisi: gli strumenti legali
Il Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza (CCII), recentemente modificato dal D.lgs. n. 136/2024, ha abrogato la legge fallimentare del 1942 e la legge sul sovraindebitamento (Legge n. 3/2012), regolando in un unico testo normativo il fenomeno della crisi e dell’insolvenza delle imprese, attraverso principi generali applicabili a tutte le imprese e regole specifiche che variano in base alla diversa situazione di difficoltà in cui si trovano le stesse. Il CCII è finalizzato in generale a consentire il recupero della capacità produttiva dell’impresa in crisi: a tal fine disciplina una serie di strumenti per la ristrutturazione dell’impresa, modificando il contenuto delle soluzioni per la regolazione della crisi previste dalla precedente legge fallimentare e introducendone di nuove, al fine di favorire la continuità, anche indiretta, dell’attività d’impresa. Il CCII prevede un’ampia gamma di strumenti per la ristrutturazione dell’impresa in crisi: piani attestati di risanamento, accordi di ristrutturazione dei debiti, convenzioni di moratoria, concordati preventivi in continuità aziendale e liquidatori, piani di ristrutturazione soggetti ad omologazione. Tali strumenti devono essere adeguatamente valutati, in modo da scegliere l’opzione migliore nel singolo caso concreto
1. Gli strumenti previsti dal Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza (CCII)
Il 15 luglio 2022 è entrato in vigore il Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza (CCII), dopo un iter molto travagliato, anche a seguito dei numerosi rinvii dovuti alla pandemia. Il CCII è stato recentemente modificato dal D.lgs. n. 136/2024.
Il CCII ha abrogato la legge fallimentare del 1942 e la legge sul sovraindebitamento (L. n. 3/2012), regolando in un unico testo normativo il fenomeno della crisi e dell’insolvenza delle imprese, attraverso principi generali applicabili a tutte le imprese e regole specifiche che variano in base alla diversa situazione di difficoltà in cui si trovano le stesse.
Il CCII è finalizzato in generale a consentire il recupero della capacità produttiva dell’impresa in crisi, nell’interesse di tutti i soggetti coinvolti (imprenditore, creditori, lavoratori, soci, etc.), attraverso meccanismi di prevenzione e diagnosi tempestiva delle diverse situazioni di difficoltà in cui può trovarsi l’impresa e il rapido accesso a soluzioni giudiziali o stragiudiziali, modulabili in base alle caratteristiche della crisi.
Per realizzare questi obiettivi il CCII delinea due tipi di strumenti.
In primo luogo, il CCII prevede degli strumenti per la prevenzione della crisi dell’impresa, considerata come una disfunzione dell’attività economica programmata, che può essere intercettata tempestivamente attraverso la predisposizione di assetti organizzativi, amministrativi e contabili funzionali alla sua rilevazione e alla sua efficiente gestione e che può essere superata anche attraverso il ricorso alla procedura negoziata della crisi.
Il complesso di tali disposizioni è volto a promuovere un radicale cambiamento culturale nella concezione della crisi e nell’approccio alla stessa da parte dell’imprenditore, nel presupposto che tanto prima se ne intercettino i segnali, tanto maggiori possono essere le chance di risanamento e di preservazione del valore della continuità aziendale.
In questo senso, il CCII ha introdotto la nuova categoria della “probabilità di crisi”, che anticipa il momento a partire dal quale operano i doveri di monitoraggio e intervento posti in capo all’imprenditore, ed ha ampliato il ventaglio degli strumenti di soluzione della crisi, nell’ottica di anticipare il più possibile l’emersione dello stato di sofferenza dell’impresa e scongiurare quindi la liquidazione e la relativa perdita del valore “azienda”.
In secondo luogo, il CCII disciplina una serie di strumenti per la ristrutturazione dell’impresa, conservando tutte le soluzioni per la regolazione della crisi previste dalla precedente legge fallimentare (accordi in esecuzione dei piani di risanamento, convenzione di moratoria, accordi di ristrutturazione dei debiti, concordato preventivo), modificandone in parte il contenuto e introducendone di nuove (piano di ristrutturazione omologato, accordi di ristrutturazione ad efficacia estesa e agevolati), al fine di favorire la continuità, anche indiretta, dell’attività d’impresa.
La nuova disciplina segna un passo importante per l’ammodernamento delle regole per la ristrutturazione, in linea con i principi europei, tesi a valorizzare l’accessibilità alle procedure e l’autonomia negoziale delle parti verso il perseguimento di un equilibrio ottimale tra tutela del credito e tutela della continuità aziendale.
2. I poteri-doveri degli amministratori in relazione agli strumenti di soluzione della crisi
Sugli amministratori gravano tre tipi di obblighi.
In primo luogo, gli amministratori hanno l’obbligo di informare i creditori in modo completo, veritiero e trasparente sulla situazione dell’impresa, con particolare riferimento ai dati di bilancio.
In secondo luogo, gli amministratori hanno l’obbligo di adottare tempestivamente misure idonee a rilevare la crisi e di assumere tempestivamente le iniziative idonee al superamento delle situazioni di difficoltà dell’impresa e alla rapida definizione dello strumento prescelto; tale obbligo può essere adempiuto solo se siano stati predisposti adeguati assetti organizzativi, amministrativi e contabili finalizzati alla prevenzione della crisi e della perdita della continuità aziendale.
Tale dovere di attivazione si estende anche al verificarsi di quelle situazioni di squilibrio patrimoniale o economico-finanziario che rendono probabile una situazione di crisi. L’organo amministrativo, in attuazione di un principio di corretta gestione societaria, è dunque tenuto a valutare e ad attivarsi in uno spettro di situazioni di difficoltà dell’impresa che vanno dalla pre-crisi sino all’insolvenza, secondo una valutazione discrezionale dello strumento più adatto alla situazione concreta.
- In particolare, nella situazione di pre-crisi l’organo amministrativo potrà ricorrere agli istituiti di natura privatistica previsti dal codice civile o dall’autonomia privata secondo i criteri di comune discrezionalità imprenditoriale, oppure accedere al percorso della composizione negoziata della crisi. In caso di crisi o insolvenza, la scelta riguarderà, invece, uno dei diversi strumenti previsti dal CCII, ferma restando la possibilità di ricorrere alla composizione negoziata della crisi, purché ricorrano ragionevoli prospettive di risanamento.
In terzo luogo, gli amministratori hanno l’obbligo di gestire il patrimonio e l’impresa nell’interesse prioritario dei creditori durante i procedimenti previsti dal CCII diversi dalla composizione negoziata, in modo da evitare condotte che pongano a rischio la garanzia patrimoniale dei creditori.
In proposito, l’art. 21 CCII prevede che, se l’impresa versa in uno stato di crisi l’amministratore deve gestirla in modo da evitare pregiudizio alla sostenibilità economico finanziaria dell’attività. Tale dovere impone al debitore l’adozione di condotte imprenditoriali volte a preservare la continuità aziendale. Pertanto, devono essere evitati gli atti che possano aggravare ulteriormente la situazione di squilibrio economico-patrimoniale dell’impresa, minacciandone la continuità.
Quando, invece, l’impresa è in stato di insolvenza reversibile – quando cioè pur essendo insolvente sussistono concrete prospettive di risanamento – grava sull’amministratore il più intenso obbligo di gestire l’impresa nel corso della procedura nel prevalente interesse dei creditori; ciò comporta che gli amministratori, pur non essendo tenuti a una gestione meramente conservativa dell’integrità del patrimonio in funzione della sua liquidazione, devono attentamente ponderare le conseguenze delle iniziative intraprese, tenendo conto del prevalente interesse dei creditori alla soddisfazione delle proprie pretese. Tale criterio deve guidare non solo la gestione dell’impresa nel corso della procedura, ma anche l’individuazione della soluzione per il superamento della situazione di insolvenza, da coltivare nel corso delle trattative. Se, dunque, in caso di crisi il percorso della composizione negoziata può condurre a una molteplicità di soluzioni che possono tener conto anche di altri interessi, purché non ne risulti un ingiusto pregiudizio ai creditori, in caso di insolvenza, il margine di discrezionalità si riduce e la scelta dovrà ricadere sullo strumento più idoneo a soddisfare il prevalente interesse dei creditori.
Ai sensi dell’art. 120-bis CCII, gli amministratori hanno competenza esclusiva nell’assumere le decisioni relative all’accesso a uno degli strumenti di regolazione della crisi o dell’insolvenza e nella determinazione del contenuto concreto della proposta ai creditori e del relativo piano. La decisione di accedere ad uno strumento e le determinazioni dei contenuti di esso costituiscono attuazione degli obblighi, gravanti sugli amministratori, di immediata attivazione per il superamento della situazione di crisi e il recupero della continuità aziendale, di cui all’art. 2086, co. 2 c.c.
Gli amministratori devono dunque determinare il contenuto della proposta e le condizioni del piano di risanamento senza l’obbligo di convocare l’assemblea dei soci; ciò al fine di consentire agli amministratori di consentire il tempestivo salvataggio della società attraverso uno degli strumenti di regolazione previsti, una volta accertato lo stato di crisi, senza che i soci di maggioranza possano ostacolare la ristrutturazione aziendale perseguendo propri interessi a scapito di quelli della società.
In questo senso, al fine di evitare che i soci possano indirettamente interferire sull’adozione di tali strumenti, è temporaneamente sospesa la prerogativa assembleare del diritto di revocare gli amministratori dal momento della decisione di accedere ad uno strumento di regolazione della crisi, qualora non sussista una giusta causa di revoca. Non è considerata giusta causa di revoca degli amministratori la decisione di accedere ad uno strumento di regolazione della crisi o dell’insolvenza, quando ne ricorrono le condizioni di legge.
3. Il ruolo dei soci nella soluzione della crisi d’impresa
L’accesso a uno strumento di regolazione della crisi, sovverte, di fatto, il rapporto fiduciario che lega gli amministratori ai soci.
Gli amministratori devono infatti monitorare la situazione economico-finanziaria della società sulla base di assetti organizzativi adeguati , e una volta accertato uno stato di crisi o di insolvenza, decidere quale strumento di regolazione sia possibile adottare, predisponendo la proposta e il contenuto del piano.
Tale piano può prevedere la realizzazione di operazioni di fusione, scissione, ristrutturazione finanziaria mediante aumenti di capitale con o senza esclusione del diritto di opzione, cessione di assets strategici etc., senza che l’assemblea dei soci possa esprimersi, neppure attraverso pareri o autorizzazioni non vincolanti. I soci hanno solo diritto ad essere informati circa la decisione degli amministratori di accedere ad uno strumento di regolazione della crisi e di essere periodicamente aggiornati sul suo andamento.
In ogni caso, ai sensi dell’art. 120-quinquies, comma 3 CCII, le modificazione della compagine sociale previste in attuazione di uno strumento di regolazione della crisi o dell’insolvenza, a pena di inefficacia di patti contrari, non possono essere causa di risoluzione o modificazioni di contratto conclusi dalla società). Sono quindi inefficaci le cd. clausole di change of control, che determinano la risoluzione o il diritto di recesso nei casi di mutamento della compagine sociale nei contratti stipulati dalla società.
Tuttavia, i soci mantengono un ruolo attivo in ordine all’adozione di piani di regolazione della crisi e dell’insolvenza, in quanto, in caso di modifiche che incidono direttamente sui loro diritti di partecipazione, devono essere chiamati a partecipare ad un’apposita classe che, insieme a quella dei creditori, esprime il proprio voto di adesione o meno ad un determinato piano (art. 120-ter CCII).
In virtù del classamento, i soci hanno la possibilità di partecipare al procedimento di approvazione del piano quando essi ne risultino incisi, assumendo la veste di parti interessate. I soci suddivisi in classi votano nelle forme e nei termini previsti per i creditori; tuttavia, all’interno di ciascuna classe ciascun socio ha diritto di voto in misura proporzionale alla quota di capitale posseduta anteriormente alla presentazione della domanda, indipendentemente dai diritti di voto riconosciuti dallo statuto in assemblea. A differenza di quanto accade con i creditori, invece, la mancata espressione del voto entro il termine stabilito per le operazioni d voto è equiparata a consenso.
La divisione dei soci in classi consente inoltre di prevedere nel piano che il plusvalore da continuità sia riservato anche ai soci. In presenza di classi di creditori dissenzienti, tuttavia, l’omologazione del concordato è possibile solo se il trattamento riservato alle classi dissenzienti rispetti la regola di priorità relativa (in base alla quale il trattamento proposto da ciascuna classe dissenziente deve essere almeno altrettanto favorevole rispetto alle classi del medesimo grado e più favorevole rispetto alle classi in grado inferiore) anche se a tali classi venisse destinato il valore complessivamente riservato ai soci (art. 120-quater CCII).
Quando non sussistono classi di pari grado o di grado inferiore a quella dissenziente, la regola della priorità relativa è rispettata qualora il valore complessivamente destinato alla classe di creditori dissenzienti sia superiore rispetto a quello complessivamente destinato ai soci, cioè al valore effettivo, conseguente all’omologazione, delle loro partecipazioni o degli strumenti che consentono di acquisirle, senza tenere conto di quanto da essi apportano in sede di ristrutturazione a titolo di nuovi conferimenti o versamenti a fondo perduto, o in altra forma (per le sole PMI), come ad esempio gli apporti in termini di prestazioni personali dei soci. Il valore effettivo è determinato in conformità ai principi contabili applicabili per la determinazione del valore d’uso, sulla base dei flussi finanziari futuri, utilizzando i dati risultanti dal piano ed estrapolando le proiezione per gli anni successivi.
La regola della suddivisione in classi consente, infine, al socio dissenziente di proporre opposizione al piano invocando la non conveniente rispetto all’alternativa liquidatoria.
4. I presupposti per l’accesso alle procedure di ristrutturazione
Il presupposto oggettivo per l’accesso alle procedure di ristrutturazione varia in base allo stato di difficoltà dell’impresa. Il CCII regola tre stadi di difficoltà dell’impresa in base ai quali si delineano i presupposti per l’accesso alle diverse procedure: la probabilità di crisi, la crisi e l’insolvenza.
Il CCII per la prima volta definisce espressamente la crisi come “lo stato del debitore che rende probabile l’insolvenza e che si manifesta con l’inadeguatezza dei flussi di cassa prospettici a far fronte alle obbligazioni nei successivi dodici mesi” (articolo 2, comma 1, lett. a).
La nozione di crisi indicata nel CCII adotta l’approccio delle scienze aziendalistiche, che si fonda su piani di natura previsionale circa le dinamiche future di gestione, attraverso la comparazione tra flussi di cassa futuri e debiti, sulla cui base si può valutare la sostenibilità futura dell’attività. Tale nozione è separata concettualmente da quella di insolvenza, che continua invece ad essere definita come la situazione in cui il debitore non è più in grado di soddisfare regolarmente le proprie obbligazioni (articolo 2, comma 1, lett. b).
Qualora l’impresa si trovi in stato di crisi, può accedere a tutti gli strumenti per la regolazione della crisi disciplinati dal CCII, ovvero:
- gli accordi in esecuzione dei piani attestati di risanamento (v. par. 5);
- gli accordi di ristrutturazione dei debiti (con le due varianti dell’accordo agevolato e ad efficacia estesa) (v. par. 6);
- la convenzione di moratoria (v. par. 7);
- il concordato preventivo in continuità aziendale (v. par. 8) e liquidatorio (v. par. 9);
- il piano di ristrutturazione soggetto ad omologazione (v. par. 10).
Ciascuno di questi strumenti può essere preceduto dalla composizione negoziata della crisi, che costituisce una sorta di percorso protetto. La composizione negoziata della crisi può essere attivata anche qualora l’impresa si trovi in una situazione di difficoltà diversa dalla crisi o insolvenza, ovvero in una condizione di “squilibrio patrimoniale o economico- finanziario che rende probabile la crisi o l’insolvenza”
Si tratta di una situazione di “probabilità di crisi” (o pre-crisi) che si caratterizza per la sussistenza di uno squilibrio (patrimoniale o economico- finanziario), non tale da determinare la mancata copertura delle obbligazioni dei successivi 12 mesi con i corrispondenti flussi di cassa. In altri termini, composizione negoziata della crisi può essere utilizzata (ed anzi dovrebbe esserlo) quando non si è manifestato un vero e proprio stato di crisi.
Qualora invece l’impresa si trovi in stato di insolvenza, può accedere alla liquidazione giudiziale (la quale ha sostituito il fallimento).
Gli strumenti per la ristrutturazione dell’impresa in crisi si possono distinguere in tre categorie:
- strumenti puramente consensuali, che producono effetti soltanto nei confronti dei creditori aderenti all’accordo: rientrano in questa categoria gli accordi in esecuzione di piani attestati di risanamento (v. par. 5) e gli accordi di ristrutturazione (v. par. 6), ordinari e agevolati;
- strumenti idonei a vincolare una minoranza di creditori non consenzienti, inclusi in classi o categorie di creditori aderenti: rientrano in questa categoria gli accordi di ristrutturazione ad efficacia estesa (v. par. 6) e il piano di ristrutturazione omologato (v. par. 10);
- strumenti idonei a vincolare sia una minoranza di creditori inclusi in classi consenzienti, sia intere classi di creditori dissenzienti (cd. Ristrutturazione trasversale): rientra in questa categoria il concordato preventivo con continuità aziendale (v. par. 8).
5. Gli accordi in esecuzione dei piani attestati di risanamento
Il piano attestato di risanamento è una procedura completamente stragiudiziale che, a determinate condizioni, garantisce l’esonero da revocatoria e da responsabilità penale degli atti compiuti in esecuzione del piano, in caso di eventuale e successiva liquidazione giudiziale.
Per produrre i suoi effetti, il piano, rivolto ai creditori, deve apparire idoneo a consentire il risanamento dell’esposizione debitoria dell’impresa e ad assicurare il riequilibrio della situazione finanziaria. Pertanto, è possibile ricorrere a tale strumento solo in caso di continuità aziendale.
Il piano deve avere data certa ed essere accompagnato dalla documentazione di cui all’art. 39 CCII, nonché dalla relazione di un professionista indipendente che attesti la veridicità dei dati aziendali e la fattibilità economica del piano stesso.
Il piano deve indicare:
- il debitore ed eventuali parti correlate, le sue attività e passività, la descrizione della situazione economico-finanziaria dell’impresa e della posizione dei lavoratori;
- le cause della crisi o dell’insolvenza;
- le strategie d’intervento;
- l’elenco dei creditori e l’ammontare dei crediti dei quali si propone la rinegoziazione e lo stato delle eventuali trattative, nonché l’elenco dei creditori estranei, con l’indicazione delle risorse destinate all’integrale soddisfacimento dei loro crediti;
- gli apporti di finanza nuova, se prevista e le ragioni per cui è necessaria;
- i tempi delle azioni da compiersi, che consentono di verificarne la realizzazione, nonché le iniziative da adottare nel caso di scostamento tra gli obiettivi e la situazione in atto;
- il piano industria e l’evidenziazione dei suoi effetti sul piano finanziario, nonché i tempo necessari per assicurare il riequilibrio della situazione economico-finanziaria;
- un’analitica indicazione dei costi e dei ricavi attesi, del fabbisogno finanziario e delle relative modalità di copertura, tenendo conto anche dei costi necessari per assicurare il rispetto della normativa in materia di sicurezza del lavoro e tutela dell’ambiente.
Il piano, l’attestazione e gli accordi conclusi con i creditori possono essere pubblicati nel registro delle imprese su richiesta del debitore, mentre gli atti unilaterali e i contratti posti in essere in esecuzione del piano devono essere provati per iscritto e devono avere data certa.
6. Gli accordi di ristrutturazione dei debiti
La disciplina degli accordi di ristrutturazione dei debiti non è stata sostanzialmente modificata rispetto a quella della legge fallimentare. L’imprenditore può concludere autonomamente un accordo con i creditori e chiederne al giudice l’omologa, quando abbia ottenuto il consenso di tanti creditori che rappresentino almeno il 60% dei crediti.
Con l’accordo deve essere depositata la documentazione prevista dall’articolo 39, commi 1 e 3, del CCII, ovvero:
- le scritture contabili e fiscali obbligatorie;
- le dichiarazioni dei redditi concernenti i tre esercizi o anni precedenti ovvero l’intera esistenza dell’impresa o dell’attività economica o professionale, se questa ha avuto una minore durata, le dichiarazioni IRAP e le dichiarazioni annuali IVA relative ai medesimi periodi;
- i bilanci relativi agli ultimi tre esercizi;
- una relazione sulla situazione economica, patrimoniale e finanziaria aggiornata; v) uno stato particolareggiato ed estimativo delle sue attività;
- un’idonea certificazione sui debiti fiscali, contributivi e per premi assicurativi;
- l’elenco nominativo dei creditori e l’indicazione dei rispettivi crediti e delle cause di prelazione, nonché l’elenco nominativo di coloro che vantano diritti reali e personali su cose in suo possesso e l’indicazione delle cose stesse e del titolo da cui sorge il diritto.
Unitamente all’accordo devono essere depositati anche:
- una relazione del professionista indipendente che attesti la veridicità dei dati e la fattibilità del piano su cui si basa l’accordo, nonché l’idoneità dell’accordo stesso ad assicurare il regolare pagamento dei creditori rimasti estranei;
- il piano economico finanziario che ne consente l’esecuzione, il quale deve rispettare i requisiti previsti dall’art. 56 CCII per il piano di risanamento.
L’accordo omologato non è vincolante per i creditori non aderenti che devono essere pagati per l’intero entro 120 giorni dall’omologazione in caso di crediti scaduti a quella data, o entro 120 giorni dalla scadenza se si tratta di crediti non ancora scaduti alla data dell’omologazione.
Gli atti compiuti in esecuzione dell’accordo sono, inoltre, esenti da revocatoria e da responsabilità penale.
Gli effetti dell’accordo sono estesi ai soci illimitatamente responsabili, i quali, tuttavia, se hanno prestato garanzie, salvo patto contrario, continuano a rispondere a tale titolo.
Per modificare il piano o gli accordi prima dell’omologazione, è necessario presentare una nuova attestazione del professionista e rinnovare le manifestazioni di consenso dei creditori. La nuova attestazione è necessaria anche in caso di modifiche sostanziali successivamente all’omologa dell’accordo. In tal caso il piano modificato e la relazione sono depositati al registro delle imprese e il debitore deve dare comunicazione dell’avvenuta comunicazione ai creditori, i quali possono proporre opposizione entro trenta giorni dalla ricezione dell’avviso.
Quando viene presentato ricorso per l’omologa di un accordo di ristrutturazione dei debiti, già sottoscritto dai creditori e completo della documentazione prevista, nonché della relazione del professionista che attesti la veridicità dei dati, la fattibilità del piano e l’idoneità dell’accordo a pagare i creditori estranei, contestualmente la domanda e gli accordi devono essere depositati al registro delle imprese e acquistano efficacia da tale momento. Dalla pubblicazione al Registro delle imprese decorre inoltre il termine di 30 giorni per le opposizioni dei creditori e di ogni interessato.
Decorso tale termine, il Tribunale fissa l’udienza per la comparizione delle parti in camera di consiglio, decide sulle opposizioni eventualmente presentate e provvede con sentenza sull’omologazione. Con il decreto di fissazione dell’udienza il Tribunale può nominare un commissario giudiziale. In ogni caso la nomina è disposta quando sono pendenti istanze per l’apertura della liquidazione giudiziale se è necessaria per tutelare gli interessi delle parti.
La sentenza di omologazione è pubblicata nel registro delle imprese, e da tale momento si producono gli effetti degli accordi anche nei confronti dei terzi. Se non omologa l’accordo e uno dei soggetti legittimati abbia presentato la relativa istanza, accertato lo stato di insolvenza del debitore, il Tribunale dichiara l’apertura della liquidazione giudiziale.
Per incentivare il ricorso all’accordo di ristrutturazione dei debiti, il CCII ha introdotto due varianti dell’istituto:
- l’accordo di ristrutturazione agevolato;
- l’accordo di ristrutturazione dei debiti a efficacia estesa.
L’accordo di ristrutturazione agevolato, che viene stipulato con i creditori che rappresentino almeno il 30% dei crediti. Gli effetti e la disciplina dell’accordo omologato sono gli stessi dell’accordo di ristrutturazione ordinario e, dunque:
- vincola soltanto i creditori aderenti;
- deve essere accompagnato dalla relazione del professionista che attesti la veridicità dei dati aziendali e la fattibilità del piano, nonché l’idoneità dello stesso ad assicurare il regolare pagamento dei creditori estranei;
- gli atti compiuti in esecuzioni dell’accordo sono esenti da responsabilità penale e da revocatoria.
L’accordo di ristrutturazione agevolato può essere, tuttavia, presentato soltanto quando il debitore non proponga la moratoria dei creditori estranei agli accordi e non abbia richiesto e rinunci a richiedere le misure protettive del patrimonio.
L’accordo di ristrutturazione ad efficacia estesa consente di estendere gli effetti dell’accordo, a determinate condizioni, anche ai creditori non aderenti, in deroga alla disciplina dell’accordo di ristrutturazione ordinario e alle disposizioni del Codice civile che attribuiscono al contratto forza di legge esclusivamente tra le parti (art. 1372) e che prevedono la stipulazione a favore di terzi solo se questi accettino di profittarne (art. 1411 c.c.).
L’estensione degli effetti dell’accordo può riguardare soltanto i creditori appartenenti alla medesima categoria e che abbiano, quindi, posizione giuridica e interessi omogenei. Affinché tale estensione si produca è necessario, inoltre, che:
- tutti i creditori appartenenti alla categoria abbiano ricevuto adeguate informazioni sulla situazione del debitore, sull’accordo e sulle relative trattative, e siano stati messi in condizione di parteciparvi;
- l’accordo preveda la prosecuzione dell’attività d’impresa e la soddisfazione dei creditori in misura significativa o prevalente attraverso il ricavato della continuità aziendale;
- i creditori aderenti rappresentino il 75% dei creditori appartenenti alla categoria;
- i creditori della medesima categoria non aderenti cui vengono estesi gli effetti dell’accordo possano risultare soddisfatti in base all’accordo stesso in misura non inferiore rispetto alla liquidazione giudiziale;
- il debitore abbia notificato l’accordo, la domanda di omologazione e i documenti allegati ai creditori nei confronti dei quali chiede di estendere gli effetti dell’accordo, ai quali è attribuito il diritto di opposizione.
E’ inoltre specificamente disciplinato l’accordo ad efficacia estesa con banche ed intermediari finanziari, che si ha quando il debitore ha un indebitamento verso banche e intermediari finanziari in misura non inferiore al 50% dell’indebitamento complessivo e richiede l’estensione dell’accordo anche ai creditori non aderenti appartenenti alla medesima categoria (banche e intermediari finanziari). Per l’estensione degli effetti ai non aderenti valgono le stesse condizioni previste per gli accordi ad efficacia estesa, ma non è necessario che l’accordo preveda la continuità aziendale, potendo tale disciplina applicarsi anche in caso di accordi a carattere liquidatorio. Restano fermi i diritti dei creditori diversi da banche e intermediari finanziari.
Quando il debitore presenta ricorso per l’omologa di un accordo di ristrutturazione dei debiti, già sottoscritto dai creditori e completo della documentazione nonché della relazione del professionista che attesti la veridicità dei dati, la fattibilità del piano e l’idoneità dell’accordo a pagare i creditori estranei, contestualmente la domanda e gli accordi devono essere depositati al Registro delle imprese e acquistano efficacia da tale momento. Dalla pubblicazione al Registro delle imprese decorre inoltre il termine di 30 giorni per le opposizioni dei creditori e di ogni interessato (art. 48 co. 4 CCII).
Decorso tale termine, il Tribunale fissa l’udienza per la comparizione delle parti in camera di consiglio, decide sulle opposizioni eventualmente presentate e provvede con decreto sull’omologazione. Con il decreto di fissazione dell’udienza il Tribunale può nominare un commissario giudiziale; in ogni caso la nomina è disposta quando sono pendenti istante per l’apertura della liquidazione giudiziale se è necessario per tutelare gli interessi delle parti.
Il provvedimento di omologazione è pubblicato nel Registro delle imprese, da tale momento si producono gli effetti degli accordi anche nei confronti dei terzi. Se non omologa l’accordo e uno dei soggetti legittimati abbia presentato la relativa istanza, accertato lo stato di insolvenza del debitore, il Tribunale dichiara l’apertura della liquidazione giudiziale.
7. La convenzione di moratoria
La convenzione di moratoria, anch’essa già prevista dalla legge fallimentare, è finalizzata a disciplinare in via provvisoria gli effetti della crisi attraverso una moratoria temporanea dei crediti con la possibilità, a determinate condizioni, di estenderne gli effetti ai non aderenti.
La convenzione può essere stipulata dall’imprenditore con ogni categoria di creditori (a prescindere dal fatto che si tratti di banche o intermediari finanziari) e può avere ad oggetto la dilazione delle scadenze dei crediti, la rinuncia agli atti o la sospensione delle azioni esecutive e conservative e ogni altra misura che non comporti rinuncia al credito.
Per estendere gli effetti della moratoria ai creditori non aderenti è necessario che:
- i creditori a cui si intende estendere gli effetti siano riuniti in categorie, con posizione giuridica ed interessi economici omogenei;
- aderiscano alla convenzione i creditori rappresentanti almeno il 75% dei crediti della categoria;
- tutti i creditori appartenenti alla categoria siano informati dell’avvio delle trattative o messi in condizione di parteciparvi in buona fede;
- gli stessi creditori abbiano ricevuto complete e aggiornate informazioni sulla situazione patrimoniale, economica e finanziaria nonché sulla convenzione e sui suoi effetti.
Inoltre, è necessario che i creditori non aderenti subiscano un pregiudizio proporzionato e coerente con le ipotesi di soluzione della crisi o dell’insolvenza in concreto perseguite. Tale requisito è oggetto della relazione di attestazione di un professionista indipendente che verifica altresì la veridicità dei dati aziendali e l’idoneità della convenzione a disciplinare provvisoriamente gli effetti della crisi.
In nessun caso per effetto della convenzione di moratoria possano essere imposti ai creditori non aderenti nuovi e ulteriori oneri di finanziamento.
La convenzione deve essere comunicata, insieme alla relazione del professionista, ai creditori non aderenti mediante lettera raccomandata con avviso di ricevimento o presso il domicilio digitale. Entro trenta giorni dalla comunicazione può essere proposta opposizione avanti al Tribunale.
8. Il concordato preventivo
Il concordato preventivo è finalizzato a realizzare il soddisfacimento dei creditori in misura non inferiore rispetto a quella realizzabile mediante la liquidazione giudiziale.
Il CCII disciplina due tipologie di concordato preventivo, prevedendo regole diverse in ordine al contenuto del piano, alle modalità di voto, alle regole di distribuzione del valore, al giudizio di omologazione:
- il concordato preventivo in continuità aziendale;
- il concordato preventivo liquidatorio.
Sul concordato preventivo, si rimanda all’approfondimento pubblicato in questo articolo.
9. Il piano di ristrutturazione soggetto a omologazione
Il piano di ristrutturazione soggetto ad omologazione (PRO), previsto dall’art. 64-bis CCII, è uno strumento innovativo volto a consentire la ristrutturazione dell’imprenditore attraverso la valorizzazione di alcuni profili privatistici, come la libertà di definizione degli accordi conclusi con i creditori all’esterno di una procedura concorsuale, unita alla produzione degli effetti che normalmente derivano dall’apertura della procedura e dall’omologazione di un procedimento di concordato preventivo.
Questo strumento può essere utilizzato, su base esclusivamente spontanea e volontaria, da ogni imprenditore commerciale che dimostri di non essere “minore“, ovvero al di sotto della soglia di fallibilità prevista dalla legge fallimentare. A tal fine, l’imprenditore deve dimostrare di non superare i seguenti requisiti dimensionali di tipo oggettivo – numerico:
- attivo patrimoniale complessivo annuo di €. 300.000,00 nei tre esercizi precedenti la data di deposito dell’istanza di apertura della procedura o dall’inizio dell’attività se di durata inferiore;
- ricavi annui di €. 200.000,00 nei tre esercizi precedenti la data di deposito dell’istanza di apertura della procedura o dall’inizio dell’attività se di durata inferiore;
- debiti anche non scaduti di €. 500.000,00.
Strutturalmente il PRO ricalca la disciplina del concordato preventivo in continuità, prevedendo le diverse fasi della presentazione della domanda, ammissione, approvazione e omologazione.
Tuttavia, a differenza del concordato preventivo, il piano del PRO può prevedere la distribuzione dell’attivo senza vincoli distributivi, in deroga al principio della responsabilità patrimoniale generale dell’imprenditore di cui all’art. 2740 c.c., al principio della par condicio creditorum di cui all’art. 2741 c.c. e alle norme che regolano la graduazione delle cause legittime di prelazione (artt. 2748 e ss. c.cc.).
Nel PRO, quindi, il piano non deve essere soggetto né alla regola di priorità assoluta – come invece accade per il surplus che deriva dalla prosecuzione dell’attività per il concordato preventivo – né alla regola di priorità relativa e alla inalterabilità dell’ordine dei criteri di priorità derivanti dai diversi titoli di preferenza, a differenza di quanto accade nel concordato preventivo in continuità.
Pertanto, il piano può prevedere, ad esempio:
- assegnazioni di valori ai soci, in deroga alla collocazione postergata delle loro pretese;
- il soddisfacimento dei creditori privilegiati in misura inferiore al valore di liquidazione;
- il soddisfacimento dei creditori chirografari in misura maggiore di quelli privilegiati (ad esempio se strategici).
Inoltre, non è necessario indicare una utilità specifica da assegnare al singolo creditore, ma è sufficiente prospettare anche una mera chance e non sono fissate soglie minime di soddisfacimento, né è imposto il reperimento di nuove risorse esterne.
Fanno eccezione i soli crediti dei lavoratori privilegiati ai sensi dell’art 2751 bis, n. 1 c.c., che devono essere soddisfatti integralmente entro 30 giorni dall’omologazione.
Non è prevista transazione, cram down o altra disciplina analoga a quella di cui all’art. 88 CCII in relazione ai crediti tributari e contributivi. Questi ultimi devono essere quindi pagati integralmente, potendo il debitore fruire, per quanto attiene ai tempi di adempimento, solo delle dilazioni previste in via ordinaria per la generalità delle imprese. Ciò incide naturalmente sulla selezione dello strumenti da impiegare si fini del risanamento, ogniqualvolta tali debiti siano rilevanti e la loro ristrutturazione condizioni l’efficacia del risanamento stesso.
La suddivisione dei creditori in classi è obbligatoria, secondo il criterio della doppia omogeneità di posizione giuridica e di identità dell’interesse giuridico, con riferimento alla tipologia socio/economica (banche, fornitori, dipendenti, timing, interesse alla continuità, presenza di coobbligati etc.). Non è tuttavia possibile accedere al meccanismo della ristrutturazione trasversale dei debiti (di cui all’art. 112 co. 2 CCII), ma è ammessa la possibilità che il piano risulti approvato da ciascuna classe quando al suo interno è raggiunta la maggioranza dei crediti ammessi al voto o tramite il criterio alternativo, previsto anche per il concordato preventivo, dell’approvazione da parte dei due terzi dei creditori votanti purché all’interno della classe abbiano votato creditori rappresentanti almeno la metà dei crediti della stessa (la proposta può quindi essere approvata dal 33,3 % della massa assoluta dei creditori, se in tutte le classi si utilizzi il criterio dei 2/3 dei votanti, purché abbia votato la metà degli ammessi al voto). Sono inoltre richiamate le regole relative alla esclusione dal diritto di voto (per le classi di voto che sono pagate integralmente, in denaro, entro 180 giorni dall’omologazione) previste per il concordato in continuità.
Dalla presentazione della domanda e fino all’omologazione l’imprenditore conserva la gestione ordinaria e straordinaria dell’impresa, sotto il controllo del commissario giudiziale. Analogamente a quanto previsto per la composizione negoziata, non vi è quindi spossessamento del debitore, cui spetta la gestione dell’impresa.
L’imprenditore può dunque compiere sotto la propria responsabilità anche atti di straordinaria amministrazione (pagamenti, costituzione di prelazioni, etc.), con l’obbligo di comunicare al commissario giudiziale l’intenzione di compiere tali atti o di eseguire pagamenti non coerenti col piano di ristrutturazione. Se il commissario rileva che l’atto potrebbe arrecare pregiudizio ai creditori, deve farne segnalazione all’imprenditore; qualora quest’ultimo, nonostante la segnalazione, compia l’atto, il commissario informa il tribunale ai fini della eventuale revoca e apertura della liquidazione giudiziale per atti in frode (art. 106 CCII).
Dal deposito della domanda di accesso al PRO conseguono alcuni degli effetti previsti per il caso di concordato in continuità, tra cui quelli relativi alle misure protettive se richieste nella domanda, all’inefficacia dei diritti di prelazione acquisiti dopo la domanda nei confronti degli altri creditori concorrenti, alla prededuzione per i crediti sorti per effetto degli atti legalmente compiuti durante il procedimento, alla sospensione degli obblighi societari di riduzione del capitale per perdite e della connessa disciplina delle cause di scioglimento della società.
La fase dell’ammissione è semplificata: il Tribunale deve infatti verificare esclusivamente la mera ritualità della proposta e la correttezza della formazione delle classi. Nel decreto di ammissione il Tribunale provvede alla nomina del commissario giudiziale (cui si applica l’art. 92 CCII) e a definire la data inziale e finale per le operazioni di voto dei creditori. Sono ammesse proposte concorrenti e offerte concorrenti, stante il richiamo della relativa disciplina rispettivamente prevista dagli artt. 90 e 91 CCII.
Anche la fase dell’omologazione è disciplinata dalle stesse regole del concordato in continuità (art. 48 CCII); tuttavia non si applica l’art. 112 CCII sul contenuto del giudizio di omologazione nel concordato. In sede di omologa del PRO ciascun creditore dissenziente ha diritto di contestare la convenienza del concordato (art.64-bis comma 8 CCII), solo in tal caso il Tribunale procede alla verifica che il piano garantisce la soddisfazione del credito in misura non inferiore rispetto alla liquidazione giudiziale, e se la verifica dà esito positivo procede alla omologazione.
L’omologazione del PRO, nonostante la presenza di creditori dissenzienti, è possibile solo se esso è approvato in ciascuna classe. L’imprenditore, tuttavia, può contestare i risultati del voto attestati dalla relazione del commissario giudiziale che certifichi la mancata unanimità, richiedendo l’accertamento del conteggio al Tribunale, con richiesta da presentare entro 15 giorni dal deposito della relazione medesima.
In alternativa, l’imprenditore, qualora la proposta non abbia raggiunto l’approvazione dell’unanimità delle classi, può modificare la domanda chiedendo la conversione del procedimento in concordato preventivo. La stessa possibilità è espressamente riconosciuta all’imprenditore se un creditore contesta la convenienza del piano nelle osservazioni formulate al commissario giudiziale prima del voto e in ogni fase del procedimento, anche al di fuori delle due ipotesi espressamente regolate (art. 64-quater CCII).
Se decorso il termine di 15 giorni dal deposito della relazione l’imprenditore non chiede il riconteggio o la conversione del procedimento, il giudice delegato deve riferire al Tribunale il mancato raggiungimento dell’unanimità che, in presenza dello stato di insolvenza e della relativa domanda, può disporre l’apertura della liquidazione giudiziale (art. 111 CCII).
Gli effetti che derivano dall’omologazione del PRO sono assimilabili a quelli previsti per il concordato. Trova altresì applicazione anche la disciplina della risoluzione e annullamento del concordato. Gli atti posti in essere in esecuzione del piano sono esenti da revocatoria (art. 166 co. 3 lett. e CCII).
10. Le misure cautelari e protettive
Le misure cautelari sono qui provvedimenti emessi dal giudice competente a tutela del patrimonio o dell’impresa del debitore, che appaiano secondo le circostanze più idonei ad assicurare provvisoriamente il buon esito delle trattative e gli effetti degli strumenti di regolazione della crisi o e dell’insolvenza e delle procedure di insolvenza e l’attuazione delle relative decisioni.
Tali misure possono essere concesse anche nei procedimenti relativi agli strumenti per la ristrutturazione e anche in caso di concordato semplificato e di presentazione della domanda di concordato o di accordo di ristrutturazione dei debiti con riserva di successivo deposito del piano e della relativa documentazione.
Il Tribunale, nel corso dei procedimento, può emettere i provvedimenti cautelari – inclusa la nomina di un custode dell’azienda o del patrimonio – che appaiano i più idonei ad assicurare provvisoriamente l’attuale delle sentenze di omologazione o di apertura delle procedure di insolvenza (ad es. il sequestro conservativo o giudizio dei beni, la revoca o la temporanea sostituzione dell’organo amministrativo, l’ordine di sospensione o limitazione dei pagamenti ai creditori).
Legittimato a presentare la relativa istanza è chi ha richiesto l’apertura di una procedura per la regolazione della crisi o dell’insolvenza, secondo la legittimazione prevista per le diverse procedure. Ne consegue che essa potrà essere richiesta al Tribunale nell’ambito del concordato preventivo, nel piano di ristrutturazione soggetto ad omologazione o di un accordo di ristrutturazione dei debiti soltanto dal debitore; e dai creditori, dal pubblico ministero, dagli organi di controllo della società, dall’autorità di vigilanza, o dal debitore stesso, qualora sia stata presenta istanza per la liquidazione giudiziale.
Le misure cautelari possono inoltre essere emesse su istanza dei soggetti legittimati anche dopo l’accesso alla composizione negoziata da parte del debitore, qualora sia contemporaneamente pendente un procedimento per l’apertura della liquidazione giudiziale. In tal caso, il giudice del procedimento deve tenere conto dello stato delle trattative e delle misure protettive già concesse o confermate.
Le misure protettive, invece, sono quelle misure richieste dal solo debitore volte ad evitare che le azioni individuali dei creditori sul patrimonio del debitore o anche mere condotte degli stessi possano pregiudicare, sin dalla fase delle trattative, il buon esito delle iniziative assunte per la regolazione della crisi o dell’insolvenza, anche prima dell’accesso a uno degli strumenti di regolazione della crisi o dell’insolvenza.
Se il debitore ne fa richiesta nella domanda di accesso alle procedure, dalla pubblicazione di tale domanda nel registro delle imprese, i creditori anteriori non possono iniziare o proseguire azioni esecutive e cautelari sul patrimonio del debitore e sui i diritti con i quali viene esercitata l’attività d’impresa, a pena di nullità delle stesse, restano sospese le prescrizioni e non si verificano le decadenze. Dalla stessa data inoltre non può essere pronunciata la sentenza di apertura della liquidazione giudiziale. Gli effetti della sospensione delle azioni individuali dei creditori si producono, dunque, immediatamente dalla data della pubblicazione della domanda nel registro delle imprese, a condizione che il debitore ne faccia espressamente richiesta.
Entro trenta giorni da tale data il Tribunale deve confermare le misure protettive stabilendone la durata, che non può essere superiore a 4 mesi, salva la possibilità di eventuali proroghe o rinnovi se sono stati compiuti significativi progressi nelle trattative sul piano di ristrutturazione e se la proroga non arreca ingiusto pregiudizio ai diritti e interessi delle parti (art. 55 commi 3 e 4 CCI). Si tratta, dunque, di un meccanismo di “automatic stay” per il primo periodo (purché il debitore ne faccia richiesta), accompagnato da una successiva verifica del Tribunale in funzione di tutela dei creditori. Se il provvedimento di conferma non è adottato nel termine previsto, le misure protettive cessano di avere efficacia.
Ulteriori misure protettive atipiche, temporanee o selettive, possono essere richieste anche dopo il deposito della domanda, con una successiva istanza, per evitare che determinate azioni di uno o più creditori possano pregiudicare, sin dalla fase delle trattative, il buon esito delle iniziative assunte per la regolazione della crisi e che il patrimonio resti soggetto alle aggressioni di singoli creditori o di alcuni di essi.
Le misure protettive possono essere richieste anche nel corso delle trattative e prima del deposito della domanda di omologazione degli accordi di ristrutturazione, allegando la documentazione di cui all’articolo 39, comma 1 CCII, e la proposta di accordo corredata da un’attestazione del professionista indipendente che attesta che sulla proposta sono in corso trattative con i creditori che rappresentano almeno il sessanta per cento dei crediti e che la stessa, se accettata, è idonea ad assicurare l’integrale pagamento dei creditori con i quali non sono in corso trattative o che hanno comunque negato la propria disponibilità a trattare. Sono esclusi dall’ambito di operatività di tali misure protettive i diritti di credito dei lavoratori (art. 54, comma 7 CCII).
Sulla richiesta di concessione delle misure cautelari e protettive atipiche, nonché delle misure protettive presentate anche in fase di trattativa degli accordi di ristrutturazione dei debiti, il giudice, sentite le parti, procede nel modo che ritiene più opportuno agli atti di istruzione indispensabili alla concessione della misura richiesta. Inoltre, il giudice quando la convocazione delle parti potrebbe pregiudicare l’attuazione del provvedimento, può concedere le misure inaudita altera parte con decreto motivato. In tal caso fissa, con lo stesso decreto, l’udienza di comparizione delle parti avanti a sé, assegnando un termine perentorio al richiedente non superiore a otto giorni per la notifica del ricorso e del decreto alle altre parti. All’udienza il giudice conferma, modifica o revoca i provvedimenti già emanati con decreto.
L’ordinanza che conclude il procedimento è reclamabile. Le misure perdono efficacia al momento della pubblicazione delle sentenze di omologazione degli strumenti di regolazione della crisi e dell’insolvenza e di apertura delle procedure di insolvenza.
Su istanza del debitore o del commissario giudiziale, o in caso di atti di frode o quando l’attività intrapresa dal debitore non consente di pervenire proficuamente alla composizione assistita o alla regolazione della crisi, anche delle altre parti del procedimento o del pubblico ministero, il Tribunale può disporre la revoca o la modifica delle misure concesse.
Le misure protettive perdono efficacia al momento della pubblicazione delle sentenze di omologazione degli strumenti e di apertura delle procedure di insolvenza
11. La transazione fiscale e previdenziale
Nell’ambito degli accordi di ristrutturazione del debito, del concordato preventivo e della composizione negoziata della crisi è prevista la possibilità di accedere alla transazione fiscale e previdenziale (art. 88 CCII), che consente un pagamento ridotto dei debiti tributari e previdenziali o una dilazione degli stessi.
Possono formare oggetto di transazione i tributi e i relativi accessori amministrati dalle agenzie fiscali, nonché i contributi amministrati dagli enti gestori di forme di previdenza, assistenza e assicurazione per l’invalidità, la vecchiaia e i superstiti obbligatorie con i rispettivi accessori. Restano
invece esclusi dal novero i tributi propri degli enti locali (IMU, TARI, TOSAP/COSAP etc.), le entrate di natura non tributaria gestite dall’Agenzia delle Entrate, i crediti relativi a recuperi di aiuti di Stato dichiarati incompatibili con il mercato comune.
La proposta di transazione può essere anche parziale e riguardare una sola parte dei tributi, o dilazionata; in tal caso, restano applicabili per gli altri tributi le condizioni generali previste nel piano concordatario.
Salvo quando previsto per il concordato in continuità dall’art. 112, comma 2, CCII, con il piano di concordato il debitore può proporre il pagamento, parziale o anche dilazionato dei suddetti tributi/contributi ad alcune condizioni:
- il piano deve prevedere la soddisfazione dei crediti tributari e contributivi in misura non inferiore al valore di liquidazione derivante dalla collocazione preferenziale sui beni oggetto di prelazione;
- in caso di credito tributario o contributivo assistito da privilegio, la percentuale, i tempi di pagamento e le eventuali garanzie non possono essere inferiori o meno vantaggiosi rispetto a quanto offerto ai creditori che hanno un grado di privilegio inferiore o a quelli che hanno una posizione giuridica e interessi economici omogenei a quelli delle agenzie e degli enti gestori di forme di previdenza e assistenza obbligatorie;
- in caso di credito tributario o contributivo chirografario, il trattamento non può essere differenziato rispetto a quello degli altri crediti chirografari ovvero, in caso di suddivisione in classi, dei crediti rispetto ai quali è previsto un trattamento più favorevole.
Contestualmente al deposito presso il tribunale, deve essere presentata al competente agente della riscossione e agli altri uffici competenti sulla base dell’ultimo domicilio fiscale del debitore:
- copia della proposta e della documentazione;
- copia delle dichiarazioni fiscali per le quali non è pervenuto l’esito dei controlli
- automatici;
- copia delle dichiarazioni integrative relative al periodo fino alla data di presentazione della domanda.
L’agente della riscossione, non oltre 30 giorni dalla data di presentazione della documentazione, deve trasmettere al debitore una certificazione attestante l’entità del debito iscritto a ruolo, scaduto o sospeso. Nello stesso termine, gli uffici devono poi procedere alla liquidazione dei tributi risultanti dalle dichiarazioni, alla notifica degli avvisi di regolarità e alla certificazione attestante l’entità del debito derivante da atti di accertamento, anche se non definitivi per la parte iscritta a ruolo, nonché dai ruoli vistati, ma non ancora consegnati all’agente della riscossione.
Una volta nominato il commissario giudiziale, è trasmessa a quest’ultimo, ai fini degli adempimenti di cui agli artt. 105, comma 1, e 106 CCII, copia dell’avviso di irregolarità e delle certificazioni.
Il voto è espresso dall’ufficio, previo parere conforme della competente direzione regionale, in merito al credito chirografario complessivo e dall’agente della riscossione, limitatamente agli oneri di riscossione di cui all’ art. 17 D. lgs. n. 112/1999. Il riferimento al credito chirografario complessivo deve intendersi riferito sia alla graduazione originaria del credito sia alla sua degradazione consequenziale all’incapienza dei beni sui quali insiste il diritto di prelazione.
Il tribunale ha il potere di omologare il concordato preventivo con transazione fiscale anche in mancanza di adesione da parte dell’amministrazione finanziaria o degli enti gestori di forme di previdenza o assistenza obbligatorie quando l’adesione è determinante ai fini del raggiungimento delle percentuali di cui all’art. 109, comma 1, e, anche sulla base delle risultanze della relazione del professionista indipendente, la proposta di soddisfacimento della predetta amministrazione o degli enti gestori di forme di previdenza o assistenza obbligatorie è conveniente o non deteriore rispetto all’alternativa liquidatoria.
Dunque, le condizioni da soddisfare ai fini dell’attuazione del c.d. cram down fiscale e contributivo sono due:
- la mancanza di adesione da parte dell’Agenzia delle Entrate o degli enti gestori di
- forme di previdenza o assistenza obbligatorie;
- la convenienza del trattamento proposto rispetto all’alternativa liquidatoria.
Relativamente al requisito della convenienza, si ritiene che in caso di concordato in continuità il trattamento dei crediti tributari e contributivi non debba essere inferiore rispetto a quello che essi riceverebbero in caso di liquidazione giudiziale, mentre, nel caso del concordato liquidatorio, il trattamento dei creditori pubblici sia conveniente rispetto a quello che essi riceverebbero in caso di liquidazione giudiziale.
12. La scelta dello strumento di ristrutturazione
Oggi dunque, diversamente dal passato, ad un’impresa in stato di crisi è offerta un’ampia gamma di opzioni per affrontare ed auspicabilmente risolvere il proprio stato di crisi. L’elevato numero di strumenti rischia di creare incertezze e può anche non consentire soluzioni che siano fattibili, giuridicamente ed economicamente. Di qui la centrale importanza di scegliere il “giusto” strumento di ristrutturazione, tra quelli previsti dal CCII.
La scelta di uno dei diversi strumenti per la ristrutturazione ha infatti rilevanti ricadute sul piano dei costi della procedura, della flessibilità e autonomia contrattuale delle parti, dell’eventuale ingerenza di un soggetto terzo nella gestione (anche di nomina giudiziale), dell’intervento del Tribunale, della possibilità di ricorrere a misure protettive, delle tempistiche e la durata delle procedure, della documentazione richiesta, della possibilità di ristrutturare anche il debito tributario e contributivo.
Nella selezione dello strumento, è anzitutto prioritario l’esame del parametro soggettivo, ovvero la natura dell’impresa. Infatti, ai sensi del CCII l’impresa commerciale (non minore) può ricorrere o essere assoggettata a tutti gli istituti disciplinati dal CCII, mentre vi sono delle limitazioni per l’impresa agricola (ovvero l’attività di coltivazione del fondo, silvicoltura, allevamento di animali e attività connesse) e per l’impresa minore, ovvero l’impresa presenta congiuntamente: a) attivo patrimoniale di ammontare complessivo annuo non superiore a € 300.000,00 nei tre esercizi antecedenti la data di deposito della istanza di apertura della liquidazione giudiziale o dall’inizio dell’attività se di durata inferiore; b) ricavi per un ammontare complessivo annuo non superiore ad € 200.000,00 nei tre esercizi antecedenti la data di deposito dell’istanza di apertura della liquidazione giudiziale o dall’inizio dell’attività se di durata inferiore; c) debiti anche non scaduti non superiori a € 500.000,00).
Sia l’impresa agricola che l’impresa minore sono escluse dalla liquidazione giudiziale e non possono accedere né al concordato preventivo (v. par. 7), né al piano di ristrutturazione assoggettato ad omologazione (v. par. 8), L’impresa agricola (ma non quella minore) può accedere agli accordi di ristrutturazione (v. par. 5) e alla convenzione di moratoria (v. par. 6).
La scelta dello strumento dipende, inoltre, dalla finalità dello stesso. Infatti:
- la convenzione di moratoria (v. par. 6) e il piano attestato di risanamento (v. par. 4) presuppongono la continuazione diretta dell’attività d’impresa, consentita dalla rinegoziazione dei termini di pagamento del debito o dalla predisposizione di un piano industriale;
- gli accordi di ristrutturazione (v. par. 5) e il piano di ristrutturazione omologato (v. par. 7), avendo come finalità la ristrutturazione del debito, possono essere predisposti sia nell’ottica della continuità aziendale – anche indiretta – sia in una prospettiva liquidatoria;
- il concordato preventivo può assumere diversa fisionomia e finalità: si può avere infatti il concordato in continuità (v. par. 7) o il concordato liquidatorio (v. par. 8), che, assieme alle procedure di liquidazione giudiziaria e controllata è l’unico mezzo finalizzato all’ordinata dismissione dell’attività d’impresa;
- qualora si voglia ottenere lo stralcio di debiti erariali o contributivi, occorre ricorrere all’accordo di ristrutturazione (v. par. 5) o al concordato preventivo (v. par. 7), in quanto solo con tali strumenti si può accedere alla transazione fiscale, che consente la rinegoziazione e lo stralcio dei debiti fiscali e contributivi.
In concreto, la selezione dello strumento di ristrutturazione dovrà essere calata nel caso concreto e dovrà snodarsi nei seguenti step:
- analisi della capacità di rimborso che l’impresa può esprimere nell’opzione della liquidazione giudiziale, sia sotto il profilo del valore di liquidazione degli attivi aziendali che del possibile ricavato da azioni di responsabilità e azioni revocatorie/recuperatorie; questo è il punto di partenza per valutare l’alternativa della proposta in continuità;
- verifica, attraverso un piano di cassa a dodici mesi, se l’impresa, assumendo di non onorare le obbligazioni scadute alla data di riferimento, sia in grado di gestire regolarmente le proprie obbligazioni correnti e di non disperdere risorse a scapito dei creditori a cui è rivolta la proposta di ristrutturazione;
- valutazione e classificazione dei debiti alla data di riferimento, identificando i diversi creditori come fornitori, istituti bancari (con garanzie e senza), enti fiscali e previdenziali, e determinando quanti di essi coinvolgere sulla base di un elenco da compilare in base all’importo dell’esposizione, partendo dal più elevato al più basso;
- formulazione della proposta di ristrutturazione e di soddisfacimento da presentare ai creditori, che dovrà contenere una soluzione adeguata per il superamento della condizione di crisi.
In ogni caso, quale che sia lo strumento prescelto, è opportuno che la proposta da rivolgere ai creditori sia concreta e giuridicamente ed economicamente fattibile, in modo da garantire un equilibrio tra gli interessi delle parti coinvolte, indipendentemente dalla percentuale di stralcio che si chieda ai creditori di accettare. In particolare, il parametro di riferimento da rappresentare ai creditori per valutare la proposta ristrutturativa sarà inevitabilmente costituito dal valore che gli stessi percepirebbero nell’alternativa della liquidazione giudiziale, tenuto conto non solo del valore di liquidazione degli attivi aziendali, ma anche del possibile ricavato di azioni di responsabilità e di azioni revocatorie e/o recuperatorie.
L’avvio di un processo di ristrutturazione sarà tanto più agevole quanto più l’impresa, nel corso del normale svolgimento dell’attività, abbia gestito la propria attività con una corretta pianificazione della stessa e con un costante controllo sull’andamento aziendale, istituendo adeguati assetti organizzativi, amministrativi e contabili , capaci di consentire l’emersione tempestiva di segnali di probabilità di crisi, che dovranno essere prontamente processati dal management per l’adozione delle opportune iniziative.
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Avv. Valerio Pandolfini
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