Le pratiche commerciali scorrette
Il Codice del Consumo disciplina, in attuazione della Direttiva 2005/29/CE, le pratiche commerciali scorrette tra professionista e consumatore (comprendente anche le microimprese). Una pratica commerciale è scorretta se contraria alla diligenza professionale e idonea a falsare il comportamento economico del consumatore medio. Il C. Cons. elenca inoltre alcune pratiche che si considerano in ogni caso scorrette (ingannevoli o aggressive: c.d. black list). Il D. Lgs. n. 26/2023, entrato in vigore il 2 aprile 2023, emanato in attuazione della Direttiva Omnibus, ha modificato il C. Cons. inserendo nuove ipotesi di pratiche commerciali scorrette ed inasprendo notevolmente le sanzioni nei confronti degli operatori. Nei confronti delle pratiche commerciali scorrette sono previsti strumenti di tutela amministrativi (sanzioni dell’AGCM) e privatistici (azioni inibitorie collettive e individuali di risarcimento danni).
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1. Le pratiche commerciali scorrette: la Direttiva 2005/29/CE e la sua attuazione in Italia
La disciplina delle pratiche commerciali scorrette è stata introdotta dalla Direttiva. 2005/29/CE (la ”Direttiva”), con la finalità di arginare gli effetti negativi prodotti dall’economia di mercato concorrenziale.
In particolare la Direttiva ha la finalità di garantire che le informazioni relative alle caratteristiche principali di un prodotto o servizio – al prezzo, alle clausole fondamentali, all’esercizio di diritti contrattuali, ecc. – siano fornite ai consumatori in modo veritiero, corretto e tempestivo, affinché gli stessi possano facilmente comprendere e confrontare le diverse offerte e compiere scelte di consumo appropriate e consapevoli, e che anche le tecniche di pubblicità e di commercializzazione siano sviluppate secondo questi canoni. Ciò al fine di rafforzare la fiducia dei consumatori e di garantire, allo stesso tempo, la trasparenza del Mercato, prevenendo la concorrenza sleale all’interno dell’UE.
Con riferimento ai “servizi finanziari” – definiti dalla Direttiva come “qualsiasi servizio di natura bancaria, creditizia, assicurativa, servizi pensionistici individuali, di investimento o di pagamento” – ai sensi del par. 9 dell’art. 3 della Direttiva veniva lasciata la possibilità agli Stati membri di imporre obblighi più dettagliati o vincolanti di quelli previsti dalla Direttiva stessa, in quanto per tali servizi occorrono obblighi particolareggiati, tenuto conto della loro complessità e dei rischi per i consumatori.
L’attuazione della Direttiva nell’ordinamento italiano è avvenuta attraverso l’emanazione di tre distinti decreti legislativi:
- il lgs. n. 145/2007, che ha trasposto la disciplina originariamente prevista dal D.lgs. n. 74/1992 sulla pubblicità ingannevole nel D.lgs. n. 206/2005, (Codice del consumo, “C. Cons.”);
- il lgs. n. 146/2007, che ha modificato il titolo III del C. Cons. (artt. 18 – 27), vietando le pratiche commerciali realizzate da un professionista ove esse siano contrarie alla diligenza professionale, nonché idonee a falsare il comportamento economico del consumatore medio;
- il lgs. n. 221/2007, che ha ulteriormente integrato il C. Cons. introducendo, tra i diritti “fondamentali” dei consumatori e degli utenti, anche quello “dell’esercizio delle pratiche commerciali secondo i principi di buona fede, correttezza e lealtà”.
Con l’entrata in vigore dei decreti legislativi nn. 145 e 146 del 2007, la tutela contro la pubblicità ingannevole, se rivolta a imprese concorrenti è disciplinata dal D.lgs. n. 145/2007, mentre se rivolta ai consumatori integra quei comportamenti che, contrari alla diligenza professionale, sono idonei a falsare il comportamento del consumatore, rientra nella più ampia pratica commerciale ingannevole di cui all’art. 21 C. Cons. (vedi par. 3)
2. Pratiche commerciali scorrette: ambito soggettivo e oggettivo della disciplina
Sotto il profilo soggettivo, la normativa sulle pratiche commerciali scorrette si applica ai rapporti tra:
- consumatori, intesi come “qualsiasi persona fisica che, nelle pratiche commerciali oggetto del presente titolo, agisce per fini che non rientrano nel quadro della sua attività commerciale, industriale, artigianale o professionale” (art. 18 lett. a C. Cons.), e
- professionisti, cioè “qualsiasi persona fisica o giuridica che, nelle pratiche commerciali oggetto del presente titolo, agisce nel quadro della sua attività commerciale, industriale, artigianale o professionale e chiunque agisce in nome o per conto di un professionista” (art. 18 lett.b C. Cons.).
La definizione di consumatore richiama espressamente quella generale, di matrice comunitaria, contenuta nell’art. 3, lett. a) C. Cons., ed è imperniata su due criteri distintivi: uno positivo, in base al quale il consumatore è una persona fisica, e uno negativo, per cui consumatore è colui che agisce per scopi estranei alla propria attività professionale.
Anche la nozione di professionista ricalca quella generale prevista dal C. Cons., in particolare, affinché ricorra la figura del professionista, non è necessario che il contratto sia posto in essere nell’esercizio dell’attività propria dell’impresa o della professione, essendo sufficiente che esso venga posto in essere per uno scopo connesso all’esercizio dell’attività imprenditoriale o professionale.
Il DL n. 1/2012 (c.d. “Decreto Liberalizzazioni”), convertito nella L. n. 27/2012, ha esteso il divieto di pratiche commerciali scorrette oltre i rapporti tra professionisti e consumatori, includendovi anche quelli tra professionisti e “microimprese”, definite come le imprese che, esercitando un’attività economica anche a titolo individuale o familiare, occupano meno di 10 persone e realizzano un fatturato annuo o un totale di bilancio annuo non superiori a Euro 2 mln. Anche le microimprese sono soggette quindi alla disciplina delle pratiche commerciali scorrette, venendo sotto tale aspetto equiparate ai consumatori.
Sotto il profilo oggettivo, l’art. 18, comma 1, lett. d) C. Cons. definisce la “pratica commerciale” come “qualsiasi azione, omissione, condotta o dichiarazione, comunicazione commerciale ivi compresa la pubblicità e la commercializzazione del prodotto, posta in essere da un professionista in relazione alla promozione, vendita o fornitura di un prodotto ai consumatori”.
Si tratta di una nozione molto ampia, che abbraccia qualsiasi comportamento, positivo o negativo, attivo o passivo, idoneo a falsare le scelte di un soggetto che, non entrando in contatto con l’impresa come suo pari bensì come un consumatore di media accortezza e conoscenza, non ha generalmente quella dimestichezza con le pratiche del commercio che gli consentano una serena ed obiettiva scelta sul se contrarre e a quali condizioni, e può essere quindi indotto a compiere una scelta negoziale, ovvero a contrarre anche quando non avrebbe voluto farlo o avrebbe voluto farlo a condizioni diverse.
In questo senso, la normativa sulle pratiche commerciali scorrette abbraccia non soltanto tutte le condotte strettamente funzionali alla conclusione di contratti di vendita di beni o di svolgimento di servizi, ma anche tutte le azioni ed omissioni che, in maniera diretta o indiretta, possono influenzare o distorcere) la libertà di scelta del consumatore che entri anche potenzialmente il contatto con il professionista, a prescindere dalla stipulazione di un contratto.
Ai sensi dell’art. 20, comma 2, C. Cons. una pratica commerciale è considerata scorretta “se è contraria alla diligenza professionale, ed è falsa o idonea a falsare in misura apprezzabile il comportamento economico, in relazione al prodotto, del consumatore medio che essa raggiunge o al quale è diretta o del membro medio di un gruppo qualora la pratica commerciale sia diretta a un determinato gruppo di consumatori”.
La scorrettezza di una pratica commerciale è dunque ancorata a due parametri:
- la diligenza professionale;
- l’idoneità a falsare il comportamento economico del consumatore medio.
La diligenza professionale, ai sensi dell’art. 18, comma 1, lett. h) C. Cons. deve essere intesa come il “normale grado della specifica competenza ed attenzione che ragionevolmente i consumatori attendono da un professionista nei loro confronti rispetto ai principi generali di correttezza e buona fede nel settore di attività del professionista”. Si tratta quindi di una clausola generale, che definisce uno standard comportamentale riferibile alla correttezza di ogni pratica commerciale, e che, al contempo, deve essere rapportata a tutte le circostanze concrete dei casi oggetto di valutazione.
In particolare, una pratica commerciale è contraria alla diligenza professionale qualora il professionista violi, in base alle circostanze del caso concreto, i principi di perizia, attenzione, cura e salvaguardia che devono essere seguiti dal professionista che opera in un determinato settore (c.d. agente modello). Maggiore è la complessità del settore, maggiore è il livello di chiarezza e completezza per le informazioni che il professionista deve fornire, in modo da riequilibrare le posizioni delle parti in gioco, e permettere ai consumatori di assumere decisioni commerciali consapevoli.
Per quanto riguarda invece la falsità o idoneità a falsare in misura apprezzabile il comportamento economico del consumatore medio, ciò che rileva è “l’impiego di una pratica commerciale idonea ad alterare sensibilmente la capacità del consumatore di prendere una decisione consapevole, inducendolo pertanto ad assumere una decisione di natura commerciale che non avrebbe altrimenti preso”; laddove per decisione di natura commerciale, si deve intendere (art. 18 lettera m) C. Cons.) “la decisione presa da un consumatore relativa a se acquistare o meno un prodotto, in che modo farlo e a quali condizioni, se pagare integralmente o parzialmente, se tenere un prodotto o disfarsene o se esercitare un diritto contrattuale in relazione al prodotto”.
La rilevanza giuridica della pratica commerciale deve essere valutata nell’ottica del “consumatore medio”, definito dal considerando 18 della Direttiva come il consumatore “normalmente informato e ragionevolmente attento ed avveduto, tenendo conto di fattori sociali, culturali e linguistici”. Il parametro di riferimento è quindi costituito dal consumatore normalmente informato e ragionevolmente attento e avveduto in relazione a un dato prodotto o mercato.
Qualora, poi, vengano in rilievo pratiche commerciali che sono idonee a falsare in misura apprezzabile il comportamento economico solo di un gruppo di consumatori chiaramente individuabile, particolarmente vulnerabili alla pratica o al prodotto cui essa si riferisce a motivo della loro infermità mentale o fisica, della loro età o ingenuità, in un modo che il professionista poteva ragionevolmente prevedere, occorre fare riferimento al consumatore medio di tale gruppo (ad esempio bambini, o adolescenti, o soggetti comunque più deboli a causa di uno stato di bisogno o disagio fisico, psichico o economico).
3. Le pratiche commerciali ingannevoli e aggressive
Il C. Cons. distingue le pratiche commerciali scorrette in due categorie:
- pratiche commerciali ingannevoli;
- pratiche commerciali aggressive.
Una pratica commerciale è definita ingannevole dall’art. 21 C. Cons. quando “contiene informazioni non rispondenti al vero o, seppure di fatto corretta, in qualsiasi modo, anche nella sua presentazione complessiva, induce o è idonea ad indurre in errore il consumatore medio riguardo ad uno o più dei seguenti elementi e, in ogni caso, lo induce o è idonea a indurlo ad assumere una decisione di natura commerciale che non avrebbe altrimenti preso”.
La categoria delle pratiche commerciali ingannevoli comprende quindi le pratiche che sono idonee a falsare il processo decisionale del consumatore, inducendolo in errore circa la natura e l’esistenza del prodotto, le sue caratteristiche qualitative principali e il prezzo, il processo di commercializzazione e gli obblighi del professionista, le qualità del commerciante e la titolarità dei diritti di proprietà industriale o i diritti del consumatore.
Le pratiche ingannevoli possono distinguersi in positive, ossia quelle realizzate mediante un’azione che ingenera confusione con i prodotti o i segni distintivi di un concorrente (inclusa dunque la pubblicità comparativa illecita), e omissive, in cui l’inganno si concreta in un’omissione, la cui illegittimità ai sensi dell’art. 22 C. Cons. deve essere valutata tenendo conto delle circostanze concrete e del mezzo utilizzato per la comunicazione commerciale. Alle pratiche omissive vanno ascritte anche comunicazioni commerciali poco chiare, ambigue, incomprensibili e oscure, purché idonee, sia ben chiaro, ad indurre il consumatore a una decisione che non avrebbe altrimenti preso.
L’elenco delle pratiche commerciali ingannevoli di cui all’art. 21 C. Cons. è stato arricchito da un nuovo comma 3-bis, introdotto dal D.L. n. 1/2012 (c.d. “Decreto Salva Italia”), convertito nella L. n. 27/2012, secondo cui “è considerata scorretta la pratica commerciale di una banca, di un istituto di credito o di un intermediario finanziario che, ai fini della stipula di un contratto di mutuo, obbliga il cliente alla sottoscrizione di una polizza assicurativa erogata dalla medesima banca, istituto o intermediario ovvero all’apertura di un conto corrente presso la medesima banca, istituto o intermediario”.
La norma ha la finalità di ampliare la libertà del consumatore che chiede un prestito, consentendogli sia di mantenere il conto corrente presso la propria banca anche laddove decida di chiedere un prestito ad un’altra, sia di scegliere la copertura assicurativa che ritenga più adeguata alle proprie esigenze, in maniera del tutto svincolata dalle eventuali richieste dell’istituto erogatore del mutuo. La norma ha posto così fine alla prassi della c.d. “vendita abbinata” o “tying”, per la quale gli intermediari bancari e finanziari solevano subordinare l’erogazione di un finanziamento alla stipula di contratti aggiuntivi.
Il D. Lgs. n. 26/2023, entrato in vigore il 2 aprile 2023, emanato in attuazione della Direttiva (UE) 2019/2161 (c.d. Direttiva Omnibus) ha aggiunto all’art. 21, comma 2, C. Cons., alla lett. b-bis, la nuova pratica ingannevole della “Dual Quality“, ossia la promozione di un bene, in uno Stato membro, come identico a un altro bene commercializzato in altri Stati membri, nonostante il bene promozionato abbia composizione e caratteristiche significativamente diverse dal bene venduto all’estero.
Inoltre, all’elenco delle informazioni ritenute rilevanti ai fini di una possibile omissione ingannevole, sono state aggiunte le seguenti informazioni (art. 22 C. Cons.):
- il fatto che un soggetto che offre prodotti sui mercati online è un professionista oppure no;
- i criteri di classificazione dei risultati di ricerca – da rendere disponibili in un’apposita sezione del sito accessibile dalla pagina che mostra i risultati – ove venga offerta ai consumatori la possibilità di cercare i prodotti offerti da diversi professionisti o da consumatori sulla base di una ricerca sotto forma di parola chiave, frase o altri dati;
- nei casi in cui il professionista fornisce l’accesso alle recensioni dei consumatori, il modo in cui il professionista garantisce che le recensioni pubblicate provengano da consumatori che hanno effettivamente acquistato o utilizzato un prodotto.
L’altro gruppo di pratiche commerciali scorrette è rappresentato dalle pratiche aggressive, le quali consistono, ai sensi dell’art. 24 C. Cons., nei comportamenti che, nel singolo caso concreto, inducono il consumatore medio a compiere una scelta commerciale che altrimenti non avrebbe fatto sotto l’influsso di varie circostanze quali il tempo, il lungo e persistenza della pratica, il ricorso a minacce fisiche, verbali e ad azioni legali, la frapposizione di ostacoli di natura non contrattuale al fine di limitare i diritti dei destinatari della pratica, lo sfruttamento di eventi tragici o di alto impatto emotivo, il compimenti di molestie e il ricorso alla coercizione anche fisica e all’indebito condizionamento.
Due sono quindi gli elementi che compongono la pratica aggressiva:
- un elemento strutturale, consistente nel tipo di mezzo aggressivo utilizzato (dalla coercizione all’indebito condizionamento);
- un elemento funzionale, ovvero l’idoneità, analogamente alle pratiche ingannevoli, ad indurre il consumatore ad una scelta che altrimenti non avrebbe preso.
4. La ” black list”
Accanto ai divieti generali delle pratiche ingannevoli e aggressive, gli artt. 23 e 26 C. Cons. prevedono due elenchi tassativi diii pratiche da considerarsi “in ogni caso” ingannevoli e aggressive (cd. “black list”). In tali casi, il riscontro della scorrettezza della pratica prescinde da ogni apprezzamento concreto circa la sussistenza dei requisiti necessari per la valutazione generale di scorrettezza, ingannevolezza e aggressività, e, segnatamente, della contrarietà alla diligenza professionale, dell’idoneità ad ingannare o condizionare o influenzare il comportamento economico del consumatore medio.
Il consumatore è quindi agevolato sul versante dell’onere della prova circa l’influenza di quel particolare comportamento dell’impresa sulla libera formazione della sua volontà, risultando esonerato dalla verifica se l‘attività o l’omissione, in spregio dei cannoni di buona fede e di correttezza professionale, abbia influito sul proprio libero convincimento in modo da incidere sulle sue scelte in maniera rilevante.
Sono considerate in ogni caso ingannevoli le seguenti pratiche:
- affermazione, da parte di un professionista, di essere firmatario di un codice di condotta, ove egli non lo sia;
- esibire un marchio di fiducia, un marchio di qualità o un marchio equivalente senza aver ottenuto la necessaria autorizzazione;
- asserire che un codice di condotta ha l’approvazione di un organismo pubblico o di altra natura, ove esso non la abbia;
- asserire che un professionista o un prodotto è stato approvato, accettato o autorizzato da un organismo pubblico o privato quando esso non lo sia stato o senza rispettare le condizioni dell’approvazione, dell’accettazione o dell’autorizzazione ricevuta;
- invitare all’acquisto di prodotti ad un determinato prezzo senza rivelare l’esistenza di ragionevoli motivi che il professionista può avere per ritenere che non sarà in grado di fornire o di far fornire da un altro professionista quei prodotti o prodotti equivalenti a quel prezzo entro un periodo e in quantità ragionevoli in rapporto al prodotto, all’entità della pubblicità fatta dal prodotto e al prezzo offerti (cd. pubblicità propagandistica);
- invitare all’acquisto di prodotti ad un determinato prezzo e successivamente:
- rifiutare di mostrare l’articolo pubblicizzato ai consumatori, oppure
- rifiutare di accettare ordini per l’articolo o di consegnarlo entro un periodo di tempo ragionevole, oppure
- fare la dimostrazione dell’articolo con un campione difettoso, con l’intenzione di promuovere un altro prodotto (cd. pubblicità con prodotti civetta);
- dichiarare falsamente che il prodotto sarà disponibile solo per un periodo molto limitato o che sarà disponibile solo a condizioni particolari per un periodo di tempo molto limitato, in modo da ottenere una decisione immediata e privare i consumatori della possibilità o del tempo sufficiente per prendere una decisione consapevole;
- impegnarsi a fornire l’assistenza post-vendita a consumatori con i quali il professionista ha comunicato prima dell’operazione commerciale in una lingua diversa dalla lingua ufficiale dello Stato membro in cui il professionista è situato e poi offrire concretamente tale servizio soltanto in un’altra lingua, senza chiaramente comunicarlo al consumatore prima che questi si sia impegnato a concludere l’operazione;
- affermare o generare comunque l’impressione che la vendita del prodotto è lecita, ove non lo sia;
- presentare i diritti conferiti ai consumatori dalla legge come una caratteristica propria dell’offerta fatta dal professionista;
- impiegare contenuti redazionali nei media per promuovere un prodotto, qualora i costi di tale promozione siano stati sostenuti dal professionista senza che ciò emerga chiaramente dai contenuti o da immagini o suoni chiaramente individuabili per il consumatore (cd. pubblicità redazionale);
- formulare affermazioni di fatto inesatte per quanto riguarda la natura e la portata dei rischi per la sicurezza personale del consumatore o della sua famiglia se egli non acquistasse il prodotto;
- promuovere un prodotto simile a quello fabbricato da un particolare produttore in modo tale da fuorviare deliberatamente il consumatore facendogli credere che il prodotto è fabbricato dallo stesso produttore mentre invece non lo è;
- avviare, gestire o promuovere un sistema di promozione a carattere piramidale nel quale il consumatore fornisce un contributo in cambio della possibilità di ricevere un corrispettivo derivante principalmente dall’entrata di altri consumatori nel sistema piuttosto che dalla vendita o dal consumo di prodotti;
- affermare che il professionista sta per cessare l’attività o traslocare, ove non stia per farlo;
- affermare che alcuni prodotti possono facilitare la vincita in giochi d’azzardo;
- affermare falsamente che un prodotto ha la capacità di curare malattie, disfunzioni o malformazioni;
- comunicare informazioni di fatto inesatte sulle condizioni di mercato o sulla possibilità di ottenere il prodotto allo scopo d’indurre il consumatore ad acquistare il prodotto a condizioni meno favorevoli di quelle normali di mercato;
- affermare in una pratica commerciale che si organizzano concorsi o promozioni a premi senza attribuire i premi descritti o un equivalente ragionevole;
- descrivere un prodotto come gratuito, senza oneri o simili se il consumatore deve pagare un sovrappiù rispetto all’inevitabile costo di rispondere alla pratica commerciale e ritirare o farsi recapitare l’articolo;
- includere nel materiale promozionale una fattura o analoga richiesta di pagamento che dia al consumatore l’impressione di aver già ordinato il prodotto in commercio mentre non lo ha fatto;
- falsamente dichiarare o dare l’impressione che il professionista non agisca nel quadro della sua attività commerciale, industriale, artigianale o professionale, o presentarsi falsamente come consumatore;
- dare la falsa impressione che i servizi post-vendita relativi a un prodotto siano disponibili in uno Stato membro diverso da quello in cui è venduto il prodotto.
Il D. Lgs. n. 26/2023 ha aggiunto alla black list delle pratiche commerciali considerate ingannevoli (art. 23 C. Cons.) le seguenti ipotesi:
- in caso di fornitura di risultati di ricerca in risposta a una ricerca online, la mancata chiara indicazione di annunci pubblicitari a pagamento o di pagamento volti a ottenere una migliore classificazione dei prodotti tra tali risultati (lett. m-bis);
- la rivendita ai consumatori di biglietti per eventuali acquistati dal professionista tramite strumenti automatizzati volti a eludere eventuali limiti circa il numero di biglietti acquistabili a persona o altre norme legate all’acquisto dei biglietti (lett. bb-bis);
- l’invio da parte del professionista (o l’incarico ad altra persona all’invio) di recensioni o apprezzamenti falsi o la fornitura di false informazioni circa tali recensioni e apprezzamenti al fine di promuovere i propri prodotti (lett. bb-ter);
- l’uso di recensioni di un prodotto da consumatori che hanno effettivamente utilizzato oacquistato il prodotto senza tuttavia adottare misure ragionevoli e proporzionate per verificare che le recensioni provengano da tali consumatori ( lett. bb-quater).
Sono invece considerate in ogni caso aggressive le seguenti pratiche:
- creare l’impressione che il consumatore non possa lasciare i locali commerciali fino alla conclusione del contratto;
- effettuare visite presso l’abitazione del consumatore, ignorando gli inviti del consumatore a lasciare la sua residenza o a non ritornarvi, fuorché nelle circostanze e nella misura in cui siano giustificate dalla legge nazionale ai fini dell’esecuzione di un’obbligazione contrattuale;
- effettuare ripetute e sgradite sollecitazioni commerciali per telefono, via fax, per posta elettronica o mediante altro mezzo di comunicazione a distanza, fuorché nelle circostanze e nella misura in cui siano giustificate dalla legge nazionale ai fini dell’esecuzione di un’obbligazione contrattuale;
- imporre al consumatore che intenda presentare una richiesta di risarcimento in virtù di una polizza di assicurazione di esibire documenti che non potrebbero ragionevolmente essere considerati pertinenti per stabilire la validità della richiesta, o omettere sistematicamente di rispondere alla relativa corrispondenza, al fine di dissuadere un consumatore dall’esercizio dei suoi diritti contrattuali;
- includere in un messaggio pubblicitario un’esortazione diretta ai bambini affinché acquistino o convincano i genitori o altri adulti ad acquistare loro i prodotti reclamizzati;
- esigere il pagamento immediato o differito o la restituzione o la custodia di prodotti che il professionista ha fornito, ma che il consumatore non ha richiesto (fornitura non richiesta);
- informare esplicitamente il consumatore che se non acquista il prodotto o servizio sarà in pericolo il lavoro o la sussistenza del professionista;
- dare la falsa impressione che il consumatore abbia già vinto, vincerà o vincerà compiendo una determinata azione un premio o una vincita equivalente, mentre in effetti:
-
- non esiste alcun premio né vincita equivalente, oppure
- qualsiasi azione volta a reclamare il premio o altra vincita equivalente è subordinata al versamento di denaro o al sostenimento di costi da parte del consumatore.
In definitiva, dunque, per verificare se una determinata pratica commerciale debba considerarsi scorretta occorre:
- in primo luogo, verificare se la pratica in questione è ricompresa nell’elenco della black list (nel qual caso la pratica deve essere ritenuta automaticamente scorretta);
- in caso di esito negativo, stabilire se la pratica si configura comunque come pratica ingannevole o aggressiva;
- qualora anche tale secondo passaggio dia esito negativo, verificare se la pratica non sia contraria alla diligenza professionale e idonea a falsare in misura rilevante il comportamento economico del consumatore.
5. Le sanzioni dell’AGCM per pratiche commerciali scorrette
L’art. 27, comma 1, C. Cons. individua nell’Autorità Garante per la concorrenza e il mercato (AGCM) l’organo preposto alla repressione delle pratiche commerciali scorrette, deferendo alla competenza esclusiva del giudice amministrativo il giudizio di impugnazione delle decisioni emanate dall’AGCM. Spetta quindi all’AGCM la competenza esclusiva ad intervenire, in via amministrativa, nei confronti delle condotte dei professionisti che integrino una pratica commerciale scorretta, inibendone la continuazione ed eliminandone gli effetti.
La procedura istruttoria in materia di pratiche commerciali scorrette è disciplinata dal Regolamento AGCM n. 237/2012. L’Autorità può attivarsi d’ufficio o su istanza di ogni soggetto o organizzazione che ne abbia interesse. La segnalazione deve contenere le generalità del segnalante e l’individuazione della pratica ritenuta scorretta, cioè contraria a quanto previsto nel C. Cons. L’Autorità comunica l’apertura dell’istruttoria al professionista e, in caso di particolare urgenza (per evitare, ad esempio, il prodursi di danni gravi e irreparabili), può disporre con provvedimento motivato la sospensione provvisoria, in via cautelativa, della pratica commerciale scorretta.
L’AGCM dispone di ampi poteri di indagine, potendo:
- effettuare ispezioni presso chiunque sia ritenuto in possesso di documenti utili ai fini dell’istruttoria, avvalendosi anche della collaborazione della Guardia di Finanza;
- richiedere informazioni e documenti a qualsiasi soggetto pubblico o privato;
- consultare esperti e disporre perizie ed analisi statistiche ed economiche.
L’Autorità, ad eccezione dei casi di manifesta scorrettezza e gravità della pratica commerciale, può ottenere dal professionista responsabile la presentazione di impegni idonei a porre fine all’infrazione, cessandone la diffusione o modificandola in modo tale da eleminare i profili di illegittimità. In tal caso, l’Autorità può anche disporre la pubblicazione della dichiarazione degli impegni a cura e a spese del professionista.
Di fronte ad un comportamento scorretto, inoltre, l’AGCM può invitare l’impresa a rimuovere i comportamenti oggetto di contestazione (moral suasion). Nel caso in cui l’Autorità valuti gli impegni assunti come idonei, può renderli obbligatori per il professionista e in tal modo definire il procedimento senza accertamento dell’infrazione.
Se, al termine dell’istruttoria, l’Autorità accerta la sussistenza di una pratica commerciale scorretta, la stessa può:
- vietare la continuazione delle pratiche commerciali scorrette ed ordinare l’eliminazione degli effetti;
- irrogare una sanzione amministrativa pecuniaria;
- imporre, a cura e a spese del professionista, la pubblicazione della propria delibera o di una dichiarazione rettificativa, in modo tale da impedire che la pratica commerciale scorretta continui a produrre i suoi.
Il D. Lgs. n. 26/2023 ha considerevolmente inasprito le sanzioni ai professionisti che violano la normativa in materia di pratiche commerciali scorrette, con l’obiettivo di scongiurare il rischio che le sanzioni applicabili alle violazioni più gravi abbiano una limitata efficacia deterrente per i professionisti con fatturato particolarmente elevato.
In particolare:
- l’ AGCM può applicare una sanzione da 5.000,00 Euro a 10.000.000 Euro (è stato quindi raddoppiato il limite massimo edittale della sanzione irrogabile);
- in caso di inottemperanza ai provvedimenti di urgenza e a quelli inibitori o di rimozione degli effetti delle pratiche e degli impegni assunti, l’AGCM può applicare una sanzione da 10.000,00 Euro a 10.000.000 Euro (anche in questo caso è stato raddoppiato il massimo edittale);
- la sanzione nei confronti di operatori transfrontalieri a norma dell’art. 21 del regolamento (UE) 2017/2394 (c.d. regolamento CPC – Consumer Protection Coordination), ossia relative a infrazioni aventi una dimensione unionale, è pari al 4% del fatturato da essi realizzato in Italia (in mancanza di tale dato, il massimo edittale sarà invece pari a 2.000.000 Euro).
Ai fini dell’irrogazione della sanzione, l’ Autorità tiene conto, ove appropriato, di un insieme di criteri non esaustivi (art. 27, comma 9-ter, C. Cons.):
- natura, gravità, entità e durata della violazione;
- eventuali azioni intraprese dal professionista per attuare il danno subito dai consumatori o porvi rimedio;
- eventuali violazioni commesse in precedenza dal professionista;
- i benefici finanziari conseguiti o le perdite evitate dal professionista in conseguenza della violazione, se i relativi dati sono disponibili;
- le sanzioni inflitte al professionista per la medesima violazione in altri Stati membri in casi transfrontalieri, di cui siano disponibili informazioni;
- eventuali altri fattori aggravanti o attenuanti.
Le sanzioni previste per le pratiche commerciali scorrette si applicano anche alle clausole vessatorie nei contratti tra professionista e consumatore, di cui all’art. 33 C. Cons. Il D. Lgs. n. 26/2023 prevede infatti che, in aggiunta alla declaratoria di nullità della singola clausola, l’AGCM può irrogare anche delle sanzioni particolarmente elevate nel caso in cui rivenga l’uso di clausole vessatorie nei contratti tra imprese e consumatori (B2C).
6. Gli strumenti di tutela civilistici nei confronti delle pratiche commerciali scorrette
La reazione alle pratiche commerciali scorrette non è affidata esclusivamente all’AGCM. Accanto alla tutela amministrativa (public enforcement), che attiene all’ambito della concorrenza del mercato, vi è quella privatistica, affidata all’Autorità Giudiziaria (private enforcement) che opera proteggendo il soggetto debole del rapporto, ovvero il consumatore, rimuovendo gli effetti che la pratica commerciale scorretta ha già prodotto sullo stesso (c.d. doppio binario di tutela).
Il C. Cons. prevede anzitutto, in materia di pratiche commerciali scorrette, forme di tutela per il consumatore di tipo collettivo. L’esigenza di assicurare al consumatore una tutela di tipo collettivo nasce dalla circostanza per cui nella realtà economica attuale gli interessi dei consumatori e degli utenti sono quotidianamente messi a confronto con l’attività di produzione e distribuzione di massa, dalla quale possono scaturire lesioni ad una generalità, potenzialmente anche molto elevata, di persone. In simili situazioni, il singolo danneggiato si trova spesso impossibilitato ad adire le vie legali individualmente, in ragione:
- dell’inadeguatezza dello strumento processuale, anche a causa della cronica inefficienza del sistema giudiziario;
- della asimmetria di tipo “economico-informativo” (il consumatore dispone generalmente di minori risorse ed informazioni rispetto alla sua controparte professionale) e “processuale”, rappresentata dal divario tra l’utilità della tutela individuale rispetto al costo che il consumatore affronta nel momento in cui decide di intraprendere un processo.
Di qui l’esigenza di uno strumento di tutela di tipo collettivo, in grado di annullare l’asimmetria tra i diritti riconosciuti in astratto dall’ordinamento positivo e la loro concreta realizzazione nel processo ed elevando il grado di tutela dei consumatori, anche in virtù della funzione di deterrenza che la minaccia dell’iniziativa collettiva è in grado di esercitare nel dissuadere i comportamenti scorretti delle imprese.
In questo senso, l’art. 140 C. Cons. prevede la possibilità per le associazioni dei consumatori e degli utenti, che soddisfino i requisiti di cui all’art. 137 C. Cons., di chiedere al giudice ordinario una inibitoria collettiva della pratica commerciale scorretta, ovvero di:
- inibire gli atti e i comportamenti lesivi degli interessi dei consumatori e degli utenti;
- adottare le misure idonee a correggere o eliminare gli effetti dannosi delle violazioni accertate;
- ordinare la pubblicazione del provvedimento su uno o più quotidiani a diffusione nazionale oppure locale nei casi in cui la pubblicità del provvedimento può contribuire a correggere o eliminare gli effetti delle violazioni.
Accanto all’azione inibitoria, l’art. 140 C. Cons. lett. b) prevede un ulteriore strumento di tutela collettiva, legittimando le associazioni dei consumatori a richiedere al tribunale competente di adottare tutte le misure idonee a correggere o eliminare gli effetti dannosi delle violazioni accertate. A differenza della tutela inibitoria, che svolge una funzione preventiva, la tutela in esame ha funzione repressiva, essendo diretta a eliminare gli effetti della condotta illecita. La richiesta di misure idonee può essere proposta contestualmente all’inibitoria, ma anche indipendentemente da quest’ultima.
L’art. 140-bis C. Cons., prevede inoltre l’azione di classe (class action), la quale ha per oggetto l’accertamento della responsabilità e la condanna al risarcimento del danno e alle restituzioni in favore degli utenti consumatori. L’azione di classe tutela:
- i diritti contrattuali di una pluralità di consumatori e utenti che versano nei confronti di una stessa impresa in situazione omogenea, inclusi i diritti relativi a contratti stipulati ai sensi degli articoli 1341 e 1342 del Codice civile;
- i diritti omogenei spettanti ai consumatori finali di un determinato prodotto o servizio nei confronti del relativo produttore, anche a prescindere da un diretto rapporto contrattuale;
- i diritti omogenei al ristoro del pregiudizio derivante agli stessi consumatori e utenti da pratiche commerciali scorrette o da comportamenti.
L’adesione all’azione di classe comporta da parte del singolo consumatore la rinuncia a ogni azione restitutoria o risarcitoria individuale fondata sul medesimo titolo. La legittimazione ad agire è attribuita a ciascun componente della classe, il quale può agire in proprio o anche mediante associazioni a cui dà mandato o comitati a cui partecipa. la sentenza che definisce il giudizio fa stato anche nei confronti degli aderenti all’azione. Gli appartenenti alla classe che sono rimasti estranei al procedimento, possono agire individualmente.
L’azione di classe è stata recentemente riformata dalla L. n. 31/2019, che ne ha ampliato l’ambito di applicazione dal punto di vista sia oggettivo che oggettivo (non più solo consumatori ma qualunque soggetto giuridico, incluse le imprese, titolare di diritti individuali omogenei).
Per quanto attiene alla tutela individuale del consumatore, la Direttiva nel dettare la disciplina delle pratiche commerciali sleali non prescrive quali siano le forme di tutela privatistica individuale nel caso in cui un professionista ponga in essere una pratica scorretta, limitandosi ad obbligare i singoli ordinamenti a predisporre degli strumenti effettivi, proporzionali e dissuasivi contro le pratiche commerciali scorrette. In questo senso, l’art. 19 C. Cons., al comma 2, lett. a) dispone che non è pregiudicata l’applicazione delle disposizioni normative in materia contrattuale, in particolare delle norme sulla formazione, validità od efficacia del contratto.
Il D. Lgs. n. 26/2023 ha inserito nel C. Cons. la previsione secondo cui i consumatori lesi da pratiche commerciali scorrette, fatti salvi gli ulteriori rimedi a loro disposizione, possono adire il giudice ordinario al fine di ottenere rimedi proporzionati ed effettivi, compresi il risarcimento del danno subito e, ove applicabile, la riduzione del prezzo o la risoluzione del contratto, tenuto conto, se del caso, della gravità e natura della pratica commerciale scorretta, del danno subito e di altre circostanze pertinenti (art. 27, comma 15-bis, C. Cons.).
In proposito, occorre evidenziare che un contratto stipulato in seguito ad una pratica commerciale scorretta non può per ciò solo considerarsi nullo, potendo viceversa essere annullabile (per errore, violenza o dolo) qualora ricorrano i presupposti previsti dal Codice civile.
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Avv. Valerio Pandolfini
Avvocato specializzato in E-commerce
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