Il concordato preventivo
Il concordato preventivo è uno strumento di centrale importanza nella regolazione della crisi d’impresa, essendo il più collaudato fra i mezzi di ristrutturazione delle realtà produttive. Si tratta di un istituto finalizzato a realizzare il soddisfacimento dei creditori in misura non inferiore rispetto a quella realizzabile mediante la liquidazione giudiziale. Il Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza (CCII), recentemente modificato dal D.lgs. n. 136/2024, disciplina due tipologie di concordato preventivo, prevedendo regole diverse in ordine al contenuto del piano, alle modalità di voto, alle regole di distribuzione del valore, al giudizio di omologazione: il concordato preventivo in continuità aziendale e il concordato preventivo liquidatorio. Esaminiamo i profili essenziali di questo istituto.
1. Il concordato preventivo
Il concordato preventivo è uno strumento di centrale importanza nella regolazione della crisi d’impresa, essendo il più collaudato fra i mezzi di ristrutturazione delle realtà produttive. Si tratta di un istituto finalizzato a realizzare il soddisfacimento dei creditori in misura non inferiore rispetto a quella realizzabile mediante la liquidazione giudiziale.
Il concordato preventivo è disciplinato dal Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza (CCII), entrato in vigore il 15 luglio 2022 e recentemente modificato dal D.lgs. n. 136/2024.
Ai sensi del CCII, può accedere alla procedura di concordato preventivo l’imprenditore commerciale che si trovi in stato di crisi (che si caratterizza con l’inadeguatezza dei flussi di cassa a far fronte alle obbligazioni scadenti nei successivi 12 mesi) o di insolvenza (che si manifesta nella sussistenza di inadempimenti o altri fatti esteriori idonei a dimostrare che il debitore non è più in grado di soddisfare le proprie obbligazioni). Su tali nozioni, si rimanda all’approfondimento pubblicato in questo articolo.
Così come per la liquidazione giudiziale, sono escluse dalla possibilità di accedere al concordato preventivo le “imprese minori”, ovvero quelle imprese che presentano congiuntamente:
- un attivo patrimoniale non superiore ad euro trecentomila (nei tre esercizi antecedenti la data di deposito dell’istanza di apertura della liquidazione giudiziale o dall’inizio dell’attività, qualora di durata inferiore);
- ricavi annui non superiori ad euro duecentomila (nei tre esercizi precedenti la data di deposito dell’istanza di apertura della liquidazione giudiziale o dall’inizio dell’attività se di durata inferiore);
- un ammontare di debiti, anche non scaduti, non superiore ad euro cinquecentomila.
Tutte le altre imprese possono proporre un piano di concordato preventivo (indicandone le relative modalità esecutive), che preveda il soddisfacimento delle pretese dei creditori in misura non inferiore a quella realizzabile con la liquidazione giudiziale.
Il CCII disciplina due tipologie di concordato preventivo, prevedendo regole diverse in ordine al contenuto del piano, alle modalità di voto, alle regole di distribuzione del valore, al giudizio di omologazione:
- il concordato preventivo in continuità aziendale;
- il concordato preventivo liquidatorio.
2. Il concordato preventivo in continuità aziendale
Il concordato preventivo si qualifica in continuità aziendale quando la soddisfazione dei creditori si realizza in misura, “anche non prevalente”, con i proventi che derivano dalla prosecuzione – diretta o indiretta – dell’attività d’impresa. Il concordato in continuità aziendale si caratterizza infatti, per la sua finalità, oltre che di tutelare i creditori, di preservare, nella misura possibile, i posti di lavoro.
La finalità del concordato in continuità è quella di ripristinare l’equilibrio economico e finanziario dell’impresa in sé, anche se vengono liquidati beni non strategici e a prescindere da quanto il ricavato dalla loro liquidazione incida in termini quantitativi nella soddisfazione dei creditori.
Si ha continuità diretta quando l’attività prosegue in capo allo stesso imprenditore che ha presentato la domanda di concordato; si ha continuità indiretta, quando il piano prevede la gestione dell’azienda in esercizio o la ripresa dell’attività da parte di un soggetto diverso, anche in forza di cessione, affitto, usufrutto, conferimento dell’azienda in una o più società, anche di nuova costituzione o qualsiasi altra forma (art. 84 comma 2 e 3 CCII).
La CCII allarga quindi il perimetro della continuità indiretta, che comprende anche le ipotesi di usufrutto ed affitto; la continuità aziendale può consistere anche nella pura e semplice acquisizione di canoni di affitto, magari associata alla liquidazione di qualche asset ritenuto non funzionale. Il contratto di affitto può essere stipulato anche prima del deposito del ricorso, perché sussista un chiaro nesso di funzionalità.
Rientra nell’ambito del concordato in continuità anche il cd. concordato misto, ovvero quella forma di concordato che accanto alla continuità prevede la cessione di attività non funzionali all’esercizio dell’azienda, anche se i creditori sono soddisfatti in misura non prevalente dal ricavato della continuità. Il CCII valorizza infatti la capacità del concordato in continuità di ripristinare l’equilibrio economico e finanziario dell’impresa in sé, anche se vengono liquidati beni non strategici e a prescindere da quanto il ricavato dalla loro liquidazione incida in termini quantitativi nella soddisfazione dei creditori.
2.1 Il procedimento di apertura del concordato e gli effetti della domanda
La domanda di concordato è proposta dall’imprenditore con ricorso ai sensi dell’art. 40 CCII; il ricorso può essere presentato anche in pendenza di un procedimento per la dichiarazione della liquidazione giudiziale aperto da altri nei suoi confronti.
Legittimato esclusivo a richiedere l’apertura del concordato preventivo è quindi il debitore, ferma restando la possibilità per i creditori che rappresentino almeno il 5% dei crediti chirografari di presentare successivamente proposte concorrenti all’interno del procedimento incardinato dal debitore, sino a 30 giorni prima della votazione del concordato (art. 90 CCII). Viene così agevolata la presentazione di proposte alternative a quelle dell’impresa che possano garantire una migliore soddisfazione dei creditori oppure una più efficace ristrutturazione.
Unitamente al ricorso deve essere depositata, oltre alla documentazione prevista dall’art. 39 CCII, la proposta di concordato, il piano e la relazione dell’esperto. L’imprenditore, tuttavia, può riservarsi la possibilità di depositare tale documentazione successivamente, entro un termine concesso dal Tribunale, compreso tra 30 e 60 giorni, prorogabile di non oltre 60 giorni in presenza di giustificati motivi – comprovati dalla predisposizione di un progetto di regolazione della crisi e dell’insolvenza – e solo nel caso in cui non siano state presentate istanze di liquidazione giudiziale.
L’effetto principale del concordato preventivo che è quello del cd. spossessamento attenuato, in base al quale l’imprenditore conserva la gestione dell’impresa e l’amministrazione dei suoi beni sotto il controllo degli organi della procedura. Dopo il deposito del ricorso e fino al decreto di apertura della procedura, infatti, l’imprenditore può compiere gli atti urgenti di straordinaria amministrazione previa autorizzazione del Tribunale, a pena di inefficacia degli stessi (art. 46 CCII).
Dal deposito della domanda, i crediti di terzi sorti per effetto di atti legalmente compiuti dall’imprenditore acquisiscono il grado di crediti prededucibili, da soddisfare con priorità in caso di successiva liquidazione giudiziale. I creditori non possono acquisire diritti di prelazione con efficacia rispetto ai creditori concorrenti e le ipoteche iscritte nei 90 giorni precedenti la pubblicazione della domanda nel registro delle imprese sono inefficaci rispetto ai creditori anteriori. Sono, inoltre, sospesi sino alla data dell’omologazione del concordato gli obblighi societari di riduzione del capitale per perdite e l’applicazione della connessa disciplina delle cause di scioglimento della società.
Il semplice deposito della domanda non produce (come in precedenza) l’effetto della sospensione automatica delle azioni esecutive e cautelari dei creditori sul patrimonio dell’imprenditore, essendo a tal fine necessaria la richiesta espressa dell’imprenditore stesso nella domanda di concordato). La durata massima della sospensione è di 12 mesi. L’imprenditore deve quindi attivarsi tempestivamente, ai primi segnali di difficoltà, per evitare che il termine del periodo di sospensione eventualmente maturato nel corso delle trattative possa pregiudicare il tentativo di risanamento.
Dal momento del deposito della domanda, inoltre, i creditori non possono, unilateralmente, rifiutare l’adempimento dei contratti in corso di esecuzione o provocarne la risoluzione, né anticiparne la scadenza o modificarli in danno dell’imprenditore per il solo fatto del deposito della domanda di accesso al concordato in continuità aziendale, dell’emissione del decreto di apertura del procedimento e della concessione delle misure protettive o cautelari. Sono inefficaci eventuali patti contrari.
Con specifico riguardo ai cd. contratti essenziali, ovverosia relativi alle forniture la cui interruzione impedisce la prosecuzione dell’attività del imprenditore, i creditori interessati dalle misure protettive non possono, unilateralmente, rifiutare l’adempimento dei contratti in corso di esecuzione o provocarne la risoluzione, né possono anticiparne la scadenza o modificarli in danno dell’imprenditore per il solo fatto del mancato pagamento di crediti anteriori rispetto alla presentazione della domanda di accesso al concordato preventivo in continuità aziendale (art. 94-bis CCII).
L’imprenditore può richiedere al Tribunale l’autorizzazione a contrarre finanziamenti prededucibili funzionali all’esercizio dell’attività aziendale fino all’omologa o funzionali all’apertura del procedimento di concordato, nel caso di presentazione della domanda con riserva di deposito della documentazione o, ancora, funzionali all’esecuzione del concordato stesso.
2.2 I requisiti del piano in continuità e la relazione del professionista
Il piano di concordato in continuità deve contenere (art. 87 CCII):
- l’indicazione dell’imprenditore e delle eventuali parti correlate, nonché la descrizione della situazione economico-finanziaria dell’impresa e della posizione dei lavoratori;
- la descrizione delle cause e dell’entità dello stato di crisi o di insolvenza in cui si trova e l’indicazione delle strategie d’intervento;
- il valore di liquidazione del patrimonio, alla data della domanda di concordato; tale valore, da individuare ai fini dell’omologazione, corrisponde al valore realizzabile, in sede di liquidazione giudiziale, dalla liquidazione dei beni e dei diritti, comprensivo dell’eventuale maggior valore economico realizzabile nella stessa sede dalla cessione dell’azienda in esercizio, nonché delle ragionevoli prospettive di realizzo delle azioni esperibili, al netto delle spese; si tratta in sostanza di un valore ipotetico basato su stime e prognosi di successo delle possibili azioni di massa, incluse le azioni di responsabilità e revocatorie, nonché dell’eventuale maggior valore derivante dalla vendita non atomistica dei beni;
- le modalità di ristrutturazione dei debiti e di soddisfazione dei crediti;
- la descrizione analitica delle modalità e dei tempi di adempimento della proposta;
- gli apporti di finanza nuova eventualmente previsti e le ragioni per cui sono necessari per l’attuazione del piano;
- le azioni risarcitorie e recuperatorie esperibili in caso di apertura della procedura di liquidazione giudiziale e le prospettive di realizzo;
- le iniziative da adottare qualora si verifichi uno scostamento dagli obiettivi pianificati;
- le parti interessate dal piano con i relativi crediti e interessi;
- le classi in cui le parti interessate sono state suddivise;
- le eventuali parti non interessate dal piano;
- le modalità di informazione e consultazione dei rappresentanti dei lavoratori nonché gli effetti della ristrutturazione sui rapporti di lavoro, sulla loro organizzazione o sulle modalità di svolgimento delle prestazioni;
- l’indicazione del commissario giudiziale ove già nominato.
Il piano di concordato in continuità deve inoltre contenere il piano industriale con l’indicazione degli effetti sul piano finanziario, nonché l’indicazione dei tempi necessari per assicurare il riequilibrio della situazione finanziaria e – in caso di continuità diretta – l’analitica individuazione dei costi e dei ricavi attesi, del fabbisogno finanziario e delle relative modalità di copertura, nonché l’indicazione per ciascun creditore dell’utilità, specificatamente individuata ed economicamente valutabile, che si intende assicurare.
Il piano deve altresì indicare, laddove necessario, i fondi rischi, soprattutto se vi sono finanziamenti garantiti da misure di sostegno pubblico, a quanto necessario al pagamento dei relativi crediti in caso di escussione della garanzia e nei limiti delle previsioni di soddisfacimento del credito.
Il piano in continuità può infine prevedere la moratoria dei creditori muniti di privilegio, pegno o ipoteca, salvo che il piano stesso preveda la liquidazione dei beni su cui insiste la prelazione. Per i crediti dei lavoratori subordinati, assistiti da privilegio ai sensi dell’art. 2751-bis c.c., il termine di durata della moratoria non può essere superiore a sei mesi.
Unitamente al piano di concordato, l’imprenditore deve depositare la relazione del professionista indipendente che attesti la veridicità dei dati aziendali e la fattibilità del piano. Il professionista deve attestare, altresì, che il piano è atto a impedire o superare l’insolvenza dell’imprenditore, a garantire la sostenibilità economica dell’impresa e a riconoscere a ciascun creditore un trattamento non deteriore rispetto a quello che riceverebbe in caso di liquidazione giudiziale. Una nuova attestazione deve essere presentata in caso di modifiche sostanziali della proposta o del piano.
2.3 L’ammissione alla procedura
Il Tribunale si limita a verificare la ritualità della proposta, e può dichiarare l’inammissibilità della domanda di accesso al concordato nei soli casi di “manifesta inidoneità” del piano alla soddisfazione dei creditori come proposta dall’imprenditore e alla conservazione dei valori aziendali.
Con il decreto di apertura della procedura il Tribunale:
- nomina il giudice delegato e il commissario giudiziale;
- stabilisce la data iniziale e finale per la votazione dei creditori (essendo stata soppressa l’adunanza fisica dei creditori) tenuto conto del numero dei creditori, dell’entità del passivo e della necessità di assicurare la tempestività ed efficacia della procedura;
- determina le modalità di voto che dovranno essere idonee a salvaguardare il contraddittorio e l’effettiva partecipazione degli aventi diritto anche utilizzando strutture informatiche messe a disposizione da soggetti terzi;
- fissa un termine non superiore a 15 giorni per il deposito del 50% delle spese ritenute necessarie per lo svolgimento della procedura (o della minor somma disposta dal Tribunale, purché non inferiore al 20%).
Nel caso in cui, invece, accerti la mancanza delle condizioni di ammissibilità del concordato, il Tribunale, sentiti l’imprenditore, i creditori che hanno presentato domanda di apertura della liquidazione giudiziale e il pubblico ministero, dichiara con decreto l’inammissibilità del concordato e, se è stato presentato ricorso da uno dei soggetti legittimati, dispone con sentenza l’apertura della liquidazione giudiziale. Tuttavia, il Tribunale può concedere all’imprenditore un termine non superiore a 15 giorni per apportare integrazioni al piano e produrre nuovi documenti.
Il decreto che dichiara inammissibile il concordato è reclamabile in Corte d’appello entro 15 giorni dalla comunicazione. Decorso tale termine, la domanda di concordato può essere riproposta solo se si verifichino mutamenti delle circostanze.
2.4 Regole di voto, divisione in classi e distribuzione del valore
Il commissario giudiziale dopo la nomina comunica ai creditori il piano, la data iniziale e finale del voto stabilita dal Tribunale, la proposta dell’imprenditore e il decreto di apertura della procedura. Se tale comunicazione non è possibile per l’eccessivo numero dei creditori il Tribunale può autorizzare la notifica su quotidiani a diffusione nazionale o locale.
Almeno 45 giorni prima del termine previsto per l’inizio del voto, il commissario giudiziale deposita in cancelleria una relazione particolareggiata sulle cause del dissesto, precisando se l’impresa si trovi in crisi o in insolvenza, sulla condotta dell’imprenditore e sulla proposta di concordato e la trasmette al pubblico ministero.
Almeno 15 giorni prima dell’inizio del voto, il commissario illustra la relazione e le proposte definitive dell’imprenditore e quelle eventualmente presentate dai creditori con comunicazione inviata ai creditori, all’imprenditore e a tutti gli altri interessati e depositata nella cancelleria del giudice delegato.
Dieci giorni prima del voto imprenditore e creditori possono formulare osservazioni e contestazioni al commissario giudiziale e almeno 7 giorni prima il commissario giudiziale deposita e comunica agli interessati la relazione finale. Il voto è espresso a mezzo posta elettronica certificata inviata al commissario giudiziale.
I creditori sono obbligatoriamente suddivisi in classi; è possibile prevedere trattamenti differenziati tra creditori appartenenti a classi diverse, in deroga ai principi della par condicio creditorum, al fine di agevolare il raggiungimento delle maggioranze necessarie per l’approvazione del concordato. Devono formare classi separate le imprese minori titolari di crediti chirografari derivanti da rapporti di fornitura di beni e servizi e i creditori muniti di privilegio, pegno e ipoteca, quando non sono soddisfatti integralmente nel rispetto delle condizioni previste dall’art. 109, comma 5 CCII.
Il CCII, pur mantenendo fermo, in linea generale, il principio previsto dalla legge fallimentare in base al quale la suddivisione dei creditori in classi non può alterare l’ordine delle cause di prelazione, prevede espressamente alcune deroghe nell’ambito del concordato in continuità.
In particolare, l’art. 84, comma 6 CCII distingue tra valore di liquidazione (ovvero quello individuabile in ipotesi di liquidazione giudiziale) e valore eccedente quello di liquidazione (cd. surplus da continuità): mentre il primo deve essere distribuito sempre nel rispetto dell’ordine delle cause di prelazione, con la conseguenza che le classi di rango inferiore non potranno essere soddisfatte se non siano state pagate integralmente le classi di rango superiore, il secondo può essere distribuito anche in deroga a tale principio, con la conseguenza che le classi di rango inferiore possono essere soddisfatte purché alle classi di rango superiore sia garantito un trattamento almeno pari a quello della classi dello stesso grado e superiore a quello delle classi di grafo inferiore. Tale distinzione non opera, tuttavia, per i crediti indicati dall’art. 2751-bis c.c., vantati dai lavoratori subordinati, per i quali si applica sempre la regola della priorità assoluta.
2.5 L’approvazione del concordato
Il concordato è approvato se tutte le classi votano a favore. A tal fine, in ciascuna classe deve essere raggiunta la maggioranza dei crediti ammessi al voto. In alternativa il concordato si considera approvato dalla classe quando abbiano votato favorevolmente almeno i due terzi dei crediti dei creditori votanti, purché abbiano votato almeno la metà del totale dei crediti della stessa classe.
Sono esclusi dal voto:
- il coniuge, il convivente di fatto o la parte dell’unione civile;
- i parenti, gli affini fino al quarto grado dell’imprenditore;
- le società controllanti, le società controllate e quelle soggette a comune controllo;
- i cessionari e aggiudicatari di crediti da meno di un anno prima della domanda di concordato;
- i creditori in conflitto di interessi.
I creditori muniti di privilegio, pegno o ipoteca sono esclusi dal voto solo se nella proposta è previsto il soddisfacimento integrale del loro credito, in denaro, entro 180 giorni dall’omologazione del piano (per i lavoratori assistiti da privilegio di cui all’art. 2751-bis c.c. il termine è ridotto a 30 giorni) e purché la loro garanzia resti ferma fino alla liquidazione dei beni sulla quale insiste (art. 109 comma 5 CCII). Se non ricorrono tutte tali condizioni, anche se pagati integralmente, i creditori privilegiati hanno diritto al voto per l’intero credito e vanno inseriti in un’apposita classe.
All’esito del voto, il commissario giudiziale redige un’apposita relazione con le risultanze, da depositare in cancelleria il giorno dopo la chiusura delle operazioni di voto. Nel caso in cui non siano raggiunte le maggioranze previste il giudice delegato riferisce al Tribunale che in caso di istanza dei soggetti legittimati dichiara aperta la liquidazione giudiziale.
Se il concordato in continuità non è approvato in tutte le classi, in base ai criteri appena descritti, è ancora possibile l’omologazione attraverso il meccanismo del cd. cross class cram down (v. par. 2.6).
2.6 L’omologazione e l’esecuzione del concordato
Se il concordato è stato approvato dai creditori, o quando il debitore abbia richiesto l’omologazione previa ristrutturazione trasversale dei debiti, il Tribunale fissa l’udienza in camera di consiglio per la comparizione delle parti e del commissario giudiziale. I creditori dissenzienti e qualsiasi interessato possono fare opposizione nel termine perentorio di almeno 10 giorni prima dell’udienza.
In sede di omologa, il Tribunale verifica:
- la regolarità della procedura;
- l’esito della votazione;
- l’ammissibilità della proposta;
- la corretta formazione delle classi;
- la parità di trattamento dei creditori all’interno di ciascuna classe;
- che tutte le classi abbiano votato favorevolmente;
- che il piano non sia privo di ragionevoli prospettive di impedire o superare l’insolvenza;
- che eventuali nuovi finanziamenti siano necessari per l’attuazione del piano e non pregiudichino ingiustamente gli interessi dei creditori.
Nel concordato in continuità, il giudizio sulla fattibilità del concordato è limitato dunque alla verifica che il piano non sia privo di ragionevoli prospettive di impedire o superare l’insolvenza, e non si estende alla fattibilità economica dello stesso; il ruolo del Tribunale risulta quindi ridimensionato e assume rilievo l’autonomia privata delle parti.
Esclusivamente per il concordato in continuità è inoltre previsto il meccanismo di ristrutturazione trasversale dei debiti (cd. cross class cram down), in forza del quale il Tribunale può omologare comunque il piano con effetti vincolanti per tutti i creditori, su richiesta del debitore, o con il suo consenso se si tratta di proposta concorrente avanzata da una PMI, anche in presenza di classi dissenzienti (quando quindi il concordato non sia approvato da ciascuna classe) a condizione che:
- il valore di liquidazione sia distribuito nel rispetto della graduazione delle cause legittime di prelazione (regola di priorità assoluta) e il valore eccedente quello di liquidazione (plusvalore da continuità) nel rispetto della regola di priorità relativa;
- nessun creditore riceva più dell’importo del proprio credito;
- la proposta sia approvata dalla maggioranza delle classi, purché almeno una sia formata da creditori titolari di diritti di prelazione, oppure, in mancanza di approvazione della maggioranza delle classi, quando la proposta è approvata da almeno una classe di creditori a condizione che ad essi sia offerto un importo non integrale del credito e che gli stessi sarebbero soddisfatti in tutto o in parte anche sul valore eccedente quello di liquidazione, qualora si applicasse la regola della priorità assoluta.
Deve trattarsi, dunque, di creditori che abbiano ricevuto dalla proposta una soddisfazione parziale delle proprie ragioni, ma che in caso di applicazione della regola della priorità assoluta avrebbero comunque ricevuto un pagamento. In altri termini, per l’omologazione in assenza di maggioranza è necessario che tali creditori abbiano votato favorevolmente nonostante avessero interesse alla piena applicazione della regola della priorità assoluta.
L’istituto del cross class cram down deroga, dunque, significativamente al principio di maggioranza che regolava il concordato preventivo nella legge fallimentare, potendo ora il concordato essere approvato con effetti vincolanti anche in presenza del consenso di una sola classe di creditori.
Ogni creditore dissenziente ha tuttavia diritto di proporre opposizione, eccependo il difetto di convenienza della proposta. In caso di opposizione, il Tribunale procede all’omologazione qualora ritenga che il credito possa risultare soddisfatto dal concordato in misura non inferiore rispetto alla liquidazione giudiziale (cd. cram down). In quest’ipotesi e quando il creditore contesta l’assenza delle condizioni per procedere alla ristrutturazione trasversale dei debiti, il Tribunale può anche disporre la stima del valore del complesso aziendale dell’imprenditore.
Il concordato è omologato con sentenza soggetta a reclamo. In caso di accoglimento del reclamo da parte della Corte di appello, quest’ultima su richiesta delle parti può confermare la sentenza di omologazione se ritiene prevalente l’interesse generale dei creditori e dei lavoratori rispetto al pregiudizio subito dal singolo reclamante, riconoscendogli il diritto al solo risarcimento del danno subito. In tal modo il concordato resta eseguibile.
L’omologazione deve intervenire entro 12 mesi dalla presentazione della domanda di accesso alla procedura, termine che corrisponde a quello di durata massima delle misure protettive. Se il Tribunale, invece, non omologa il concordato, su ricorso di uno dei soggetti legittimati, dichiara aperta la liquidazione giudiziale accertata l’insolvenza dell’imprenditore.
Una volta omologato, il concordato è obbligatorio nei confronti di tutti i creditori anteriori alla pubblicazione nel registro delle imprese della domanda di accesso. Sull’esecuzione del concordato vigila il commissario giudiziale che deve riferire al giudice delegato ogni fatto che possa pregiudicare i creditori.
Se successivamente all’omologa del concordato si rendono necessarie modifiche sostanziali del piano per l’adempimento della proposta, il debitore deve chiedere il rinnovo dell’attestazione del professionista e comunicare la proposta modifica al commissario giudiziale, il quale a sua volta riferisce al Tribunale. Il Tribunale, verificata la natura sostanziale delle modifiche, dispone che il piano e l’attestazione siano pubblicati al registro delle imprese e comunicati ai creditori, ai quali è riconosciuto il diritto di opposizione entro trenta giorni dalla ricezione dell’avviso (art. 118 bis CCII).
Il debitore ha l’obbligo di dare esecuzione alla proposta, anche se presentata dai creditori. In caso di inerzia o ritardo nel compimento degli atti necessari, il Tribunale può attribuire al commissario giudiziale i poteri necessari a provvedere in luogo di questi.
Nel caso in cui la proposta approvata e omologata sia quella presentata da un terzo, il proponente può chiedere al Tribunale (in caso di inerzia o ritardo dell’imprenditore nell’esecuzione della proposta) non solo l’attribuzione al commissario giudiziale dei poteri necessari a provvedere, ma anche la revoca dell’organo amministrativo della società e la nomina di un amministratore giudiziario.
Se il piano di concordato prevede un aumento del capitale sociale della società debitrice o altre deliberazioni di competenza dell’assemblea dei soci, all’amministratore giudiziario eventualmente nominato è attribuito anche il potere di convocare l’assemblea ed esercitare in essa i diritti di voto per le azioni o quote facenti capo ai soci di maggioranza.
La liquidazione giudiziale dell’imprenditore può essere dichiarata solo a seguito della risoluzione del concordato, salvo che lo stato di insolvenza consegua a debiti sorti successivamente all’apertura del concordato preventivo. È conseguentemente estesa al commissario giudiziale la legittimazione a richiedere la risoluzione del concordato.
3. Il concordato preventivo liquidatorio
Il concordato preventivo si qualifica liquidatorio quando la soddisfazione dei creditori è realizzata attraverso il ricavato della liquidazione del patrimonio. La funzione di questo tipo di concordato è quindi quella di procurare la soddisfazione dei creditori in alternativa alla liquidazione giudiziale, attraverso un piano che non preveda la continuità diretta o indiretta dell’attività imprenditoriale, ma la liquidazione del patrimonio.
Nel suo complesso, la disciplina del concordato liquidatorio dettata dal CCII ricalca la struttura del concordato fallimentare regolato dalla legge fallimentare; rimangono ì immutati la natura e la finalità dell’istituto, che si conferma uno strumento di natura privatistica, finalizzato alla gestione di interessi dalla rilevanza pubblicistica, destinato ad essere utilizzato come alternativa di chiusura della liquidazione giudiziale, rispetto alle altre cause previste dall’art. 233 CCII.
3.1 L’accesso alla procedura e l’ammissione al concordato
Ai fini dell’ammissibilità del concordato liquidatorio, la proposta deve prevedere un apporto di risorse esterne che determini un incremento del 10% dell’attivo disponibile al momento della domanda e che assicuri una soddisfazione minima del 20% dell’ammontare complessivo dei crediti chirografari privilegiati degradati (art. 84 quarto comma CCII).
Il procedimento per l’apertura del concordato e gli effetti della domanda seguono le medesime regole previste per il concordato in continuità aziendale. Anche il contenuto del piano è il medesimo (art. 87 CCII), salva la non applicabilità delle previsioni specifiche previste per l’ipotesi della continuità.
Il piano può, inoltre, prevedere l’offerta da parte di un soggetto già individuato, volta all’affitto o al trasferimento dell’azienda, di un suo ramo o di specifici beni aziendali, anche prima dell’omologazione (art. 84 co. 9 CCII). In tal caso si applica la disciplina delle offerte concorrenti (art. 91 CCII), finalizzata a sollecitare l’interesse di terzi a mettersi in competizione con gli offerenti individuati dal debitore, aumentando la contendibilità dell’impresa nell’interesse dei creditori.
In fase di apertura del concordato, il Tribunale effettua una valutazione non solo sull’ammissibilità giuridica della proposta, ma anche sulla fattibilità del piano, intesa come non manifesta inattitudine del concordato a raggiungere gli obiettivi prefissati. Tale valutazione implica dunque un giudizio atto a verificare oltre i profili di legalità, anche quelli di fattibilità economica del concordato, con riferimento quanto meno alla possibilità di raggiungimento della soglia minima del 20% del credito complessivo di chirografari e privilegiati degradati.
3.2 Regole di voto, divisione in classi e distribuzione del valore
Le regole di voto, il principio della divisione in classi di creditori e le regole sulla distribuzione del valore sono significativamente diverse rispetto al concordato in continuità.
In primo luogo, nel concordato liquidatorio la divisione in classi dei creditori e la previsione di trattamenti differenziati tra creditori appartenenti a classi diverse è meramente facoltativa, salvo che per alcune categorie di creditori per le quali è sempre obbligatoria, ovvero i titolari di crediti tributari o previdenziali (per i quali non è previsto l’integrale pagamento), i titolari di garanzie prestate da terzi, i creditori che vengono soddisfatti anche in parte con utilità diverse dal denaro e i creditori che hanno presentato proposte concorrenti e le parti ad esse correlate.
Il concordato è approvato dai creditori che rappresentano la maggioranza dei crediti ammessi al voto (art. 109 CCII). In caso di divisione in classi tale maggioranza deve essere raggiunta anche nel maggior numero di classi. Sono sottoposte a votazione tutte le proposte presentate dall’imprenditore e dai creditori, seguendo per queste ultime l’ordine temporale di deposito. Se un solo creditore è titolare di oltre la maggioranza dei crediti ammessi al voto, per l’approvazione del concordato è necessaria anche la maggioranza per teste.
Si applicano le esclusioni dal voto previste per il concordato in continuità. I creditori muniti di privilegio, pegno o ipoteca sono esclusi dal voto se nella proposta è previsto il soddisfacimento integrale del loro credito (salvo che non rinuncino alla prelazione), mentre sono equiparati ai creditori chirografari per la parte residua del credito quando non ne è previsto il pagamento integrale.
Per la distribuzione del valore il CCII prevede l’obbligo di rispettare la regola della priorità assoluta, in base alla quale i creditori di rango inferiore non possono essere pagati se non sono soddisfatti integralmente i creditori di rango superiore. Resta ferma, inoltre, come già previsto dalla legge fallimentare, la possibilità di procedere al pagamento non integrale dei creditori muniti di privilegio, pegno o ipoteca, purché in misura non inferiore a quella realizzabile in caso di liquidazione dei beni o dei diritti sui quali sussiste la causa di prelazione, al netto delle spese di procedura inerenti al bene o diritto e della quota parte delle spese generali, per come attestata dal professionista indipendente. La parte residua di credito è degradata a chirografo (art. 84 co. 5 CCII).
Le risorse esterne, equiparate a nuova finanza, possono invece essere distribuite ai creditori liberamente, anche in deroga all’ordine legittimo delle cause di prelazione97 e possono essere apportate dai soci senza obbligo di restituzione o con postergazione delle loro ragioni di debito.
3.3 L’omologazione e l’esecuzione del concordato
Nel giudizio di omologa, anche nel concordato liquidatorio il Tribunale deve verificare:
- la regolarità della procedura;
- l’esito della votazione;
- l’ammissibilità della proposta;
- la corretta formazione delle classi (rispetto al criterio della omogeneità per posizione giuridica ed interesse economico all’interno del piano e della non alterazione dell’ordine legittimo delle cause di prelazione);
- la parità di trattamento all’interno di ciascuna classe.
Accanto a tali profili, il Tribunale deve valutare la fattibilità del piano, intesa come non manifesta inettitudine a raggiungere gli obiettivi prefissati. Si tratta di una forma di controllo diverso e più incisivo rispetto a quello previsto nel concordato in continuità, in cui la verifica del Tribunale è volta a verificare semplicemente che il piano non sia privo di ragionevoli chance di successo.
Il Tribunale può omologare ugualmente il concordato quando un creditore dissenziente appartenente a una classe dissenziente, oppure in caso di mancata formazione delle classi, i creditori dissenzienti che rappresentino almeno il 20% dei crediti ammessi al voto, contestino la convenienza della proposta, purché il loro credito possa essere soddisfatto dal concordato in misura non inferiore al ricavato della liquidazione giudiziale (cram down: art. 112 CCII).
Con la sentenza che omologa il concordato il Tribunale nomina uno o più liquidatori e il comitato dei creditori (art. 114 CCII). Al liquidatore spetta l’esercizio di ogni azione prevista dalla legge per conseguire la disponibilità dei beni compresi nel patrimonio del debitore e ogni azione diretta al recupero dei crediti, nonché l’esercizio dell’azione sociale di responsabilità o la sua prosecuzione se già pendente (art.115 CCII). Gli effetti che discendono dall’omologazione e l’esecuzione sono disciplinati come per il concordato preventivo in continuità dagli artt. 117 e ss. CCII.
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Avv. Valerio Pandolfini
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