S.r.l.: quando i soci rispondono illimitatamente per atti di gestione degli amministratori?
Come regola generale, il socio di S.r.l. risponde delle obbligazioni della società solo limitatamente ai propri conferimenti. Vi sono tuttavia alcuni casi in cui il socio può incorrere in responsabilità illimitata, in solido con gli amministratori. Ciò accade quando, ai sensi del settimo comma dell’art. 2476 c.c., abbia concorso con il proprio voto in assemblea a decidere o autorizzare determinati atti lesivi per la società, altri soci o terzi, quando simili atti siano frutto dell’autonomo potere eventualmente attribuito dall’atto costitutivo al singolo socio nell’amministrazione della società, o infine quando la sua ingerenza nella gestione sia indebita. I presupposti per il sorgere di tale responsabilità danno luogo ad alcune difficoltà interpretative, soprattutto per ciò che attiene all’intenzionalità.
1. Il ruolo dei soci nella S.r.l.
Come è noto, nella S.r.l. la persona del socio ed i rapporti tra i soci assumono un rilievo più spiccato rispetto alle S.p.A., quantunque in entrambi i casi si ha a che fare con società di capitali connotate dalla netta separazione tra la personalità giuridica dell’ente e quella dei soci e, per questi ultimi, da un rigoroso regime di responsabilità limitata. La S.r.l. si configura infatti come una tipica società “chiusa”, ossia caratterizzata da una compagine sociale tendenzialmente stabile, in cui l’elemento personale ha un peso notevole, essendo favorita l’assunzione da parte del socio di un ruolo determinante nella vita dell’impresa sociale.
Invero, nella S.r.l. risulta assai meno netta, rispetto a quanto accade nella S.p.A., la distinzione tra competenze degli amministratori e competenze dei soci, anche quando costoro operano in forma assembleare, pur dovendosi ritenere imprescindibile la nomina di un organo amministrativo anche in questo tipo di società, e non essendo quindi la veste di amministratore mai del tutto sovrapponibile a quella di socio.
L’atto costitutivo delle S.r.l. può inoltre prevedere l’attribuzione di determinati diritti riguardanti l’amministrazione a singoli soci, i quali non per questo necessariamente assumono la veste formale di amministratori (art. 2468, comma 3, c.c.).
Emergono quindi due momenti in cui è possibile che il socio di una S.r.l., pur senza rivestire egli stesso la carica di amministratore, assuma un ruolo attivo nell’amministrazione della società:
- quando partecipa alle decisioni amministrative riservate alla competenza della compagine sociale (nella forma della deliberazione assembleare o nelle eventuali altre forme di decisione non assembleare previste dall’atto costitutivo);
- quando esercita gli speciali diritti di amministrazione che l’atto costitutivo gli abbia eventualmente attribuito.
L’avere attribuito al socio maggiori poteri nella gestione dell’impresa sociale comporta un regime di responsabilità su di lui gravante per il modo in cui il suo operare in concreto si manifesti e per gli effetti che ne possano conseguire. Nella misura in cui assume un ruolo attivo nell’amministrazione della società, il socio inevitabilmente si espone, oltre che al tradizionale rischio d’impresa (limitato all’entità del suo investimento di capitale), anche ad un “rischio di amministrazione”, in termini di possibile responsabilità risarcitoria per mala gestione.
In questa ottica, l’art. 2476, comma 7°, c.c. stabilisce che sono responsabili in solido con gli amministratori i soci che hanno intenzionalmente deciso o autorizzato il compimento di atti dannosi per la società, i soci o i terzi.
La norma serve a garantire la necessaria correlazione tra l’attribuzione di un potere e la responsabilità di chi ne sia investito, facendo sì che il socio risponda, in solido con l’amministratore, del modo in cui egli ha esercitato il potere di amministrazione attribuitogli.
Ma la norma assolve anche ad un’ulteriore funzione, in quanto, accanto all’ipotesi di responsabilità per cattivo esercizio di un potere spettante al socio nei casi sopra menzionati, evidenzia anche la responsabilità per atti d’ingerenza nell’amministrazione posti in essere dal socio in totale assenza di potere, oppure eccedenti i limiti entro i quali tale potere gli compete.
La norma pone quindi un limite al principio della responsabilità limitata dei soci di S.r.l., stabilendo che, qualora i soci si ingeriscano, anche solo occasionalmente, nella gestione della società, essi possono essere ritenuti responsabili – qualora da ciò scaturisca un danno per la società – al di là di quanto conferito in società, cioè illimitatamente.
Affinché sorga la responsabilità concorrente dei soci occorre:
- un comportamento degli amministratori;
- un danno alla società (oppure ai soci o ai terzi);
- il nesso di causalità fra il comportamento degli amministratori e il danno;
- una decisione o autorizzazione dei soci al compimento degli atti;
- la corrispondenza fra quanto deciso o autorizzato dai soci e quanto compiuto dagli amministratori;
- l’intenzione dei soci di arrecare danno.
2. La corresponsabilità solidale degli amministratori
In base all’art. dell’art. 2476 settimo comma c.c., il socio – non amministratore (giacché in tal caso si applicherebbe la disciplina in tema di responsabilità degli amministratori) – di una S.r.l. il quale si sia ingerito nell’amministrazione sociale può essere chiamato a rispondere per danni cagionati alla società o a terzi soltanto se sia configurabile anche una responsabilità dell’amministratore; la responsabilità del socio deriva infatti dalla decisione o dall’autorizzazione a compiere un determinato atto dannoso, quella dell’amministratore dall’effettivo compimento del medesimo atto.
Vi è dunque tra la responsabilità del socio e quella dell’amministratore un rapporto di accessorietà, nel senso che la seconda sussiste indipendentemente dalla prima, ma la prima non è configurabile senza la seconda. Del resto, generalmente la decisione assunta dal socio (ed, a maggior ragione, la mera autorizzazione) non è idonea a produrre di per sé sola degli effetti, occorrendo pur sempre il successivo compimento di un’attività esecutiva, ad opera dell’amministratore. Di qui la previsione di una responsabilità solidale tra il socio che abbia deciso (o autorizzato) l’atto dannoso e l’amministratore che poi l’ha compiuto.
Ne consegue che, anche qualora l’atto costitutivo della società attribuisca al socio potere decisionale, l’amministratore non può esser considerato irresponsabile per la conseguente attività esecutiva: l’amministratore infatti non è tenuto ad eseguire disposizioni illegittime, ed anzi deve disattenderle se vuole sottrarsi alla corresponsabilità.
Si deve invece escludere la possibilità di applicare la norma in esame in caso di atti di gestione dannosi posti in essere dal socio, in forza degli speciali diritti di amministrazione conferitigli dall’atto costitutivo, senza la necessaria cooperazione esecutiva dell’amministratore. Qualora un atto dannoso sia imputabile al socio in difetto di cooperazione dell’amministratore, la responsabilità andrà individuata in base ai principi generali dell’ordinamento, qualora il comportamento del socio risulti lesivo del dovere generale del neminem laedere o incompatibile con i doveri derivanti dal contratto sociale.
3. La decisione o l’autorizzazione del socio al compimento di atti dannosi
Come si è visto, la responsabilità del socio per atti gestori può derivare sia dal fatto che quegli atti siano stati decisi o autorizzati dal socio medesimo (o con il suo concorso) nell’esercizio di diritti o facoltà che statutariamente gli competono, sia dal fatto che il socio si sia ingerito nell’amministrazione al di fuori di ogni previsione legale o statutaria.
Quest’ultima situazione non va confusa con quella del c.d. amministratore di fatto, al quale la giurisprudenza ritiene pacificamente applicabile la disciplina sulla responsabilità degli amministratori di società. Se infatti il socio opera come un vero e proprio amministratore di fatto, è in tale veste che egli risponderà di eventuali atti di mala gestio, e non in forza della responsabilità in cui può incorrere il socio non amministratore ai sensi del settimo comma dell’art. 2476, la quale discende dal compimento di singoli atti, anche occasionali, e non implica – a differenza di quanto previsto per l’amministratore di fatto – una qualche continuità di gestione.
Venendo all’esame dell’elemento oggettivo della condotta da cui può derivare la responsabilità del socio, l’espressione “deciso o autorizzato il compimento di atti dannosi” ha una valenza assai ampia. Vi rientrano in primo luogo le decisioni dei soci previste e disciplinate dagli artt. 2479 e ss. C.c., qualora l’atto costitutivo rimetta alla decisione dei soci (in forma assembleare o eventualmente in una delle altre forme alternativamente previste) scelte che altrimenti potrebbero ricadere nella diretta competenza dell’organo amministrativo.
Per determinare la responsabilità del socio assume tuttavia rilevanza il principio maggioritario, che sta alla base delle decisioni assunte dai soci di Srl. Ai sensi dell’art. 2479 co. 6 c.c., salvo diversa disposizione dell’atto costitutivo, le decisioni dei soci sono prese con il voto favorevole di una maggioranza che rappresenti almeno la metà del capitale sociale.
Il socio che voti in senso contrario non può quindi essere ritenuto responsabile ai sensi dell’art. 2476 co. 7 c.c., in quanto non ha deciso il compimento dell’atto dannoso, anzi si è opposto allo stesso. Allo stesso modo, può essere ritenuto responsabile il socio assente, che non abbia partecipato alla decisione. Ne consegue che possono essere chiamati a rispondere solo i soci che hanno votato favorevolmente per una certa decisione.
La norma, tuttavia, non sanziona solo l’attività deliberativa in senso stretto del socio, avendo la principale funzione di far ricadere la responsabilità per singoli atti gestori su chi effettivamente ne abbia avuto la paternità, a prescindere dalla veste formale in cui abbia agito. Infatti, con le parole “deciso” ed “autorizzato” il legislatore ha inteso riferirsi ad ogni forma d’ingerenza del socio nel compimento di atti di gestione, indipendentemente dalla possibilità di ricondurre o meno il comportamento dell’agente entro l’alveo di regole organizzative predeterminate.
Possono essere quindi fonte di responsabilità anche le decisioni solo autorizzate dai soci, cioè il caso in cui i soci, al di là di un procedimento decisorio, dia istruzioni in ordine al compimento di una determinata operazione, anche in modo informale. In tal modo, possono essere responsabili anche i soci i quali, pur detenendo una partecipazione minoritaria nella società, autorizzino una operazione dannosa.
Il comportamento del socio, decisorio o autorizzativo, deve aver avuto un’effettiva influenza causale sull’atto di gestione – o eventualmente sull’omissione di un atto di gestione che sarebbe stato necessario compiere in determinate circostanze – dal quale sia scaturito un danno alla società, all’altro socio o al terzo che agisce in giudizio per far valere la conseguente responsabilità.
Deve inoltre trattarsi di un comportamento attivo, incidente sulla gestione sociale, dovendosi viceversa escludere che al socio – quantunque abbia penetranti poteri di controllo individuale, ai sensi dell’art. 2476 comma 2 c.c. – possa essere addebitato a titolo di responsabilità soltanto di non aver vigilato adeguatamente sull’operato illegittimo degli amministratori.
4. Il requisito dell’intenzionalità
La norma in esame richiede che il socio abbia agito “intenzionalmente”, requisito che deve essere dimostrato dal danneggiato il quale intenda esperire l’azione di responsabilità nei confronti del socio stesso (eventualmente tramite elementi indiziari e presunzioni logiche). L’interpretazione di tale presupposto è però tutt’altro che pacifica.
In proposito sono state prospettate tre possibili soluzioni diverse, che hanno riferito l’intenzionalità:
- all’evento dannoso, cioè al dolo, ovvero alla volontà e alla previsione, da parte del socio, delle conseguenze dannose che il proprio comportamento abbia arrecato alla società, ad altri soci o a terzi;
- al solo comportamento del socio, in quanto volto ad influire sull’operato degli amministratori;
- all’antigiuridicità di tale comportamento.
La prima interpretazione comporta una notevole limitazione della portata applicativa della norma e rischia di determinare un forte dislivello tra la responsabilità che grava sul socio, il quale abbia deciso o autorizzato il compimento di un atto rivelatosi dannoso, e quella che grava sull’amministratore il quale quell’atto abbia posto in essere, in quanto l’amministratore risponda anche solo per colpa e, quindi, indipendentemente dall’essersi egli prefigurato o meno le conseguenze pregiudizievoli della propria azione o omissione. Appare pertanto preferibile ritenere che il termine “intenzionalmente” sia riferito all’azione del decidere o dell’autorizzare e non alla dannosità dell’atto deciso o autorizzato.
Anche la seconda interpretazione, pur essendo la più fedele al dettato letterale della norma, è poco soddisfacente; ridurre l’intenzionalità a null’altro che all’azione in sé del decidere o dell’autorizzare appare infatti pleonastico, perché ogni azione ha un intrinseco carattere volitivo e non è concepibile un’autorizzazione o una decisione che venga data senza l’intenzione di farlo.
La soluzione più equilibrata sembra quindi la terza, che configura la responsabilità del socio quando egli abbia deciso o autorizzato un atto di gestione con la consapevole intenzione della sua non conformità ai canoni prescritti in proposito dalla legge o dall’atto costitutivo della società.
È quindi escluso che il socio debba rispondere di un voto espresso in assemblea nella inconsapevolezza tanto della illegittimità quanto della dannosità della decisione assunta o dell’autorizzazione concessa, pur se una migliore informazione gli avrebbe consentito di rendersene conto.
Al tempo stesso, però, chiamando il socio a rispondere dei suoi atti consapevolmente illegittimi, anche se non diretti volutamente ad arrecare danno, si persegue lo scopo di deterrenza sotteso alla disposizione in esame, scoraggiando comportamenti moralmente azzardati di chi saprebbe, altrimenti, di potersi ingerire nella gestione sociale rischiando assai poco.
5. Natura della responsabilità del socio
La responsabilità dei soci verso la società ha natura contrattuale, al pari della concorrente responsabilità degli amministratori, pur essendo diverso il rapporto contrattuale di riferimento: rapporto di amministrazione, nell’un caso, e rapporto di società nell’altro. La partecipazione al contratto sociale comporta infatti per ciascun socio un dovere generale di diligenza e correttezza da cui discende l’obbligo di astenersi dal compiere (o dal concorrere a compiere) intenzionalmente atti gestori dannosi per la società.
La responsabilità del socio di S.r.l. per danni cagionati direttamente ad altri soci ha anch’essa natura contrattuale, stante l’esistenza del rapporto contrattuale che lega i soci tra loro e l’obbligo di esecuzione secondo correttezza e buona fede del patto sociale, che risulterebbe in tal caso violato.
Si tratta invece di responsabilità extracontrattuale (a prescindere dalla natura aquiliana o contrattuale che si voglia attribuire alla concorrente responsabilità dell’amministratore) per i danni arrecati a terzi estranei alla compagine sociale.
6. Le azioni di responsabilità esercitabili nei confronti del socio
Il settimo comma dell’art. 2476 c.c., nel prevedere la responsabilità del socio, fa espresso richiamo ai commi precedenti, che disciplinano la responsabilità degli amministratori della società. La responsabilità del socio, in presenza delle condizioni che la giustificano, può essere quindi fatta valere mediante l’esercizio di quelle medesime azioni – e secondo le regole al riguardo previste – che i precedenti commi dello stesso art. 2476 c.c. contemplano a proposito della responsabilità degli amministratori, data la solidarietà passiva che lega amministratori e soci corresponsabili.
Il vincolo di solidarietà passiva che lega il socio il quale abbia deciso o autorizzato l’atto dannoso all’amministratore che lo abbia eseguito lascia libero il danneggiato di agire nei confronti di entrambi i corresponsabili o di uno solo di essi (fatto salvo l’eventuale regresso e la possibilità di graduare la responsabilità nei rapporti interni in funzione del diverso apporto causale).
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Avv. Valerio Pandolfini
Avvocato specializzato in diritto Societario
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