Il contratto internazionale di vendita(international sale contract)
Il contratto di compravendita occupa una posizione di primaria importanza nell’ambito del commercio internazionale. In particolare, la compravendita di beni mobili tra due imprese residenti in due paesi diversi rappresenta la tipologia di rapporto contrattuale più diffusa negli scambi internazionali. Analogamente a quanto accade per tutti i contratti internazionali, la compravendita si definisce internazionale quando presenta uno o più collegamenti con territori sottoposti all’autorità di stati diversi, quindi governati da sistemi giuridici differenti. Il caso tipico è quello in cui venditore e compratore abbiano sede in due paesi diversi. Mancando una regolamentazione giuridica uniforme, al livello mondiale, della compravendita internazionale, i contratti internazionali di compravendita sono, assai più dei contratti di compravendita domestici, generalmente regolamentati dalle parti nel dettaglio, in modo da disciplinare, in modo tendenzialmente completo, il rapporto tra le parti, a prescindere dalla legge applicabile. Vi sono tuttavia delle materie alle quali si applica comunque la legge di un determinato paese, a prescindere dalla legge individuata dalle parti per regolamentare il contratto e da quanto previsto dalle parti nel contratto stesso.
1.Il contratto di vendita internazionale
Il contratto di compravendita occupa senz’altro una posizione di primaria importanza nell’ambito del commercio internazionale. In particolare, la compravendita di beni mobili (beni di largo consumo, beni strumentali, macchinari, ecc.) tra due imprese residenti in due paesi diversi rappresenta la tipologia di rapporto contrattuale più diffusa negli scambi internazionali.
Analogamente a quanto accade per tutti i contratti internazionali, la compravendita si definisce internazionale quando presenta uno o più collegamenti con territori sottoposti all’autorità di stati diversi, quindi governati da sistemi giuridici differenti.
L’elemento tipico, e statisticamente più ricorrente, di internazionalità (o di estraneità rispetto ad un singolo ordinamento interno) della compravendita è costituito dalla diversa nazionalità delle parti contraenti, o comunque il fatto che le parti contraenti hanno la loro sede in paesi diversi. Pertanto, ad esempio, un contratto nel quale un venditore italiano vende della merce ad un acquirente tedesco è certamente definibile come internazionale.
Ma la nazionalità dei contraenti non è l’unico elemento suscettibile di conferire ad un contratto di compravendita la caratteristica di internazionalità. Tale caratteristica può infatti dipendere anche dal fatto che l’oggetto del contratto, cioè i beni compravenduti sono situati in un paese diverso da quello nel quale risiedono le parti contraenti. Inoltre, un altro elemento di internazionalità può essere costituito dalle modalità di conclusione o di esecuzione del contratto (ad esempio, il luogo di pagamento del prezzo, il luogo di acquisto o di trasporto dei beni, etc.).
Questa pluralità di criteri di collegamento fa sì che un contratto di compravendita internazionale può avere punti di contatto anche con molti ordinamenti nazionali diversi. Ad esempio, se un venditore italiano vende ad un acquirente tedesco della merce che si trova in Francia, il contratto viene concluso in Gran Bretagna e la merce deve essere pagata in Irlanda (luogo nel quale ha sede una filiale del venditore italiano), il contratto di compravendita avrà collegamenti con ben 5 paesi diversi (Italia, Germania, Francia, Gran Bretagna, Irlanda).
A differenza di quanto accede per la compravendita interna, manca una regolamentazione giuridica uniforme, al livello mondiale, della compravendita internazionale (come, più in generale, per tutti i contratti internazionali). Ciò fa sì che tale contratto può essere disciplinato da due diverse o più leggi diverse – corrispondenti a quelle dei paesi con i quali il contratto stesso presenta collegamenti- e quindi, può essere regolamentato in modo diverso, dato che spesso(anche se non necessariamente) le norme sul contratto di compravendita contenute nei diversi ordinamenti divergono, talvolta in misura notevole. Basti pensare ad esempio alle differenze che esistono in tema di conclusione del contratto, di risoluzione, di rimedi per le parti etc. tra ordinamenti appartenenti alla famiglia di common law e quelli appartenenti alla famiglia di civil law.
Il fatto che un contratto di compravendita internazionale possa essere disciplinato da leggi nazionali diverse e che sullo stesso possano pronunciarsi giudici nazionali diversi, introduce indubbiamente un elemento di rilevante incertezza, che influisce negativamente sulla certezza degli scambi internazionali.
Per eliminare, o comunque ridurre fortemente tale incertezza, è prassi diffusa nell’ambito dei contratti di compravendita internazionale che le parti prevedono espressamente, nel contratto quale sia la legge applicabile al contratto. In tutti i principali sistemi di diritto internazionale privato le parti sono infatti generalmente libere di scegliere la legge e l’autorità giudiziaria dello Stato di appartenenza di uno dei contraenti, o anche di un paese terzo rispetto alle parti, anche se non abbia alcun collegamento con il contratto o con le parti stesse.
Tuttavia, le leggi nazionali sono, in generale, scarsamente adeguate a soddisfare le specifiche esigenze di soggetti che operano entro uno spazio transnazionale, in quanto tendono a rispondere alle esigenze dei traffici domestici, e non sono necessariamente in sintonia con la prassi degli affari che si sviluppa a livello internazionale. Pertanto, nonostante che la scelta della legge applicabile al contratto sia un ottimo rimedio per rimediare all’incertezza di cui prima si diceva, essa non costituisce, da sola, la soluzione ottimale per regolamentare un contratto internazionale di compravendita.
Inoltre, spesso la legge applicabile non è nota al momento della stesura del contratto: ciò accade tipicamente nei testi contrattuali standard predisposti in vista di una possibile utilizzazione in diversi paesi, e che rimette la scelta della legge applicabile agli effettivi utilizzatori di ciascun paese.
Per tale motivo, nella prassi la principale fonte che regola i contratti di compravendita internazionali è costituita non dalle leggi nazionali, ma dall’autonomia privata. I contratti internazionali di compravendita sono, infatti-assai più dei contratti di compravendita domestici- generalmente regolamenti dalle part nel dettaglio, in modo da disciplinare, in modo tendenzialmente completo, il rapporto tra venditore e compratore(si parla di contratto “autoregolati”).
In sostanza, le parti di solito “denazionalizzano” il contratto di compravendita internazionale, con una disciplina pattizia il più possibile esaustiva; di conseguenza, la legge nazionale applicabile- che pure viene generalmente indicata nel contratto-assume u valore residuale, a quanto trova in concreto applicazione solo per disciplinare le (poche) lacune del regolamento contrattuale pattizio o per interpretare il significato delle clausole contrattuali, qualora sia incerto.
Tra gli elementi più importanti che devono essere attentamente regolati in un contratto internazionale di vendita troviamo:
- le modalità di pagamento del prezzo;
- i termini di trasporto della merce;
- la tutela dei diritti di proprietà intellettuale, in particolare il marchio;
- gli obblighi di segretezza e riservatezza, qualora il contratto abbia ad oggetto beni o servizi contenuti informazioni riservate, know-how ,etc.
Tali elementi devono essere attentamente regolati, per garantire il buon esito dell’operazione ed evitare rischi legali. Ciò sia che un’azienda operi in ambito UE, sia, a maggior ragione, in ambito extra UE.
Occorre peraltro evidenziare che ogni ordimento nazionale contempla delle norme, dette di “ordine pubblico internazionale” o di “applicazione necessaria“, che i giudici di un particolare Stato devono comunque applicare, anche nei casi in cui la controversia debba essere decisa secondo la legge di un altro Stato, e indipendentemente da quanto previsto dalle parti nel contratto. Tipici esempi di tali norme sono le norme antitrust, le norme in materia giuslavoristica e a tutela del consumatore. Pertanto, vi è comunque il rischio che la legge di uno Stato, sebbene non sia stata scelta dalle parti, possa comunque applicarsi al contratto, relativamente ad alcuni aspetti.
2. La conclusione del contratto di vendita internazionale
La conclusione di un contratto di compravendita internazionale rappresenta un aspetto molto delicato e rilevante, ancor più di quanto accada in ambito puramente domestico, dato che in ambito internazionale sono particolarmente diffusi, per ovvie ragioni, i contratti conclusi a distanza, attraverso lo scambio di lettere, e-mail, fax o telefono. Ai problemi posti in tale contesti danno una risposta i singoli ordinamenti nazionali, i quali hanno tradizionalmente individuato soluzioni che differiscono tra di loro e che sono talvolta inadeguate alle esigenze del commercio internazionale.
Per elencare alcune delle differenze principali rinvenibili nel contesto dei singoli ordinamenti nazionali, basti pensare che, ad esempio, nei paesi di common Law il contratto si considera generalmente concluso al omento in cui l’accettazione viene consegnata alla posta, anche se il plico non raggiunge il destinatario(c.d. “mail box doctrine”), mentre in alcuni paesi appartenenti alla tradizione di civil law(tra i quali l’Italia) il contratto si conclude quando il proponente ha conoscenza dell’accettazione dell’atra parte.
La Convenzione di Vienna del 1980 sui contratti di compravendita internazionale di merci(CISG)-che è stata sottoscritta da oltre 70 paesi, tra cui l’Italia-ha adottato la soluzione tipica dei paesi di civil law, in quanto prevede che-salvo che le parti abbiano previsto diversamente-il contratto si considera concluso nel momento in cui il consenso dell’accettante giunge al proponente.
Di conseguenza, secondo la CISG il contratto si conclude nel momento e nel luogo in cui chi ha fatto l’ordine (cioè l’acquirente) riceve la relativa conferma d’ordine(da parte del venditore); o nel momento e nel luogo chi ha fatto un’offerta(cioè il venditore) riceve il relativo ordine(da parte dell’acquirente).
Ai sensi dell’art.14 della CISG, la proposta di concludere un contratto di compravendita deve essere sufficientemente determinata nei contenuti, nel senso che deve indicare la merce e fissarne, espressamente o implicitamente, la quantità e il prezzo, o fornire indicazioni che permettono di determinarli, e deve indicare la volontà del proponente di essere vincolato in caso di accettazione. Altrimenti, non si ha una vera e propria proposta(che dà luogo alla conclusione del contratto in caso di accettazione), bensì un semplice invito ad offrire, che può avere soltanto l’effetto di provocare una proposta. Secondo la CISG, inoltre, una proposta rivolta a persone indeterminate si considera, in linea di principio, come un invito ad offrire, a meno che non risulti chiaramente il contrario.
Per quanto riguarda l’accettazione, la CISG prevede-conformemente al diritto italiano-che essa possa avvenire mediante dichiarazione espressa o mediante fatti concludenti: così ad esempio, costituisce accettazione della proposta del venditore la presa in consegna della merce da parte del compratore, o il pagamento del prezzo della merce.
Secondo la CISG, il silenzio non equivale, in linea di principio, ad accettazione, salvo che le parti stesse abbiano stabilito tale conseguenza o esista una prassi negoziale od uso che lo preveda. In ogni caso, il proponente non può indicare nella sua proposta che questa si considererà accettata in mancanza di risposta da parte dell’oblato.
Ipotizziamo il seguente esempio. A chiede a B di stabilire le condizioni per il rinnovo di un contratto per la fornitura di vino la cui scadenza è prevista per il 31 dicembre. Nella sua proposta B include la clausola secondo cui “se non ci comunicherete nulla al più tardi entro la fine di novembre, riterremo che abbiate accettato di rinnovare il. Contratto alle condizioni sopra indicate“. A ritiene che le condizioni proposte siano del tutto inaccettabili e non risponde. In questo caso, il precedente contratto scade alla data stabilita senza che tra le parti possa considerarsi concluso un nuovo contratto.
Altro esempio. Nel corso di un contratto di durata per la fornitura di vino B eseguiva regolarmente gli ordini di A senza confermare espressamente la sua accettazione. Il 15 novembre A ordina una notevole partita di vino per il Capodanno. B non risponde, né effettua la consegna alla data stabilita. In questo caso, B è inadempiente in quanto, alla luce della pratica instaurata tra le parti, il silenzio di B rispetto all’ordine di A equivale ad accettazione.
Secondo la CISG, un contratto può ritenersi concluso solo quando vi sia una assoluta conformità tra proposta ed accettazione (c.d. mirror image rule, principio presente anche nel nostro ordinamento). Qualsiasi accettazione contenente modifiche rispetto alla proposta costituisce controproposta, e quindi non consente di considerare concluso il contratto.
Infatti, nonostante che, ai sensi dell’art. 19 della CISG, la risposta alla proposta che contenga solo modifiche tali da non alterare sostanzialmente i termini della proposta venga considerata come una valida accettazione, la stessa norma prevede un’elencazione di modifiche considerate come sostanziali talmente ampia (prezzo, pagamento, quantità, qualità, luogo e tempo della consegna, ecc.) da ricomprendere praticamente tutte le modifiche immaginabili, svuotando pertanto il contenuto del principio generale.
Per quanto concerne la possibilità di revocare la proposta, la CISG prevede che finché il contratto non è concluso l’offerta è di regola revocabile. Tuttavia, la revoca della proposta è efficace a condizione che essa pervenga al destinatario prima che questi abbia spedito la dichiarazione di accettazione. Se quindi il compratore invia l’ordine, la revoca è efficace prima che il venditore abbia spedito la conferma d’ordine.
Ciò implica che il diritto del proponente di revocare l’offerta persiste fino alla conclusione del contratto solo nei casi in cui il destinatario accetti verbalmente l’offerta o quando possa manifestare il proprio consenso compiendo un atto senza darne notizia al proponente. Quando invece l’accettazione dell’offerta avviene tramite dichiarazione scritta, ritenendosi il contratto concluso quando l’accettazione perviene al proponente, il diritto di quest’ultimo di revocare l’offerta viene meno prima, ossia nel momento in cui il destinatario invia l’accettazione.
Questa soluzione può causare inconvenienti al proponente, che non sempre saprà se è ancora possibile revocare l’offerta. Essa, tuttavia, si giustifica alla luce del legittimo interesse del destinatario a che il termine valido per revocare l’offerta sia il più breve possibile.
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3. Le condizioni generali di contratto e la battle of the forms
Il contratto di compravendita internazionale è spesso concluso mediante condizioni generali di contratto (general terms and conditions, standard forms), cioè moduli contrattuali standard predisposte dalle imprese (venditrici o acquirenti) per regolare la generalità dei rapporti giuridici con le altre imprese. L’utilizzo di tale metodologia consente infatti alle imprese di organizzare in modo omogeneo ed efficiente le loro attività, e determinare in modo a loro favorevole il contenuto dei contratti che vengono a concludere.
Generalmente, le condizioni generali di un contratto di compravendita internazionale sono contenute in un documento che fa da complemento ai termini essenziali del contratto, contenute in un ordine di acquisto (purchase order) o in una conferma d’ordine (sales order), e sono spesso poste sul retro sul retro di tale documento o in un allegato.
Quando entrambe le imprese (cioè sia il venditore che l’acquirente) si servono delle rispettive condizioni generali di contratto per concludere il contratto, spesso accade che le parti negoziano e trovano un accordo sui termini commerciali essenziali (qualità, quantità, prezzo, data di consegna etc.) rinviando, per il resto, alle proprie condizioni generali (riportate sul retro della proposta o dell’accettazione o allegati alle stesse), le quali possono prevedere clausole contrastanti tra di loro (ad es. in tema di responsabilità, di vizi della merce, di legge applicabile, di foro competente etc.).
In tal caso, nella maggior parte dei casi non sorgono problemi, perché le parti, pur sulla base di condizioni generali tra loro difformi, danno comunque regolarmente esecuzione al contratto, o perché non hanno avuto modo di constatare le difformità, o perché, pur consapevoli delle differenze insite nelle loro condizioni generali, ritengono comunque più utile nel loro comune interesse che il contratto venga regolarmente eseguito.
Quando invece le difformità tra le condizioni generali emergono, perché evidenziate da una o entrambe le parti, si pone un duplice problema:
- si è formato un contratto? Ovvero: l’accettazione (contenuta nelle condizioni generali di contratto dell’accettante) si considera conforme alla proposta (contenuta nelle condizioni generali del proponente)?
- in caso positivo, qual è il suo contenuto? Ovvero: quale tra le condizioni generali richiamate dai contraenti è effettivamente applicabile al contratto una volta che le parti, pur senza avere fatto chiarezza (con un’espressa accettazione ovvero un rifiuto) sul testo contrattuale applicabile iniziano comunque ad eseguire il contratto?
Tale secondo problema prende il nome di battle of the forms, in quanto ciascuna delle parti contraenti pretende che siano le proprie condizioni generali di contratto a prevalere su quelle dell’altra, disciplinando il contratto.
La Convenzione di Vienna del 1980 sui contratti di compravendita internazionale di merci (CISG) prevede, come si è visto nel precedente paragrafo, che deve esserci una conformità pressoché totale tra proposta ed accettazione, affinché possa considerarsi validamente concluso un contratto internazionale di compravendita. Pertanto, qualora le condizioni generali di una parte contengano differenze rispetto a quelle dell’altra parte, il contratto non può, in linea di principio, ritenersi concluso.
Occorre tuttavia considerare che una parte può accettare la proposta anche tramite comportamento concludente, dando esecuzione al contratto; ad esempio, qualora il venditore spedisca la merce, o il compratore prenda in consegna la merce o paghi in tutto o in parte il prezzo. Pertanto, qualora le parti si scambino proposte ed accettazioni contenenti condizioni generali di contratto non conformi tra loro, potranno verificarsi le seguenti ipotesi:
- nessuna delle parti si decide a dare esecuzione al contratto: in tal caso quest’ultimo non si potrà ritenere perfezionato;
- una delle parti si decide a dare esecuzione al contratto: in tal caso a quest’ultimo si applicheranno le condizioni generali della parte che le ha richiamate per ultimo (c.d. last shot rule).
Quindi, in quest’ultima ipotesi, qualora il venditore accetti i termini «commerciali» proposti dall’acquirente ma richiami per il resto le proprie condizioni generali (divergenti), l’accettazione si trasforma in controproposta, e se l’acquirente accetta ponendo in esecuzione il contratto (ad es. accettando la merce), il contratto sarà disciplinato dalle condizioni generali del venditore. Facciamo il seguente esempio.
A (compratore italiano) spedisce a B (venditore tedesco) un ordine d’acquisto per una partita di porcellane, per un determinato prezzo e a determinate condizioni di consegna. Sul retro dell’ordine figura, tra le condizioni generali, una clausola che richiede espressamente che la merce sia imballata in una determinata maniera al fine di evitare il suo danneggiamento prima della consegna.
B, a sua volta, invia ad A la propria conferma d’ordine, nella quale accetta espressamente i termini essenziali della proposta di A ma rinvia alle proprie condizioni generali di contratto, nelle quali si specifica che la merce verrà spedita senza alcun tipo di imballaggio.
B consegna, così come previsto nelle sue condizioni generali, le porcellane senza alcun tipo di imballaggio, mentre A, da parte sua, accetta la merce senza muovere alcun rilievo.
Dopo qualche tempo A, utilizzando la merce, si accorge che questa presenta dei vizi dovuti al fatto di non essere stata imballata nel corso del trasporto, e agisce quindi per il risarcimento dei danni contro B.
In questo caso, l’accettazione di B, in quanto difforme rispetto alla proposta di A, equivale ad una controproposta; il contratto si perfeziona per effetto del comportamento concludente di A che, accettando la merce, accetta anche la controproposta di B. Pertanto, applicandosi le condizioni generali di B, A non potrà pretendere da B il risarcimento del danno.
Questa regola può condurre a conseguenze inique: infatti, una parte potrebbe liberarsi arbitrariamente dagli obblighi derivanti da un contratto validamente concluso, adducendo l’esistenza di una qualsiasi difformità, anche insignificante, tra le proprie condizioni generali di contratto e quelle dell’altra parte.
Così, nell’esempio precedente, se dopo qualche tempo le condizioni di mercato cambiassero e B non ritenesse più vantaggioso vendere al prezzo stabilito precedentemente, potrebbe opporsi legittimamente alla richiesta di A per la consegna della merce sostenendo che in realtà il contratto non si era affatto perfezionato poiché mancava l’accordo sulle modalità di imballaggio della merce.
In questi casi, un limite alla possibilità di comportamenti arbitrari delle parti è tuttavia costituito dal principio di buona fede.
In ogni caso, qualora le condizioni generali della controparte siano applicabili grazie a un’accettazione per fatti concludenti, non saranno comunque efficaci le clausole che richiedono l’accettazione scritta, come le clausole compromissorie e di deroga al foro.
4.I difetti di conformità della merce
Una delle problematiche tipiche in materia di compravendita internazionale è, come noto, quella relativa ai vizi di conformità della merce venduta e ai termini per la loro denuncia.
Ai sensi dell’art. 35 della CISG, il venditore deve consegnare all’acquirente beni conformi a quelli stabiliti contrattualmente per quantità, qualità e tipo. Qualora le caratteristiche dei beni non siano state convenute dalle parti (o queste non le abbiano specificate in modo sufficientemente preciso ed esauriente), e tali caratteristiche non si possano evincere nemmeno dagli usi o dalle pratiche instauratesi tra le parti, i beni si considerano conformi se:
- sono idonei a tutti gli usi ai quali servono abitualmente beni dello stesso tipo;
- sono idonei allo specifico uso al quale il compratore intende adibirli, sempre che sia stato portato a conoscenza del venditore;
- possiedono le qualità che il venditore ha presentato al compratore come campione o modello;
- sono disposti o imballati secondo il modo usuale per beni dello stesso tipo o, in difetto di un modo usuale, in un modo che sia comunque adeguato a conservarli e proteggerli.
Si tratta, come è evidente, di criteri piuttosto generici, che comportano notevoli margini di incertezza e spesso necessitano, per la loro determinazione, di onerose attività giudiziarie. Infatti: come determinare l’uso normale di un tipo di prodotto? Come stabilire se il compratore ha, anche implicitamente, portato a conoscenza del venditore un uso particolare?
Per tale motivo è opportuno, nell’interesse di entrambe le parti (e in tal senso si orienta infatti la prassi internazionale), che il contratto internazionale di vendita precisi con adeguato dettaglio, in specifici allegati, le caratteristiche tecniche del prodotto venduto, in modo da rendere chiaro quando tale prodotto sia conforme a quello ordinato.
L’art. 39 della CISG prevede che, qualora i beni risultino difettosi, l’acquirente deve, per non perdere il diritto di far valere il difetto di conformità, denunciare al venditore i difetti, specificandone per quanto possibile la natura, entro un «tempo ragionevole» dal momento in cui li ha scoperti o avrebbe dovuto scoprirli. Tale momento – in assenza di diversa pattuizione delle parti – va stabilito in base all’art. 38 della CISG, ai sensi del quale «il compratore deve esaminare i beni o farli esaminare nel più breve tempo possibile avuto riguardo alle circostanze» e «se il contratto implica il trasporto dei beni, l’esame può essere differito fino all’arrivo dei beni a loro destinazione».
La CISG prevede dunque – come previsto anche dal diritto italiano – un onere di tempestiva denunzia da parte dell’acquirente circa i vizi di conformità della merce venduta, e al contempo un onere, sempre in capo all’acquirente, di esaminare i beni o farli esaminare nel più breve tempo possibile. Ciò allo scopo di fare rapidamente chiarezza sull’esistenza di un inadempimento contrattuale da parte del venditore, e quindi di dare certezza al rapporto giuridico, mirando per questa via a favorire lo sviluppo dei traffici internazionali.
Tuttavia, anziché stabilire un termine preciso entro il quale l’acquirente deve esperire la denunzia – come invece è previsto nel diritto italiano – la CISG impiega un’espressione indeterminata dal punto di vista temporale, quella appunto di “tempo ragionevole”.
L’elasticità del termine individuato dalla norma della CISG tiene conto del fatto che la naturale complessità dei problemi che si pongono nell’ambito delle vendite internazionali mal si concilia con l’individuazione di un termine rigido per la denunzia dei vizi; un termine flessibile come quello previsto dalla CISG consente infatti al giudice di valutare, volta per volta, il comportamento tenuto dalle parti alla luce delle circostanze del caso concreto, e quindi di pervenire ad una soluzione adeguata alla singola fattispecie.
Il risvolto negativo di tale soluzione è invece costituito dalla impossibilità di individuare con certezza, ex ante – cioè al momento della conclusione del contratto – quale sia il termine “ragionevole” per la denunzia dei vizi della merce, e quindi quando tale denunzia possa considerarsi tempestiva.
La giurisprudenza, sia nazionale che straniera, che ha applicato la norma in questione della CISG ha ritenuto che il «tempo ragionevole» in cui la denunzia dei vizi della merce deve essere effettuata va determinato caso per caso, tenendo conto delle circostanze della fattispecie concreta e tenendo altresì presente la natura dei beni oggetto della compravendita.
In particolare, la giurisprudenza ha quindi valorizzato, nell’ambito delle circostanze concrete che possono influire sulla durata del termine per la denuncia:
- l’entità dei beni compravenduti;
- la facilità di scoprire il difetto di conformità;
- la natura dei beni compravenduti (ad esempio se i beni oggetto di compravendita sono deperibili, il tempo ragionevole entro il quale la denuncia deve essere effettuata è in genere più breve di quello relativo a beni non deperibili).
Varie pronunce hanno affermato che l’acquirente è tenuto ad effettuare un esame immediato della merce, anche tramite controlli a campione, prima della definitiva rivendita o trasformazione dei beni; di conseguenza, il termine ragionevole per la denunzia dei vizi è stato fatto decorrere dal momento della consegna, ed è stata considerata tardiva una denuncia effettuata oltre dieci giorni dalla stessa. Altre pronunce hanno ritenuto invece ammissibile un termine di oltre un mese dalla consegna, soprattutto quando il vizio fosse riscontrabile solo dopo specifici accertamenti.
Prevale comunque nella giurisprudenza la tendenza ad individuare la “ragionevolezza” del termine per la denuncia con una certa severità, in considerazione anche dell’esigenza di certezza delle situazioni giuridiche, particolarmente sentita nel commercio internazionale.
Al fine di determinare se una denuncia è tempestiva occorre altresì stabilire il momento dal quale il tempo ragionevole inizia a decorrere. A tal proposito l’art. 39 della CISG stabilisce che esso decorre dal momento in cui il compratore ha scoperto il vizio o avrebbe dovuto scoprirlo.
Mentre il primo momento è facilmente individuabile, il secondo momento può far sorgere alcune perplessità, dato che esso va interpretato in base al criterio della ragionevolezza, tenendo conto delle circostanze caso concreto. Così, ad esempio, se il vizio fosse individuabile a seguito di un’ispezione, il termine per la denunzia del vizio decorrerà con lo scadere del periodo di tempo disponibile per l’ispezione. Non può, però, considerarsi individuabile e, quindi, conoscibile, quel difetto che si manifesta soltanto in seguito ad ispezioni particolarmente complesse, che richiedono conoscenze che trascendono quelle di un soggetto appartenente ad un ceto sociale e professionale analogo a quello del compratore.
Infine, affinché la denuncia dei vizi di conformità possa precludere la perdita del diritto di far valere il difetto di conformità, occorre non solo che questa sia fatta tempestivamente ma anche che la relativa dichiarazione specifichi la natura del difetto, in modo da permettere al venditore di venire a conoscenza di eventuali vizi della merce consegnata e di decidere come comportarsi (ossia se esaminare la merce egli stesso, se sostituirla con merce diversa, ecc.).
5.I rimedi del compratore in caso di difetti della merce
Nel caso in cui la merce venduta presenti dei difetti (come pure se vi sia una mancata o ritardata consegna degli stessi), il venditore è inadempiente ai propri obblighi contrattuali. La CISG attribuisce al compratore una serie di rimedi, che variano in relazione alla gravità dell’inadempimento.
In primo luogo, l’acquirente può chiedere la riparazione delle merci non conformi al contratto. L’azione di riparazione può essere esercitata da parte del compratore a fronte di qualsiasi mancanza di conformità, purché essa non sia “irragionevole avuto riguardo a tutte le circostanze». Tale limite è stato per lo più interpretato nel senso che il compratore non può chiedere la riparazione quando lui stesso possa riparare il bene senza grandi inconvenienti e ribaltarne i costi sul venditore mediante il risarcimento dei danni.
In secondo luogo, il compratore può chiedere al venditore la sostituzione della merce viziata con altra integra. Tale rimedio può tuttavia essere esperito solo a condizione che il difetto di conformità costituisca “inadempimento essenziale”.
Per individuare tale concetto occorre rifarsi all’art. 25 della CISG che qualifica un inadempimento come essenziale quando “causa all’altra parte un pregiudizio tale da privarla sostanzialmente di ciò che essa aveva diritto di aspettarsi dal contratto, a meno che la parte inadempiente non abbia previsto tale risultato, e che neanche una persona ragionevole della stessa qualità nelle stesse circostanze avrebbe potuto prevederlo».
L’inadempimento si considera quindi essenziale quando è suscettibile di causare all’altra parte un pregiudizio così grave da far venire meno l’interesse di tale parte alla esecuzione del contratto, sulla base di una valutazione delle circostanze del caso concreto. In particolare, la consegna da parte del venditore di merci non conformi al contratto rappresenta un inadempimento essenziale qualora la difformità sia tale da non poter essere eliminata da parte del venditore, o possa esserlo soltanto in un termine incongruo o con gravi inconvenienti per l’acquirente. Anche in questo caso, ci troviamo di fronte ad una norma alquanto elastica, che rimette al giudice stabilire, caso per caso, quando un inadempimento possa considerarsi essenziale o meno.
Sempre qualora l’inadempimento del venditore possa essere qualificato come essenziale, nel significato ora visto, l’acquirente può chiedere la risoluzione del contratto.
Se invece la non conformità della merce non costituisca inadempimento essenziale, l’acquirente può chiedere una riduzione di prezzo, proporzionale alla differenza tra il valore della merce consegnata e quello della merce conforme.
In ogni caso – cioè a prescindere dalla essenzialità dell’inadempimento – spetta all’acquirente il diritto ad ottenere il risarcimento del danno.
L’art. 47 della CISG prevede infine un rimedio ulteriore, prevedendo che l’acquirente può fissare al venditore un termine supplementare di durata ragionevole per adempiere ai suoi obblighi; in tal caso, non può, prima dello scadere di tale termine, avvalersi di nessuno dei mezzi di cui dispone in caso di inosservanza del contratto.
6. La forza maggiore
Con l’espressione forza maggiore si fa comunemente riferimento ad eventi che:
- sono fuori dal controllo delle parti;
- rendono impossibile (in tutto o in parte) l’esecuzione del contratto;
- sono imprevedibili al momento della conclusione del contratto.
Nella vendita internazionale, tali eventi interessano per lo più il venditore (che fornisce e consegna la merce), dato che l’obbligazione dell’acquirente (ovvero il pagamento del prezzo) per definizione non può diventare impossibile e dunque è interessata da cause di forza maggiore.
Se il contratto di vendita non contiene una clausola di forza maggiore, la disciplina di quest’ultima è affidata interamente alla legge applicabile al contratto. Ciò può creare notevoli problemi, dato che non esiste una definizione internazionalmente riconosciuta di forza maggiore: i concetti di insormontabilità, impossibilità ed imprevedibilità sono intesi ed interpretati in maniera a volte anche molto differente nei diversi ordinamenti nazionali.
Ad esempio, nei sistemi inglesi e americani (dove si parla rispettivamente di frustration del contratto e di impracticability), le corti applicano la disciplina di settore in maniera tendenzialmente più restrittiva rispetto ai giudici negli ordinamenti di Civil Law. La CISG prevede invece una disciplina sulle c.d. “exemptions” (art. 79), in base alla quale è esclusa la responsabilità del debitore in grado di provare che l’inadempimento è dovuto ad un impedimento indipendente dalla sua volontà, al di fuori dal suo controllo, inevitabile e imprevedibile.
E’ quindi opportuno che il contratto di vendita internazionale preveda una specifica clausola di forza maggiore (force majeure clause), la quale tenga in considerazione, tra l’altro, gli interessi delle parti, il tipo di relazione commerciale, i fattori critici del contratto (tra cui la legge applicabile), le caratteristiche dell’industria di riferimento.
Spesso la clausola di forza maggiore definisce in modo dettagliato cosa si intende per evento di forza maggiore, elencando esemplificativamente quali eventi sono considerati di forza maggiore ed escludendo specifici eventi.
Generalmente le clausole di forza maggiore disciplinano anche le modalità con cui l’evento deve essere provato (in modo da evitare di fare affidamento alla disciplina prevista dalla legge applicabile al contratto), ad esempio richiedendo alla parte di fornire – immediatamente o entro un termine dalla dichiarazione di forza maggiore – specifica documentazione a sostegno. A tal proposito, è diffusa la prassi di prevedere che la prova venga fornita attraverso certificati di autorità pubbliche, quali ad esempio le camere di commercio
Il contratto prevede solitamente l’obbligo per la parte che intende far valere la forza maggiore di notificare all’altra, entro un determinato periodo di tempo, il verificarsi dell’evento impeditivo. Tale previsione serve a responsabilizzare le parti ed a far sì che esse reagiscano con tempestività all’evento eccezionale con misure di contrasto. Allo stesso tempo, l’obbligo di notifica evita che le parti utilizzino strumentalmente l’eccezione di forza maggiore per motivare ritardi nell’inadempimento.
Le clausole di forza maggiore disciplinano inoltre anche le conseguenze ed i rimedi in caso di forza maggiore, individuando soluzioni spesso più flessibili rispetto a quelle previste dalle varie normative nazionali. Il verificarsi di un evento di forza maggiore produce generalmente come conseguenza l’esclusione di ogni responsabilità in capo alla parte che l’ha subìto per il mancato o ritardato adempimento.
Di solito viene esclusa l’immediata risoluzione del contratto (soluzione invece spesso prevista dalle normative nazionali), e prevista invece in prima battuta la sospensione del contratto finché l’impedimento non venga meno, con conseguente proroga dei termini contrattuali (per consegna, installazione, collaudo, periodo di garanzia, etc.). Per non estendere, tuttavia, eccessivamente il vincolo contrattuale, viene solitamente previsto un periodo dopo il quale la parte diversa da quella che ha fatto valere l’evento di forza maggiore può risolvere il contratto.
In alternativa alla risoluzione, alla scadenza del periodo di sospensione senza che sia venuto meno l’evento impeditivo, le parti possono prevedere un meccanismo di rinegoziazione dei termini contrattuali, disciplinando le conseguenze del mancato raggiungimento di un accordo amichevole a tal proposito.
Anche gli effetti della risoluzione sul piano risarcitorio possono essere disciplinati contrattualmente, derogando quindi alle soluzioni previste dalla legge applicabile.
7. La clausola di hardship
Nel contesto di contratti di vendita internazionale nei quali intercorre un certo periodo di tempo tra la stipula e l’esecuzione, può verificarsi un evento che altera sostanzialmente l’equilibrio economico del contratto, in misura tale da rendere eccessivamente oneroso l’esecuzione dell’impegno contrattuale da parte del contraente colpito dall’evento negativo).
In questi casi, l’adempimento è ancora possibile (diversamente da quanto accade nel caso di un evento di forza maggiore), ma il costo è molto più oneroso di quanto era stato previsto al momento della firma del contratto.
Ad esempio, può verificarsi che, dopo la firma del contratto di vendita di tubi in acciaio, aumentino in misura abnorme i prezzi dell’acciaio; oppure che una linea di navigazione (come il canale di Suez) venga improvvisamente chiusa ed i costi di consegna aumentino enormemente, dovendosi percorrere una rotta marittima molto più lunga per arrivare a destinazione; etc.
Per quanto le parti si sforzino di prevedere varie clausole di copertura dei rischi (di cambio, di aumento dei prezzi delle materie prime etc., è impossibile prevedere tutti i possibili mutamenti economici che possono in futuro incidere sul contratto.
Per prevenire tali situazioni – e i conseguenti potenziali contenziosi – nella pratica degli affari si ricorre ad una specifica clausola denominata di hardship. Tale clausola normalmente prevede un obbligo di rinegoziare il contratto, in modo da “salvare” il contratto adattandolo alla nuova situazione commerciale attraverso modifiche ragionevoli che rimedino allo sbilanciamento economico.
Ciò fa sì che la pratica eseguibilità delle disposizioni di una clausola di hardship è più problematica di quella di una “force majeure clause”, in quanto presuppone che entrambi i contraenti si comportino in buona fede: sia la parte che asserisce il verificarsi di una situazione di “hardship” (che ovviamente non può essere considerata alla stregua di qualsivoglia accadimento che renda l’ esecuzione del contratto per una delle parti meno profittevole di quanto originariamente ipotizzato), e sia la parte chiamata a riconoscere il verificarsi di un “hardship event” e quindi a rinegoziare le condizioni contrattuali inizialmente pattuite.
In alcuni casi si prevede che qualora le parti non trovino un accordo in merito alla modifica del contratto, la questione debba essere decisa da un giudice o da un collegio arbitrale, a cui spetterà se dichiarare risolto il contratto o modificare i patti contrattuali per ristabilire l’equilibrio tra i contraenti. Tuttavia, nella pratica è raro che le parti si affidino ad un terzo, giudice o arbitro che sia, a cui affidare la ridefinizione dei contenuti del loro accordo originario. Per questo motivo, più spesso le clausole di “hardship” prevedono la possibilità per la parte che abbia invocato il verificarsi di una situazione di “hardship”, di risolvere anticipatamente il contratto, nell’ ipotesi in cui i contraenti non siano riusciti a concordare le modifiche da apportare al contratto.
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Avv. Valerio Pandolfini
Avvocato specializzato in contrattualistica d’impresa
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