Conflitto di interessi del socio: quando sussiste, quali sono le conseguenze, quali sono i rimedi?
Si ha conflitto di interessi di un socio qualora questi persegua un interesse esterno rispetto a quello della società, e quindi contrapposto a quest’ultima, proprio o di terzi. L’esperienza dimostra che un socio in conflitto di interessi è tentato di votare facendo prevalere il proprio personale interesse extrasociale su quello sociale. Il voto di questo socio è dunque pericoloso per la società perché egli lo potrà usare per raggiungere un suo personale vantaggio, a danno della società stessa (e quindi anche degli altri soci). Il conflitto di interessi del socio di società è disciplinato alla stregua di un limite all’esercizio del diritto di voto del socio stesso. Non vi è infatti un divieto di voto per il socio in conflitto di interessi; il socio può decidere se astenersi dal voto o meno. Tuttavia, il voto del socio in conflitto di interessi costituisce causa di annullabilità della deliberazione quando è stato determinante (c.d. prova di resistenza) e ha contribuito all’approvazione di una deliberazione idonea a danneggiare la società (art. 2373 c.c.). Inoltre, gli amministratori non possono votare nelle deliberazioni riguardanti la loro responsabilità.
Ascolta il riassunto audio dell’articolo:
1. Il conflitto di interessi del socio
Si ha conflitto di interessi di un socio laddove questi persegua un interesse esterno rispetto a quello della società, e quindi contrapposto a quest’ultima, proprio o di terzi. La situazione di conflitto di interessi ricorre quindi nei casi in cui la normale dialettica assembleare e, dunque, i normali conflitti sociali interni vengono ad essere influenzati e, inquinati, da elementi esterni.
L’esperienza dimostra che un socio in conflitto di interessi è tentato di votare facendo prevalere il proprio personale interesse extrasociale su quello sociale. Il voto di questo socio è dunque pericoloso per la società perché egli lo potrà usare per raggiugere un suo personale vantaggio, a danno della società stessa (e quindi anche degli altri soci). Il conflitto di interessi del socio di società è disciplinato alla stregua di un limite all’esercizio del diritto di voto del socio stesso, nel momento in cui è chiamato ad esercitare le proprie facoltà nelle delibere assembleari.
L’interesse in conflitto rileva infatti come regola sostanziale di validità della deliberazione assembleare, che diviene annullabile ove risulti che, in concreto, l’interesse della società sia stato sacrificato ad un interesse esterno del socio. In particolare, il voto dell’azionista in conflitto costituisce causa di annullabilità della deliberazione solo quando:
- sia stato determinante (c.d. prova di resistenza);
- abbia contribuito all’approvazione di una deliberazione idonea a danneggiare la società.
2. La disciplina del conflitto di interessi del socio nelle S.p.a. e nelle S.r.l.
Per le S.p.A., l’art. 2373 c.c. prevede che la deliberazione approvata con il voto determinante di coloro che abbiano, per conto proprio o di terzi, un interesse in conflitto con quello della società è impugnabile a norma dell’art. 2377 c.c., qualora possa recarle danno.
Per le S.r.l., l’art. 2479 ter c.c. detta una disciplina sostanzialmente analoga, prevedendo che, qualora possano recare danno alla società, sono impugnabili le decisioni assunte con la partecipazione determinante di soci che hanno, per conto proprio o di terzi, un interesse in conflitto con quello della società. Il riferimento alla «partecipazione determinante», anziché al «voto determinante», come per la S.p.a., si spiega in quanto nelle S.r.l. la decisione può essere assunta mediante procedimento extra-assembleare, ossia con modalità nelle quali manca un voto in senso tecnico.
Si tratta di una disciplina senza fattispecie, in quanto il legislatore detta le regole che si applicano quando esiste un conflitto di interessi, ma nulla dice per definire il presupposto al ricorrere del quale quelle regole entrano in gioco.
Non vi è quindi un divieto di voto per il socio in conflitto di interessi; l’esercizio del diritto di voto è rimesso all’apprezzamento discrezionale del socio, il quale deve però esercitarlo in modo tale da non recare danno alla società. Entro tale limite, il socio – o, meglio, la maggioranza azionaria – può liberamente determinare la volontà della società, rimanendo invece precluso ogni sindacato in ordine al merito delle deliberazioni e, precisamente, sulla convenienza e sulla opportunità di determinate decisioni. Si ritiene altresì che non vi sia neppure un obbligo per il socio di informare l’assemblea dell’esistenza del conflitto.
Qualora, dunque, il presidente dell’assemblea o l’amministratore escludesse dal voto il socio sulla base di un supposto conflitto di interesse, la deliberazione risultante dall’assemblea risulterebbe invalidamente assunta, indipendentemente dalla prova di resistenza e dalla potenzialità dannosa di essa. È, invece, demandato allo stesso socio di decidere se astenersi dal voto o meno, rilevando tale scelta sul computo dei quorum per l’approvazione della deliberazione (art. 2368 c.c.).
Si ritiene che siano ammissibili clausole statutarie che impongano al socio di dichiarare in assemblea la propria situazione di conflitto o anche semplicemente la propria posizione di interesse personale nella deliberazione (al pari di quanto dispone l’art. 2391 c.c. per gli amministratori); in tali casi, la violazione dell’obbligo statutario da parte del socio, oltre a comportare l’annullabilità della deliberazione assunta, integrerebbe altresì un inadempimento ad un obbligo su di lui gravante, dal quale potrebbero derivare tanto l’obbligazione di risarcire il danno cagionato, quanto la configurabilità di una giusta causa di revoca da cariche sociali eventualmente ricoperte.
La disciplina sul conflitto di interessi del socio si applica anche:
- all’usufruttuario ed al creditore pignoratizio;
- ai titolari di strumenti finanziari partecipativi non soci, ma dotati del diritto di voto per specifici argomenti o dipendenti della società o di società controllate (2351,ultimo comma, c.c.).
3. Gli interessi in conflitto
Si ha conflitto di interessi qualora il socio sia portatore di un interesse personale contrastante con quello della società e, più precisamente, quando il socio sia portatore di un duplice interesse, il primo derivante dalla sua condizione di socio e l’altro che trova la propria fonte all’esterno della società, in una particolare condizione del socio. In tali casi, il socio non può realizzare l’uno se non sacrificando l’altro interesse.
Ad avviso della giurisprudenza, l’interesse sociale è l’insieme di quegli interessi comuni ai soci, in quanto parti del contratto di società, che concernono la produzione del lucro, la massimizzazione del profitto sociale (ovverosia del valore globale delle azioni o delle quote), il controllo della gestione dell’attività sociale, la distribuzione dell’utile, l’alienabilità della propria partecipazione sociale e la determinazione della durata del proprio investimento.
Dovendo porsi l’interesse del socio in contrasto con quello della società, è irrilevante che la delibera approvata consenta al socio il conseguimento di un suo personale interesse, se, nel contempo, non risulti pregiudicato l’interesse sociale. Non è, tuttavia, necessario che il socio sia destinato ad assumere la posizione di controparte contrattuale della società in una determinata operazione, essendo invece sufficiente che egli possa ricavare dalla delibera un vantaggio particolare.
Il conflitto ricorre quando l’interesse di cui il socio è in concreto portatore – non necessariamente patrimoniale – si pone in contrasto o appare incompatibile con l’interesse della società e non solo con l’interesse di altri soci o gruppi di soci. Non è, dunque, sufficiente che il socio miri a realizzare, in tutto o in parte, il proprio interesse personale, occorrendo anche che tale interesse si ponga obiettivamente in contrasto con quello della società e che la deliberazione sia idonea a ledere quest’ultimo interesse.
L’esempio tipico è quello dell’assemblea chiamata ad autorizzare l’acquisto, da parte della società, di un immobile di proprietà di un socio (o del coniuge del socio o di una società della quale egli è l’amministratore): come proprietario (o come coniuge del proprietario o come amministratore della società venditrice), quest’ultimo sarà interessato a vendere al maggior prezzo possibile; come socio, invece, ad acquistare al minor prezzo possibile. In questo caso, la società può essere danneggiata qualora il prezzo pagato dalla società per l’acquisto dell’immobile superi notevolmente quello di mercato.
L’interesse del socio deve essere:
- obiettivo e concreto, non essendo sufficiente un semplice motivo;
- preesistente alla deliberazione, in quanto solo così è idoneo ad influenzare il procedimento deliberativo;
Non ha rilievo lo stato soggettivo del socio e, quindi, la sua consapevolezza di votare in una situazione di conflitto, essendo quest’ultimo rilevabile obiettivamente utilizzando i dati forniti dalla comune esperienza.
Sussiste una posizione di conflitto anche quando l’interesse che si ponga in contrasto con la società non faccia capo direttamente al socio, ma ad un terzo. In tale ipotesi, tuttavia, devono sussistere indici precisi ed univoci dai quali risulti che il socio ha votato in funzione dell’interesse altrui, contrastante con l’interesse sociale, danneggiando anche solo potenzialmente la società. A tal proposito non è di per sé rilevante fatto che il socio si trovi in rapporto di parentela con altro soggetto, estranei alla società e con essa in conflitto d’interessi, né che il socio appartenga alla compagine sociale di due società differenti e tra di loro concorrenti.
4. L’annullabilità della delibera in conflitto di interessi
Come si è detto, ai sensi degli artt. 2373 e 2479 ter c.c., le delibere approvate con il voto determinante dei soci che abbiano un interesse in conflitto con quello della società sono annullabili, qualora possano recare danno alla società.
L’annullamento della deliberazione per conflitto di interessi richiede, tra i suoi presupposti, il carattere determinante, ai fini dell’approvazione della medesima, del voto espresso dal socio in conflitto (c.d. “prova di resistenza”). Tale requisito deve essere inteso in modo puramente aritmetico, non essendo rilevante la semplice influenza che il socio in conflitto possa avere esercitato sugli altri soci, pur non essendo il suo voto matematicamente determinante per l’approvazione della deliberazione (perché il socio si sia poi astenuto o perché non disponga di tante azioni da essere determinante ai fini del raggiungimento della maggioranza richiesta).
Esclusa dunque dal calcolo della maggioranza di voto deliberativo la quota riferita al socio in conflitto di interessi, se residua una maggioranza di consensi superiore alla metà di quella necessaria per la validità della decisione, da calcolarsi sugli aventi diritto al voto, deve essere negato il carattere determinate del voto del socio in conflitto.
Ai sensi dell’art. 2368, comma 3, c.c., salvo diversa disposizione di legge, le azioni per le quali non può essere esercitato il diritto di voto sono computate ai fini della regolare costituzione dell’assemblea; le medesime azioni e quelle per le quali il diritto di voto non è stato esercitato a seguito della dichiarazione del socio di astenersi per conflitto di interessi non sono computate ai fini del calcolo della maggioranza e della quota di capitale richiesta per l’approvazione della deliberazione.
Pertanto, il voto espresso dal socio in conflitto di interessi deve essere computato ai fini tanto del quorum costitutivo quanto di quello deliberativo, ad eccezione dei casi in cui il soggetto portatore del conflitto abbia deliberatamente scelto di astenersi o si ponga ai voti la deliberazione inerente la responsabilità di un socio-amministratore.
Salva diversa previsione dello statuto, i soggetti legittimati all’impugnazione della delibera sono:
- i soci assente, dissenzienti o astenuti, detentori di una quota parti ad almeno il 5% del capitale sociale (uno per mille nelle società che fanno riscorso al mercato del capitale di rischio);
- gli amministratori;
- il collegio sindacale o il consiglio di sorveglianza.
Non sono invece legittimati all’impugnativa i soci che hanno partecipato alla delibera assembleare e che hanno votato a favore della stessa, non esseno portatori di un interesse ad agire, ai sensi dell’art. 100 C.p.c.
I soci del primo punto devono poi possedere tante quote corrispondenti all’uno per mille del capitale sociale, nelle società, e al cinque per cento, nelle altre società.
Il termine per procedere all’impugnazione è di 90 giorni. Trascorso tale termine senza che sia stata presentata l’azione innanzi all’autorità giudiziaria, la delibera si intende sanata. Un a volta che invece sia stata proposta l’impugnazione, la società può evitare di subire l’annullamento tramite la sostituzione della delibera viziata; in tal caso si procederò ad una nuova delibera assembleare, conforme alla legge e allo statuto, non viziata da conflitto di interesse.
5. Il danno per la società
Ai fini dell’annullamento della deliberazione non è sufficiente l’esistenza di un conflitto di interessi e la scelta del socio portatore dell’interesse extrasociale alla votazione e, dunque, all’adozione della deliberazione medesima;l’art.2373 c.c. richiede, infatti, oltre che quel voto sia stato determinate per l’ottenimento della maggioranza necessaria, la potenzialità dannosa della decisione.
L’idoneità a danneggiare la società deve essere intesa in senso oggettivo; non rileva dunque la circostanza che l’azionista, attraverso la partecipazione all’assunzione della deliberazione, realizzi o possa realizzare anche interessi egoistici suoi propri rispetto ai quali, però, l’interesse della società si riveli neutrale.
Il danno deve risultare, secondo un giudizio probabilistico e statistico, possibile, anche se futuro e, quindi, non ancora verificatosi; in altri termini, è necessario e sufficiente che vi sia un ragionevole pericolo di pregiudizio, sull’esistenza del quale non rilevano, peraltro, eventi sopravvenuti che abbiano impedito il verificarsi del danno.
Il danno rilevante ha ad oggetto non solo il patrimonio sociale, ma anche il valore globale delle partecipazioni societarie, perché altrimenti ne verrebbero menomati i diritti delle minoranze. Tuttavia, deve consistere in un danno patrimoniale.
Ai fini dell’accertamento del pregiudizio potenziale, la delibera deve essere valutata non di per sé sola (e, dunque in astratto), ma in connessione ai suoi effetti, anche potenziali, diretti o mediati sulla situazione esterna alla società e sui riflessi che la situazione modificata dalla delibera produce sulla società.
Casi tipici in cui la giurisprudenza ha ravvisato un conflitto di interessi in danno della società sono:
- il socio, che riveste anche la carica di amministratore della società, determina il compenso ad esso spettante in misura eccessiva rispetto all’attività effettivamente svolta, e/o rispetto dei parametri di mercato, sempre che il suo voto sia stato determinante per l’approvazione della relativa delibera;
- fusione tra società controllante e controllata, qualora il rapporto di cambio sia sfavorevole.
6. Il divieto di voto a carico degli amministratori in conflitto
Il secondo comma dell’art. 2373 c.c. prevede che gli amministratori non possono votare nelle deliberazioni riguardanti la loro responsabilità.
La norma impedisce quindi che gli amministratori partecipino alla formazione di una delibera avente ad oggetto l’apprezzamento della propria condotta. In questo caso, infatti, l’esistenza del conflitto, ritenuto in re ipsa in ragione del contenuto della deliberazione da adottare, incide sulla stessa legittimazione al voto, che non è soltanto limitato, ma del tutto inibito agli amministratori, indipendentemente dalla decisività del voto e dal pericolo di danno per la società. Conseguentemente, il presidente dell’assemblea è tenuto ad accertare il difetto di legittimazione e ad escludere dal voto i soci non legittimati.
In tali casi, per il calcolo dei quorum si applica l’art. 2368 c.c.: le azioni del socio-amministratore in conflitto si computeranno solo nel quorum costitutivo e non in quello deliberativo. Ad avviso della giurisprudenza, il divieto di voto si estende anche al caso in cui le azioni dell’amministratore siano state intestate fiduciariamente ad un terzo, e al caso in cui nella deliberazione vi sia stato il voto contrario espresso dai soggetti contro cui l’azione risarcitoria viene proposta, sebbene abbiano ormai lasciato l’incarico o agiscano come procuratori di altro socio.
La norma in esame non si applica invece alla deliberazione di revoca degli amministratori; in tal caso, infatti, salvo che la revoca consegua automaticamente alla deliberazione di autorizzazione all’azione di responsabilità ai sensi dell’art. 2393, comma 5 c.c., la minoranza non può decidere sulla revoca stessa degli amministratori in carica.
Nei casi in cui l’azione riguardi la responsabilità di più soci-amministratori, è dubbio se debba essere posta ai voti separatamente la responsabilità di ciascun socio-amministratore, con la conseguenza che ciascuno di essi sarebbe obbligato ad astenersi esclusivamente in ordine alla deliberazione concernente la propria responsabilità potendo legittimamente votare in ordine alla responsabilità degli altri soci-amministratori, ovvero cumulativamente, con la conseguenza che tutti i soci-amministratori destinatari della futura azione sarebbero privi del diritto di voto.
È altresì dubbio che la previsione del divieto di voto per i soci-amministratori in ordine alla deliberazione inerente alla propria responsabilità si applichi analogicamente anche alla S.r.l. In ogni caso, nella S.r.l. l’esercizio dell’azione sociale di responsabilità rientra nella generale competenza degli amministratori, che si estende a tutti gli atti che non siano da norme legali o statutarie riservate ad i soci. In ogni caso, nella S.r.l. la deliberazione autorizzativa all’esercizio dell’azione di responsabilità non è necessaria, potendo la società autonomamente determinarsi rimettendo ai soci la relativa decisione.
7. Casi particolari di conflitto di interesse: scioglimento della società, compenso degli amministratori e aumento di capitale
La giurisprudenza ritiene non configurabile un conflitto di interessi tra socio e società, ai sensi dell’art. 2373 c.c., con riferimento alla deliberazione di scioglimento anticipato della società, in quanto la situazione di conflitto rilevante ai fini della norma deve essere valutata con riferimento ad un eventuale contrasto tra l’interesse del socio e l’interesse sociale inteso come l’insieme degli interessi riconducibili al contratto di società, tra i quali non è ricompreso l’interesse della società alla prosecuzione della propria attività imprenditoriale, residuando tutto al più soltanto un conflitto pratico tra i vari soci, di per sé giuridicamente irrilevante.
La delibera di scioglimento anticipato della società è tuttavia impugnabile per abuso di maggioranza, ricorrendone i relativi presupposti; come ad esempio quando essa sia stata assunta per autonome scelte personali degli azionisti di maggioranza, i quali intendano procedere al disinvestimento pur in presenza di una attività florida: In tali casi, qualora lo scioglimento arrechi di per sé un danno all’avviamento commerciale o sussistano ostacoli all’esercizio provvisorio dell’impresa durante la liquidazione, la maggioranza deve percorrere preliminarmente ragionevoli alternative prima di deliberare lo scioglimento della società.
La deliberazione di determinazione del compenso in favore dell’amministratore che sia anche socio si ritiene in via generale che non sia annullabile per conflitto d’interessi, per il mero fatto che essa sia stata adottata col voto determinante espresso dallo stesso amministratore che abbia preso parte all’assemblea in veste di socio, se non ne risulti altresì pregiudicato l’interesse sociale.
La deliberazione determinativa del compenso può essere invece viziata quando sia diretta al soddisfacimento di interessi extrasociali, in danno della società, senza che risulti condizionante in sé – ai fini del conflitto di interessi o anche dell’eccesso di potere – la decisività del voto da parte dell’amministratore (beneficiario dell’atto) che sia anche socio. L’irragionevolezza della misura del compenso (valutata in base al fatturato ed alla dimensione economica e finanziaria dell’impresa, da rapportare all’impegno chiesto per la sua gestione) può risultare anche quando la delibera attui un patto parasociale, in precedenza stipulato sotto forma di transazione fra i soci, compresi gli impugnanti soci di minoranza, che sono legittimati all’impugnazione in quanto dissenzienti e nonostante la partecipazione al predetto accordo.
Infine, in giurisprudenza si è affermato che non sussiste alcun conflitto di interessi invalidante nella manifestazione di voto del socio di maggioranza ed amministratore unico della società avente ad oggetto la delibera di aumento del capitale sociale, operazione obiettivamente necessaria per far fronte alle conseguenze economiche derivanti da gravi reati di carattere ambientale e di inottemperanze amministrative a carico del medesimo socio-amministratore, comportamenti eventualmente fonte di responsabilità risarcitoria solo se accertati con idonea iniziativa processuale da parte dei soci di minoranza.
Per approfondire i nostri servizi di assistenza e consulenza in tema di diritto societario, visionate la pagina dedicata del nostro sito.
Avv. Valerio Pandolfini
Avvocato specializzato in diritto Societario
Per altri articoli di approfondimento su tematiche attinenti il diritto d’impresa: visitate il nostro blog.
Le informazioni contenute in questo articolo sono da considerarsi sino alla data di pubblicazione dello stesso; le norme regolatrici la materia potrebbero essere nel frattempo state modificate.
Le informazioni contenute nel presente articolo hanno carattere generale e non sono da considerarsi un esame esaustivo né intendono esprimere un parere o fornire una consulenza di natura legale. Le considerazioni e opinioni riportate nell’articolo non prescindono dalla necessità di ottenere pareri specifici con riguardo alle singole fattispecie.
Di conseguenza, il presente articolo non costituisce un (né può essere altrimenti interpretato quale) parere legale, né può in alcun modo considerarsi come sostitutivo di una consulenza legale specifica.