Contratto di agenzia: durata, recesso, scioglimento del contratto
Il contratto di agenzia può essere stipulato a tempo determinato o indeterminato. Se il contratto è a tempo determinato, le parti non possono in linea generale recedere prima della scadenza del termine pattuito, se non per giusta causa, cioè per grave inadempimento agli obblighi contrattuali. Le parti possono rendere superflua la valutazione circa la gravità dell’inadempimento inserendo nel contratto una clausola risolutiva espressa. Se il contratto di agenzia è stipulato a tempo indeterminato, le parti possono recedere in qualsiasi momento, senza che debba ricorrere una giusta causa né un inadempimento imputabile all’altra parte (cd. recesso ordinario). La parte che recede deve tuttavia dare all’altra un preavviso. L’art. 1750 c.c. fissa dei termini minimi di preavviso, derogabili ma solo in senso più favorevole all’agente. I termini di preavviso previsti dagli AEC sono efficaci, purché uguali o superiori a quelli fissati dalla norma codicistica.
1. Contratto di agenzia a tempo determinato
Il contratto di agenzia può essere stipulato a tempo determinato o indeterminato. A differenza di quanto avviene per il contratto di lavoro subordinato, il Codice civile non prevede limitazioni alla libertà delle parti in ordine alla durata del contratto.
Se il contratto è a tempo determinato, le parti non possono in linea generale recedere prima della scadenza del termine pattuito, se non per giusta causa, cioè per grave inadempimento agli obblighi contrattuali, tale da produrre il venir meno in capo alla parte non inadempiente dell’interesse all’ulteriore prosecuzione del rapporto (cd. recesso per giusta causa, o straordinario).
La giurisprudenza a tal proposito è orientata a ritenere che, sebbene l’art. 1751 c.c. faccia riferimento al concetto di inadempimento piuttosto che a quello più generale di “causa” utilizzato dall’art. 2119 c.c. per il recesso per giusta causa dal rapporto di lavoro subordinato, la fattispecie risolutiva sia essenzialmente la stessa, con conseguente applicazione in via analogica dell’art. 2119 c.c..
Secondo la giurisprudenza, nel contratto di agenzia, data la maggiore autonomia di gestione dell’attività dell’agente in funzione del conseguimento delle finalità aziendali, il rapporto di fiducia tra le parti è più intenso rispetto al rapporto di lavoro subordinato, e, di conseguenza, ai fini della legittimità del recesso è sufficiente un fatto di minore rilevanza (Cass. 5.11.2013 n. 24776).
In questo senso, si è ritenuto che non sussista inadempimento dell’agente, e quindi una giusta causa del recesso, qualora l’agente non abbia potuto ampliare la clientela a causa della mancata omologazione del prodotto da parte del preponente (Cass. 24.2.2011 n. 3595), né qualora l’agente abbia sospeso la prestazione trovandosi in stato di detenzione in carcere, non sussistendo il requisito dell’imputabilità dell’inadempimento (Cass. 25.7.2008 n. 20497).
Viceversa, si è ritenuta sussistente la giusta causa di recesso dell’agente il mancato pagamento di provvigioni relative ad uno specifico ordine, ricevuto direttamente dal preponente, ma da terzi rientranti nella zona di esclusiva dell’agente e che quest’ultimo aveva in precedenza acquisito come clienti (Cass. 5.11.2013 n. 24776). La giurisprudenza ha altresì ritenuto che il recesso della società preponente da un contratto di agenzia non costituisca abuso di diritto, qualora la stessa abbia osservato le modalità previste dall’AEC (nella specie degli agenti assicurativi) (Cass. 7.5.2013 n. 10568).
Ai sensi dell’art. 1750 c.c., il contratto a tempo determinato che continui ad essere eseguito dalle parti dopo la scadenza del termine si trasforma in contratto a tempo indeterminato. La norma si applica alla fattispecie di protratta esecuzione del contratto scaduto per facta condudentia; non è invece applicabile né qualora il precedente rapporto a termine venga prorogato o rinnovato con la fissazione di una nuova scadenza – che determina semplicemente la continuazione dello stesso fino all’ulteriore termine stabilito ovvero l’instaurazione di un nuovo rapporto a termine – né nel caso di un contratto a tempo determinato munito di clausola di tacita rinnovazione – nel qual caso è pacifico che la mancata disdetta entro il termine pattuito comporta l’instaurazione, per rinnovo, di un altro contratto a termine alle stesse condizioni del primo.
In giurisprudenza si è così ritenuto legittima la clausola di tacita rinnovazione di anno in anno, salvo disdetta del rapporto di agenzia, senza che dalla reiterata rinnovazione del contratto a termine possa trarsi la conseguenza di un unico contratto di agenzia a tempo indeterminato: nell’ipotesi del rinnovo automatico del contratto per mancato invio della disdetta e di successivo recesso ingiustificato del preponente dal rapporto, l’agente ha diritto non all’indennità sostitutiva del preavviso, ma al risarcimento del danno.
L’AEC commercio del 2009 ha regolamentato per la prima volta, all’art. 2, il periodo di prova, non fornendone tuttavia una vera e propria disciplina ma limitandosi a prevedere che in caso di rinnovo del contratto a tempo determinato avente il medesimo contenuto in termini di zona, prodotti e clienti, non è possibile riproporre il patto di prova nel contratto rinnovato.
Si tratta peraltro di una conseguenza derivante in ogni caso dai principi generali, posto che la funzione del patto di prova è quella di sperimentare reciprocamente la collaborazione per valutare, in un limitato lasso di tempo, l’opportunità di proseguirla sulla base di un rapporto stabile; pertanto, in caso di rinnovo di un contratto a tempo determinato nel quale le parti abbiano positivamente superato il periodo di prova, riproporre il patto anche nel contratto rinnovato renderebbe priva di causa la relativa pattuizione, e la parte che ne subisca le eventuali conseguenze nel contratto rinnovato potrebbe contestarne la legittimità ed efficacia. L’AEC non indica inoltre alcuna durata della prova, lasciando quindi alla libertà delle parti la sua esatta determinazione.
2. Recesso e clausola risolutiva espressa
In giurisprudenza si è posto il problema circa la compatibilità della pattuizione di una clausola risolutiva espressa, ai sensi dell’art. 1456 c.c. – che, come è noto, è suscettibile di produrre la risoluzione del contratto indipendentemente dalla gravità dell’inadempimento – con la previsione dell’obbligo di preavviso contenuta nell’art. 1750 c.c. Dato che, infatti, quest’ultima norma attribuisce la facoltà al preponente di recedere senza preavviso solo a condizione che ricorra una giusta causa, nel caso di clausola risolutiva espressa applicata ad un contratto di agenzia, si è posto il problema se il giudice possa ugualmente valutare l’importanza dell’inadempimento.
Secondo l’indirizzo tradizionale, e ancora prevalente, della giurisprudenza, il disposto di cui all’art. 1750 c.c. non impedisce alle parti la stipulazione della clausola risolutiva espressa di cui all’art. 1456 c.c. Conseguentemente, secondo tale orientamento, qualora le parti abbiano preventivamente valutato l’importanza di un determinato inadempimento facendone discendere la risoluzione del contratto senza preavviso, il giudice non può compiere alcuna indagine sull’entità dell’inadempimento stesso rispetto all’interesse della controparte, ma deve solo accertare se esso sia imputabile al soggetto obbligato quantomeno a titolo di colpa (Cass. 4.10.2013 n.22722; Cass. 5.06.2009 n. 13076; Cass. 2.05.2006 n. 10092; Cass. 14.06.2002 n. 8607).
A fianco di tale orientamento si ravvisa tuttavia un diverso e recente indirizzo giurisprudenziale, secondo cui il giudice, anche in presenza di una clausola risolutiva espressa, deve comunque procedere ad una valutazione della gravità dell’inadempimento, e conseguentemente ritiene la clausola idonea a legittimare un recesso senza preavviso solo in presenza di un inadempimento che integri una giusta causa, cioè che non consenta la prosecuzione anche provvisoria del rapporto (Cass. 18.05.2011 n. 10934). Tale indirizzo si basa sulla considerazione che la clausola risolutiva non può comunque giustificare un recesso senza preavviso in situazioni concrete che a norma di legge non legittimerebbero un recesso in tronco.
Sulla base di tale secondo orientamento, nonostante la previsione nel contratto di agenzia di una clausola risolutiva espressa, è stato riconosciuto il diritto al preavviso dell’agente e il Giudice ha valutato che non costituisse giusta causa di recesso in tronco il mancato raggiungimento di standard di fatturato irrealistici e il mancato raggiungimento dei target di fatturato, quando negli anni precedenti era invece stato tollerato dal preponente. Viceversa, è stato riconosciuto giusta causa di recesso in tronco il mancato raggiungimento di nemmeno la metà del minimo d’affari pattuito.
3. Recesso per giusta causa
Come si è visto, in un contratto di agenzia a tempo determinato una parte può recedere prima del termine solo qualora sussista una giusta causa, cioè un inadempimento grave imputabile all’altra parte.
Il recesso è un atto unilaterale recettizio, che consente ad una parte di porre termine al contratto ed è efficace nel momento in cui l’altra parte ne sia venuta a conoscenza, senza che sia necessaria l’autorizzazione di quest’ultima.
Il recesso per giusta causa determina automaticamente l’estinzione immediata del rapporto, senza necessità di preavviso né obbligo di pagamento di alcuna indennità sostitutiva, ed anzi con possibile responsabilità per danni in carico al soggetto inadempiente.
Per quanto attiene, in particolare, al recesso per giusta causa esercitato dal preponente, ad avviso della giurisprudenza prevalente si applica in via analogica al contratto di agenzia l’art. 2119 c.c., in tema di rapporto di lavoro subordinato. Tuttavia, nel contratto di agenzia il vincolo fiduciario assume maggiore intensità rispetto al rapporto di lavoro subordinato, data la maggiore autonomia di gestione della prestazione resa dall’agente per luoghi, tempo, modalità e mezzi di funzione del conseguimento delle finalità aziendali.
Di conseguenza, nel rapporto di agenzia è sufficiente un fatto di minore gravità a legittimare il recesso da parte del preponente, rispetto al tipo di comportamento normalmente richiesto per il licenziamento per giusta causa. Inoltre, ai fini della sussistenza della giusta causa di recesso dal contratto di agenzia sono irrilevanti il danno patrimoniale concreto subito dal preponente e il corrispondente vantaggio o guadagno dell’agente; occorre infatti accertare se le mancanze contestate all’agente siano, nel caso specifico, suscettibili di ledere in modo irreparabile il vincolo fiduciario tra le parti.
In caso di recesso per giusta causa del preponente, non è dovuta all’agente l’indennità di cessazione del contratto. In considerazione di ciò, talvolta la “giusta causa” può essere più apparente che reale, e l’agente ha quindi interesse a contestare il fatto in giudizio, al fine di fare accertare la mancanza della giusta causa nel recesso e vedersi riconosciute tutte le indennità di cessazione del rapporto.
In proposito era sorto un contrasto circa l’applicabilità anche ai contratti di agenzia dell’art. 32 della L. n. 183/2010 (cd. cd. «Collegato lavoro»), che aveva esteso il termine di decadenza di 60 giorni per l’impugnativa del licenziamento anche al recesso del committente nell’ambito dei rapporti di collaborazione coordinata e continuativa, di cui all’art. 409 n. C.p.c.
Parte della giurisprudenza riteneva che tale norma fosse applicabile anche ai contratti di agenzia a carattere “prevalentemente personale” – con esclusione in ogni caso, degli agenti costituiti in forma societaria e quelli che, pur operando in forma individuale, possano essere considerati imprenditori (in quanto si avvalgono di dipendenti, subagenti o che abbiano ingenti mezzi strumentali, quali depositi, magazzini e simili) – con la conseguenza che l’agente che intenda contestare la giusta causa del recesso invocata dal preponente ha l’onere di impugnare il recesso, entro 60 giorni dalla sua comunicazione.
La Cassazione, con la sentenza n. 8964/2021, ha invece risolto in senso favorevole agli agenti di commercio un contrasto giurisprudenziale insorto rispetto all’applicabilità o meno, nei loro confronti, della norma che impone l’onere di impugnare il recesso operato dal preponente nel termine di 60 giorni, ritenendo che ai rapporti di agenzia non si applichi il termine di decadenza di cui all’art. 32 L. n. 183/2010.
In giurisprudenza si è ritenuto che costituiscano giusta causa di recesso da parte del preponente:
-
- la violazione dell’obbligo dell’agente di svolgere un’attività di promozione stabile e continua;
- la violazione dell’esclusiva;
- attraverso lo svolgimento dell’attività per conto di ditte concorrenti;
- l’appropriazione indebita delle somme incassate per conto del preponente;
- il mancato raggiungimento da parte dell’agente del minimo d’affari pattuito con il preponente, sempre che il divario tra tale minimo e il fatturato procurato dall’agente sia rilevante;
- la violazione dell’obbligo di non concorrenza da parte dell’agente.
Anche per quanto concerne l’agente, dato il legame fiduciario tra le parti è sufficiente un inadempimento da parte del preponente di minore gravità rispetto a quello previsto dall’art. 2119 c.c. per integrare una giusta causa di recesso. La presenza di una giusta causa consente all’agente di recedere dal contratto ossia senza preavviso, senza dovere alcuna indennità di preavviso al preponente e con diritto all’indennità di fine rapporto [link: https://assistenza-legale-imprese.it/lindennita-fine-rapporto-nellagenzia/]
La giurisprudenza ha ritenuto che costituiscano giusta causa di recesso da parte dell’agente:
-
- la violazione dei doveri di lealtà e correttezza da parte del preponente;
- l’ingiustificata riduzione della zona [link: https://assistenza-legale-imprese.it/contratti-agenzia-zona-lesclusiva/]:
- il mancato pagamento delle provvigioni – di una certa gravità ( dato che l’autonomia e l’indipendenza dell’agente sono in genere tali da conferirgli una maggiore capacità di resistenza rispetto al lavoratore subordinato);
- il rifiuto sistematico e ingiustificato del preponente di concludere i contratti promossi dall’agente;
- la violazione dell’esclusiva;
- la cessione di azienda del preponente – qualora il cessionario non offra sufficiente garanzia circa il regolare adempimento delle obbligazioni derivanti dal contratto di agenzia;
- l’abituale e ingiustificato ritardo nell’esecuzione delle ordinazioni accettate, in violazione dei termini di consegna.
4. Risarcimento danni in caso di recesso illegittimo
Le parti possono rendere superflua la valutazione circa la gravità dell’inadempimento inserendo nel contratto una clausola risolutiva espressa; in tal caso, infatti, il contratto si risolve automaticamente, senza diritto al preavviso o alla relativa indennità sostitutiva in favore dell’inadempiente.
Qualora una parte receda anticipatamente in assenza di una inadempienza grave imputabile all’altra parte, la stessa si rende inadempiente alle proprie obbligazioni contrattuali ed è quindi tenuta a risarcire i danni subìti dall’altra parte.
Nel caso in cui abbia illegittimamente receduto dal contratto il preponente, i danni per l’agente saranno di regola costituiti dalle provvigioni che gli sarebbero spettate se il rapporto fosse continuato fino alla scadenza.
La giurisprudenza tende a commisurare tale importo alla media delle provvigioni percepite nell’anno precedente, rapportata alla residua durata che il contratto avrebbe dovuto avere, tenuto conto delle spese che comunque l’agente avrebbe ragionevolmente sostenuto per produrre il reddito perduto e di quanto l’agente abbia percepito, nel periodo di durata residua del rapporto a termine interrotto, per effetto di una nuova attività che abbia eventualmente intrapreso. Il giudice potrà inoltre fare ricorso anche a presunzioni e alla liquidazione equitativa del danno.
Se invece si sia reso inadempiente l’agente per effetto di un recesso esercitato illegittimamente, il preponente avrà diritto al risarcimento dei danni commisurati alla perdita di utili registrata nella zona affidata all’agente, nonché alla temporanea scopertura della zona e i disagi subìti dalla clientela. Si tratta di una dimostrazione non semplice, e per tale motivo spesso nella prassi le parti predeterminano nel contratto tale tipo di danno, attraverso una clausola penale.
Se siete interessati a scaricare un modello dicontratto di agenzia, inviate una mail al seguente indirizzo: info@studio-pandolfini.it.
5. Contratto di agenzia a tempo indeterminato
Se il contratto di agenzia è stipulato a tempo indeterminato, le parti possono recedere – oltre che per giusta causa, analogamente a quanto accade nel contratto a tempo determinato (v. par. 3) – in qualsiasi momento, senza che debba ricorrere una giusta causa né un inadempimento imputabile all’altra parte (cd. recesso ordinario, o ad nutum); ciò in virtù del principio che vieta l’assunzione di obblighi contrattuali di durata illimitata.
La parte che recede deve tuttavia dare all’altra un preavviso. L’art. 1750 c.c. fissa dei termini minimi di preavviso, derogabili ma solo in senso più favorevole all’agente, graduati in ragione della durata del rapporto. Tali termini minimi sono:
- un mese per il primo anno di durata del contratto;
- due mesi per il secondo anno;
- tre mesi per il terzo anno;
- quattro mesi per il quarto anno;
- cinque mesi per il quinto anno;
- sei mesi per il sesto anno e per tutti gli anni successivi.
Inoltre, la menzionata norma prevede che, fermi restando i minimi previsti, il termine di preavviso pattuito a carico del preponente non può essere inferiore a quello stabilito a carico dell’agente.
Secondo l’orientamento prevalente della giurisprudenza, in caso di recesso ad nutum del preponente, salvo il dovere del preavviso, non spetta all’agente alcun risarcimento, poiché il recesso costituisce esplicazione di un diritto potestativo delle parti, e non costituisce inadempimento contrattuale né integra gli estremi del comportamento in violazione degli obblighi di correttezza (Cass. 7.2.2017 n. 3251; Cass. 15.10.2010 n. 21279).
6. Il preavviso nel recesso ordinario
La Cassazione ha ritenuto che, non essendo applicabile al rapporto d’agenzia la disciplina di cui all’art. 2 L. n. 604/1966 relativa alla forma scritta del licenziamento, il recesso con preavviso può attuarsi con libertà di forma; trattandosi tuttavia di un atto recettizio, il relativo termine decorre dal momento in cui la dichiarazione del recedente giunga a conoscenza dell’ultra parte, ovvero debba presumersi conosciuta per essere pervenuta all’indirizzo del destinatario, ai sensi dell’art. 1335 c.c.
Durante il periodo di preavviso, il rapporto prosegue e pertanto permangono tutti i diritti ed obblighi in capo alle parti. Durante tale periodo l’agente è quindi obbligato a svolgere la propria attività a favore del preponente con diligenza, e, qualora cessi di svolgere il mandato, il preponente è legittimato a porre immediatamente termine al contratto per grave inadempimento dell’agente e a rivendicare il pagamento dell’indennità sostitutiva, oltre che, ricorrendone i presupposti, a richiedere il risarcimento dei danni (Cass. 20 agosto 2018 n. 20821).
Tuttavia, il preavviso ha efficacia meramente obbligatoria; il recesso effettuato senza preavviso dà quindi comunque luogo allo scioglimento del rapporto, salvo il diritto della parte receduta all’indennità sostitutiva del preavviso.
7. Il preavviso negli AEC commercio 2009 e industria 2014
Dato che l’art. 1750 c.c. stabilisce soltanto dei termini minimi di preavviso, i termini di preavviso previsti dagli AEC sono efficaci, purché uguali o superiori a quelli fissati dalla norma codicistica.
In proposito gli AEC commercio del 2009 e industria del 2014 prevedono i seguenti termini di preavviso:
- in caso di recesso su iniziativa dell’agente:
- 3 mesi per gli agenti plurimandatari;
- 5 mesi per gli agenti monomandatari.
- In caso di recesso su iniziativa del preponente:
per l’agente plurimandatario:- tre mesi per i primi tre anni di durata del rapporto;
- quattro mesi nel quarto anno;
- cinque mesi nel quinto anno;
- sei mesi dal sesto anno in poi.
per l’agente monomandatario:- cinque mesi per i primi cinque anni di durata del rapporto;
- sei mesi dal sesto all’ottavo anno;
- otto mesi dal nono anno in poi.
MONOMANDATARIO
DIMISSIONARIO |
PREAVVISO PREVISTO DAGLI AEC | PREAVVISO PREVISTO DALL’ART. 1750 C.C. |
ENTRO 1° ANNO | 5 MESI | 1 MESE |
ENTRO 2° ANNO | 5 MESI | 2 MESI |
ENTRO 3° ANNO | 5 MESI | 3 MESI |
ENTRO 4° ANNO | 5 MESI | 4 MESI |
ENTRO 5° ANNO | 5 MESI | 5 MESI |
DAL 6° ANNO IN POI | 5 MESI | 6 MESI |
– | – | – |
PLURIMANDATARIO
DIMISSIONARIO |
PREAVVISO PREVISTO DAGLI AEC | PREAVVISO PREVISTO DALL’ART. 1750 C.C. |
ENTRO 1° ANNO | 3 MESI | 1 MESE |
ENTRO 2° ANNO | 3 MESI | 2 MESI |
ENTRO 3° ANNO | 3 MESI | 3 MESI |
ENTRO 4° ANNO | 3 MESI | 4 MESI |
ENTRO 5° ANNO | 3 MESI | 5 MESI |
DAL 6° ANNO IN POI | 3 MESI | 6 MESI |
Possono quindi verificarsi tre diverse situazioni:
- il termine di preavviso previsto dal codice civile è uguale rispetto a quello previsto dall’AEC: ciò si verifica quando il recesso dell’agente avvenga nel terzo anno di durata del rapporto se plurimandatario o nel quinto anno di rapporto se monomandatario;
- il termine di preavviso previsto dal codice civile è più breve rispetto a quello previsto dall’AEC: in tal caso il termine stabilito dall’AEC applicabile prevale su quello del codice civile;
- il termine di preavviso previsto dal codice civile è più lungo rispetto a quello previsto dall’AEC: ciò accade nel caso di agente plurimandatario che receda dal contratto dal sesto anno in avanti, ovvero, più frequentemente, in caso di agente plurimandatario che receda dal contratto dal quarto anno in avanti. In tal caso, si applica il termine più lungo previsto dal codice civile.
In definitiva, dunque, l’agente dimissionario deve sempre osservare il termine di preavviso più lungo tra quello stabilito rispettivamente dall’AEC applicabile al contratto e quello previsto dall’art. 1750 c.c.
8. Il mancato rispetto del termine di preavviso
Il mancato rispetto del termine di preavviso non influisce sull’efficacia del recesso, il cui esercizio è validamente effettuato nel momento in cui lo stesso perviene nella sfera di conoscenza dell’altra parte. Qualora dunque una parte non fornisca il dovuto preavviso all’altra, il recesso resta comunque valido ed operante, ma la parte recedente si rende inadempiente nei confronti dell’altra, con il conseguente obbligo di corrisponderle la relativa indennità sostitutiva.
La misura dell’indennità di preavviso in sostituzione e, quindi, in alternativa rispetto al termine di preavviso non è disciplinata dall’art. 1750 c.c. La prevalente giurisprudenza ritiene che, in caso di mancato preavviso nel recesso da parte del preponente, l’agente ha diritto a percepire una indennità sostitutiva del preavviso, da calcolarsi sulla media delle provvigioni maturate nell’anno antecedente al recesso. Dunque, qualora il preponente receda in tronco in assenza di un motivo sufficiente, è tenuto a risarcire il danno all’agente, nella misura delle provvigioni che l’agente avrebbe presumibilmente percepito nel periodo rimanente del rapporto.
Gli AEC commercio del 2009 e industria del 2014 prevedono in proposito che la parte recedente può porre termine al rapporto con effetto immediato corrispondendo all’altra parte, in sostituzione del preavviso, una somma a titolo di risarcimento pari a tanti dodicesimi delle provvigioni di competenza dell’anno solare precedente, quanti sono i mesi di preavviso dovuti, o, in caso di esonero di una parte del preavviso, una somma pari a tanti dodicesimi delle provvigioni di competenza dell’anno solare precedente, quanti sono i mesi di preavviso non effettuati. La scelta da parte del recedente di dare il preavviso o di pagare l’indennità sostitutiva deve essere effettuata al momento della comunicazione del recesso.
L’indennità sostitutiva di preavviso non è tuttavia dovuta, secondo il costante orientamento della giurisprudenza, in caso di risoluzione consensuale del contratto.
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Avv. Valerio Pandolfini
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