L’assemblea dei soci nelle S.p.A. non quotate
L’assemblea dei soci è l’organo collegiale che decide secondo il principio maggioritario: la volontà espressa dai soci riuniti in assemblea, che rappresentano determinate aliquote del capitale sociale, vale come volontà della società e vincola tutti i soci, anche se assenti o dissenzienti, purché siano state rispettate le norme che regolano il procedimento assembleare. Esaminiamo le norme vigenti che disciplinano il funzionamento dell’assemblea nelle S.p.A. non quotate, soffermandoci anche sulle norme introdotte durante l’emergenza pandemica che disciplinano le riunioni assembleari con mezzi di telecomunicazione.
1. L’assemblea dei soci
Come è noto, l’assemblea è l’organo composto dalle persone dei soci. La sua funzione è quella di formare la volontà della società nelle materie riservate alla sua competenza dalla legge o dallo statuto.
L’assemblea è organo collegiale che decide secondo il principio maggioritario: la volontà espressa dai soci riuniti in assemblea, che rappresentano determinate aliquote del capitale sociale (maggioranza di capitale), vale come volontà della società e vincola tutti i soci, anche se assenti o dissenzienti, purché siano state rispettate le norme che regolano il procedimento assembleare.
A seconda dell’oggetto delle deliberazioni, l’assemblea si distingue in ordinaria e straordinaria.
Le competenze dell’assemblea ordinaria variano a seconda del sistema di amministrazione di controllo adottato. Nelle società che adottano il sistema tradizionale (o monistico) – l’unico del quale ci occuperemo in questo articolo – ai sensi dell’art. 2364, 1° comma c.c. l’assemblea in sede ordinaria:
- approva il bilancio;
- nomina e revoca gli amministratori, i sindaci e il presidente del collegio sindacale e, quando previsto, il soggetto al quale è demandato il controllo contabile;
- determina il compenso degli amministratori e dei sindaci, se non è stabilito nello statuto;
- delibera sulla responsabilità degli amministratori e dei sindaci;
- delibera sugli altri oggetti attribuiti dalla legge alla competenza dell’assemblea e sulle autorizzazioni eventualmente richieste dallo statuto per il compimento di atti degli amministratori (ferma in ogni caso la responsabilità di questi per gli atti compiuti);
- approva l’eventuale regolamento dei lavori assembleari;
- delibera in generale su tutte le materie che non sono di competenza dell’assemblea straordinaria.
Ai sensi dell’art. 2365, 1° comma c.c., l’assemblea in sede straordinaria invece delibera:
- sulle modificazioni dello statuto;
- sulla nomina, sulle sostituzioni e sui poteri dei liquidatori;
- su ogni altra materia espressamente attribuita dalla legge alla sua competenza.
Ai sensi dell’art. art. 2365, 2° comma c.c., lo statuto può attribuire alla competenza dell’organo amministrativo specifiche materie per legge riservate alla competenza dell’assemblea straordinaria, ovvero:
- aumento del capitale sociale a pagamento;
- emissione di obbligazioni convertibili;
- fusione fra società controllante e controllata nei casi previsti dagli artt. 2505 c.c. (società interamente posseduta) e 2505–bis c.c. (società posseduta al 90%);
- indicazione degli amministratori che hanno la rappresentanza della società;
- istituzione e soppressione di sedi secondarie;
- trasferimento della sede sociale nel territorio nazionale;
- riduzione del capitale sociale in caso di recesso del socio e adeguamento dello statuto a disposizioni normative.
L’assemblea è unica e generale se la società ha emesso solo azioni ordinarie. Quando invece sono state emesse diverse categorie di azioni, o strumenti finanziari che conferiscono diritti amministrativi, all’assemblea generale si affiancano le assemblee speciali di categoria. In mancanza di diversa disciplina, alle assemblee speciali si applicano le norme dettate per l’assemblea straordinaria (art. 2376 c.c.).
2. La convocazione dell’assemblea
La convocazione dell’assemblea è generalmente decisa dall’organo amministrativo, il quale può disporre la stessa ogni qualvolta lo ritenga opportuno. La convocazione dell’assemblea da parte degli amministratori è tuttavia obbligatoria in una serie di casi. Infatti, gli amministratori devono convocare l’assemblea:
- almeno una volta all’anno, entro il termine stabilito dallo statuto (che comunque non può essere superiore a 120 giorni dalla chiusura dell’esercizio) per l’approvazione del bilancio (art. 2364, 2° comma c.c.);
- senza ritardo, quando ne sia fatta richiesta da tanti soci che rappresentano almeno il 10% del capitale sociale (o la minor percentuale eventualmente prevista dallo statuto) e nella domanda siano indicati gli argomenti da trattare; se gli amministratori o in loro vece i sindaci non provvedono, e il rifiuto è ingiustificato, la convocazione dell’assemblea può essere ordinata con decreto dal Tribunale, il quale designa anche la persona che deve presiederla (art. 2367 c.c.).
Né la convocazione dell’assemblea, né l’integrazione dell’ordine del giorno su richiesta della minoranza sono tuttavia però ammesse per gli argomenti sui quali l’assemblea deve deliberare su proposta degli amministratori, ovvero sulla base di un progetto o di una relazione da essi predisposta (ad esempio, approvazione del bilancio, fusione, scissione).
La convocazione dell’assemblea deve essere poi disposta dal collegio sindacale:
- se la convocazione è obbligatoria e gli amministratori non vi hanno provveduto (art. 2406 c.c.);
- quando vengono a mancare tutti gli amministratori o l’amministratore unico (art. 2386 c.c.).
Il collegio sindacale può inoltre convocare l’assemblea, previa comunicazione al presidente del CdA, qualora nell’espletamento del suo incarico ravvisi fatti censurabili di rilevante gravità e vi sia necessità di provvedere (art. 2406, 2° comma c.c.).
Infine, la convocazione dell’assemblea è disposta dal tribunale o dall’amministratore giudiziario nei casi previsti dall’art. 2409 c.c. .
Ai sensi dell’art. 2363 c.c., l’assemblea è convocata nel comune dove ha sede la società, se lo statuto non spone diversamente. È quindi necessaria un’espressa previsione statutaria affinché sia valida la convocazione disposta in luogo diverso dal comune in cui la società ha la propria sede legale.
Ai sensi dell’art. 2366 c.c., la convocazione è disposta mediante avviso da pubblicare nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica, almeno quindici giorni prima di quello fissato per l’adunanza. Tale modalità di convocazione può essere tuttavia sostituita dalla pubblicazione in almeno un quotidiano indicato dallo statuto. Inoltre, lo statuto può consentire la convocazione mediante avviso comunicato ai soci almeno 8 giorni prima, con mezzi che garantiscano la prova dell’avvenuto ricevimento (raccomandata a.r., fax, e-mail).
L’avviso deve contenere l’indicazione del giorno, dell’ora e del luogo dell’adunanza, nonché l’elenco delle materie da trattare (ordine del giorno).
Nello stesso avviso può essere stabilito il giorno della seconda convocazione, che però non può aver luogo nello stesso giorno fissato per la prima. In mancanza, l’assemblea deve essere riconvocata (e tenersi) entro 30 giorni dalla data della prima, con distinto avviso contenente il medesimo ordinante del giorno, ma il termine di pubblicazione è ridotto a 8 giorni (art. 2369, 2° comma c.c.).
L’ordine nel giorno delimita la competenza di quell’assemblea nelle diverse convocazioni ed impedisce che si possa deliberare su argomenti ulteriori e diversi. Sono tuttavia consentite le delibere strettamente consequenziali ed accessorie rispetto a quelle poste all’ordine del giorno. In particolare:
- la deliberazione dell’azione di responsabilità contro amministratori e sindaci può essere adottata in occasione della discussione del bilancio anche se non è indicata nell’elenco delle materie da trattare (art. 2393, 2° comma);
- se all’ordine del giorno è la revoca degli amministratori, l’assemblea può deliberare anche sulla nomina dei nuovi;
- l’assemblea che nomina gli amministratori può determinarne il compenso, anche se il punto non figura all’ordine del giorno.
La convocazione preventiva serve per rendere noto a tutti i legittimati ad intervenire che una riunione si terrà e permette inoltre di conoscere gli argomenti su cui si dovrà deliberare. Perciò, pur in assenza di convocazione (o di convocazione nelle forme di legge), l’assemblea è regolarmente costituita quando è rappresentato l’intero capitale sociale (con diritto di intervento) e partecipa all’assemblea la maggioranza dei componenti degli organi amministrativi e di controllo, nonché il rappresentante comune degli azionisti di risparmio e degli obbligazionisti (assemblea totalitaria).
In caso di assemblea totalitaria, agli assenti deve essere data tempestiva comunicazione delle deliberazioni assunte (art. 2366, 4° e 5° comma c.c.), e ciascuno degli intervenuti può opporsi alla discussione degli argomenti sui quali non si ritenga sufficientemente informato, impedendo così che si arrivi a deliberare su quel punto.
Qualora la riunione assembleare avvenga con mezzi di telecomunicazione (v. par. 6), si ritiene che l’avviso di convocazione non debba necessariamente contenere i dettagli per accedere al mezzo di telecomunicazione prescelto, ma possa anche rinviare a una successiva comunicazione, nella quale saranno precisati i dettagli tecnici. La comunicazione successiva non deve rispettare i termini di pubblicazione e invio previsti dall’art. 2366, secondo e terzo comma, c. c. e può assumere la forma della comunicazione diretta ai soci o di una pubblicazione al pubblico, come la pubblicazione sul sito internet della società.
Nella prassi, spesso l’avviso di convocazione invita i soci a prendere contatti con la società, alcuni giorni prima dell’assemblea, comunicando un valido indirizzo e-mail, i dati identificativi, copia di un documento di identità in corso di validità, copia delle eventuali deleghe ricevute, al fine di ricevere le indicazioni per la partecipazione in assemblea in videoconferenza.
Se l’assemblea è solo virtuale (v. par. 6), la stessa non ha un luogo di convocazione e non occorre quindi indicarlo nell’avviso di convocazione.
3. Costituzione dell’assemblea e validità delle deliberazioni.
Il quorum costitutivo è la parte del capitale sociale che deve essere rappresentata in assemblea perché questa sia regolarmente costituita e possa iniziare i lavori.
L’art. 2368, 3° comma c.c. stabilisce che nel computo del quorum costitutivo non si tiene conto delle azioni istituzionalmente senza diritto di voto, mentre si tiene conto delle azioni per le quali il voto sia occasionalmente sospeso. Qualora dunque vi siano azioni a voto sospeso, non varia il numero di azioni che devono essere presenti o rappresentate in assemblea per il raggiungimento del quorum costitutivo.
Per quanto concerne l’assemblea ordinaria, l’assemblea ordinaria in prima convocazione è regolarmente costituita con la presenza di tanti soci che rappresentano almeno la metà del capitale sociale con diritto di voto nell’assemblea medesima.
Il quorum costitutivo è accertato all’inizio dell’assemblea e – secondo l’opinione prevalente – deve persistere durante tutto lo svolgimento della stessa; ciò significa che il presidente deve verificare la permanenza del quorum.
Nessun quorum costitutivo è invece richiesto per l’assemblea ordinaria di seconda convocazione; di conseguenza, le deliberazioni sono validamente assunte a semplice maggioranza della parte del capitale rappresentata dai soci intervenuti all’assemblea, ancorché minoritaria. Ciò per non paralizzare l’assemblea ordinaria – alla cui competenza sono riservate le materie essenziali per la vita delle società di capitali, quali la nomina e la revoca degli amministratori e dei sindaci e l’approvazione dei bilanci d’esercizio – cioè, per consentire a questa di funzionare nonostante la scarsa partecipazione dei soci (per disinteresse od altri motivi), così da evitare la causa di scioglimento rappresentata dalla impossibilità di funzionamento o dalla continuata inattività dell’assemblea (art. 2484 n. 3 c.c.).
Per l’assemblea straordinaria in prima convocazione non è previsto un quorum costitutivo, mentre l’assemblea straordinaria di seconda convocazione è regolarmente costituita con la partecipazione di oltre un terzo del capitale sociale.
Il quorum deliberativo è la parte del capitale sociale che si deve esprimere a favore di una determinata deliberazione perché questa sia approvata.
Ai sensi dell’art. 2368, 3° comma c.c., non sono computate ai fini del calcolo del quorum deliberativo le azioni per le quali il voto sia occasionalmente sospeso e le azioni del socio che, essendo in conflitto di interessi, abbia dichiarato di astenersi dal voto.
L’assemblea ordinaria in prima convocazione delibera col voto favorevole della metà più una (maggioranza assoluta) delle azioni che hanno preso parte alla votazione per quella determinata libera. Ne consegue che nel quorum deliberativo vanno conteggiati anche gli azionisti che si sono volontariamente astenuti dal votare per ragioni diverse dall’essere in conflitto d’interessi.
L’assemblea ordinaria di seconda convocazione può invece validamente deliberare qualunque sia la parte de capitale rappresentato in assemblea, e le delibere sono approvate se riportano il voto favorevole della maggioranza delle azioni che hanno preso parte alla votazione.
L’assemblea straordinaria in prima convocazione delibera col voto favorevole di tanti soci che rappresentano più della metà del capitale sociale.
L’assemblea straordinaria di seconda convocazione delibera con il voto favorevole di almeno i due terzi del capitale rappresentato in assemblea (art. 2369, 3° comma c.c.).
Maggioranze rafforzate sono tuttavia richieste per talune delibere di particolare rilievo. Ai sensi dell’art. 2369 5° comma c.c., infatti, è necessaria anche in seconda convocazione la maggioranza di più di un terzo del capitale sociale per le delibere di:
- cambiamento dell’oggetto sociale;
- trasformazione;
- trasferimento della sede sociale all’estero;
- emissione di azioni senza diritto di voto o a voto limitato;
- scioglimento anticipato;
- proroga della società;
- revoca dello stato di liquidazione.
Lo statuto può modificare solo in aumento le maggioranze previste per l’assemblea ordinaria di prima convocazione e quella dell’assemblea straordinaria, nonché stabilire norme speciali per la nomina alle cariche sociali
Inoltre, lo statuto può prevedere maggioranze più elevate anche per l’assemblea ordinaria di seconda convocazione, tranne che per l’approvazione del bilancio e per la nomina e la revoca delle cariche sociali (2369, 4° comma c.c.), per evitare che sia ostacolata l’adozione di delibere essenziali per la sopravvivenza della società.
Infine, lo statuto può prevedere convocazioni ulteriori (terza, quarta, etc.) sia dell’assemblea ordinaria che di quella straordinaria, alle quali si applicano le disposizioni previste per la seconda convocazione.
4. Lo svolgimento dell’assemblea e la verbalizzazione
L’assemblea è presieduta dalla persona indicata nello statuto o, in mancanza, da quella eletta con il voto della maggioranza dei presenti.
Il presidente è assistito da un segretario designato nello stesso modo. L’assistenza del segretario non è tuttavia necessaria quando il verbale dell’assemblea è redatto da un notaio (art. 2371 c.c).
Il presidente dirige i lavori dell’assemblea, assicurando che la stessa si svolga in modo ordinato e nel rispetto delle norme che ne regolano l’attività, e dell’eventuale regolamento di assemblea destinato a disciplinarne lo svolgimento contenuto nello statuto o elaborato dall’assemblea stessa.
In particolare, il presidente:
- verifica la regolarità della costituzione dell’assemblea;
- accerta l’identità e la legittimazione dei presenti;
- regola lo svolgimento dell’assemblea;
- accerta i risultati delle votazioni, dandone conto nel verbale.
Il presidente dell’assemblea ha quindi ampi poteri ordinatori e decisori sullo svolgimento dei lavori assembleari, direttamente attribuiti dalla legge alla sua competenza. Egli dichiara aperta e chiusa la seduta, pone in discussione gli argomenti all’ordine del giorno, regola gli interventi e modera il dibattito, mette in votazione le diverse proposte e proclama i risultati.
Il controllo della legittimazione degli intervenuti è una fase particolarmente delicata: da un lato, la partecipazione di persone non legittimate in assemblea comporta l’annullabilità della deliberazione, nel caso in cui essa sia stata decisiva ai fini della regolare costituzione dell’assemblea o determinante ai fini del voto; dall’altro lato, l’illegittima esclusione di un soggetto legittimato alla partecipazione può determinare l’invalidità della deliberazione.
Il presidente può impedire la partecipazione alla riunione di soggetti non legittimati (ad esempio, soci che non hanno depositato tempestivamente i titoli, ove richiesto dallo statuto) o escludere dalla votazione chi non ne abbia diritto. L’assemblea non può sovrapporsi al presidente, imponendo, ad esempio, al presidente di ammettere azionisti che non abbiano adempiuto l’obbligo di dichiarazione dei patti parasociali in apertura di seduta o di far votare un azionista moroso che non regolarizzi la propria posizione. Può tuttavia revocare per giusta causa il presidente che esercita le proprie funzioni in modo arbitrario o in conflitto d’interessi.
Alla luce dei principi generali fissati dall’art. 2377, quinto comma, n. 1 e 2, c.c. le delibere assunte con il voto di un soggetto terzo sono annullabili nei soli casi in cui la partecipazione di terzi non legittimati è stata determinante ai fini della regolare costituzione dell’assemblea o il voto sia stato determinante ai fini del raggiungimento della maggioranza richiesta per l’assunzione della deliberazione. Pertanto, la partecipazione all’assemblea di un soggetto non legittimato, che pure abbia partecipato alla votazione, non comporta di per sé conseguenze in ordine alla legittimità della deliberazione assunta, se non quando sia stato determinante nel risultato della votazione.
Al presidente dell’assemblea deve essere riconosciuto anche il potere di assumere decisioni su aspetti dell’attività dell’assemblea non regolati dalla legge, dallo statuto o dal regolamento assembleare e perciò rimessi alla discrezionalità dell’assemblea stessa, quali, ad esempio, la scelta del sistema di votazione, la sospensione o scioglimento della riunione. Tali decisioni sono tuttavia adottate dal presidente come interprete della volontà dell’assemblea (poteri derivati); pertanto, ogni intervenuto può sollecitare una decisione in materia dell’assemblea, che è vincolante per il presidente.
La legge non disciplina il dibattito assembleare; non vi è dubbio, tuttavia, che ogni votante ha diritto di prendere parte alla discussione per cercare di orientare la decisione degli altri soci. L’esercizio di tale diritto non può comunque degenerare in comportamenti ostruzionistici che turbino l’ordinato svolgimento dell’assemblea, impedendo che si addivenga alla votazione sugli argomenti in discussione.
Ove ciò si verifichi, il presidente dell’assemblea potrà e dovrà adottare i provvedimenti necessari per prevenire e/o impedire un esercizio non corretto del diritto di discussione: ad esempio, può fissare la durata massima degli interventi o togliere la parola al socio che si dilunghi eccessivamente o divaghi.
Ai sensi dell’art. 2374 c.c., i soci intervenuti che detengono almeno un terzo del capitale sociale rappresentato in assemblea possono chiedere (ed ottenere) il rinvio dell’assemblea di non oltre 5 giorni, qualora dichiarino di non essere sufficientemente informati sugli argomenti posti in discussione. Tale diritto di rinvio può tuttavia essere esercitato una sola volta per lo stesso oggetto, per evitare comportamenti ostruzionistici da parte della minoranza.
In linea generale, non vi è un diritto di informazione sugli affari sociali del singolo azionista o di minoranze qualificate; gli amministratori sono infatti tenuti a fornire informazioni ulteriori rispetto a quelle dovute per legge all’assemblea, solo nei limiti in cui ciò sia necessario per consentire agli azionisti l’esercizio consapevole del voto. Di fronte alla richiesta del singolo di informazioni non dovute, essi possono eccepire l’opportunità che non vengano divulgate notizie che potrebbero pregiudicare gli affari sociali.
In occasione di delibere di particolare rilievo (quali quelle di approvazione del bilancio, di esclusione del diritto di opzione, fusione, scissione, etc.) gli amministratori hanno tuttavia l’obbligo di redigere e di depositare preventivamente presso la sede sociale specifici documenti informativi e/o relazioni illustrative, allo scopo di assicurare l’esercizio consapevole del voto da parte dei soci.
Il modo con cui si procede alla votazione nelle assemblee sociali (per alzata di mano, per schede, per acclamazione) può essere liberamente stabilito di volta in volta. In linea di principio non è ammissibile, tuttavia, la votazione a scrutinio segreto, in quanto la manifestazione palese del voto è necessaria per identificare i soci in conflitto di interessi (art. 2373 c.c.), nonché quelli dissenzienti ai fini della legittimazione all’impugnativa delle delibere assembleari (art. 2377 c.c.) e al recesso (art. 2437 c.c.).
Le delibere assembleari devono constare da verbale, sottoscritto dal presidente e dal segretario o dal notaio. Se si tratta di assemblea straordinaria, il verbale deve essere redatto dal notaio (art. 2375 c.c.). I verbali devono essere trascritti nell’apposito libro delle adunanze e delle deliberazioni dell’assemblea, tenuto a cura degli amministratori (art. 2421, n. 3 c.c.).
Ai sensi dell’art. 2375, 1° comma c.c., il verbale deve indicare la data dell’assemblea e, anche in allegato, l’identità dei partecipanti e il capitale rappresentato da ciascuno; deve altresì indicare le modalità e il risultato delle votazioni e deve consentire, anche per allegato, l’identificazione dei soci favorevoli, astenuti o dissenzienti. Nel verbale devono essere inoltre riassunte, su richiesta dei soci, le loro dichiarazioni purché pertinenti all’ordine del giorno.
Il verbale deve essere redatto senza ritardo (ma non necessariamente contestualmente) all’assemblea, nei tempi necessari per la tempestiva esecuzione degli obblighi di deposito o di pubblicazione (art. 2375, 3° comma c.c.).
Qualora la riunione assembleare avvenga con mezzi di telecomunicazione (v. par. 6), si ritiene che la presenza del presidente, del notaio o del segretario in un unico luogo si renda necessaria solo quando si voglia redigere immediatamente il verbale e sottoporlo alla sottoscrizione contestuale di presidente e segretario (o notaio).
Se l’assemblea è ibrida (v. par. 6) si ritiene sia sufficiente la sola presenza fisica del presidente nel luogo di convocazione, in quanto al presidente spetta la constatazione dei fatti più rilevanti; il segretario o il notaio devono comunque percepire le operazioni o le dichiarazioni dei soggetti che sono chiamati a riportare per iscritto. Se i mezzi tecnologici utilizzati consentono una completa percezione dell’oggetto o contesto della verbalizzazione, nel luogo di convocazione dell’assemblea possono trovarsi indifferentemente il presidente o il segretario.
Ai fini della verifica della regolare costituzione dell’assemblea, Il presidente deve accertare:
- la conformità alla legge e la tempestività dell’avviso di convocazione;
- la correttezza degli adempimenti connessi all’informativa pre-assembleare;
- l’adeguatezza del luogo e delle attrezzature messe a disposizione per l’assemblea da parte della società.
Nell’ambito di tali verifiche, il presidente deve quindi accertare che le misure organizzative predisposte per la partecipazione con mezzi di telecomunicazione non violino i principi di collegialità, parità di trattamento e buona fede e siano adeguate rispetto alle concrete necessità di svolgimento della riunione.
Il presidente deve poi accertare l’identità e la legittimazione degli intervenuti. In proposito, è in capo all’organo amministrativo la responsabilità di predisporre adeguati strumenti organizzativi e tecnici per consentire in concreto al presidente di effettuare tali verifiche. In particolare, il sistema di telecomunicazione adottato deve essere idoneo a garantire l’identificazione e la legittimazione dei soggetti partecipanti, secondo un criterio di adeguatezza e proporzionalità, riducendo entro una soglia minima accettabile i rischi di errori o frodi sull’identificazione o legittimazione.
In concreto, nel caso di videoconferenza online e di una ristretta base azionaria è possibile riscontrare tramite video il documento di identificazione precedentemente inviato dal socio alla società. Qualora vengano utilizzati altri mezzi, come l’audio conferenza, l’accertamento dell’identità dell’intervenuto/votante, a seconda delle circostanze, può avvenire con sistemi meno strutturati, nel caso di un ridotto numero di soci che siano personalmente noti al presidente.
Le operazioni di identificazione possono essere agevolate prevedendo una fase pre-assembleare di accreditamento in cui effettuare le operazioni di verifica (ad es. obbligo di registrarsi su una certa piattaforma con un certo anticipo rispetto alla tenuta dell’assemblea). Un elemento di complessità può essere costituito dalla presenza tra i soggetti legittimati di soggetti esteri, rispetto ai quali si dovrebbero utilizzare meccanismi di identificazione noti a livello internazionale; nella prassi, si è previsto che gli azionisti, i quali intendano partecipare a distanza, debbano farne richiesta alla società, la quale invierà il biglietto di ammissione in formato elettronico e i dati per il collegamento in videoconferenza.
Il presidente dell’assemblea deve altresì verificare il raggiungimento del quorum costitutivo; a tal fine devono essere tenuti in considerazione tutti i soci cui sia attribuita la possibilità di esercitare il proprio diritto di voto, anche attraverso mezzi di telecomunicazione. Dato che è possibile partecipare all’assemblea in forma passiva (cioè, il socio può assistere e votare ma non intervenire), tale modalità deve essere considerata una forma di partecipazione a tutti gli effetti da computare tanto in sede di quorum costitutivo quanto in sede di quorum deliberativo.
Poiché, come si è visto, è necessaria la permanenza del quorum costitutivo durante tutte le fasi della riunione, è compito del presidente attraverso il sistema di telecomunicazione adottato verificare la permanenza del collegamento dei soggetti inizialmente computati nel quorum.
Nell’ambito dei poteri ordinatori del Presidente dell’assemblea rientra anche quello di escludere dall’adunanza soggetti non legittimati che intervengano nell’assemblea tenuta tramite mezzi di comunicazione. Pertanto, nello svolgimento della riunione, spettano al presidente i compiti di accertare eventuali doppi collegamenti o duplici espressioni di voto0, provenienti apparentemente dallo stesso soggetto, oppure di escludere i soggetti non legittimati oppure ancora di sospendere la seduta.
L’utilizzo dei mezzi di telecomunicazione deve consentire al soggetto verbalizzante di percepire adeguatamente tutti gli eventi che si svolgono in assemblea; in particolare, devono essere indicati nel verbale tutti i fatti e gli eventi relativi alla partecipazione e al voto esercitati con mezzi di telecomunicazione, ovvero le modalità e gli strumenti tecnici di verifica dell’identità e della legittimazione degli interessati, il raggiungimento del quorum costitutivo, le modalità e il risultato delle votazioni, sia in caso di strumenti che consentano un intervento attivo del socio (video conferenza bilaterale, audio-conferenza, conference call) sia in caso di utilizzo di mezzi passivi (audio-videoconferenza ad una via e possibilità di voto elettronico).
5. Il diritto di intervento e il diritto di voto.
Possono intervenire in assemblea – insieme ai componenti degli organi di amministrazione e di controllo, ed ai rappresentanti comuni degli azionisti di risparmio, degli obbligazionisti e dei titolari di strumenti finanziari di partecipazione ad uno specifico affare – gli azionisti con diritto di voto (art. 2370, 1° comma c.c.) e i soggetti che, pur non essendo soci, hanno diritto di voto, come l’usufruttuario (v. par. 10) o il creditore pignoratizio (art. 2352 c.c.).
Il diritto di intervento non compete invece agli azionisti senza diritto di voto (come, ad esempio, gli azionisti di risparmio).
Il diritto di intervento spetta tuttavia anche agli azionisti con diritto di voto sospeso (come, ad esempio, all’azionista moroso e ai soci sindacati che non hanno adempiuto gli obblighi di pubblicità), le cui azioni sono infatti computate nel quorum costitutivo (art. 2368 c.c.). Tali soci possono pertanto col loro intervento agevolare la costituzione dell’assemblea, qualora siano d’accordo con la maggioranza votante.
Ai sensi dell’art. 2370 c.c., a meno che non sia diversamente previsto dallo statuto, per intervenire in assemblea non è necessario il preventivo deposito delle azioni presso la sede della società o presso le banche indicate nell’avviso di convocazione, ed è possibile ritirare i titoli prima che l’assemblea abbia avuto luogo (art. 4 L. n. 1745/1962).
La discussione deve essere configurata nel senso di permettere al socio di prendere parte alla discussione, di effettuare proposte e di replicare all’intervento di altri soggetti legittimati. In questa fase, è centrale il ruolo del presidente, al quale spetta il potere di regolare lo svolgimento dell’assemblea attraverso la gestione della riunione e, se necessario, attraverso l’esercizio dei poteri diretti a garantire il regolare e sereno svolgimento dei lavori, risolvendo altresì ogni questione di carattere tecnico-giuridico. Rientra nei poteri ordinatori del presidente dell’assemblea la conduzione della discussione, stabilendo la durata e le modalità dei singoli interventi, la concessione della parola e della possibilità di replica. In particolare, il presidente ha facoltà di togliere la parola e di dichiarare chiusa la discussione su un determinato argomento, valutata la non pertinenza dell’intervento del socio rispetto all’argomento in discussione, il superamento del limite di tempo massimo stabilito, la mera finalità ostruzionistica dell’intervento o della replica.
La legge non prevede specifiche indicazioni in merito ai criteri di scelta delle modalità di espressione
e manifestazione del voto nell’assemblea; in particolare, non vi è alcuna indicazione circa le tecniche da utilizzare per l’espressione del voto. Secondo l’orientamento prevalente, non sono ammessi i sistemi di voto che non garantiscono una libera, chiara e regolare espressione del voto e che non permettono il sicuro accertamento della volontà maggioritaria o che contrastino con i principi generali dell’ordinamento. Il sistema di voto prescelto dovrà garantire il rispetto delle prescrizioni di cui all’art. 2375 c.c. ovvero che il verbale possa consentire l’identificazione dei soci favorevoli astenuti o dissenzienti.
Qualora la riunione assembleare avvenga con mezzi di telecomunicazione (v. par. 6), il presidente può a tal fine avvalersi degli strumenti, attualmente già previsti dalle piattaforme di videoconferenza, per gestire e moderare la parola attraverso i poteri di accensione e spegnimento dei microfoni degli intervenuti.
Quando il voto avviene con mezzi di telecomunicazione, la tecnica di votazione deve assicurare la provenienza della dichiarazione di voto dal titolare, l’integrità del messaggio, la non discriminazione tra soci. I soggetti intervenuti in videoconferenza devono inoltre poter esercitare inoltre tutte quelle facoltà comunemente riconosciute in fase di votazione, tra cui la possibilità di astenersi dal voto su alcune proposte di deliberazione e di partecipare alla votazione su altre.
Nel caso in cui un socio decida di esprimere voti diversificati rispetto a una pluralità di azioni – tanto nel caso in cui eserciti il voto rispetto a partecipazioni di sua diretta spettanza quanto nel caso in cui esprima voti per delega di uno o più soci – il sistema tecnologico adottato deve essere in grado di consentire l’identificazione della provenienza delle singole intenzioni di voto.
Al presidente spetta di scegliere il sistema delle modalità di votazione, quando esse non siano indicate dallo statuto o dal regolamento assembleare, ed ha il potere di modificare la tecnica di voto quando si verifichino dei problemi tecnici. Al presidente compete inoltre l’accertamento dei risultati delle votazioni e le verifiche connesse al calcolo del quorum deliberativo.
6. La riunione assembleare con mezzi di telecomunicazione
La formulazione originaria del Codice civile del ‘42 prevedeva l’intervento e l’espressione del voto nelle assemblee rigorosamente di persona, in presenza, con partecipazione collegiale mediante la presenza fisica di più persone nello stesso luogo. La tradizionale visione del principio di collegialità vedeva infatti il procedimento assembleare identificarsi necessariamente come un unico contesto fisico spazio-temporale, in cui i soci potevano partecipare attivamente per assumere le decisioni vincolanti per la società.
L’art. 2370 comma 4 c.c., modificato a seguito della riforma del 2003, ha attribuito allo statuto il potere di consentire l’intervento in assemblea mediante mezzi di telecomunicazione ovvero l’espressione del voto per corrispondenza o in via elettronica, rendendo così giuridicamente equivalente la partecipazione all’assemblea mediante mezzi di telecomunicazione alla partecipazione fisica. La riforma ha quindi legittimato la partecipazione a distanza con mezzi di telecomunicazione, attenuando il principio dell’unità spaziale dell’assemblea.
I mezzi di telecomunicazione consistono in tutte quelle forme di intervento in assemblea che si realizzano con il collegamento in tempo reale di più luoghi a distanza, attraverso l’utilizzo di sistemi di trasmissione di dati (video, audio, scritti), i quali consentono ai soci di partecipare all’assemblea e di votare. Non rientrano, invece, in questa definizione tutte quelle modalità organizzative delle riunioni assembleari in cui i soci sono chiamati ad affluire in più sale vicine nello stesso edificio, dove possono seguire l’assemblea, e l’intervento e il voto avviene mediante accesso alla sala principale; tali forme di partecipazione sono infatti di natura fisica e non modalità di intervento attraverso mezzi di telecomunicazione.
Inoltre, la partecipazione in assemblea attraverso mezzi di telecomunicazione presuppone che il socio possa intervenire alla riunione a distanza, con facoltà di esercitare, nel medesimo contesto temporale, anche il diritto di voto; viceversa, tutte le forme di partecipazione in cui il socio può solo assistere attraverso mezzi di telecomunicazione, senza poter votare nel medesimo contesto temporale (si pensi ad es. ai collegamenti in streaming in cui il socio non ha la possibilità di esprimere il voto), non rappresentano una forma di partecipazione in assemblea attraverso mezzi di telecomunicazione. Pertanto, le stesse non rilevano ai fini del raggiungimento del quorum costitutivo, e gli eventuali problemi nei collegamenti a distanza non determinano alcun effetto sulla validità del procedimento assembleare.
La norma di cui all’art. 2370 c.c. come pensata dal legislatore, si riferiva tuttavia a una riunione fisica in un luogo, al quale si poteva partecipare anche con mezzi di telecomunicazione; si riferiva, cioè, alla situazione in cui, accanto allo svolgimento dell’assemblea in un unico luogo, al quale i soci possono fisicamente accedere, si consentiva ai soci di partecipare anche attraverso mezzi di telecomunicazione (c.d. assemblea ibrida).
Una prima evoluzione si è avuta con il D.lgs. n. 27/2010, il quale, modificando l’art. 2370 c.c., aveva stabilito che lo statuto potesse consentire l’intervento all’assemblea mediante mezzi di telecomunicazione ovvero l’espressione del voto per corrispondenza o in via elettronica. Anche in tal caso, tuttavia, il presidente, il segretario ed il notaio dovevano essere compresenti nello stesso luogo.
L’art. 106 D.L. n. 18/2020 (Cura Italia), convertito in L. n. 27/2020, durante l’emergenza pandemica, per consentire maggiore flessibilità nello svolgimento delle assemblee e venire incontro alle mutate esigenze sociali, ha previsto che con l’avviso di convocazione delle assemblee ordinarie e straordinarie le società possano prevedere, anche in deroga alle diverse disposizioni statutarie, l’espressione del voto in via elettronica o per corrispondenza e l’intervento all’assemblea mediante mezzi di telecomunicazione, e che l’assemblea si svolga, anche esclusivamente, mediante mezzi di telecomunicazione che garantiscano l’identificazione dei partecipanti e l’esercizio del diritto di voto, senza la necessità che si trovino nel medesimo luogo, ove previsti, il presidente, il segretario o il notaio.
Il 31 luglio 2022 il termine di vigenza di tale normativa era definitivamente spirato e si era pertanto posto il problema di stabilire se le regole di cui sopra, dettate in un momento di emergenza, potessero ancora ritenersi applicabili. La dottrina notarile ed in particolare il Consiglio Notarile di Milano e del Triveneto si erano espressi sul punto in modo favorevole, affermando in particolare che l’eccezionalità riguardava la possibilità di convocare assemblee senza indicare il luogo fisico di convocazione, prevedendo esclusivamente l’intervento mediante mezzi di telecomunicazione, anche in mancanza di apposita clausola statutaria, mentre le altre disposizioni del citato art. 106 non rappresentavano una deroga al regime legale, ma avrebbero soltanto confermato corrispondenti regole già presenti nella disciplina generale delle società di capitali, anche se non esplicitate.
Il D.L. n. 215/2023 (c.d. Decreto-legge Milleproroghe), convertito in L. n. 18/2023, all’art. 3 comma 12-duodecies ha quindi differito il termine di cui all’art. 106 comma 7 del D.L. n. 18/2020, in materia di svolgimento delle assemblee di società e di enti, al 30 aprile 2024. La successiva L. n. 21/2024 (c.d. Legge Capitali) ha quindi stabilito, all’art. 11 comma 2, che il suddetto termine è ulteriormente prorogato al 31 dicembre 2024.
Le disposizioni agevolative di cui sopra trovano dunque applicazione nelle assemblee nel corso dell’anno 2024, indipendentemente dalla data di convocazione. La norma resta peraltro transitoria per le società non quotate, che potranno continuare a regolamentare l’intervento in assemblea in modo restrittivo nello statuto, prevedendo ad esempio espressamente che presidente e notaio debbano trovarsi nello stesso luogo fisico, o precludendo la possibilità di riunioni esclusivamente virtuali.
La norma di cui all’art. 106 prevede dunque:
- la possibilità per gli aventi diritto di intervenire ed esprimere il voto in assemblea con mezzi di telecomunicazione, anche in deroga o in assenza di previsioni statutarie in merito, purché ciò sia previsto nell’avviso di convocazione;
- la possibilità che l’assemblea si svolga in via esclusiva mediante mezzi di telecomunicazione, quindi senza previsione della possibilità di intervento fisico dell’avente diritto nel luogo di suo svolgimento;
- la non necessaria compresenza nel luogo di convocazione del presidente, del segretario o del notaio.
La disciplina speciale recata dall’art. 106, sebbene rispondente a una situazione emergenziale e di natura temporanea, ha compiuto un passo ulteriore nel prefigurare lo svolgimento delle riunioni degli organi sociali attraverso mezzi di comunicazione a distanza, destinato ad affermarsi nel futuro della prassi societaria. La rapida evoluzione tecnologica dei mezzi di telecomunicazione, attraverso la tecnologia digitale, unita alla disponibilità sempre più diffusa delle reti di telecomunicazione sul territorio nazionale, facilita infatti un uso sempre più ampio di tali strumenti nelle riunioni assembleari, mettendo a disposizione un metodo di gestione delle riunioni flessibile e di facile utilizzo, che tra l’altro facilita la partecipazione dei soci all’assemblea, consentendo un risparmio di costi e tempo.
In particolare, la norma ha consentito che l’intera adunanza possa essere meramente virtuale (c.d. assemblea virtuale), ovvero che si tenga unicamente mediante strumenti di telecomunicazione, senza che sia possibile per il socio recarsi presso un luogo in cui partecipare fisicamente alla riunione, anche in assenza di un’apposita clausola statutaria.
L’art. 106 prevede le caratteristiche funzionali che devono soddisfare i sistemi di telecomunicazione da utilizzare nelle assemblee, stabilendo che tali sistemi devono garantire, in un unico contesto temporale:
- l’identificazione dei partecipanti;
- la loro partecipazione;
- l’esercizio del diritto di voto.
La diffusione delle adunanze in telecomunicazione hanno posto in evidenza la necessità di riconsiderare alcuni profili operativi.
L’avviso di convocazione deve indicare la scelta del sistema d’intervento dei soci, almeno nel caso in cui si opti per l’assemblea virtuale (in quest0ipotesi ovviamente non dovrà indicare un luogo fisico dove tenere l’assemblea). E’ opportuno che la scelta del sistema di collegamento sia rimessa alla società, e dunque all’organo amministrativo, per consentire un ordinato svolgimento dell’adunanza, e l’avviso potrà già indicare la piattaforma che si intende utilizzare ed il link per accedervi o rinviare ad una successiva comunicazione, che dovrà essere sufficientemente tempestiva.
Per quanto concerne le modalità di accesso, si ritiene che, in linea di massima, nell’assemblea ibrida, poiché rimane comunque la possibilità per il socio di partecipare fisicamente all’adunanza e la partecipazione a distanza è una modalità aggiuntiva di partecipazione, che il socio ha facoltà o meno di utilizzare, tale facoltà possa essere soggetta a limiti e condizioni, nel rispetto dei principi di parità di trattamento e di buona fede.
Viceversa, nell’assemblea virtuale il sistema tecnologico adottato deve consentire la possibilità a tutti i soci di partecipare e di esercitare tutti i poteri funzionali ad influenzare l’esito della decisione. Il principio di parità di trattamento dei soci impone, infatti, di non effettuare discriminazioni arbitrarie in ordine al possibile utilizzo dei sistemi di telecomunicazione. Ciò significa che, da una parte, non è possibile escludere singoli soci o categorie di soci dalla possibilità di utilizzare i sistemi di telecomunicazione e, dall’altra, che non è possibile obbligare solo singoli soci o categorie di soci a utilizzare sistemi di telecomunicazione per intervenire in assemblea. Ad esempio, se il sistema tecnologico utilizzato non ha una capienza idonea a supportare tutti i soci che potrebbero astrattamente intervenire, la società non può introdurre dei vincoli per limitare il possibile numero di collegamento da remoto.
Secondo la tesi prevalente, sono ammissibili non solo i mezzi di comunicazione a distanza che consentono di ricreare in un contesto virtuale l’unitarietà temporale propria delle riunioni assembleari fisiche, cioè i sistemi audio-video in cui i soci possono ascoltare e intervenire attivamente nonché esprimere il voto in tempo reale (sistemi a collegialità piena), ma anche i mezzi di telecomunicazione che consentono un grado inferiore di approssimazione alla riunione fisica, ovvero i sistemi video audio passivi in cui i soci possono solo ascoltare con voto telematico, i sistemi telefonici, i sistemi di videoscrittura in tempo reale (sistemi a collegialità minore).
L’idoneità dei diversi mezzi di telecomunicazione a soddisfare i requisiti di legge (identificazione dei partecipanti, partecipazione attiva del socio, espressione del voto a distanza in tempo reale) possono essere valutati solo alla luce del contesto concreto in cui essi devono operare. E’ compito dell’organo amministrativo individuare e predisporre i sistemi idonei per lo svolgimento dell’assemblea, sia in termini di tipologia dello strumento che di tecnologia da impiegare.
In linea generale, sono da considerare conformi alla previsione normativa:
- i sistemi di collegamento audiovisivo bilaterale in cui i partecipanti possono reciprocamente vedere e essere visti, udire ed essere uditi;
- i sistemi di audio conferenza bilaterale in cui i partecipanti possono reciprocamente udire ed essere uditi, in contesti in cui non si pongono particolari problemi di identificazione dei soggetti che intervengono;
- i sistemi di collegamento audiovisivo passivo in cui i partecipanti possono intervenire attivamente in tempo reale attraverso sistemi di videoscrittura.
Operativamente, rientrano in tali contesti i sistemi di collegamento attraverso la rete internet in cui, una volta effettuato l’accesso al sito del gestore del servizio ed effettuata l’autenticazione attraverso password, è possibile seguire in audio e/o in video i lavori assembleari, con la possibilità di intervenire in audio/video oppure attraverso chat dedicata, votando in tempo reale le delibere attraverso i tasti oppure mail dei partecipanti.
Un tema rilevante, considerato l’uso ormai diffuso della telecomunicazione, anche integrale, è quello delle disfunzioni che, all’inizio dell’assemblea o nel corso della stessa, possono manifestarsi nell’accesso o nelle funzionalità della piattaforma utilizzata per l’audio-videoconferenza.
La società è tenuta a garantire la sicurezza del collegamento e delle comunicazioni, nonché la riservatezza dei lavori assembleari, nei limiti dei principi di adeguatezza e proporzionalità che riducano i rischi di intrusione da parte di soggetti terzi non legittimati entro limiti ragionevolmente accettabili. Gli amministratori rispondono dell’integrità ed inviolabilità degli strumenti informatici attivati, nei limiti della loro ordinaria diligenza.
Qualora dunque si verifichi un malfunzionamento ed esso sia imputabile alla società, l’assemblea non può iniziare, in quanto non si costituirebbe correttamente, non fornendo ad alcuni dei soci legittimati la possibilità di intervento in assemblea; oppure, se il malfunzionamento si verifica dopo che l’assemblea si è avviata, essa deve essere sospesa dal presidente fino alla risoluzione del problema, pena l’illegittimità delle delibere adottate.
Qualora invece la società abbia adottato, sulla base dei criteri di ordinaria diligenza, sistemi di espressione del voto con sistemi informatici adeguati (ad es. prevedendo l’utilizzo combinato di codici e password con invio personalizzato), e il malfunzionamento è riferibile al socio (ad es. per problemi di connessione alla rete Internet), il Presidente può accertare il quorum costitutivo (tenendo conto dell’assenza di detto socio) e avviare l’adunanza, o, nel caso in cui il malfunzionamento si verifichi successivamente, l’assemblea può proseguire e il socio verrà annoverato solo nel quorum costitutivo (se già accertato) e non anche nel deliberativo. In tali ipotesi, l’eventuale sostituzione di un terzo non legittimato al socio non comporta una responsabilità per la società e/o gli organi sociali, ma il voto si deve ritenere comunque validamente esercitato e riconducibile al socio.
Naturalmente, in un’ottica di collaborazione, il presidente può proporre di proseguire l’assemblea su altra piattaforma se ciò è sufficiente per superare il problema occorso al socio, ma si rende necessaria a tal fine una delibera presa a maggioranza dei soci.
Lo statuto può (ed anzi dovrebbe) disciplinare i profili operativi dello svolgimento dell’assemblea mediante mezzi di comunicazione a distanza. Ad esempio, lo statuto può prevedere:
- la possibilità d’intervenire con mezzi di telecomunicazione, come modalità aggiuntiva all’intervento di persona: i soci in questo caso possono scegliere se intervenire di persona o mediante telecomunicazione;
- la facoltà degli amministratori di stabilire se convocare l’assemblea solo mediante mezzi di telecomunicazione oppure indicando anche un luogo fisico di convocazione;
- la facoltà di scelta degli amministratori, stabilendo però sempre il diritto dei soci d’intervenire in assemblea mediante mezzi di telecomunicazione;
- la facoltà di convocare l’assemblea fuori dal comune della sede sociale, a condizione che la convocazione consenta d’intervenire a distanza.
Qualora lo statuto non disciplini in modo analitico le condizioni e le modalità per l’intervento attraverso mezzi di telecomunicazione a distanza, le modalità e le condizioni dell’intervento a distanza possono essere previste anche dal regolamento assembleare, di cui all’art. 2364, n. 6), c.c. Tale atto dell’assemblea, quale fonte interna di autoregolamentazione dei lavori assembleari, operando in attuazione e nei limiti delle previsioni statutarie, può definire concretamente i profili di dettaglio idonei a rendere possibile l’intervento mediante mezzi di telecomunicazione.
7. La rappresentanza in assemblea
Gli azionisti possono partecipare all’assemblea sia personalmente sia a mezzo di un rappresentante. L’istituto della rappresentanza in assemblea consente la partecipazione indiretta dei piccoli azionisti alla vita della società e agevola il raggiungimento delle maggioranze assembleari nelle società con diffuso assenteismo dei soci; può tuttavia prestarsi ad abusi: attraverso il rastrellamento delle deleghe il gruppo minoritario di comando della società e/o gli amministratori possono rafforzare le proprie posizioni di potere a spese dei piccoli azionisti in occasione di assemblee che si preannunciano particolarmente combattute.
Ai sensi dell’art. 2372 c.c., salvo che sia diversamente previsto dallo statuto, gli azionisti possono farsi rappresentare in assemblea; la delega deve essere conferita per iscritto e i relativi documenti devono essere conservati dalla società, al fine di consentire il successivo controllo della regolare costituzione dell’assemblea.
La delega non può essere rilasciata in bianco e il rappresentante indicato nella delega può farsi sostituire solo da altra persona espressamente indicata nella delega stessa. Le società o gli enti possono delegare solo un proprio dipendente o collaboratore. La delega è sempre revocabile.
La rappresentanza non può essere conferita a:
- un membro degli organi amministrativi o di controllo;
- un dipendente della società;
- alla società controllata o ad un membro degli organi amministrativi o di controllo o ad un dipendente della stessa.
Inoltre, il medesimo rappresentante non può essere delegato da:
- più di cinquanta soci se la società ha capitale non superiore ad euro 5.000.000,00;
- più di 100 soci se la società ha capitale compreso tra euro 5.000.000,00 ed euro 25.000.000,00;
- più di 200 soci se la società ha capitale superiore a 25.000.000,00 di euro.
I limiti relativi al profilo soggettivo del rappresentante nonché i limiti numerici indicati si applicano anche nel caso di girata delle azioni per procura.
8. I limiti all’esercizio del voto e il conflitto di interessi.
Con il diritto di voto il socio concorre alla formazione della volontà sociale, in proporzione del numero di azioni possedute (art. 2351 c.c.) e la maggioranza esplica il potere di operare le scelte discrezionali, necessarie o utili per l’attuazione del contratto sociale.
L’esercizio del diritto di voto è in via di principio rimesso all’apprezzamento discrezionale del socio, il quale deve però esercitarlo in modo da non arrecare un danno patrimoniale alla società. Con l’osservanza dello stesso limite, il gruppo di comando può liberamente determinare la volontà della società ed è perciò precluso ogni sindacato dell’autorità giudiziaria sul merito delle deliberazioni assembleari, cioè sulla convenienza e sull’opportunità delle decisioni della maggioranza.
Infatti, le deliberazioni assembleari regolarmente adottate sono annullabili solo se la maggioranza si sia ispirata esclusivamente ad interessi extrasociali, con danno (anche solo potenziale) per la società.
Si trova in conflitto di interessi l’azionista che in una determinata delibera ha, per conto proprio o altrui, un interesse personale contrastante con l’interesse della società. Ciò si verifica, ad esempio, se l’assemblea è chiamata a deliberare sull’acquisto di un immobile di proprietà del socio, o sul compenso del socio amministratore, o ancora sulla concessione di fideiussione a favore di altre società composta dagli stessi soci.
In tale situazione, ai sensi dell’art. 2373 c.c. il socio è libero di votare o di astenersi, ma se decide di votare la delibera approvata con il suo voto determinante può essere impugnata ai sensi dell’art. 2377 c.c., qualora possa recare danno alla società (art. 2373, 1° comma c.c.).
Affinché, quindi, la delibera adottata col voto del socio in conflitto di interessi sia annullabile occorre che:
- il voto del socio sia stato determinante (prova di resistenza);
- la delibera possa danneggiare la società (danno potenziale).
In particolare, se non vi è danno neppure potenziale per la società la delibera resta valida, anche se approvata col voto determinante del socio in conflitto di interessi. Nulla impedisce perciò al socio di perseguire con la delibera anche un proprio interesse personale, purché ciò non avvenga a discapito del patrimonio sociale.
L’art. 2373, 2° comma c.c. prevede un’ipotesi tipica di conflitto di interessi, vietando, in ogni caso, ai soci amministratori di votare nelle deliberazioni riguardanti la loro responsabilità.
Indipendentemente dall’ipotesi del conflitto di interessi, è inoltre annullabile la delibera con la quale la maggioranza intenda non la società, bensì i soci di minoranza (c.d. abuso di maggioranza, per violazione del principio di correttezza e buona fede nell’attuazione del contratto (art. 1375 c.c.). Ad esempio, è annullabile la delibera:
- di aumento del capitale sociale a pagamento decisa al solo fine di ridurre la quota di partecipazione di un socio di minoranza impossibilitato a sottoscrivere l’aumento;
- di non distribuzione dei dividendi per deprimere il valore di mercato delle azioni e costringere il socio di minoranza a svendere i propri titoli;
- di scioglimento anticipato della società per ricostruirne subito dopo un’altra senza un socio sgradito.
Qualora, invece, sia la minoranza ad abusare del diritto di voto o degli altri diritti ad essa riconosciuti (ad esempio, abuso del diritto di convocazione, ostruzionismo nel dibattito assembleare, sistematico voto contrario che blocca decisioni essenziali per la società), la delibera non è annullabile, ma i soci dii minoranza sono tenuti al risarcimento dei danni, e il loro voto è annullato del voto qualora il voto contrario sia in grado di bloccare la decisione della maggioranza.
9. I sindacati di voto
I sindacati di voto sono accordi (patti parasociali) con i quali alcuni soci si impegnano a concordare preventivamente in modo in cui votare in assemblea.
I sindacati di voto possono avere carattere occasionale o permanente; in quest’ultimo caso, possono essere a tempo determinato o a tempo indeterminato, nonché riguardare tutte le delibere assembleari o soltanto quelle di un determinato tipo (ad esempio, nomina degli amministratori).
Ancora, si può stabilire che il modo come votare sarà deciso all’unanimità o – ed è questa l’ipotesi più frequente – a maggioranza dei soci sindacati. In questo secondo caso, il sindacato può essere dotato di un proprio apparato organizzativo, con la previsione di un’assemblea di sindacato e di propri organi direttivi.
Infine, si può stabilire che il voto sarà esercitato nell’assemblea della società direttamente dai soci sindacati, oppure che questi rilasceranno di volta in volta delega ad un comune rappresentante (il direttore del sindacato), il quale voterà secondo quanto preventivamente deciso dal sindacato stesso all’unanimità o a maggioranza.
I sindacati di voto permettono di dare un indirizzo unitario all’azione dei soci sindacati, e se questi vengono a costituire il gruppo di comando il patto di sindacato consente di dare stabilità di indirizzo alla condotta della società. Quando invece è stipulato fra soci di minoranza, l’accordo di sindacato consente una migliore difesa dei comuni interessi.
I sindacati di comando tendono tuttavia a cristallizzare il gruppo di controllo, soprattutto se stipulati a lungo termine o a tempo indeterminato e combinati con un sindacato di blocco delle azioni. Inoltre, con i sindacati di controllo il procedimento assembleare finisce con l’essere rispettato solo formalmente, dato che in fatto le decisioni vengono prese prima e fuori dall’assemblea. Infine, se il sindacato decide a maggioranza, anche il principio maggioritario finisce col ricevere ossequio solo formale, in quanto chi decide (fuori dall’assemblea) è solo la maggioranza dei soci sindacati, che può perciò controllare la società anche senza disporre della maggioranza del capitale.
Il sindacato di voto, in quanto patto parasociale, ha effetti solo fra le parti e non nei confronti della società; pertanto, il voto dato in assemblea resta valido anche se espresso in violazione degli accordi di sindacato. Inoltre, la presenza di un sindacato di voto può riflettersi sulla validità delle delibere solo quando uno o più soci i sindacati versino in conflitto di interessi con la società; infatti, in tal caso il conflitto si estende anche agli altri partecipanti al sindacato, in quanto portatori per conto altrui di un interesse in conflitto con quello della società. Nella prova di resistenza si dovrà perciò tener conto di tutti i voti sindacati.
Ai sensi dell’art. 2341-bis c.c., i patti parasociali che hanno ad oggetto l’esercizio del diritto di voto (sindacati di voto), gli altri patti stipulati al fine di stabilizzare gli assetti proprietari o il governo della società (sindacati di blocco) e i patti per l’esercizio anche congiunto di un’influenza dominante (sindacati di gestione, o di controllo), se stipulati a tempo determinato, non possono avere durata superiore a 5 anni, ma sono rinnovabili alla scadenza. Possono essere stipulati anche patti a tempo indeterminato, ma in tal caso ciascun contraente può recedere con un preavviso di 180 giorni.
I limiti di durata di cui sopra non si applicano tuttavia ai patti strumentali ad accordi di collaborazione nella produzione e nello scambio di beni o servizi e relativi a società interamente possedute dai partecipanti all’accordo (art. 2341-bis, 3° comma c.c.), in modo da favorire gli accordi di collaborazione o consortili di lunga durata.
Nelle società che fanno ricorso al mercato del capitale di rischio, i patti parasociali devono essere comunicati alla società, e dichiarati in apertura di ogni assemblea (art. 2341-ter c.c.). La dichiarazione deve essere trascritta nel verbale di assemblea e questo deve essere depositato presso l’ufficio del registro delle imprese, così che chiunque possa prenderne conoscenza.
L’omessa dichiarazione (ma non l’omessa comunicazione preventiva alla società) è sanzionata con la sospensione del diritto di voto delle azioni cui si riferisce il patto parasociale e la conseguente impugnabilità della delibera ai sensi dell’art. 2377 c.c., qualora sia stata adottata col voto determinante di tali azioni.
10. I vincoli sulle azioni: l’usufrutto
Le azioni possono essere costituite in usufrutto o in pegno e possono inoltre formare oggetto di misure cautelari ed esecutive (sequestro giudiziario o conservativo, pignoramento).
La costituzione in usufrutto o in pegno delle azioni nominative avviene mediante annotazione del relativo vincolo, a cura della società emittente, sul titolo e nel libro dei soci (art. 3, 1° comma, r.d. 239/1942) e non ha effetto nei confronti della società e dei terzi qualora non vengano osservate tali formalità (art. 2024 c.c.).
La costituzione in pegno può avvenire anche mediante consegna del titolo, girato con la clausola “in garanzia” od altra equivalente, fermo restando che il pegno è efficace nei confronti della società solo con l’annotazione nel libro dei soci (art. 3,2° comma,).
Infine, i pignoramenti, sequestri ed alte opposizioni debbono essere eseguiti sul titolo (art. 3.3° comma, r.d. 239/1942).
Ai sensi dell’art. 2352 c.c., salvo patto contrario, il diritto di voto compete al creditore pignoratizio o all’usufruttuario, i quali devono comunque esercitarlo in modo da non ledere gli interessi del socio, esponendosi altrimenti al risarcimento dei danni nei suoi confronti. È quindi opportuno ma non necessario che, prima di deliberazioni particolarmente importanti (ad esempio, scioglimento anticipato della società), il titolare del diritto frazionario richieda istruzioni al socio. In ogni caso, la violazione di tale dovere di condotta non può in alcun caso condurre all’annullamento della delibera assembleare, fermo restando l’obbligo di risarcimento degli eventuali danni. Nel caso di sequestro delle azioni il voto è esercitato dal custode.
Gli altri diritti amministrativi spettano invece disgiuntamente sa al socio sia al creditore pignoratizio o all’usufruttuario, se dal titolo costitutivo del vincolo non risulta diversamente. In caso di sequestro sono invece esercitati dal custode, salvo che dal provvedimento del giudice non risulti diversamente (art. 2352, 6° comma c.c.).
Per quanto concerne in particolare l’usufrutto, spettano in via disgiuntiva al socio (nudo proprietario) e all’usufruttuario i seguenti poteri e diritti:
- essere informato sulle materie oggetto di discussione e deliberazione; convocare l’assemblea (art. 2367 c.c.);
- rinviare l’assemblea (art. 2374 c.c.);
- ispezionare i libri sociali (art. 2422 c.c.);
- esaminare preventivamente il bilancio (art. 2429, 3° comma, c.c.) ed i progetti di fusione e scissione (artt. 2501-septies e 1506-ter c.c.);
- denunziare al Collegio sindacale i fatti censurabili (art. 2408 c.c.);
- denunziare al Tribunale le gravi irregolarità (art. 2409 c.c.);
- chiedere l’accertamento di una causa di scioglimento (art. 2485 c.c.).
Rientrano tra i c.d. diritti amministrativi anche il potere di impugnare le deliberazioni assembleari; sussiste quindi un potere di impugnazione del nudo proprietario del tutto autonomo rispetto a quello dell’usufruttuario. Tuttavia, la legittimazione all’impugnazione del socio (nudo proprietario) spetta soltanto qualora l’usufruttuario sia stato assente o abbia votato in senso contrario, residuando negli altri casi soltanto un’eventuale tutela di carattere risarcitorio.
Esula, invece, dall’ambito di applicazione dell’art. 2352, ultimo comma, c.c. la questione della titolarità del diritto di recesso: tale diritto, infatti, non può considerarsi un diritto amministrativo, essendo tale qualificazione riservata ai soli diritti di partecipazione, e non già ad un diritto avente quale effetto quello (antitetico) volto allo scioglimento del rapporto sociale. Il recesso è, quindi, riservato al nudo proprietario, sia perché per il tramite del suo esercizio si dispone della posizione di socio, sia perché l’esercizio del recesso da parte dell’usufruttuario esorbiterebbe dai limiti imposti dal divieto di mutamento della destinazione economica del bene oggetto di usufrutto, ai sensi dell’art. 981 c.c. Conseguentemente, la liquidazione spetta al nudo proprietario, ma dovrà essere investita affinché l’usufruttuario ne percepisca i frutti.
Peraltro, essendo riconosciuto il recesso essenzialmente nelle ipotesi di deliberazioni riguardanti determinate materie (art. 2437 c.c.), l’esercizio del recesso da parte del socio è condizionato alla mancata partecipazione dell’usufruttuario all’assemblea o a un suo voto contrario.
Il diritto di opzione spetta invece al socio, e solo ad esso sono attribuite le nuove azioni sottoscritte. Il socio deve tuttavia provvedere almeno tre giorni prima della scadenza al versamento delle somme necessarie per l’esercizio del diritto di opzione. In mancanza, gli altri soci possono offrire di acquistarlo; altrimenti il diritto di opzione deve essere alienato per suo conto a mezzo di una banca o di altro intermediario autorizzato alla negoziazione nei mercati regolamentati (art. 2352, 2° comma c.c.).
L’usufrutto o il pegno si estendono sul ricavato della vendita. Le nuove azioni sottoscritte in sede di opzione spettano invece al socio libere da vincoli.
Al titolare del diritto frazionario spettano gli utili distribuiti dalla società, e in caso di aumento gratuito di capitale, il pegno l’usufrutto o il sequestro si estendono alle azioni di nuova emissione (art. 2352, 3° comma c.c.).
Per quanto concerne il versamento delle somme dovute sulle azioni non liberate;
- in caso di pegno, il socio che deve provvedere al versamento, e in mancanza il creditore pignoratizio può far vendere le azioni tramite una banca o altro intermediario autorizzato, con trasferimento del pegno sul ricavato.
- in caso di usufrutto è invece l’usufruttuario che deve provvedere al versamento, salvo il suo diritto alla restituzione di tale somma al termine dell’usufrutto.
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Avv. Valerio Pandolfini
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