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i contratti di cessione di prodotti alimentari

I contratti di cessione di prodotti agricoli e alimentari: le novità del D.lgs.198/2021

23 Dicembre 2021/in Contratti commerciali, News

Il D.lgs.n.198/2021, entrato in vigore il 15 dicembre 2021 per dare attuazione alla direttiva UE 2019/633,contiene norme dirette a contrastare pratiche commerciali sleali tra le imprese della filiera agroalimentare, per tutelare maggiormente i fornitori e gli operatori della filiera. Il Decreto ha ad oggetto le cessioni di prodotti agricoli e alimentari effettuate da parte di fornitori, ovvero produttori agricoli o persone fisiche o giuridiche che vendono tali prodotti, stabiliti nel territorio nazionale. I contratti di cessione devono essere informati a principi di trasparenza, correttezza, proporzionalità e reciproca corrispettività delle prestazioni. Sono previste una serie di pratiche commerciali sleali, alcune sempre vietate  ed altre che si presumono vietate salvo diverso accordo tra le parti. È necessaria la forma scritta e la durata del contratto non può essere inferiore a 12 mesi, fatti salvi i casi indicati dalla legge. Le imprese del settore sono quindi chiamate a controllare le loro previsioni contrattuali tipo, sostituendo le previsioni contrastanti con la nuova normativa con clausole conformi alla stessa, per evitare di incorrere in sanzioni, che possono arrivare fino al 5% del fatturato realizzato nell’ultimo esercizio precedente all’accertamento.

Indice

1. Il D.lgs.n.198/2021 e il suo ambito di applicazione

È entrato in vigore il 15 dicembre 2021 il D.lgs.n.198/2021 (di seguito il “Decreto”), emanato in attuazione della direttiva UE 2019/633 (Unfair Trading Practices, UTP), in materia di pratiche commerciali sleali nei rapporti tra imprese nella filiera agricola e alimentare.

La direttiva UTP è stata emanata per contrastare le condotte che si discostano dalle buone pratiche commerciali, sono contrarie ai principi di buona fede e correttezza e sono imposte unilateralmente da un partner commerciale alla sua controparte. La disciplina  trova applicazione su entrambi i lati del rapporto tra imprese e in ogni fase della catena di fornitura, con esclusione delle cessioni concluse direttamente tra fornitori e consumatori finali.

Il Decreto introduce norme finalizzate a contrastare le pratiche commerciali sleali nelle relazioni tra acquirenti e fornitori di prodotti agricoli ed alimentari, per perseguire un maggior equilibrio tra fornitore e acquirente operanti nell’ambito della filiera.

Il nuovo intervento si propone di razionalizzare e rafforzare l’attuale quadro giuridico, in modo da tutelare maggiormente i fornitori e gli operatori della filiera agricola e alimentare, i quali si trovano in una condizione di debolezza nei rapporti con gli altri attori della filiera a causa della deperibilità e della stagionalità delle produzioni.

Le disposizioni del Decreto si applicano alle cessioni di prodotti agricoli ed alimentari da parte di soggetti che siano stabiliti nel territorio nazionale, indipendentemente dal fatturato dei fornitori e degli acquirenti; sono invece esclusi i contratti con i consumatori (B2C).

Le norme contenute nel Decreto si applicano ai contratti di cessione di prodotti agricoli e alimentari conclusi a decorrere dal 15 dicembre 2021, e ad esse dovranno conformarsi anche i contratti in corso di esecuzione, entro 6 mesi da tale data.

2. I principi ed elementi essenziali dei contratti di cessione di prodotti agricoli ed alimentari

L’art. 3 del Decreto contiene i principi e gli elementi essenziali dei contratti di cessione di prodotti agricoli ed alimentari. Tale norma è espressamente qualificata come imperativa, e dunque prevale su eventuali discipline di settore contrastanti.

La norma prevede che i contratti di cessione di prodotti agricoli ed alimentari, con riferimento ai beni forniti, devono essere informati ai seguenti principi(da rispettare prima, durante e dopo l’istaurazione della relazione commerciale):

  • trasparenza;
  • correttezza;
  • proporzionalità;
  • reciproca corrispettività delle prestazioni. 

I contratti di cessione devono essere conclusi in forma scritta prima della consegna dei beni. Sono considerate equipollenti alla forma scritta-come già previsto dall’art. 62 del D.L. 1/2012:

  • i documenti di trasporto o di consegna;
  • le fatture;
  • gli ordini di acquisto con i quali l’acquirente commissiona la consegna dei prodotti.

Gli elementi essenziali del contratto sono:

  • la durata;
  • le quantità e le caratteristiche del prodotto venduto;
  • il prezzo (in misura fissa o determinabile sulla base di criteri stabiliti nel contratto);
  • le modalità di consegna e di pagamento.

La durata del contratto non può essere inferiore a 12 mesi, salvo le deroghe espressamente previste dal comma 4 dell’art. 3 del Decreto. Tale limite non opera, per esempio, nei contratti di cessione nel settore della somministrazione di alimenti e bevande, dove le forniture non sempre possono essere stabilite con cadenza annuale  in ragione della stagionalità dell’attività.

Sono inoltre fatte salve le condizioni contrattuali sancite dagli accordi quadro conclusi dalle organizzazioni professionali maggiormente rappresentative, nel rispetto del divieto di pratiche commerciali scorrette.

In caso di violazione delle norme di cui sopra, è prevista una sanzione amministrativa da Euro 2.000,00 fino al 5% del fatturato dell’ultimo esercizio precedente l’accertamento.

Le imprese del settore devono dunque esaminare attentamente i contratti in essere e, qualora necessario e/o opportuno, rinegoziare le clausole difformi, in modo da conformarsi a quanto previsto dal Decreto.

3. Le pratiche commerciali sleali vietate

Il Decreto vieta, in generale, le pratiche commerciali:

  • contrarie ai principi di buona fede e correttezza,
  • imposte unilateralmente da un contraente alla sua controparte.

L’art. 4 del Decreto – norma qualificata come imperativa – elenca le pratiche commerciali vietate, in quanto ritenute sleali. Le clausole o pattuizioni contrarie sono nulle, senza che ciò provochi la nullità dell’intero contratto.

La disposizione contiene anzitutto una lista nera (black list) di condotte sempre vietate (art. 4 comma 1 del Decreto).

Tra le condotte inserite nella lista nera si annovera, in particolare, il ritardato versamento del corrispettivo (art. 4 c. 1 lett. a):

  • per i prodotti agricoli e alimentari deperibili, il termine di pagamento non può superare i 30 giorni dal termine del periodo di consegna;
  • per i prodotti non deperibili, il termine non può eccedere i 60 giorni dal termine della consegna.

Sono previste esenzioni per la distribuzione di prodotti ortofrutticoli e di latte destinati alle scuole, per gli enti pubblici che forniscono assistenza sanitaria, nell’ambito di contratti di cessione tra fornitori di uve o mosto per la produzione di vino e i loro acquirenti diretti (art. 4 c. 3, d.lgs. 198/2021).

Rientra tra le pratiche sleali sempre vietate l’annullamento, da parte dell’acquirente, di ordini di prodotti agricoli e alimentari deperibili con un preavviso inferiore a 30 giorni, salvo eccezioni da indicare con un successivo regolamento (art. 4 c. 1 lett. c).

Sono parimenti sempre scorrette le pratiche che prevedano:

  • la modifica unilaterale, da parte dell’acquirente o del fornitore, delle condizioni di un contratto di cessione di prodotti agricoli e alimentari (art. 4 c. 1 lett. d)
  • l’inserimento, da parte dell’acquirente, di clausole contrattuali che obbligano il fornitore a farsi carico dei costi per il deterioramento o la perdita di prodotti agricoli e alimentari che si verifichino presso i locali dell’acquirente o comunque dopo che tali prodotti siano stati consegnati (art. 4 c. 1 lett. f);
  • l’acquisizione, l’utilizzo o la divulgazione illecita, da parte dell’acquirente, di segreti commerciali del fornitore (art. 4 c. 1 lett. h).

È inoltre prevista una lista grigia (grey list) di condotte che si presumono vietate salvo che siano state precedentemente concordate dal fornitore e dall’acquirente nel contratto di cessione, nell’accordo quadro oppure in un altro accordo successivo, purché in termini chiari ed univoci (art. 4 comma 4 del Decreto).

Si presumono vietate le clausole contrattuali che pongono a carico del fornitore i rischi propri del venditore, quali:

  • la restituzione di prodotti rimasti invenduti,
  • i costi per l’immagazzinamento, l’esposizione, e la messa in commercio dei prodotti del fornitore, oppure per gli sconti sui prodotti venduti come parte di una promozione,
  • i costi del personale incaricato di organizzare gli spazi destinati alla vendita dei prodotti del fornitore.

L’art. 5 del Decreto, norma anch’essa imperativa, elenca ulteriori condotte scorrette. Alcune di esse erano già contenute nella disciplina previgente, mentre altre sono nuove. Tra queste ultime, si evidenziano:

  • l’acquisto di prodotti agricoli e alimentari attraverso il ricorso a gare e aste elettroniche a doppio ribasso (art. 5 c. 1 lett. a),
  • l’imposizione di condizioni contrattuali eccessivamente gravose per il venditore, ivi compresa quella di vendere prodotti agricoli e alimentari a prezzi palesemente al di sotto dei costi di produzione (art. 5 c. 1 lett. b),
  • l’esclusione dell’applicazione di interessi di mora a danno del creditore o delle spese di recupero dei crediti (art. 5 c. 1 lett. j),
  • l’imposizione all’acquirente, da parte del fornitore, di prodotti con date di scadenza troppo brevi rispetto alla vita residua del prodotto stesso, stabilita contrattualmente (art. 5 c. 1 lett. m).

4. Buone pratiche commerciali e vendite sottocosto

L’art. 6 del Decreto considera espressione di buone pratiche commerciali:

  • gli accordi e i contratti di filiera che abbiano durata di almeno tre anni;
  • i contratti conformi alle condizioni contrattuali definite nell’ambito degli accordi quadro;
  • oppure i contratti conclusi con l’assistenza delle rispettive organizzazioni professionali maggiormente rappresentative.

Per la vendita dei prodotti agricoli e alimentari oggetto di contratti in cui siano state attuate tali pratiche commerciali, è consentito alle imprese utilizzare la dicitura: “Prodotto conforme alle buone pratiche commerciali nella filiera agricola e alimentare”.

Si prevede altresì che i contratti di cessione sono conformi ai principi di buona fede, correttezza e trasparenza quando sia nella fase di negoziazione che di esecuzione sono retti dai seguenti criteri:

  • conformità dell’esecuzione a quanto concordato;
  • correttezza e trasparenza delle informazioni fornite in sede precontrattuale;
  • assunzione ad opera di tutte le parti della filiera dei propri rischi imprenditoriali;
  • giustificabilità delle richieste.

L’art. 7 del Decreto, norma imperativa, dispone che la vendita sottocosto dei prodotti agricoli e alimentari freschi e deperibili è consentita solo nel caso di:

  • prodotto invenduto a rischio di deperibilità,
  • oppure nel caso di operazioni commerciali programmate e concordate con il fornitore in forma scritta.

In caso di violazione di quanto sopra, il prezzo stabilito dalle parti viene sostituito di diritto, ai sensi dell’art. 1339 c.c., con il prezzo risultante

  • dalle fatture d’acquisto;
  • in difetto, dal prezzo calcolato sulla base dei costi medi di produzione rilevati da ISMEA (Istituto di Servizi per il Mercato Agricolo alimentare);
  • in difetto, dal prezzo medio praticato per prodotti simili nel mercato di riferimento.

5. Gli interessi moratori

L’art. 4 comma 2 del Decreto prevede – conformemente a quanto già previsto dall’art. 62 DL n. 1/2012, abrogato dalla nuova normativa – che, in caso di mancato rispetto dei termini di pagamento, sono dovuti al creditore gli interessi legali di mora, che decorrono automaticamente dal giorno successivo alla scadenza del termine. Il saggio degli interessi è maggiorato di 4 punti percentuali ed è inderogabile.

Pertanto, il tasso di interesse è pari al 12%, vale a dire 8% di interesse legale di mora a cui va aggiunta la maggiorazione del 4%.

La norma precisa, al comma 4, che quando il debitore è una P.A. del settore scolastico e sanitario, è fatta salva la possibilità di pattuire termini di pagamento superiori a quelli stabiliti dalla legge purché siano giustificati dalla natura particolare del contratto o da talune sue caratteristiche.

6. Controlli e sanzioni

Ai sensi dell’ultimo comma dell’art. 1 del Decreto, ogni pattuizione o clausola negoziale in contrasto con le norme di cui sopra ne comporta la nullità parziale. In tal caso non viene dunque meno l’intero rapporto negoziale, a meno che la clausola invalida fosse essenziale per il consenso delle parti.

Nell’ipotesi di nullità, considerato il guadagno della parte forte dovuto allo sfruttamento della controparte, il fornitore potrà agire per ripetere quanto abbia dovuto indebitamente corrispondere in più.

L’ICQRF (Dipartimento dell’Ispettorato Centrale della tutela della Qualità e Repressione Frodi dei prodotti agroalimentari) rappresenta l’autorità nazionale incaricata ad accertare le violazioni delle disposizioni di cui agli articoli 3, 4 e 5 del Decreto nonché ad irrogare le relative sanzioni.

L’ICQRF si avvale, oltre che della Guardia di finanza, anche del Comando Carabinieri per garantire la tutela agroalimentare. Restano ferme le competenze dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato (AGCM) per l’accertamento delle  pratiche commerciali sleali.

L’art. 10 del Decreto delinea il regime sanzionatorio, parametrato in ragione della violazione compiuta.

In caso di mancato rispetto dei termini di pagamento, il comma 3 della norma dispone l’applicazione di una sanzione amministrativa pecuniaria, parametrata al fatturato delle imprese, salva la previsione di un minimo edittale.

La misura della sanzione è infatti determinata facendo riferimento al beneficio ricevuto dal soggetto che ha commesso la violazione nonché all’entità’ del danno provocato – fatta salva la norma penale – ed è rapportata in una percentuale del fatturato realizzato nell’ultimo esercizio precedente.

In particolare per le violazioni della norma di cui all’art. 4 del Decreto in tema di pratiche commerciali sleali, è prevista una sanzione fino al 5% del fatturato realizzato nell’ultimo esercizio precedente.

Nei casi di violazioni reiterate, tali sanzioni potranno essere duplicate e triplicate, senza poter mai eccedere però il 10 % del fatturato considerato come sopra.

 

Avv. Valerio Pandolfini

Avvocato Contrattualistica d’Impresa 

 

Per altri articoli di approfondimento su tematiche attinenti il diritto d’impresa: visitate il nostro blog.

 


 

Le informazioni contenute nel presente articolo hanno carattere generale e non sono da considerarsi un esame esaustivo né intendono esprimere un parere o fornire una consulenza di natura legale. Le considerazioni e opinioni riportate nell’articolo non prescindono dalla necessità di ottenere pareri specifici con riguardo alle singole fattispecie. Di conseguenza, il presente articolo non costituisce un (né può essere altrimenti interpretato quale) parere legale, né può in alcun modo considerarsi come sostitutivo di una consulenza legale specifica.

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