Il contratto di sponsorizzazione
La sponsorizzazione è un contratto in base al quale un soggetto (sponsee) si obbliga ad associare alla propria attività il nome o il segno distintivo di un altro soggetto (sponsor), contro corrispettivo, divulgandone così l’immagine o il marchio presso il pubblico e amplificandone, in maniera indiretta, le vendite dei prodotti. La sponsorizzazione è riconducibile alla categoria dei contratti di pubblicità, dato che lo sponsor effettua una tipica forma di comunicazione d’impresa attraverso l’abbinamento dei propri marchi o di altri propri segni distintivi all’attività dello sponsee.
1. Caratteristiche della sponsorizzazione
La sponsorizzazione è un contratto in base al quale un soggetto (sponsee) si obbliga ad associare alla propria attività il nome o il segno distintivo di un altro soggetto (sponsor), contro corrispettivo, divulgandone così l’immagine o il marchio presso il pubblico e amplificandone, in maniera indiretta, le vendite dei prodotti.
Il contratto di sponsorizzazione è riconducibile alla vasta categoria dei contratti di pubblicità, dato che lo sponsor effettua, attraverso questo rapporto, una tipica forma di comunicazione d’impresa attraverso l’abbinamento dei propri marchi o di altri propri segni distintivi all’attività dello sponsee.
La sponsorizzazione costituisce infatti parte integrante della strategia di marketing dell’impresa (marketing mix). Rientra tra le forme di pubblicità c.d. indiretta, in quanto il pubblico è attirato dall’attività o immagine dello sponsee e solo tramite questi percepisce l’abbinamento creato con lo sponsor. In particolare, la sponsorizzazione rientra nella categoria della pubblicità c.d. istituzionale che, a differenza della pubblicità commerciale, non mira direttamente alla promozione del prodotto bensì alla valorizzazione dell’immagine aziendale.
Di qui l’applicazione ai contratti di sponsorizzazione della normativa in tema di pubblicità, e in particolare della disciplina sulla pubblicità ingannevole (D.lgs. n. 145/2007) e sulle pratiche commerciali scorrette verso i consumatori o le micro-imprese (artt. 20 ss. del Codice del consumo).
Allo stesso tempo, tuttavia, la sponsorizzazione si differenzia dai contratti di pubblicità in senso stretto, in quanto:
- nei contratti pubblicitari l’attività promozionale non è occasionale bensì stabile (si pensi ad esempio ai cartelloni, ai manifesti, agli striscioni pubblicitari relativi ad un prodotto collocati stabilmente – e non in occasione di un particolare evento sportivo – a bordo campo o alle pareti di un centro sportivo);
- nei contratti pubblicitari il messaggio pubblicitario è diretto, riconoscibile, esplicito ed immediato, finalizzato a favorire la vendita di un determinato bene o servizio, mentre nella sponsorizzazione il messaggio è indiretto e non si fonda sulla esaltazione delle qualità del prodotto o del servizio di un’azienda, bensì sulla divulgazione del segno distintivo dello sponsor.
La dinamica della diffusione del messaggio di sponsorizzazione e l’effetto sull’audience dei consumatori sono quindi sensibilmente diversi rispetto a quelli tipici dell’azione pubblicitaria tradizionale, quanto meno per la circostanza che la durata e frequenza del messaggio dipendono dall’evento cui è collegato (sportivo, culturale, ecc.) e non dall’impresa sponsor.
D’altra parte, lo scopo della sponsorizzazione non è solo quello di portare all’attenzione dei consumatori il proprio marchio – come avviene invece nel caso dei contratti pubblicitari – ma anche quello di migliorarne l’idea, associandolo a un qualcosa di attraente e appassionante agli occhi del pubblico, che possa creare con esso quasi un legame emotivo.
La sponsorizzazione si limita ad abbinare il segno distintivo dell’impresa e (denominazione, immagine, simbolo, ecc.), alla distinta attività di un terzo, distinguendosi così dal contratto di merchandising, nel quale è il terzo produttore o distributore dei beni o servizi, contraddistinti dal marchio dell’impresa, a versare un corrispettivo in denaro per l’apposizione del segno dell’impresa stessa (royalty o fee, conformemente allo schema di un contratto di licenza).
Nella sponsorizzazione, infatti, è il marchio sponsor che si avvantaggia dall’essere associato a qualcosa (come un evento, il nome di un club o di un atleta) in grado di trasmettere valori positivi per i consumatori, mentre nel merchandising è direttamente il prodotto su cui viene apposto il marchio celebre a trarre beneficio dell’abbinamento. Nella sponsorizzazione, dunque, è il marchio sponsor che si avvantaggia dall’essere associato a qualcosa (come un evento, il nome di un club o di un atleta) in grado di trasmettere valori positivi per i consumatori, mentre nel merchandising è direttamente il prodotto su cui viene apposto il marchio celebre a trarre beneficio dall’abbinamento.
La sponsorizzazione è un contratto oneroso a prestazioni corrispettive; la causa del contratto di sponsorizzazione consiste nell’utilizzazione a fini direttamente o indirettamente pubblicitari, dell’attività, del nome o dell’immagine altrui, in cambio di un corrispettivo che può consistere in un finanziamento in denaro o nella fornitura di materiale o di altri beni.
Questo elemento la distingue rispetto alle ipotesi di erogazioni liberali (donazione, mecenatismo, patrocinio, patronage), nelle quali non vi è a carico dello sponsee alcun obbligo di promozione del nome o del marchio dello sponsor. Pertanto, se la promozione del nome, dell’immagine o dei prodotti e/o servizi dello sponsor è oggetto di preciso obbligo giuridico a carico dello sponsee, si rientra nella sponsorizzazione; se invece l’erogazione è sorretta da spirito di liberalità e non è accompagnata da alcun obbligo a carico dello sponsee, si ha mecenatismo, anche se il finanziatore beneficia comunque di un ritorno di immagine.
La sponsorizzazione è un contratto atipico, ovvero privo di disciplina specifica. Ad esso si applica quindi la disciplina generale del c.c. sul contratto e, per analogia, quella del contratto tipico di volta in volta più affine, in considerazione dello scopo specifico perseguito dalle parti (appalto di servizi, vendita, locazione, mandato, contratto associativo). In quanto atipico, la legittimità del contratto dipende, ai sensi dell’art. 1322 c.c., co. 2, dalla valutazione della meritevolezza degli interessi perseguiti dalle parti.
2. Gli obblighi delle parti del contratto di sponsorizzazione e le clausole tipiche
Con riferimento allo sponsor, l’obbligo principale è costituito dal pagamento di una somma di denaro e/o dal trasferimento allo sponsee in proprietà o in godimento temporaneo di altri beni (ad es. attrezzature sportive, generi di abbigliamento, ecc.) o fornitura di specifici servizi (ad es. trasporto, segreteria, ecc.) con applicazione delle relative discipline (ad es. vendita, locazione, comodato).
Il corrispettivo in favore delle sponsee può consistere, oltre all’importo fisso stabilito nel contratto, anche in una serie di bonus legati a risultati e/o a prestazioni individuali (ad esempio il numero di gol, i miglioramenti cronometrici, di misura e di distanza, etc.). Spesso, nei contratti di sponsorizzazione di durata pluriennale, si prevede un incremento dell’importo fisso sulla base dei risultati ottenuti dallo sponsee, o, viceversa, in caso contrario, un abbassamento dell’importo stesso. Inoltre, lo sponsor può obbligarsi anche a fornire determinati prodotti allo sponsee, con obbligo di utilizzo degli stessi in vari contesti (gare, eventi, etc.).
Le obbligazioni principali dello sponsee sono:
- acconsentire all’utilizzo e/o allo sfruttamento commerciale del proprio nome, della propria immagine e di tutti i propri segni distintivi abbinati al brand dello sponsor;
- la prestazione richiesta di volta in volta dal contratto, in base allo specifico ambito di attività (ad esempio la partecipazione di un atleta ad un meeting o ad un match, o l’apparizione ad un evento di natura commerciale organizzato dallo sponsor – quale un’inaugurazione, una convention, una fiera etc. nell’indossare un determinato abbigliamento sportivo, etc).
L’obbligazione dello sponsee è di mezzi e non di risultato: lo sponsee è infatti tenuto a svolgere solo le attività previste dal contratto (visibilità concordata), non a garantire un ritorno pubblicitario allo sponsor (in termini di volumi di vendite, incrementi di fatturato). In caso di mancata realizzazione delle aspettative dello sponsor, quest’ultimo non può quindi chiedere la risoluzione del contratto né il risarcimento dei danni allo sponsee, in quanto il rischio del mancato o ridotto ritorno pubblicitario è in capo allo sponsor.
Il contratto di sponsorizzazione è quindi caratterizzato da una notevole aleatorietà per lo sponsor, il quale non può sapere se a seguito della manifestazione deriverà o meno un vantaggio proporzionato al sacrificio economico sostenuto. Per diminuire l’alea in capo allo sponsor, nella prassi si ricorre a clausole di valorizzazione del corrispettivo in funzione dei risultati raggiunti dallo sponsee e a forme di copertura assicurativa.
Lo sponsee è tuttavia tenuto è tenuto ad osservare la diligenza normalmente necessaria per tutelare l’interesse dello sponsor ed evitare ogni pregiudizio a quest’ultimo, in base ai principi di correttezza e buona fede nell’adempimento dell’obbligazione e dell’esecuzione del contratto (artt. 1175 e 1375 c.c.). Infatti, la causa del contratto è il ritorno pubblicitario per lo sponsor, la divulgazione dei suoi segni distintivi, anche se non è oggetto delle obbligazioni dello sponsee.
Lo sponsee deve quindi agire in modo da consentire la realizzazione dell’interesse primario dello sponsor (il potenziamento della sua immagine) ed evitare qualsiasi comportamento pregiudizievole al soddisfacimento di tale interesse, anche in assenza di specifiche previsioni contrattuali. In caso di inadempimento agli obblighi di diligenza dello sponsee, lo sponsor è legittimato alla risoluzione del contratto, con eventuale risarcimento del danno, e/o a recedere dal contratto (v. anche più avanti, par. 5.1).
Altro elemento che caratterizza il contratto di sponsorizzazione è la piena autonomia dello sponsee nello svolgimento della propria attività. Infatti, è quasi sempre escluso che lo sponsor abbia un potere decisionale nella direzione degli eventi o dell’attività organizzata dallo sponsee. Per contro, lo sponsor non ha nessuna responsabilità riguardante il profilo organizzativo degli eventi o dell’attività.
L’esclusiva è una delle clausole contrattuali più frequenti nei contratti di sponsorizzazione. L’esclusiva può essere legata all’unicità dello sponsor (c.d. ‘sponsorizzazione unica’) o ad un determinato settore merceologico (c.d. ‘esclusiva merceologica’). L’esclusiva obbliga lo sponsee a non effettuare le prestazioni richieste dallo sponsor nei confronti di altri brand che siano direttamente o indirettamente concorrenziali; a tal fine, onde evitare spiacevoli incidenti nella fase esecutiva del contratto, spesso si allega al contratto un elenco di aziende considerate concorrenziali allo sponsor.
L’estensione dell’esclusiva viene generalmente regolamentata dal punto di vista sia temporale che territoriale. Sotto il primo profilo, lo sponsor tende per lo più ad assicurarsi l’esclusiva per un periodo sufficiente affinché la campagna di comunicazione generi nel pubblico il collegamento tra l’immagine dello sponsor e dello sponsee garantendo in tal modo un ritorno pubblicitario adeguato.
Allo stesso modo, lo sponsor tende ad ottenere l’esclusiva per i diversi territori o le diverse aree geografiche in cui opera, in modo da evitare che, con l’incremento della comunicazione tramite internet o i social media, lo sconfinamento in aree geografiche non previste dall’autorizzazione possa generare richieste di risarcimento del danno da parte dello sponsee. Viceversa, lo sponsee soprattutto qualora goda di grande fama, è interessato a circoscrivere quanto più possibile l’estensione dell’esclusiva, in modo da non precludersi la possibilità della stipula di nuovi contratti di sponsorizzazione (ad esempio, per quanto riguarda determinati settori, come la telefonia mobile, può essere interessato ad avere diversi sponsor per le varie aree geografiche).
Pertanto, è nell’interesse delle parti regolamentare dettagliatamente il contenuto del contratto di sponsorizzazione anche sotto tale profilo, al fine di evitare l’insorgere di problematiche che possano portare ad un contenzioso, con effetti negativi per entrambe.
Un’altra clausola molto frequente nei contratti di sponsorizzazione è la prelazione, in base alla quale, qualora lo sponsee dovesse ricevere, nel corso del contratto, una proposta da parte di un soggetto in concorrenza con lo sponsor, lo stesso sponsee è obbligato di trasmettere tale offerta, in originale o in copia, allo sponsor, di modo che, entro un successivo arco temporale, questi abbia la possibilità prevalere rispetto al brand concorrenziale.
Altra clausola molto importante è quella relativa al consenso allo sfruttamento commerciale dell’immagine dello sponsee e ai limiti della sua revocabilità.
Per quanto riguarda la durata del contratto, qualora la sponsorizzazione riguardi un evento singolo o isolato, in mancanza di una durata predeterminata dal contratto, questa deve di norma presumersi limitata a tale evento (compresi eventi in ipotesi complessi, come un intero torneo o un campionato). Qualora invece la sponsorizzazione riguardi un’attività continuativa senza un particolare termine determinabile dalla natura dell’attività stessa (come, per esempio, la sponsorizzazione di un museo o di un sito archeologico), in assenza di pattuizione specifica si potrà ritenere il rapporto a tempo indeterminato, salvo recesso per giusta causa o, in ogni caso, a seguito di un ragionevole preavviso ai sensi dell’art. 1569 c.c. (tenendosi conto, in quest’ultima ipotesi, tanto delle legittime aspettative del soggetto sponsorizzato, quanto dell’interesse anche patrimoniale dello sponsor, per valutare la congruità del relativo termine).
È possibile scaricare un modello di contratto di sponsorizzazione cliccando qui ,con l’avvertenza che è necessario procedere alle opportune modifiche in rapporto alle specificità del singolo caso.
3. Il pool
La qualifica di sponsor è graduata a seconda del livello di impegno economico che l’impresa sponsorizzante decide di intraprendere nei confronti del soggetto sponsorizzato.
Così, il soggetto sponsorizzante può fregiarsi del titolo di sponsor unico qualora l’impegno economico assunto sia tale da finanziare totalmente l’attività dello sponsee, impedendogli di concludere accordi di sponsorizzazioni ulteriori e realizzando una altissima compenetrazione fra l’immagine dello sponsorizzato e dello sponsorizzante.
Nel caso in cui l’impresa sia fornitrice di beni o servizi accessori o comunque legati all’attività praticata dallo sponsee, questa potrà ottenere l’esclusiva merceologica per il proprio prodotto e impegnarsi a fornirlo al soggetto sponsorizzato per tutta la durata del contratto, fregiandosi del titolo di fornitore ufficiale (c.d. official supplier).
Gli ingenti costi che comporterebbe intraprendere una campagna promozionale di questo tipo spingono solitamente le imprese a preferire un livello di intervento minore, ma che comunque possa attribuire loro il titolo di sponsor principale (c.d. main sponsor). In questo modo lo sponsee può concludere accordi di sponsorizzazioni con altre imprese (sponsor secondari), ma rispetto ad esse lo sponsor gode di una maggiore visibilità, coerentemente con la propria maggiore esposizione economica garantita dal primo.
In questo caso, ad esempio, il main sponsor appone il proprio marchio su tutto l’abbigliamento sportivo della squadra e, in alcune discipline sportive (come pallacanestro e pallavolo) accanto al nome del sodalizio sportivo sponsorizzato; lo sponsor secondario gode di minore visibilità, a fronte di un impegno economico ridotto, non potendo far figurare il proprio marchio sulla divisa da gioco o figurandovi ma in dimensioni ridotte rispetto al main sponsor oppure in spazi diversi (pantaloncino, retro della divisa, cartelloni pubblicitari a bordocampo, backdrop delle interviste, tagliandi di ingresso all’evento, etc.).
In alcuni casi, per poter affrontare gli investimenti necessari per la sponsorizzazione di eventi richiedenti ingenti costi organizzativi (si pensi alle Olimpiadi, ai Mondiali di calcio, all’America’s Cup etc.), il cui ammontare si rivelerebbe proibitivo per una singola impresa sponsorizzante, diverse imprese possono decidere di consorziarsi per sostenere insieme le spese di sponsorizzazione dell’evento, formando il cd pool.
Caratteristica fondamentale di questa particolare forma di sponsorizzazione “associativa” è la gestione unitaria dell’attività promozionale per conto del pool attraverso l’operato di organi propri. Per tale motivo, la disciplina giuridica del pool segue quella dei consorzi per il coordinamento della produzione e degli scambi, in particolare quella dei consorzi con attività esterna (ossia quando è prevista l’istituzione di un ufficio destinato a svolgere attività con terzi, ai sensi dell’art. 2612 c.c.).
Per quanto concerne gli obblighi interni assunti dagli associati, la presenza di un organo gestorio garantisce la supervisione del corretto adempimento delle obbligazioni assunte dalle singole imprese nel momento in cui queste si sono associate. Inoltre, è esclusa ogni iniziativa pubblicitaria degli associati autonoma e parallela a quella del consorzio. Il pool ha una durata limitata che, se non espressamente pattuita, è fissata dall’art. 2604 c.c. in 10 anni.
Le singole imprese consorziate rimangono estranee al contratto di sponsorizzazione, che vede unicamente il pool come controparte dello sponsee. È infatti il pool che si obbliga a fornire beni e servizi ed è sempre il pool ad erogare i finanziamenti, rispondendo delle obbligazioni assunte unicamente entro il limite del fondo consortile, costituito dalle quote partecipative dei consociati e che costituisce un patrimonio autonomo rispetto a quello delle singole imprese aderenti al consorzio.
Cionondimeno, in forza della loro appartenenza al pool, le singole imprese consorziate possono fregiarsi del titolo di sponsor dell’evento, acquistando il diritto di utilizzarne i segni distintivi a scopo promozionale.
4. La sponsorizzazione cinematografica, audiovisiva, culturale
L’abbinamento fra i segni distintivi dello sponsor e l’attività o singoli eventi dello sponsee, che costituisce la causa caratterizzante dei contratti di sponsorizzazione, può verificarsi in diversi settori.
Una delle prime prima forme di sponsorizzazione si ha in relazione alle opere cinematografiche ed audiovisive, sia attraverso l’abbinamento dei segni distintivi dello sponsor alla realizzazione esterna dell’opera, sia mediante l’inclusione di prodotti o servizi con il relativo marchio all’interno dell’opera medesima (c.d. product placement).
La fornitura di questi prodotti o servizi da parte dello sponsor all’interno dell’opera cinematografica od audiovisiva rappresenta un elemento imprescindibile per ricoprire un’ampia quota dei costi di produzione, con il rischio che la visibile e persistente inclusione dei beni di marca all’interno dell’opera interferisca con il normale svolgimento della relativa trama fino a ledere l’autonomia artistica del regista e degli ulteriori collaboratori creativi. Di qui la specifica disciplina di cui all’art. 40-bis D.lgs. n. 177/2005, che prevede alcuni limiti per evitare o quanto meno limitare tali inconvenienti.
In tali ambiti, lo sponsor eroga un corrispettivo in denaro, ovvero beni o servizi, ad un ente culturale pure non caratterizzato da attività commerciale, usufruendo di maggiore visibilità e della collegata valorizzazione dei propri segni distintivi o del proprio avviamento.
Nel settore culturale il rapporto di sponsorizzazione si può, peraltro, invertire, quando è l’ente culturale ad assumere la veste di sponsor attraverso l’abbinamento dei propri simboli o delle proprie denominazioni ad eventi che possono essere, a loro volta, di natura culturale o commerciale. Una fattispecie frequente è il c.d. “patrocinio” di un soggetto pubblico o di un’associazione culturale non avente natura d’impresa, normalmente effettuato a titolo gratuito per veicolare l’immagine dell’ente o dell’associazione attraverso l’evento del terzo, aumentandosi così il prestigio, quanto prevalentemente morale, di entrambe le parti.
La sponsorizzazione da parte di un ente culturale, pubblico o privato, deve essere compatibile con le finalità statutarie ed i limiti legali dell’ente stesso: in particolare, per gli enti pubblici, un limite finanziario alla stipulazione di sponsorizzazioni è stato imposto dall’art. 6, 9° comma, del D.L. n. 78/2010, convertito nella L. n. 122/2010.
5. La sponsorizzazione sportiva
Assai frequenti sono , le sponsorizzazioni in ambito sportivo, le quali evidenziano, da un lato, l’interesse dello sponsor a rendere visibili i propri marchi o i propri nomi commerciali grazie alla sempre maggiore diffusione mediatica di questi eventi e, dall’altro, l’interesse della squadra sponsorizzata a coprire parzialmente (come per la produzione cinematografica) i sempre più alti costi di organizzazione e d’ingaggio.
Con il contratto di sponsorizzazione sportiva un’azienda – non necessariamente attinente al settore sportivo – associa il proprio marchio a quello di una società sportiva o all’immagine di un atleta nel corso delle competizioni sportive o degli eventi pubblici cui partecipano, a fronte di un corrispettivo avente carattere generalmente economico; spesso tuttavia sono previsti ulteriori obblighi in capo allo sponsor, come la fornitura di materiale necessario o accessorio allo svolgimento dell’attività stessa (abbigliamento, attrezzature, integratori etc.).
D’altra parte, lo sponsee è tenuto ad evidenziare il marchio dello sponsor durante lo svolgimento della propria attività istituzionale, e può essere tenuto anche ad alcuni obblighi secondari, come ad es. far partecipare la squadra, compatibilmente con gli impegni sportivi, a manifestazioni organizzate dallo sponsor ed a giocare partite amichevoli in sedi di interesse dello sponsor; autorizzare lo sponsor ad utilizzare l’immagine della squadra sponsorizzata per le proprie iniziative promozionali e pubblicitarie, impegnarsi a fornire allo sponsor di un certo numero di ingressi alle partite, etc.
In virtù del solo contratto di sponsorizzazione con la società sportiva, l’azienda non possiede un titolo idoneo all’utilizzo del nome o dell’immagine del singolo sportivo, più o meno celebre, per pubblicizzare il proprio marchio; lo sponsor infatti acquisisce il diritto di sfruttare commercialmente l’immagine della squadra e non dei singoli atleti che la compongono, almeno finché questi ultimi non vengano in rilievo collettivamente come parte della squadra stessa. Pertanto, salvo l’ipotesi di diversi appositi accordi stipulati con la società, i singoli atleti mantengono piena ed autonoma libertà negoziale per la stipula sia di contratti pubblicitari di sponsorizzazione, sia di merchandising per lo sfruttamento commerciale del proprio nome od immagine.
In tale ambito, soprattutto nell’ambito degli sport di squadra professionistici (laddove la sponsorizzazione riguarda l’abbigliamento tecnico utilizzato per lo svolgimento dell’attività agonistica), il contratto di sponsorizzazione si accompagna in genere ad un accordo di merchandising, stipulato a favore dello sponsor c.d. “tecnico” della squadra, per lo sfruttamento commerciale del marchio dello sponsee.
Attraverso tale operazione, lo sponsor non solo acquisisce la qualifica di sponsor ed i conseguenti diritti – segnatamente il diritto di vedere il proprio marchio comparire sul supporto tecnico (divise da gioco, tute da allenamento, scarpe etc.) da esso prodotto e fornito allo sponsee per la sua attività sportiva – ma anche il diritto di produrre, distribuire e commercializzare, in esclusiva, una serie di prodotti di abbigliamento ed accessori utilizzati per lo svolgimento della pratica sportiva e recanti i segni distintivi della società (o atleta) sponsorizzata.
In tal modo, la società sportiva sponsorizzata, oltre a ricevere gratuitamente il materiale tecnico per le proprie squadre e il proprio staff, monetizza il valore attrattivo incorporato nel proprio segno distintivo attraverso la sponsorship fee versata dallo sponsor a fronte della nuda sponsorizzazione, maggiorata in modo da ricomprendere il prezzo della cessione in uso del diritto all’utilizzazione commerciale del proprio marchio, mentre lo sponsor, oltre a guadagnare in termini di ritorno d’immagine per essere accostato alle gesta sportive di una data società – ottenendo visibilità in ambito nazionale ed internazionale – monopolizza il commercio dell’abbigliamento ufficiale della squadra nonché degli accessori che riproducono l’emblema del club, riservandosi gli introiti derivanti dalla vendita diretta dei prodotti di merchandising ufficiale della società.
Generalmente, la gestione dell’attività di merchandising, è demandata allo sponsor, che paga un corrispettivo fisso alla società – in aggiunta a quanto versato per la nuda sponsorizzazione – riservandosi tutti gli introiti derivanti dalla vendita eccedenti tale quota. Può accadere, tuttavia, che le parti si accordino diversamente, decidendo di affidare la gestione dell’attività di merchandising alla stessa società sportiva sponsorizzata, dando luogo alla c.d. gestione in-house (o internalizzazione).
In quest’ultimo caso, l’accordo di sponsorizzazione prevede che allo sponsor venga licenziata solo la produzione degli articoli (oltre che del materiale tecnico e delle repliche destinate alla vendita), che lo sponsee acquista in blocco a un prezzo prestabilito – eventualmente da decurtare dalla somma dovuta dallo sponsor per l’attività di sponsorizzazione stessa – e di cui provvederà essa stessa alla distribuzione e commercializzazione attraverso una rete di punti vendita (tradizionali, online e per corrispondenza), riservandosi tutti gli introiti derivanti da tale attività.
Una particolare tipologia di sponsorizzazione è costituita dalla sponsorizzazione tecnica, che si caratterizza per il legame fra il c.d. sponsor tecnico e l’attività nell’ambito della quale opera il soggetto sponsorizzato. In tale caso, infatti, lo sponsor è un’azienda di settore, ossia un’azienda produttrice di articoli, attrezzature e accessori sportivi, che si impegna a fornirli alla società sponsorizzata in cambio dell’apposizione, sul detto materiale, del proprio marchio. Ciò permette allo sponsor non solo di rendere visibile il proprio segno distintivo, ma anche di esibire il proprio prodotto nell’ambito dell’attività sportiva cui sono deputati, attivando una comunicazione diretta sulle caratteristiche del prodotto medesimo.
Gli accordi di sponsorizzazione tecnica spesso presentano una struttura più complessa, accompagnandosi a fattispecie contrattuali ulteriori. Non è infrequente, infatti, che nell’ambito di un più ampio contratto di sponsorship – in particolare qualora quest’ultima riguardi l’abbigliamento tecnico utilizzato per lo svolgimento dell’attività sportiva – venga inserito anche un accordo per la cessione, in favore dello sponsor stesso, dei diritti di utilizzazione dei segni distintivi dello sponsee a scopo commerciale.
Le società sportive sono titolari del diritto di utilizzare il proprio marchio sportivo, che le rappresenta e contraddistingue, e possono decidere di monetizzarne direttamente la capacità suggestiva attraverso un contratto di merchandising, anche nel più ampio ambito di un contratto di sponsorizzazione. In questo caso il contratto di merchandising è collegato con la sponsorizzazione tecnica, in quanto i due contratti sono entrambi diretti alla realizzazione di una operazione economica: sfruttare la rinomanza di un dato marchio per assumere una posizione di rilievo e di prestigio sul mercato, per ottenerne benefici in termine di ritorno d’immagine e incremento delle vendite.
Permane, in tal caso, l’obbligo dello sponsor di corrispondere una somma di denaro (sponsorship fee) a fronte della veicolazione del proprio segno durante l’attività sportiva dello sponsee, somma che in tal caso verrà maggiorata – a forfait o a seconda dei volumi di fatturato realizzati dallo sponsor mediante la vendita dei prodotti recanti il marchio dello sponsee (royalties) – in considerazione della contemporanea cessione in licenza da parte dello sponsee stesso dei diritti di utilizzazione commerciale del proprio marchio. A ciò andrà ad aggiungersi il corrispondente obbligo di produrre e fornire allo sponsee l’abbigliamento e gli accessori utilizzati per lo svolgimento della pratica sportiva.
Lo sponsee, dal canto suo, dovrà consentire l’apposizione del marchio dello sponsor sul supporto tecnico da esso fornito e utilizzarlo per lo svolgimento dell’attività sportiva ed istituzionale dovuta, e tenere una serie di comportamenti ulteriori che, a prescindere da specifici obblighi contrattuali, salvaguardino l’utilità economica che la controparte si propone di ricavare dal contratto di sponsorizzazione (evitando, ad esempio, di stipulare contratti con aziende concorrenti o di lodarle pubblicamente).
Come obbligo aggiuntivo e derivante dalla contestuale cessione in licenza del proprio marchio, il soggetto sponsorizzato dovrà poi consentire allo sponsor di produrre, distribuire e commercializzare in esclusiva presso il pubblico materiale recante il proprio marchio.
Qualora la sponsorizzazione venga stipulata con un membro dell’ordinamento sportivo, essa è soggetta, oltre alla normativa generale sulla pubblicità (v. par. 1), alle specifiche prescrizioni previste dai vari soggetti dell’ordinamento sportivo. Le singole Federazioni – nazionali o internazionali come UEFA e FIFA – stabiliscono infatti le tipologie di sponsorizzazioni ammesse per i propri affiliati e determinano gli spazi destinati ad accogliere il marchio dello sponsor nonché le sue dimensioni.
Tuttavia, le disposizioni emanate dagli organismi sportivi sono vincolanti unicamente per i soggetti ad essi appartenenti, e non per i soggetti estranei all’ordinamento sportivo, come appunto gli sponsor, i quali sono, in linea di principio, soggetti solo alla normativa statale. Pertanto, tali norme devono essere espressamente richiamate nel contratto di sponsorizzazione affinché possano essere efficaci anche nei confronti delle aziende sponsor.
5.1. Inadempimento e risoluzione dei contratti di sponsorizzazione sportiva
La buona riuscita di un contratto di sponsorizzazione sportiva dipende, ovviamente, dalle vicende agonistiche dello sponsee; il marchio sponsorizzante, infatti, godrà di una visibilità ed esposizione mediatica maggiore a seconda che il soggetto sponsorizzato consegua successi nazionali o internazionali.
Tuttavia, l’imprevedibilità dell’andamento della stagione sportiva permea di aleatorietà l’obbligazione dello sponsee, il quale non può essere in grado di assicurare che il ritorno pubblicitario effettivo rispetti le aspettative previste dallo sponsor.
Peraltro, la struttura dello schema negoziale prevede un nesso sinallagmatico unicamente tra la veicolazione del marchio in occasione di eventi sportivi e il corrispettivo pagamento cui si obbliga la controparte. Il fatto che il soggetto sponsorizzato sia in grado di partecipare il più a lungo possibile e possa raggiungere risultati positivi – incrementando corrispondentemente la visibilità del marchio sponsorizzante – fa parte delle valutazioni che l’azienda sponsor compie in sede di stipulazione del contratto e determinazione del compenso dovuto, ma non entrano a far parte del contenuto dell’obbligazione principale dedotta in contratto. Lo sponsee, dunque, è tenuto unicamente a esporre il marchio dello sponsor sul materiale tecnico utilizzato nell’ambito della propria attività sportiva e delle altre eventualmente contrattualizzate, ma non deve garantire il raggiungimento di un preciso risultato agonistico o del risultato mediatico di tale apposizione. L’obbligazione dello sponsee, pertanto, si configura come obbligazione di mezzi, dal momento che quest’ultimo non è in alcun modo tenuto a garantire un determinato risultato sportivo né un dato ritorno pubblicitario.
Tuttalpiù è possibile, nonché frequente, contrattualizzare il raggiungimento – o mancato raggiungimento – di determinati obiettivi sportivi in apposite clausole, dalle quali far dipendere non tanto l’adempimento o meno dell’obbligazione dello sponsee, quanto piuttosto la somma di denaro dovuta dallo sponsor come corrispettivo per la veicolazione del proprio marchio.
Di conseguenza, non costituisce motivo di risoluzione per inadempimento il mancato raggiungimento delle aspettative pubblicitarie dello sponsor, sempre che, in base alle comuni regole in tema di inadempimento, ciò non sia imputabile al fatto dello sponsee, cioè sempre che la debacle sportiva non dipenda da un comportamento doloso o colposo di quest’ultimo.
D’altra parte, il contratto di sponsorizzazione costituisce un rapporto di durata caratterizzato da un incisivo rapporto fiduciario, nel quale assumono particolare rilievo i doveri di correttezza e buona fede nell’esecuzione del contratto, di cui agli artt. 1175 e 1375 c.c. Le parti, infatti, sono chiamate a compiere tutto quanto in proprio potere per realizzare, tutelare o quantomeno non frustrare, l’interesse economico della controparte.
Come ritenuto dalla giurisprudenza, i canoni di correttezza e buona fede consentono di individuare obblighi ulteriori e integrativi rispetto a quelli principali, i quali entrano a fare parte del regolamento negoziale anche se non richiamati espressamente nel contratto di sponsorizzazione, per tutelare gli interessi connessi alla prestazione principale. Anche la violazione di tali obblighi, pertanto, può comportare la risoluzione del contratto, sempre che sia giudicata non di scarsa importanza nell’economia generale del contratto.
Lo sponsee deve quindi impegnarsi a svolgere l’attività sportiva con tutta la diligenza del caso, e tenere più in generale un comportamento che non pregiudichi le ragioni economiche dello sponsor. Qualora l’insuccesso sportivo dipenda non dalla normale competizione sportiva ma da circostanze imputabili alla malafede dello sponsee, la risoluzione può essere giustificata; altrimenti, il risultato negativo può essere risolutivamente condizionante solamente se espressamente pattuito.
Ad esempio, nella stagione ‘89-90 la società di basket Aurora Basket Desio, club fu autrice di una stagione sportiva disastrosa – in cui perse tutte le partite disputate – culminata con la retrocessione; lo sponsor (il maglificio Irge) chiese la risoluzione del contratto adducendo il fatto che la società, al termine della prima stagione di contratto (di durata biennale), aveva deliberatamente smantellato la squadra cedendo tutti i giocatori migliori, senza curarsi di reinvestire quanto ricavato per procurarsi le prestazioni di atleti adeguati a disputare un campionato di massima serie, di fatto alterando lo standard qualitativo che la squadra aveva al momento della conclusione del contratto di sponsorizzazione.
Il collegio arbitrale ha ravvisato in tali condotte una violazione dei doveri di correttezza e buona fede da parte della società sportiva che, con la sua imprudente gestione societaria, non aveva fatto nulla per preservare gli interessi della controparte, pregiudicando la sua legittima aspettativa di ritorno promozionale. Infatti, sebbene la società abbia il diritto, in pendenza del contratto di sponsorizzazione, di modificare l’assetto tecnico della squadra, rimane in capo ad essa l’obbligo di veicolare adeguatamente il messaggio promozionale dello sponsor, cosa che non può avvenire se il livello tecnico della squadra risulta notevolmente inferiore a quello esistente al momento della stipula del contratto.
In altri termini, l’inadempimento giustificante la risoluzione non è rinvenibile nel disastroso risultato sportivo in sé e per sé, quanto nella pessima dolosa o colposa gestione societaria, da cui poi è derivato un risultato sportivo eccezionalmente negativo.
Fra i doveri di correttezza e buona fede in capo allo sponsee rientra anche l’obbligo di tenere una condotta sportiva ed extra-sportiva in linea con la filosofia dello sponsor, che non ne pregiudichi l’immagine agli occhi dei consumatori o ne metta in pericolo i vantaggi commerciali cui aspira. Il soggetto sponsorizzato deve stare attento, ad esempio, a non commentare in modo negativo i prodotti dell’azienda sponsorizzata o, viceversa, a non fare apprezzamento nei confronti di prodotti di un’azienda diretta concorrente dello sponsor, a non tenere condotte anti-sportive, a non commettere illeciti sportivi e a non tenere, in generale, qualunque comportamento idoneo a compromettere la soddisfazione dell’interesse dello sponsor.
Si pensi ad es.al caso del morso del calciatore Luis Suarez a Giorgio Chiellini, che ha causato al primo una decurtazione del 20% della somma prevista dal contratto di sponsorizzazione firmato con l’Adidas; o al caso del calciatore francese Nicholas Anelka che dopo una segnatura si produsse in un’esultanza che richiamava un saluto nazista, a seguito del quale il main rescisse il contratto.
D’altra parte, anche lo sponsor deve tenere una condotta corretta e leale, non potendo abusare del proprio diritto di risolvere il contratto quando la prestazione inadempiuta sia considerata di scarsa importanza nell’economia del rapporto. Infatti, anche l’esercizio di diritti garantiti dalla legge o dal contratto, quando diretti a realizzare uno scopo diverso da quello cui sono preordinati, costituiscono un abuso del diritto contrario alla buona fede contrattuale e suscettibile di causare un danno risarcibile. Anche in fase di patologia del rapporto, pertanto, le parti sono comunque tenute ad agire in modo da preservare per quanto possibile gli interessi della controparte, fra cui in primis, l’interesse alla conservazione del vincolo contrattuale.
Il contemperamento fra i vari interessi in gioco necessita dell’intervento del giudice, il quale, ai sensi dell’art. 1453 c.c., valuterà la gravità dell’inadempimento e l’essenzialità della prestazione inadempiuta rispetto all’intero assetto contrattuale prima di pronunciare, se del caso, la sentenza di risoluzione. Per evitare di dover passare dal vaglio giudiziale, spesso le parti pattuiscono clausole risolutive espresse ai sensi dell’art. 1456 c.c., che prevedano la possibilità per lo sponsor di risolvere il contratto qualora lo sponsee sia coinvolto in scandali sportivi o rilasci dichiarazioni sconvenienti o compia fatti che risultino oggettivamente pregiudizievoli e/o anche solo potenzialmente lesivi della reputazione dello sponsor, della sua immagine o dei suoi affari (si pensi a ipotesi di retrocessione della squadra o di sanzioni disciplinari in capo allo sponsee per doping).
5.2. La responsabilità della società sportiva sponsorizzata per i propri giocatori
La società sportiva sponsorizzata deve garantire che tutti i propri giocatori e membri dello staff tecnico indossino il materiale fornito dallo sponsor in occasione di tutte le attività istituzionali, non soltanto gli incontri ufficiali ma anche durante amichevoli e allenamenti.
Infatti, sebbene in tale caso il soggetto sponsorizzato sia la società sportiva e non i singoli giocatori, sono costoro che concretamente formano la squadra, la quale a sua volta identifica la società sportiva sul campo da gioco. È dunque su di essi che, nella pratica, finisce per gravare l’osservanza degli obblighi di indossare il materiale tecnico fornito dallo sponsor, nonostante essi non abbiano nessun rapporto con quest’ultimo.
La società sportiva deve essere considerata alla stregua di un’impresa commerciale, e, come tale, organizza liberamente la propria attività per renderla produttiva, reperendo capitali tramite le sponsorizzazioni e assumendo personale adeguato all’espletamento della propria attività istituzionale. Ne consegue che gli atleti che vengono da questa tesserati, quando sono chiamati allo svolgimento dell’attività cui sono deputati, agiscono come lavoratori subordinati, e sono tenuti a collaborare nell’impresa e ad adempiere le proprie prestazioni con la diligenza richiesta dalla natura della prestazione dovuta, dall’interesse dell’impresa e secondo le disposizioni impartite dalla società.
Alla luce della natura “spettacolare” delle prestazioni degli atleti e dell’interesse della società titolare a finanziare tale spettacolo tramite le sponsorizzazioni, può ritenersi che la prestazione dovuta dagli atleti consista non solo nel praticare l’attività sportiva al massimo delle proprie possibilità, ma anche nel farsi veicolo, attraverso di essa, dell’immagine della propria squadra, cui è associato il marchio dello sponsor.
Pertanto, atteso il rapporto di lavoro fra atleta e società di appartenenza ed a prescindere da qualunque previsione specifica, il giocatore non può rifiutarsi di indossare, durante lo svolgimento della propria prestazione lavorativa (la quale può includere anche la partecipazione ad eventi organizzati dallo sponsor in qualità di rappresentante della squadra), gli indumenti forniti dallo sponsor e recanti il suo marchio.
Per il medesimo motivo, all’atleta è proibito indossare materiale fornito da sponsor diverso da quello tecnico quando impegnato nell’esecuzione della prestazione lavorativa (la quale non si limita all’attività agonistica ma anche ad attività sociali quali la partecipazione ad eventi in rappresentanza della società o alle presentazioni ufficiali della squadra), anche se si tratta del proprio sponsor personale.
Pertanto, l’obbligo di far indossare il materiale dello sponsor tecnico rientra nella fattispecie della promessa del fatto del terzo, ai sensi dell’art. 1381 c.c., con la conseguenza che il promittente (lo sponsee) sarà ritenuto responsabile se il terzo (i giocatori tesserati) non adempie a quanto promesso.
In particolare, se i giocatori della società sponsorizzata non indossano l’abbigliamento fornito dallo sponsor tecnico – o se espongano materiale recante un marchio diverso – durante lo svolgimento della propria prestazione lavorativa, si configura un inadempimento contrattuale nei confronti dello sponsor che, se giudicato di non scarsa importanza ai sensi dell’art. 1455 c.c., legittima la richiesta di risoluzione del contratto e il risarcimento degli eventuali danni. La società risponderà così verso lo sponsor dell’inadempimento del contratto di sponsorizzazione da parte dei propri tesserati, i quali tuttavia risponderanno verso la società dell’inadempimento del contratto di lavoro subordinato con essa stipulato, potendo venir comminate nei loro confronti sanzioni disciplinari più o meno gravi.
Unica eccezione all’obbligo di indossare l’abbigliamento fornito dallo sponsor risiede nell’utilizzo del materiale tecnico necessario ed indispensabile all’atleta per rendere la propria prestazione lavorativa. Tale materiale, infatti, è in grado di influire in modo rilevante sulle prestazioni sportive dell’atleta e pertanto sono equiparati a veri e propri “strumenti di lavoro” dello stesso; costui deve quindi poter scegliere liberamente quale materiale utilizzare.
I calciatori, ad esempio, possono scegliere liberamente di calzare in allenamento e in gare ufficiali scarpette prodotte da un’azienda diversa (e anche concorrente) da quella sponsorizzante la squadra in cui militano, senza che ciò costituisca inadempimento della propria prestazione. Stesso ragionamento vale per i guanti dei portieri, per le racchette dei tennisti e per tutti gli altri materiali funzionali allo svolgimento dell’attività sportiva.
Tale obbligo è inoltre circoscritto al solo svolgimento delle attività professionali riconducibili alla società sportiva, non estendendosi alla vita privata dell’atleta. Non è quindi inadempiente l’atleta che nel suo tempo libero vesta capi di o faccia da testimonial ad un’azienda concorrente, purché non vi sia alcun riferimento ai segni distintivi della società di cui è tesserato.
Ne consegue che lo sportivo, al di là delle prestazioni che è tenuto a fornire da contratto alla sua squadra nell’ambito del rapporto lavorativo, conserva il diritto di disporre liberamente della propria immagine in maniera non confliggente con quella della sua squadra e della sua immagine come membro di quest’ultima, potendo sfruttare dietro corrispettivo il nome e la sua acquisita notorietà anche a vantaggio di sponsor diverso.
6. I contratti di sponsorizzazione nella P.A.
Il ruolo di sponsor può essere rivestito non soltanto da un soggetto privato (imprese commerciali, consorzi d’imprese, istituti bancari e assicurativi, etc.), ma anche da un soggetto pubblico. In base al ruolo rivestito dalla P.A., la sponsorizzazione può essere distinta in due tipologie:
- sponsorizzazione attiva, nella quale la A. assume la veste di sponsor, finanziando e pubblicizzando l’attività di un soggetto terzo;
- sponsorizzazione passiva, nella quale la A. assume la veste di soggetto sponsorizzato (sponsee), destinatario di un finanziamento (privato) indiretto.
In entrambi casi, la P.A. persegue interessi funzionali alla realizzazione del fine pubblico. Da un lato, infatti, le sponsorizzazioni attive costituiscono per la P.A. un modo indiretto per svolgere attività e iniziative pubbliche attraverso soggetti terzi; dall’altro lato, le sponsorizzazioni passive rappresentano per la medesima P.A. una importante forma di recupero di risorse finanziarie.
Per quanto riguarda le sponsorizzazioni attive, la P.A. non può violare il limite del rispetto del perseguimento delle finalità istituzionali proprie dell’amministrazione (c.d. vincolo di scopo). In particolare, la P.A. può assumere il ruolo di sponsor solo qualora non alteri l’immagine di neutralità dell’amministrazione.
Negli ultimi anni, tuttavia, la scarsità di risorse pubbliche e i vincoli ai bilanci degli enti pubblici hanno fatto registrare una brusca frenata del fenomeno della sponsorizzazione attiva. Infatti, dapprima la L. n. 133/2008 ha introdotto, per le amministrazioni pubbliche inserite nell’elenco Istat, un divieto di sponsorizzazione per un ammontare superiore al 30% della spesa sostenuta nell’anno 2007 per le medesime finalità; successivamente, la L. n. 122/2010 (convertendo il DL n. 78/2010) ha posto a decorrere dall’anno 2011 il divieto di spese per sponsorizzazioni a fini di contenimento della spesa pubblica.
Come chiarito dalla Corte dei Conti, per qualificare una contribuzione pubblica quale spesa di sponsorizzazione attiva, a prescindere dalla sua forma, rileva la sua funzione. Pertanto, il divieto di spese per sponsorizzazioni ai sensi della L. n. 122/2010 presuppone un vaglio di natura “teleologica”: solo le spese che mirano ad una mera promozione dell’immagine dell’Ente incappano nel divieto, mentre continuano ad essere legittimi quei contributi (ad esempio di patrocinio), resi in favore di soggetti che svolgono attività e iniziative che potrebbero competere all’ente pubblico.
Sono quindi ammissibili le contribuzioni della P.A. a soggetti terzi per iniziative, anche culturali, di diretto sostegno a finalità sociali o comunque istituzionali e che rappresentano, in via sussidiaria, una modalità alternativa alla realizzazione di fini pubblici rispetto alla diretta erogazione dei servizi da parte dell’amministrazione. In tal caso, la P.A., in aderenza alle regole generali (art. 3, L. n. 241/1990), è tenuta ad evidenziare i presupposti di fatto e il percorso logico alla base dell’erogazione di denaro, nonché il rispetto dei criteri di imparzialità e predeterminazione dei criteri per l’attribuzione di contributi (art. 12 legge n. 241/1990). L’eventuale attribuzione deve risultare conforme al principio di congruità della spesa, che a sua volta presuppone una valutazione comparativa degli interessi complessivi della P.A.
In sintesi, onde evitare comportamenti elusivi del divieto di spese per sponsorizzazioni, la P.A. nel provvedimento di concessione di contributi deve motivare in modo inequivoco la funzione ausiliaria del privato verso il pubblico.
In ogni caso, nelle sponsorizzazioni attive possa non può imporsi alla P.A. il ricorso a procedure concorsuali. La sponsorizzazione attiva è infatti il frutto di una decisione strettamente connessa alle caratteristiche dell’attività o della persona fisica da sponsorizzare, tali da far presumere un importante ritorno di immagine per la P.A.
Per quanto riguarda invece le sponsorizzazioni passive – in cui la P.A. assume la veste di soggetto sponsorizzato e lo sponsor privato paga un corrispettivo – il corrispettivo pagato dallo sponsor privato può consistere in danaro ma anche direttamente nella realizzazione di lavori pubblici, servizi o forniture.
Le sponsorizzazioni passive non gravano sulla spesa pubblica, traducendosi in un ricavo, in caso di corrispettivo in denaro, ovvero in un risparmio di spesa, in caso di corrispettivo pagato in lavori, beni o servizi; pertanto, non sono assoggettate alla disciplina comunitaria e nazionale sugli appalti pubblici. Rientrano, invece, nella categoria dei “contratti esclusi”, pur dovendo rispettare i principi di economicità, efficacia, imparzialità, parità di trattamento, trasparenza, proporzionalità, pubblicità, tutela dell’ambiente ed efficienza energetica, ai sensi dell’art. 4, D.lgs. n. 50/2016.
Ai sensi del D.L. n. 5/2012, vi sono tre diverse tipologie di sponsorizzazioni passive:
- sponsorizzazioni “pure” o di “puro finanziamento”, in cui la parte privata che opera come sponsor si obbliga a corrispondere alla P.A. unicamente un finanziamento in denaro o ad accollarsi le obbligazioni di pagamento dei corrispettivi di un appalto dovuti dalla P.A.;
- sponsorizzazioni “tecniche”, in cui il privato sponsor si impegna a progettare e realizzare, in tutto o in parte, le prestazioni richieste dalla P.A. interamente a sua cura e a sue spese; lo sponsor non conferisce alla P.A. un finanziamento in denaro, ma si obbliga ad effettuare in favore della stessa determinate prestazioni, che possono consistere nell’esecuzioni di lavori o nella fornitura di beni e servizi strumentali, ponendo le necessarie spese a proprio carico e curando direttamente le fasi di progettazione ed esecuzione;
- sponsorizzazioni “miste”, risultanti dalla combinazione di una sponsorizzazione pura e tecnica (ad esempio lo sponsor si obbliga a curare solo la parte della progettazione ed erogare i fondi per la realizzazione dei lavori previsti).
Il D.lgs. n. 50/2016 ha apportato importanti novità in materia – pur collocando in ogni caso il contratto di sponsorizzazione passiva tra i contratti esclusi dall’ambito di applicazione della disciplina comunitaria e nazionale sugli appalti pubblici – introducendo una disciplina semplificata ed unica sia per i contratti di sponsorizzazione passiva dei beni culturali sia per i contratti di sponsorizzazione passiva “ordinaria” riguardanti gli altri settori.
L’art. 19 del D.lgs. n. 50/2016 prevede, infatti, che l’affidamento di contratti di sponsorizzazione “ordinaria” di lavori, servizi o forniture per importi superiori a 40.000 euro è oggetto esclusivamente alla previa pubblicazione sul sito internet della stazione appaltante, per almeno 30 giorni, di apposito avviso, con il quale si renda nota la ricerca di sponsor per specifici interventi, ovvero si comunichi l’avvenuto ricevimento di una proposta di sponsorizzazione, indicando sinteticamente il contenuto del contratto proposto. Trascorso il periodo di pubblicazione dell’avviso, il contratto può essere liberamente negoziato purché nel rispetto dei principi di imparzialità e di parità di trattamento fra gli operatori che abbiano manifestato interesse, fermo restando l’inesistenza dei motivi di esclusione di cui all’art. 80 D.lgs. n.50/2016.
Per i contratti di valore inferiore alla soglia di quaranta mila euro, in assenza di specifica disposizione trova applicazione la regola generale, in base alla quale è possibile procedere attraverso affidamento diretto di cui all’art. 36, comma 2, lett. a), del D.Lgs. n. 50/2016.
Dunque, è possibile procedere tramite determinazione a contrarre semplificata, nella quale si devono specificare l’oggetto dell’affidamento, l’importo, il fornitore, le ragioni della scelta del fornitore, il possesso dei requisiti di carattere generale e, ove richiesti, dei requisiti di carattere speciali e la forma del contratto. In questo caso l’Ente deve fornire una motivazione circa:
- la scelta del fornitore;
- la rispondenza di quanto offerto all’interesse pubblico che l’Ente deve soddisfare;
- eventuali caratteristiche migliorative apportate dall’affidatario;
- la congruità del prezzo in rapporto alla qualità della prestazione (principio di economicità);
- il rispetto del principio di rotazione degli inviti e degli affidamenti (finalizzato ad assicurare l’effettiva possibilità di partecipazione delle microimprese e delle PMI).
Ai sensi dell’art. 151 D.lgs. n. 50/2016, la sponsorizzazione passiva nel settore culturale non conosce limiti quantitativi e si applica anche ai contratti il cui valore non superi i 40.000 euro.
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Avv. Valerio Pandolfini
Avvocato specializzato in E-commerce
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