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Tutela Legale Concorrenza Sleale

La concorrenza sleale dell’ex dipendente

13 Marzo 2021/in Concorrenza Sleale, Contratti commerciali, News

In generale è lecito che un ex dipendente svolga attività in concorrenza con la precedente azienda per cui lavorava, venendo assunto da un’azienda concorrente o iniziando un’attività concorrenziale in proprio. Ma vi sono dei limiti allo svolgimento di un’attività lavorativa da parte dell’ex dipendente, superati i quali tale l’attività diventa illecita, in quanto concorrenza sleale fonte di responsabilità dell’ex dipendente. Le ipotesi di concorrenza sleale sono elencate dall’art. 2598 c.c. Il caso più comune è lo sviamento di clientela da parte dell’ex dipendente. Affinché tale comportamento sia illecito occorre che l’ex dipendente si accaparri la clientela dell’ex datore di lavoro sfruttando informazioni riservate. Nei confronti di atti di concorrenza sleale da parte dell’ex dipendente è possibile difendersi ottenendo la cessazione della condotta in via cautelare, e/o il risarcimento del danno.

Indice

1. Quando l’ex dipendente commette un atto di concorrenza sleale?

Nella dinamica concorrenziale che caratterizza il mercato del lavoro, è fisiologico – e lecito, sotto il profilo giuridico – che un soggetto che ha prestato attività lavorativa come dipendente di un’azienda, una volta cessato il proprio rapporto di lavoro con la stessa (in seguito a dimissioni o a licenziamento, o al termine della durata del rapporto di lavoro) svolga la propria attività lavorativa nello stesso ambito in cui lavorava in precedenza nella precedente azienda, sfruttando le competenze, conoscenze ed abilità maturate nel periodo in cui lavorava in quest’ultima.

È quindi lecito, in via generale, che l’ex dipendente continui a svolgere la propria attività in concorrenza con la precedente azienda per cui lavorava, venendo assunto quindi da un’azienda concorrente o iniziando un’attività concorrenziale in proprio (ad esempio costituendo una nuova società).

Anche se tale situazione, naturalmente, danneggia spesso l’azienda, la quale si trova a perdere un dipendente che costituiva per l’azienda stessa un valore aggiunto, sul quale magari aveva investito negli anni, e che vede improvvisamente diventare un concorrente, o comunque lavorare per le aziende concorrenti.

Ma vi sono dei limiti allo svolgimento di un’attività lavorativa da parte dell’ex dipendente, superati i quali non si tratta di un’attività lecita bensì illecita, in quanto concorrenza sleale fonte di responsabilità dell’ex dipendente (e in taluni casi anche della nuova azienda) nei confronti della ex azienda.

In un altro articolo abbiamo esaminato le ipotesi in cui l’assunzione di un ex dipendente da parte di un’impresa concorrente è illecita (storno di dipendenti). In questo articolo esaminiamo invece le ipotesi in cui la prosecuzione dell’attività degli ex dipendenti in proprio costituisce concorrenza sleale, e quindi illecita.

Anzitutto, vi sono degli strumenti preventivi che l’azienda può utilizzare per proteggere i propri dati relativi alla clientela e le altre informazioni aziendali riservate: adottare una efficace policy aziendale. L’utilizzo di questo strumento è divenuto ancora più importante in un periodo come quello attuale, caratterizzato dall’emergenza Covid-19, per effetto della quale molti dipendenti lavorano in modalità smart working, rendendo così più facile ai lavoratori adottare comportamenti infedeli o sleali e più difficile al datore di lavoro controllarne l’operato, in assenza di un contatto diretto.

Inoltre, vi sono delle ipotesi in cui l’esercizio di attività lavorativa in concorrenza da parte di un ex dipendente è sempre illecita: si tratta delle ipotesi in cui l’ex dipendente aveva sottoscritto con l’azienda un patto di non concorrenza, impegnandosi a non svolgere attività concorrenziale per il tempo successivo alla cessazione del rapporto di lavoro. È questo sicuramente un altro strumento più efficace con cui un’azienda può tutelarsi, per evitare che il proprio know-how possa essere sfruttato illecitamente da un ex dipendente.

2. La concorrenza sleale dell’ex dipendente: i casi previsti dall’art. 2598 c.c.

Al di fuori di questa ipotesi, quando l’ex dipendente il quale costituisca un’altra azienda in concorrenza economica con quella presso cui lavorava in precedenza, compie un atto di concorrenza sleale?

Una volta terminato il contratto di lavoro, viene meno anche l’obbligo di fedeltà e correttezza nei confronti del datore di lavoro; in altri termini, l’utilizzo delle conoscenze e dei rapporti commerciali da parte di un ex dipendente non vincolato da un legittimo patto di non concorrenza è lecito. Pertanto, l’ex dipendente è in linea di principio libero di esercitare attività in concorrenza con l’ex datore di lavoro, purché tale attività non costituisca un caso di concorrenza sleale.

La concorrenza sleale è disciplinata dall’art. 2598 del Codice Civile, il quale stabilisce che compie atti di concorrenza sleale chiunque:

  • usa nomi o segni distintivi idonei a produrre confusione con i nomi o i segni distintivi legittimamente usati da altri, o imita servilmente i prodotti di un concorrente, o compie con qualsiasi altro mezzo atti idonei a creare confusione con i prodotti e con l’attività di un concorrente;
  • diffonde notizie e apprezzamenti sui prodotti e sull’attività di un concorrente, idonei a determinarne il discredito, o si appropria di pregi dei prodotti o dell’impresa di un concorrente;
  • danneggia l’azienda concorrente utilizzando qualsiasi mezzo che viola i presupposti della correttezza professionale.

Le prime due ipotesi costituiscono le fattispecie tipiche di concorrenza sleale:

  • la “confusione” si ha quando l’imprenditore (in questo caso l’ex dipendente) indirizza al pubblico dei potenziali acquirenti un messaggio idoneo a generare il falso convincimento che i suoi prodotti e/o le sue attività siano riconducibili ad un imprenditore concorrente (il suo ex datore di lavoro);
  • l’ “imitazione servile” si ha quando l’ex dipendente sviluppa un prodotto violando un brevetto della società in cui lavorava, e/o sfruttando informazioni tecniche di carattere confidenziale dell’ex datore di lavoro.

La terza ipotesi (la violazione della correttezza professionale) costituisce invece una clausola generale della fattispecie di concorrenza sleale, che ricomprende cioè tutti i comportamenti illeciti diversi da quelli specificatamente descritti nei precedenti punti n. 1) e 2) del medesimo articolo.

3. Lo sviamento di clientela da parte dell’ex dipendente

Tra gli atti “non conformi alla correttezza professionale”, previsti dall’art. 2598 n. 3 c.c., rientra il caso di illecito commesso da parte di un ex dipendente che si verifica più frequentemente nella pratica: lo sviamento della clientela.

La concorrenza sleale per illecito sviamento di clientela è tuttavia una fattispecie che deve essere contestualizzata. Il tentativo di sviare il cliente altrui, infatti, di per sé non è illecito, in quanto rientra nel gioco della concorrenza. Affinché l’appropriazione della clientela altrui costituisca un illecito sviamento di clientela, occorre che essa sia ottenuta, direttamente, o indirettamente con un mezzo non conforme ai principi della correttezza professionale. Si tratta dunque di un accertamento da effettuare caso per caso, analizzando le concrete modalità con cui opera un ex dipendente.

Il caso tipico in cui l’ex agente sottrae illecitamente clienti al suo ex datore di lavoro è quello che si verifica allorché lo stesso raggiunge questo risultato sfruttando informazioni riservate (conoscenze, competenze, know how, contatti e rapporti) acquisite nel corso del suo precedente impiego. Nella prassi, le informazioni riservate che ex dipendenti utilizzano più comunemente in modo illecito sono costituite da:

  • listino prezzi;
  • condizioni commerciali e di vendita;
  • caratteristiche e schede tecniche dei prodotti;
  • archivio clienti e contatti.

Affinché possa configurarsi tale illecito occorre tuttavia che l’ex dipendente utilizzi informazioni acquisite durante il precedente rapporto di lavoro effettivamente riservate, cioè non ricavabili in altri modi e non connesse alle proprie capacità professionali. In questo modo, infatti, l’ex dipendente riesce ad inserirsi nel mercato e fare concorrenza all’ex datore di lavoro prima e con costi minori rispetto a quelli che sarebbero stati necessari se avesse ottenuto autonomamente le stesse notizie.

È quindi molto importante che l’impresa adotti specifiche misure per mantenere la riservatezza del know-how.

Ad esempio, la giurisprudenza ha ritenuto illecito (anche in assenza di un patto di non concorrenza) il comportamento dell’ex lavoratore che:

  • forte dei contatti che si erano creati nell’impresa del datore, aveva indotto i vecchi clienti del datore a cambiare, recandosi presso l’impresa da poco costituita;
  • aveva utilizzato le tecniche di costruzione di impianti caldaia apprese presso la precedente impresa in cui aveva lavorato per produrre i macchinari della ditta fondata da poco dallo stesso;
  • aveva utilizzato dati tecnici e commerciali della sua ex azienda per formulare offerte più vantaggiose alla clientela;
  • aveva proposto a un fornitore in esclusiva di utensili dell’ex datore di lavoro di fornirgli gli stessi utensili, ostentando presso la propria qualità di ex dipendente e proponendo prezzi scontati.

4. Concorrenza sleale dell’ex dipendente: come difendersi?

Come è possibile reagire di fronte a comportamenti di concorrenza sleale da parte degli ex dipendenti?

In primo luogo, è possibile agire in via cautelare urgente, ai sensi dell’art. 700 c.p.c., con una c.d. azione inibitoria, cioè ottenere un provvedimento che ordini la cessazione della condotta illecita da parte dell’ex dipendente.

Per ottenere tale provvedimento, occorre dimostrare:

  • il fumus boni juris, cioè che l’ex dipendente si è appropriato di clientela in modo illecito;
  • il periculum in mora, ciò che il comportamento dell’ex dipendente ha causato e sta causando un danno gravissimo; ciò implica che occorre agire in giudizio molto celermente.

In secondo luogo, è possibile chiedere all’ex dipendente il risarcimento dei danni. Questi potranno consistere in:

  • lucro cessante, cioè mancati guadagni (calo di fatturato) da parte dell’impresa che abbia subìto lo sviamento di clientela;
  • danno emergente, cioè spese che l’impresa ha dovuto affrontare a seguito della perdita di clientela (ad es. spese promozionali, spese per reclutare nuovi dipendenti, etc.).

Attenzione però: l’onere della prova spetta al danneggiato. Quindi per poter ottenere il risarcimento del danno, l’impresa deve dimostrare:

  • che l’ex dipendente si è appropriato dei propri clienti in modo illecito (cioè sfruttando informazioni riservate);
  • che a causa di questo comportamento illecito ha subìto un danno, cioè abbia subìto una effettiva perdita di fatturato o abbia dovuto sostenere costi aggiuntivi.

Non si tratta di elementi facili da dimostrare; per tale motivo, spesso la liquidazione del danno viene effettuata dal Giudice su base equitativa (ma pur sempre sulla base di indici che l’azienda deve dimostrare).

Avv. Valerio Pandolfini

Avvocato Contrattualistica d’Impresa 

 

Per altri articoli  di approfondimento su tematiche attinenti il diritto d’impresa: visitate il nostro  blog.

 


Le informazioni contenute nel presente articolo hanno carattere generale e non sono da considerarsi un esame esaustivo né intendono esprimere un parere o fornire una consulenza di natura legale. Le considerazioni e opinioni riportate nell’articolo non prescindono dalla necessità di ottenere pareri specifici con riguardo alle singole fattispecie. Di conseguenza, il presente articolo non costituisce un (né può essere altrimenti interpretato quale) parere legale, né può in alcun modo considerarsi come sostitutivo di una consulenza legale specifica.

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