Il cash pooling
Il cash pooling (o contratto di tesoreria accentrata) è uno dei più importanti contratti infragruppo, cioè utilizzati all’interno dei gruppi di società, tra la capogruppo (holding) e le altre società del gruppo. Con il cash pooling, le singole società del gruppo effettuano, mediante i propri c/c, i pagamenti e gli incassi necessari all’attività d’impresa, mentre la holding (o la finanziaria del gruppo di appartenenza) gestisce le eccedenze di liquidità e copre i fabbisogni finanziari delle società del gruppo. È un contratto funzionale all’ottimizzazione dei flussi di liquidità, e quindi delle disponibilità finanziarie, dei gruppi societari, che in quanto tale consente di realizzare molteplici vantaggi per l’intero gruppo. Esso presenta tuttavia alcuni rischi di tipo legale. Analizziamo brevemente le caratteristiche del cash pooling ed i rischi che lo stesso può presentare, alla luce della giurisprudenza che si è pronunciata sul tema.
1. I gruppi di società
Come è noto, il gruppo di società è un’aggregazione di imprese formalmente autonome e indipendenti ma assoggettate a una direzione unitaria, in quanto sotto l’influenza dominante di una società, denominata capogruppo o holding.
Il gruppo è dunque caratterizzato da una antinomia tra realtà economica e posizione giuridica delle singole società: sotto il profilo economico si ha un’unica impresa, sotto il profilo giuridico soggetti distinti e autonomi.
La distinta soggettività giuridica delle società operanti sotto il controllo della holding fa sì che questa rimanga terza rispetto ai rapporti giuridici che le società controllate abbiano posto in essere; sicché coloro che abbiano acquistato ragioni di credito nei loro confronti non hanno titolo per invocare la responsabilità patrimoniale della capogruppo.
Il gruppo consente quindi di fruire più intensamente del beneficio della responsabilità limitata e attua la c.d. diversificazione dei rischi, perché rende fra loro separati i rischi relativi ai vari settori imprenditoriali, impedendo che le avverse vicende di un settore si comunichino al patrimonio destinato agli altri settori o al patrimonio della holding.
In definitiva, il gruppo societario è caratterizzato dalla possibilità per la capogruppo di esercitare un’attività di direzione e coordinamento delle altre società del gruppo, intesa come esercizio di una pluralità sistematica e costante di atti di indirizzo idonei ad incidere sulle decisioni gestorie delle imprese del gruppo, cioè sulle scelte strategiche ed operative di tipo finanziario, industriale e commerciale.
L’esercizio dell’attività di direzione e coordinamento non consiste in forme tipiche e ricorrenti, ma assume connotati multiformi attraverso una pluralità sistematica e costante di atti di indirizzo ed esprimendosi in una molteplicità di forme.
Ai sensi dell’art. 2497-sexies c.c., la direzione e coordinamento di una società si presume quando la prima controlla una o più altre società, ai sensi dell’art. 2359 c.c., ovvero quando:
- dispone della maggioranza dei voti nell’assemblea (controllo interno di diritto);
- dispone dei voti sufficienti per esercitare un’influenza dominante nell’assemblea (controllo interno di fatto);
- ha un’influenza dominante in virtù di particolari vincoli contrattuali (controllo esterno).
2. La direzione e coordinamento della holding
L’attività di direzione e coordinamento che la holding esercita nei confronti delle altre società del gruppo si esplica essenzialmente attraverso:
- la direzione gestionale;
- l’assistenza finanziaria;
- l’assistenza tecnico-operativa.
L’attività di direzione gestionale della holding si esplica attraverso la nomina (ed eventualmente revoca) degli amministratori delle controllate, nonché attraverso le direttive sulla gestione delle società del gruppo, emanate agli amministratori stessi.
L’attività di direzione e coordinamento della capogruppo consiste in questo caso in un flusso costante e sistematico di istruzioni e direttive impartite alle società del gruppo (tramite i rispettivi organi amministrativi), concernenti piani strategici, industriali, finanziari, di budget etc.
L’assistenza finanziaria alle società del gruppo riguarda la provvista da parte della capogruppo di mezzi finanziari necessari alle controllate (finanziamento c.d. downstream).
Tali finanziamenti vengono erogati con varie finalità, funzionali all’interesse di gruppo quali ad esempio quella di consentire il risanamento di una società o di facilitare l’ottenimento del credito.
Il flusso finanziario può anche essere in senso inverso, cioè da una controllata alla controllante o ad altre società sorelle (finanziamento c.d. upstream), ad esempio con la finalità di migliorare la redditività del gruppo.
Infine, la holding può svolgere anche attività di assistenza tecnico-operativa alle altre società del gruppo. All’interno dei gruppi di società sono diffusi i c.d. service agreements, che prevedono la prestazione di servizi tra le varie consociate o tra la capogruppo e le controllate, i quali vengono svolti in modo accentrato, con la finalità di assicurare l’uniformità di comportamento all’interno del gruppo, con le conseguenti economie di scala e risparmio di risorse.
Così, ad esempio, la holding può redigere i bilanci per tutte le società del gruppo, o operare quale centro specializzato nell’innovazione tecnologica, o per il marketing, il controllo di produzione, l’elaborazione informatica dei dati, etc.
Tra le funzioni accentrate spicca, in particolare, quella della tesoreria. E’ in questo ambito che viene utilizzato il cash pooling.
Con il cash pooling, le singole società del gruppo effettuano, mediante i propri c/c, i pagamenti e gli incassi necessari all’attività d’impresa; la holding (o la finanziaria del gruppo di appartenenza) gestisce le eccedenze di liquidità e copre i fabbisogni finanziari delle società del gruppo.
3. Il contratto di cash pooling: finalità
Il cash pooling (contratto di gestione accentrata della tesoreria) rientra nella categoria dei contratti di servizio infragruppo. Si tratta di un contratto funzionale all’ottimizzazione dei flussi di liquidità, e quindi delle disponibilità finanziarie, dei gruppi societari.
Attraverso il cash pooling i gruppi mirano ad evitare, o quantomeno a limitare, le diseconomie finanziarie risultanti dalla simultanea esistenza di esposizioni passive di una o più società del gruppo nei confronti di una o più banche e di posizioni attive di una o più società del gruppo nei confronti delle stesse o di diverse banche, riducendo il livello globale dell’indebitamento esterno e consentendo il risparmio di provvigioni e interessi passivi da corrispondersi alle banche.
L’utilizzazione di un meccanismo di cash pooling consente di traferire l’eccesso di liquidità da una società del gruppo alla società finanziaria di gruppo (c.d. pooler) che potrà quindi a sua volta disporne a favore di altra società del gruppo, evitando il ricorso all’utilizzo delle linee di credito con il conseguente maggior costo.
La tesoreria accentrata, inoltre:
- agevola un maggior coordinamento e controllo delle risorse finanziarie e dei fabbisogni di cassa delle singole società del gruppo;
- genera risparmi di struttura attraverso l’accentramento degli uffici e del relativo personale;
- consente al gruppo di beneficiare di migliori condizioni di accesso al credito, essendo delegata a interloquire col sistema bancario la sola pooler, dotata di maggior forza finanziaria e, quindi, contrattuale.
Un sistema di cash pooling è quindi normalmente finalizzato a:
- realizzare un monitoraggio continuo delle esigenze finanziarie specifiche delle varie società del gruppo (con conseguente miglioramento della organizzazione complessiva del gruppo);
- ridurre il margine di indebitamento del gruppo;
- ridurre il carico fiscale complessivo in capo al gruppo;
- abbattere i costi amministrativi del gruppo;
- migliorare il rating delle società del gruppo.
Se siete interessati a scaricare un modello di contratto di cash pooling, inviate una mail al seguente indirizzo: info@studio-pandolfini.it.
4. Lo zero balance cash pooling
Il cash pooling di distingue anzitutto in due categorie:
- virtual cash pooling;
- effective cash pooling.
Il virtual cash pooling non implica l’effettiva movimentazione delle masse finanziarie. Si opera infatti un accentramento virtuale basato sulla compensazione logica effettuata da un software in grado di accentrare e compensare virtualmente i saldi dei vari conti delle società del gruppo su di un unico conto, anch’esso virtuale, sul quale si pongono in essere le registrazioni di compensazione ed il calcolo degli interessi in capo alla società pooler.
Nell’effective cash pooling, invece, si ha un’effettiva movimentazione del denaro dai conti periferici delle società del gruppo (participants) al conto accentrato presso la pooler (master o pool account), la quale provvede a tutte le registrazioni di compensazione e al calcolo degli interessi.
In particolare, l’effective cash pooling è caratterizzato dal seguente schema operativo:
- le società del gruppo delegano ad una di esse (generalmente la capogruppo), denominata pooler, la gestione della tesoreria del gruppo;
- il pooler, a sua volta, costituisce un c/c (pool account) presso una banca dove far confluire tutti i movimenti che interessano le posizioni di c/c delle singole società;
- contestualmente, il pooler stipula con le società del gruppo contratti di c/c non bancari, così da giustificare le singole posizioni di debito e credito, derivanti dalla movimentazione dei singoli conti delle società al pool account.
La modalità più nota e diffusa (nonché di fatto l’unica concretamente adottabile in Italia) di effective cash pooling è lo zero balance cash pooling. Esso realizza un’effettiva movimentazione di somme, in quanto i conti periferici delle società del gruppo vengano azzerati, normalmente a fine giornata, mediante il trasferimento fisico del saldo (attivo o passivo che sia) del conto corrente bancario di ogni consociata su uno specifico conto master gestito dalla pooler, attuato mediante bonifici automatici. Il conto master risulta conseguentemente a credito o a debito, mentre all’inizio di ciascun giorno i conti periferici presentano un saldo effettivo di conto corrente uguale a zero. Durante la giornata, in forza delle operazioni poste in essere dalle singole società, ogni conto corrente periferico potrà presentare un saldo positivo o negativo; alla fine della giornata il saldo verrà comunque trasferito al conto master.
In conseguenza del trasferimento automatico dei saldi, il saldo dei c/c bancari intestati alle società operative è, quotidianamente, sempre pari a zero. In tal modo si elimina il rischio di avere, nell’ambito del gruppo, alcuni c/c in scoperto e altri in eccesso di cassa, con conseguente aggravio degli oneri finanziari.
Dal punto di vista contabile viene pertanto acceso un conto corrente di corrispondenza tra ogni società consociata e la pooler, in cui si annotano le reciproche rimesse (accredito e addebito). Tali conti di corrispondenza servono anche per calcolare tra consociata e pooler gli interessi attivi e passivi in base agli accordi contrattuali.
Con questa tipologia di cash pooling il conto master risulta essere l’unico affidato dalla banca. Il saldo del conto master è quindi l’unico che maturerà interessi attivi/passivi nei rapporti con la banca.
Nel caso in cui una società del gruppo si trovi in situazione debitoria per necessità operative, la società pooler fornisce liquidità, diminuendo o azzerando la propria posizione debitoria.
Alla scadenza contrattualmente prevista (c.d. cut-off), la pooler effettua la liquidazione dei saldi attivi e/o passivi derivanti dai reciproci movimenti di liquidità, calcolando gli interessi maturati e compensando le partite reciproche, in modo tale che il saldo sul conto della società pooler risulti pari a zero.
Lo zero balance cash pooling richiede la stipula di appositi contratti di c/c di corrispondenza tra la pooler e ogni società partecipant (intercompany), sui quali vengono registrate le posizioni creditorie e debitorie derivanti dal trasferimento dei saldi e determina la liquidazione periodica degli interessi. Tale sistema prevede quindi:
- l’effettiva movimentazione delle disponibilità liquide presenti nei vari c/c delle società partecipanti, verso un unico c/c accentrato intestato al pooler;
- il trasferimento giornaliero del saldo attivo per valuta al pool account:
- l’azzeramento del saldo del conto decentrato.
5. Il notional cash pooling
Una variante di cash pooling, anch’essa rientrante nell’effective cash pooling, è il notional cash pooling, sviluppatosi prevalentemente nel modo anglosassone.
In questo sistema, ogni società consociata stipula un contratto con una stessa banca la quale, senza che si dia luogo ad alcuna movimentazione fisica di denaro, provvede a calcolare gli interessi (attivi o passivi) sul saldo netto giornaliero che deriva dalla compensazione (virtuale) di tutti i saldi dei singoli conti correnti di ogni consociata facenti parte del pooling.
Tale compensazione virtuale (non è effettiva posto che i singoli conti correnti mantengono il loro saldo di fine giornata) viene effettuata mediante appositi software bancari. In questo caso non vi è la pooler con proprio conto corrente bancario, poiché il rapporto intercorre direttamente tra la banca e la singola consociata. In ogni caso, la capogruppo contratta con la banca tutte le condizioni riferite al rapporto di cash pooling delle consociate.
Si tratta quindi di un’operazione contabile (c.d. netting), che consente di calcolare la posizione netta di ogni società aderente al gruppo, senza movimentazione dei saldi dei c/c bancari tra le società del gruppo; si procede semplicemente al calcolo degli interessi sul saldo netto virtuale dei c/c bancari inclusi nel perimetro, non rilevando le posizioni delle singole unità che non maturano alcun interesse. Detta operazione si inserisce in una più generale procedura, c.d. di clearing, per mezzo della quale si realizza la definizione contemporanea di un complesso di operazioni, col vantaggio di ridurre notevolmente il numero e gli importi delle posizioni da liquidare e, conseguentemente, i costi di transazione (ed, eventualmente, di tassazione).
Il ricorso a questa procedura presuppone che le società del gruppo abbiano conferito, alla finanziaria, un mandato a estinguere le obbligazioni pecuniarie in essere tra le stesse mediante moneta di gruppo, ovverosia mediante scritturazioni contabili, evitando, così, la circolazione materiale di pezzi monetari. Il trasferimento di disponibilità dall’una all’altra società del gruppo avviene, pertanto, in modo immateriale, mediante movimentazione dei conti che entrambe intrattengono con la finanziaria.
L’estinzione dell’obbligazione pecuniaria può avvenire o mediante scritturazione in tempo reale – la finanziaria procede ad annotare, sui conti intestati alle società del gruppo, l’importo di ogni singola transazione al ricevimento dell’ordine di pagamento e/o di incasso – ovvero ad una scadenza prefissata (c.d. cut off time).
In questo secondo caso, le società del gruppo interessate e la finanziaria stipulano un contratto c.d. di netting, in forza del quale la pooler provvede, alla scadenza prefissata, al calcolo delle posizioni nette facenti capo a ogni società nei confronti di tutte le altre (c.d. netting multilaterale), e al pagamento delle differenze individuate mediante movimentazione – a debito o a credito – dei conti correnti che le società del gruppo intrattengono presso la stessa (c.d. final settlement).
Il notional cash pooling è decisamente più semplice da gestire dal punto di vista amministrativo perché a differenza dello zero balance cash pooling, non comporta il trasferimento fisico dei saldi di fine giornata al conto master del pooler. Tale mancato trasferimento, peraltro, non comporta nella contabilità di ognuna delle società aderenti al cash pooling l’apertura e la gestione di un c/c di corrispondenza con la pooler. Ogni società può disporre e gestire il proprio affidamento concessogli dalla banca ed è quindi responsabilizzata della propria gestione finanziaria.
Il notional cash pooling incontra tuttavia notevoli difficoltà di ordine sistematico, che lo rendono di fatto incompatibile con il nostro ordinamento; ciò in quanto:
- non è prevista dalla legge la possibilità di compensare debiti e crediti risultanti dal c/c;
- le banche hanno l’obbligo di calcolare gli interessi passivi e attivi sui saldi giornalieri di valuta di ciascun c/c.
6. Qualificazione giuridica del cash pooling
L’operazione di cash pooling si realizza generalmente attraverso la conclusione dei seguenti tre rapporti contrattuali:
- un contratto di c/c tra ciascuna società operativa e una banca (di solito, la stessa che conclude il Master Account con la Pooler);
- un contratto di c/c (Master Account) tra la Pooler e la banca, sul quale confluiranno i saldi positivi e negativi dei c/c bancari delle società operative;
- un contratto tra la Pooler e le società operative (c.d. convenzione di tesoreria); si tratta di un contratto (atipico) misto, che presenta i connotati del deposito irregolare (finalizzato a realizzare l’interesse della società operativa a custodire determinate somme), del mutuo (che realizza l’esigenza di investire determinate somme, assicurandosi una rendita) e del mandato (relativamente alla gestione dell’eccedenza di cassa).
Le modalità operative del cash pooling, in particolare del modello c.d. zero balance in esame, hanno indotto la dottrina (e, sporadicamente, la giurisprudenza) a interrogarsi sulla natura giuridica del rapporto che si crea tra società periferica e finanziaria a seguito degli atti di trasferimento dei saldi. In proposito si esclude la riconducibilità del cash pooling al deposito bancario (art. 1834 ss. c.c.), data l’espressa esclusione dei servizi di tesoreria prestati dalle finanziarie di gruppo dalla previsione di cui all’art. 11, comma 3, T.U.B., secondo la quale non costituisce raccolta di risparmio tra il pubblico l’attività del soggetto che acquisisce fondi «effettuata presso specifiche categorie individuate in ragione di rapporti societari o di lavoro». Tale esclusione comporta la non applicabilità delle regole della tecnica bancaria che garantiscono la disponibilità del credito del depositante in ogni tempo. In altri termini, non configurando una raccolta di risparmio, la società pooler non è sottoposta agli obblighi di riserva obbligatoria e di comunicazione alle Autorità monetarie previsti dal D.Lgs. n. 385 del 1993.
La dottrina prevalente riconduce il cash pooling nell’ambito del contratto di conto corrente ordinario (art. 1823 c.c.), stante la prevalente finalità di ottimizzazione e gestione della tesoreria e di semplificazione dei rapporti in essere all’interno del gruppo, realizzata attraverso la gestione unitaria di tutti i crediti e di tutti i debiti che insorgono tra le stesse società che aderiscono al cash pooling.
Parte minoritaria della dottrina ritiene invece che il cash pooling costituisca un contratto di finanziamento, riconducendolo nell’ambito dei cc.dd. “contratti a causa mista” (elementi propri del conto corrente ordinario – art. 1823 c.c. e del contratto di finanziamento – articolo 1813 c.c.). Più in particolare, secondo alcuni autori, tale qualificazione in termini di “causa mista” si fonda sulla considerazione che nel rapporto di cash pooling si verifica, sia pure come effetto collaterale, un’operazione di finanziamento a favore delle società del gruppo, che vedono coprire le loro passività di conto per effetto della gestione “accentrata” delle liquidità del gruppo medesimo
La giurisprudenza di legittimità è orientata a qualificare il cash pooling come contratto con causa di finanziamento, ritenendo che lo stesso abbia la finalità di escludere o limitare l’accesso al credito bancario, finanziando l’impresa partecipante alla cassa comune con gli attivi di cassa dell’altra o delle altre imprese (Cass. civ., sez. trib., 23 giugno 2009 n. 14730).
La qualificazione del cash pooling è stata oggetto di alcune risoluzioni dell’Agenzia delle Entrate (relative, in particolare, all’applicabilità delle ritenute sugli interessi maturati o compensati).
In particolare, nella Risoluzione n. 58/E del 27 febbraio 2002, l’Agenzia delle Entrate, esprimendosi relativamente ad un’ipotesi di zero balance cash pooling, ha accolto la tesi della riconducibilità di tale tipologia di cash pooling ad un contratto di conto corrente ordinario (non bancario), rilevando che le caratteristiche di tale tipologia di cash pooling non sarebbero riconducibili ad un prestito di denaro, in quanto tale struttura non comporta alcun onere restitutorio a carico della società che beneficia della relativa liquidità, e in ragione del fatto che tali rimesse hanno carattere reciproco all’interno del gruppo di riferimento. Tale posizione è stata ribadita nelle circolari n. 19/E del 21 aprile 2009, 11/E del 17 marzo 2005.
Nella Risoluzione n. 194/E del 8 ottobre 2003, l’Agenzia delle Entrate si espressa invece in merito alla qualificazione di un contratto di notional cash pooling, ritenendo che le modalità di funzionamento di tale contratto sono invece riconducibili ad un’operazione di prestito di denaro (infragruppo), in quanto le società che presentano saldi negativi ricevono direttamente dalla banca le risorse finanziarie e possono disporre di una somma complessiva pari al saldo attivo compensato.
7. Il contratto di tesoreria accentrata
La corretta gestione del cash pooling non può prescindere da un’esatta ed attenta regolamentazione contrattuale dei rapporti interni al gruppo, in difetto della quale potrebbe rendersi dubbia la qualificazione giuridica degli stessi accordi e per l’effetto rendersi anche di difficile verifica la corresponsione degli interessi nella misura prefissata.
Tale contratto è ritenuto essenziale dalla giurisprudenza nel caso in cui sorgessero problemi tra la capogruppo e le società del gruppo, come si vedrà più avanti (v. par. 8.2 ).
In questo senso, è opportuno regolamentare in un’operazione di cash pooling:
- modalità e termini con cui i saldi dei conti correnti periferici delle consociate devono essere trasferiti al conto corrente accentrato;
- modalità e termini entro i quali il pooler deve restituire la liquidità ricevuta sul conto accentrato di cui è titolare;
- l’ammontare dei tassi in base ai quali maturano gli interessi attivi e passivi sui crediti annotati nel conto comune e le modalità con cui gli interessi vengono corrisposti;
- l’eventuale commissione spettante al pooler per lo svolgimento dell’attività di tesoriere.
È opportuno inoltre prevedere che le rimesse attive delle società non comportino un onere restitutorio fino ad una certa data, solo alla scadenza del contratto il pooler liquiderà i saldi derivanti dalle compensazioni delle reciproche rimesse e i relativi interessi.
Inoltre, il pooler, al fine di rendere possibile la puntuale ricostruzione delle operazioni realizzate, dovrà gestire un sistema di contabilità che consenta di identificare le singole rimesse, provvedere all’invio periodico degli estratti conti e determinare l’ammontare degli interessi da addebitare e accreditare alle società partecipanti al sistema.
Le società interessate, pertanto, dovranno deliberare il contenuto dell’accordo di cash pooling dai rispettivi Consigli di amministrazione, definendone in particolare l’oggetto, la durata, i limiti di indebitamento, le aliquote relative agli interessi attivi e passivi e le commissioni applicabili, ed avendo cura di precisare le ragioni e gli interessi la cui valutazione ha inciso sulla decisione nonché i vantaggi che il sistema di cash pooling realizza per il gruppo.
Sarà altresì opportuno prevedere:
- un limite relativo all’esposizione massima di ciascuna società, da determinarsi alla luce di business plan, piani finanziari;
- una pianificazione dei flussi finanziari, attraverso comunicazioni periodiche previsionali circa le esigenze di liquidità;
- una periodica rendicontazione.
Tali clausole devono essere formalizzate in un contratto di conto corrente intra-societario tra le società del gruppo e la società incaricata di gestire la tesoreria, in cui le società conferiscono mandato alla società capogruppo (pooler) per la gestione della tesoreria del gruppo; la pooler, a sua volta, stipula un contratto con un istituto di credito, ovvero un pool account, su cui andranno a confluire tutti i movimenti che interessano le posizioni di conto corrente delle singole società.
8. I rischi del cash pooling
8.1 I contratti infragruppo
I contratti infragruppo presentano, in generale, il rischio che la holding, nel perseguire la politica di gruppo, usi il suo potere per costringere le controllate ad accettare condizioni contrattuali non in linea con il mercato, o comunque tali che una società indipendente non accetterebbe.
Ad esempio, è noto il fenomeno dei travasi di utili dalle società del gruppo alla capogruppo mediante operazioni con corrispettivi non di mercato, che, nonostante avvantaggino il gruppo nel suo complesso (diminuendo ad es. il prelievo fiscale complessivo sul gruppo) danneggiano le singole società del gruppo.
Tali fenomeni confliggono con il principio della distinta soggettività giuridica delle singole società del gruppo, che impone la salvaguardia non solo delle esigenze di economicità ed efficienza del gruppo, ma anche degli interessi delle singole società che ne fanno parte, e in particolare dei soci di minoranza e dei creditori di queste.
L’attività di direzione e coordinamento della holding, che è in generale legittima e fisiologica, non può essere esercitata in modo abusivo, in modo cioè da compromettere totalmente l’interesse imprenditoriale delle singole società controllate, svuotandone il patrimonio o diminuendone la capacità reddituale senza che al contempo tali deficit siano compensati da vantaggi pregressi o futuri.
Non è infatti consentito alla holding di perseguire politiche di gruppo che pregiudichino la redditività e il valore della partecipazione, o l’integrità del patrimonio sociale.
L’art. 2947 c.c. prevede in tal senso che la capogruppo è responsabile nei confronti dei soci e dei creditori della società controllata per abuso della direzione unitaria, cioè quando la stessa violi il principio di corretta gestione societaria e imprenditoriale della società controllata.
Per valutare la responsabilità della capogruppo, occorre verificare se il singolo atto negoziale potenzialmente dannoso per la controllata sia o meno compensato da altri effetti positivi derivanti dall’inserimento nel gruppo (ad es. economie di scala, maggiore capacità concorrenziale) o da vantaggi ricollegabili ad altre operazioni infragruppo capaci di arrecare alla controllata un incremento patrimoniale (ad esempio, facilitazioni nei finanziamenti, nell’approvvigionamento di materie prime, nella commercializzazione di prodotti con i terzi).
La giurisprudenza ha così ritenuto che alla capogruppo è consentito di imporre alle controllate decisioni per esse svantaggiose o pregiudizievoli, purché attuate nell’ambito di una coerente politica di gruppo, dalla quale possa ragionevolmente derivare ad esse un vantaggio, sul piano organizzativo, produttivo, commerciale e finanziario, che compensa il pregiudizio subìto.
In questo senso:
- la vendita a prezzi più bassi di quelli di mercato da parte della controllata è stata ritenuta compensata dal fatto che la controllante acquistasse l’intera produzione;
- il finanziamento effettuato dalla controllata alla controllante a tasso di favore è stato ritenuto compensato dalla responsabilità assunta dalla controllante con fideiussioni o lettere di patronage per debiti della controllata;
- l’acquisto di semilavorati dalla controllata a prezzi inferiori a quelli di mercato è stato ritenuto compensato da servizi amministrativi, contabili o finanziari effettuati gratuitamente o a condizioni di favore.
La giurisprudenza di legittimità richiede, tuttavia, una rigorosa dimostrazione della diretta contropartita idonea a compensare efficacemente gli effetti immediatamente negativi dell’operazione compiuta. In particolare, secondo la Cassazione, se si accerta che l’atto non risponde all’interesse diretto della società il cui amministratore lo ha compiuto e che ne è scaturito nell’immediato un danno al patrimonio sociale, il medesimo amministratore deve dimostrare che gli ipotizzati benefici indiretti della società risultino non solo effettivamente connessi ad un vantaggio complessivo del gruppo, ma altresì idonei a compensare efficacemente gli effetti immediatamente negativi dell’operazione compiuta, in nodo tale da non renderla capace di incidere sulle ragioni dei creditori della società.
Fermo restando che l’interesse che può escludere l’effettività della distrazione non può ridursi al fatto stesso della partecipazione al gruppo, né può identificarsi nel vantaggio della società controllante, perché il collegamento tra le società e l’appartenenza a un gruppo imprenditoriale unitario, attesa l’autonomia soggettiva delle singole società facenti parte del gruppo, è solo la premessa dalla quale muovere per individuare uno specifico e concreto vantaggio per la società che compie l’atto di disposizione del proprio patrimonio.
8.2 I rischi connessi a un’operazione di cash pooling
Il cash pooling, quale modalità di svolgimento dei rapporti finanziari infragruppo, è strumento di esercizio, e al contempo, indice dell’esistenza dell’attività di direzione e coordinamento disciplinata agli articoli 2497 e ss. c.c. E’ dunque inevitabile che ogni “deviazione” dal generale principio di corretto finanziamento dell’impresa di gruppo si traduca in un funzionamento patologico del gruppo, suscettibile di manifestarsi anche nella gestione accentrata della tesoreria.
In questa prospettiva, relativamente all’adozione di un sistema di cash pooling si possono evidenziare essenzialmente i seguenti rischi:
- la confusione di patrimoni nell’ambito del gruppo, con depauperamento di una o più società a favore di altre; tale fenomeno si verifica qualora la finanziaria ometta una corretta annotazione dei trasferimenti di liquidità, con conseguente configurabilità a suo carico di profili di responsabilità (nei confronti delle singole società e dei creditori sociali);
- i trasferimenti di risorse finanziarie a condizioni inique; tale situazione può ricorrere, in un finanziamento down-stream, quando viene applicato un tasso di interesse passivo molto oneroso, e, in un finanziamento up-stream, quando l’erogazione non è assistita da idonea garanzia o da un adeguato tasso di interesse;
- il compimento di operazioni di tesoreria estranee all’oggetto sociale, in quanto poste in essere per il perseguimento esclusivo dell’interesse della finanziaria o di singole componenti del gruppo, a carico o a danno di altre, oltre che dei loro creditori;
- la totale subordinazione e dipendenza finanziaria delle società soggette a direzione unitaria, a fronte dell’esercizio abusivo o scorretto dell’attività di direzione e coordinamento da parte della holding e dei suoi amministratori;
- l’insolvenza della pooler, o la crisi di altre società, che può pregiudicare il rimborso alle altre società del gruppo della somma trasferita, oltre alla normale prosecuzione dell’attività d’impresa, con un effetto “a catena” che può coinvolgere l’intero gruppo;
- il trasferimento di liquidità infragruppo effettuato al fine di sopperire ad una situazione di sottocapitalizzazione della società finanziata, generando effetti elusivi delle norme imperative sul conferimento e realizzando un abuso a danno dei creditori sociali (art. 2497-quinquies c.c.) con conseguente postergazione del credito del finanziatore anomalo (che sia, cioè, contemporaneamente anche socio o società del gruppo) e/o azione risarcitoria per responsabilità ai sensi dell’art. 2497 c.c.;
- in caso di fallimento della società di un gruppo che ricorre al cash pooling, le operazioni di trasferimento delle risorse finanziarie dai conti periferici delle società del gruppo a quello accentrato e amministrato dal pooler, che ne abbia disposto avantaggio della società in difficoltà, potrebbe integrare il reato di bancarotta fraudolenta per distrazione.
8.3 Cash pooling e responsabilità della capogruppo
Come si è accennato, attraverso il cash pooling è possibile depauperare una società a favore delle altre, attraverso la costante fuoriuscita di mezzi finanziari da una delle società partecipanti. Tale fenomeno deve essere analizzato alla luce del principio degli interessi compensativi nell’ambito del gruppo societario, sopra descritto, la cui applicazione nel caso concreto presenta notevoli ambiguità e spazi di discrezionalità per l’interprete.
Recentemente la giurisprudenza ha ritenuto che la gestione accentrata della tesoreria rientri tra i rapporti infragruppo idonei a provocare l’azione di responsabilità nei confronti della capogruppo ai sensi dell’art. 2497 c.c., da parte della società lesa.
Come si è visto, l’attività di direzione e coordinamento è legittima solo se esercitata nel rispetto e nei limiti espressi dall’art. 2497 c.c., ovvero osservando i principi di corretta gestione societaria e imprenditoriale delle società controllate, non potendo l’unitarietà della direzione giustificare l’utilizzo della gestione delle imprese controllate ad esclusivo beneficio delle società controllanti. L’autonomia soggettiva e patrimoniale di ciascuna delle società parte di un gruppo e il dovere di fedeltà a cui sono tenuti gli amministratori di società, pongono in capo a questi ultimi l’obbligo di perseguire in primo luogo l’interesse della singola società, che non può essere illegittimamente sacrificato e rimesso a quello del gruppo.
Ad avviso della giurisprudenza, per poter affermare la responsabilità della holding è necessario che la condotta concretamente posta in essere dalla controllante violi i principi di corretta gestione procurando un danno non meramente potenziale, ma effettivo. In quest’ottica assumono rilievo i c.d. vantaggi compensativi, ovvero il sacrificio che la singola società può essere chiamata a sopportare deve ritenersi legittimo in presenza di adeguate contropartite che possono concretizzarsi non necessariamente in vantaggi diretti e certi, ma anche indiretti e mediati che però si rivelino effettivi e derivino dalla partecipazione della singola entità al gruppo.
In questo senso, si è ritenuto che il cash pooling, il quale prevede che le singole società stipulino singoli contratti di conto corrente con la società pooler che ha stipulato un contratto di conto corrente con un’azienda di credito, non è in sé una scelta contraria ai principi di corretta gestione, ma risponde ad esigenze di efficiente gestione della tesoreria aziendale con riguardo ai rapporti tra le società del gruppo e gli istituti di credito. In particolare, la controllata non può lamentare un danno per il fatto che, aderendo ad un sistema zero balance, non abbia manifestato ex post l’esigenza di attingere alla tesoreria di gruppo per far fronte agli impegni finanziari connessi alla propria attività aziendale e quindi non si sia di fatto avvalsa del risparmio in termini di minori oneri passivi che il sistema propizia.
Di conseguenza tanto la decisione di mettere a disposizione a breve termine di altre società del gruppo la liquidità in eccesso della controllata, sono in linea generale ragionevoli ed accettabili, attesi i vantaggi che, nell’ottica dei vantaggi compensativi, la società ha ricevuto per il fatto di appartenere al gruppo. Sulla base di queste considerazioni, il Tribunale di Milano nel 2014 ha escluso la responsabilità della holding ex ai sensi dell’art. 2497 c.c. in quanto, nel caso di specie le decisioni assunte erano ragionevoli ed accettabili, tanto che nessuno dei soci di minoranza era receduto dalla società, accettando così quel genere di investimento del loro patrimonio (cash pooling e deposito a termine).
Sotto il profilo penale, la giurisprudenza, dopo avere dapprima ritenuto che, in caso di fallimento di una società del gruppo coinvolta nella gestione unitaria della tesoreria, il conferimento di liquidità alla pooler costituisse condotta distrattiva ingiustificata del patrimonio aziendale, penalmente rilevante (bancarotta fraudolenta), ha riconosciuto la tendenziale liceità del sistema di gestione unitaria della tesoreria di gruppo, in considerazione dei vantaggi che esso può comportare per le società del gruppo (assolvimento esigenze di liquidità, riduzione e controllo del margine di indebitamento del gruppo, diminuzione del carico fiscale delle società del gruppo).
Tale valutazione di liceità è tuttavia subordinata al ricorrere di due condizioni:
- una puntuale regolamentazione contrattuale dei rapporti interni al gruppo;
- la presenza di vantaggi compensativi, dovendo a tal fine l’interessato dimostrare il saldo finale positivo delle operazioni compiute nella logica e nell’interesse del gruppo, elemento indispensabile per considerare lecita l’operazione temporaneamente svantaggiosa per la società depauperata.
Tali condizioni sono state valorizzate dalla giurisprudenza anche ai fini di escludere la possibilità che si realizzi il reato di bancarotta fraudolenta per distrazione, in caso di rimesse operate dalla capogruppo ad una società di un gruppo (poi fallita) nell’ambito di un’operazione di cash pooling.
In tal caso, infatti, ai fini della esclusione della fattispecie di bancarotta fraudolenta per distrazione a fronte di rimesse riconducibili a tale operatività da parte della società già in condizioni non floride, occorre che:
- i trasferimenti di risorse fra partecipants e pooler siano stati eseguiti in presenza di una antecedente, puntuale regolamentazione contrattuale dei rapporti interni al gruppo;
- tale regolamentazione deve disciplinare:
– modalità e ai termini con cui i saldi dei conti correnti periferici delle società del gruppo devono essere trasferiti al conto corrente accentrato;
– modalità e ai termini entro i quali il pooler deve restituire la liquidità ricevuta sul conto accentrato di cui è titolare;
– l’ammontare dei tassi in base ai quali maturano con gli interessi attivi e passivi, sui crediti annotati nel conto corrente accentrato, nonché sulle modalità con cui gli interessi verranno corrisposti;
– eventuale commissione spettante al pooler per lo svolgimento dell’attività di tesorerie.
- l’accordo deve rispettare la logica dei c.d. vantaggi compensativi, in base alla quale operazioni che, isolatamente considerate, evidenziano margini di rischio per una persona giuridica, possono trovare giustificazione nei vantaggi che la medesima società riceve da scelte gestionali poste in essere a suo beneficio da altri enti del medesimo gruppo o dalla holding che dirige il raggruppamento di imprese.
In ogni caso, ad avviso della giurisprudenza, il passaggio di risorse da una società a un’altra, anche facente parte dello stesso gruppo, si qualifica come distrazione personalmente rilevante in presenza di una conclamata sofferenza della società deprivata, quando non vi sa garanzia di restituzione dei valori trasferiti e al di fuori di un credibile programma di riassestamento del gruppo, rivolto a superare, prioritariamente, le problematiche dell’ente in sofferenza.
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Avv. Valerio Pandolfini
Avvocato specializzato in Diritto Societario
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