Contratto di agenzia: quali sono gli obblighi dell’agente e del preponente?
Gli obblighi delle parti di un contratto di agenzia (agente e preponente) sono previsti, oltre che dalle norme del Codice civile sull’agenzia (articoli 1742 e ss.), dagli accordi economici collettivi e dalla direttiva comunitaria n. 653 del 1986. Tuttavia, ad eccezione delle norme imperative contenute in tali fonti, la maggior parte della regolamentazione di tali obblighi è frutto dell’autonomia privata, cioè è predisposta dalle parti stesse nel contratto di agenzia (contratto che di conseguenza deve essere redatto molto attentamente). Gli obblighi principali dell’agente sono: a) fornire informazioni (generiche e specifiche); b) svolgere attività promozionale; c) attenersi alle istruzioni del preponente; d) obblighi accessori (come incassare i crediti). Gli obblighi principali del preponente previste dalla legge sono: a) mettere a disposizione dell’agente la documentazione; b) procurare all’agente le informazioni necessarie; c) informare l’agente circa l’accettazione, rifiuto o mancata esecuzione dell’affare; d) corrispondere all’agente le provvigioni. A tali obblighi (che possono essere variamente modulati nel contratto) si possono aggiungere ulteriori obblighi contrattuali.
1. Agenzia: quali sono le norme che regolano il contratto
Secondo la definizione dell’art. 1742 1° comma, c.c., l’agenzia è il contratto in forza del quale una parte (agente) assume stabilmente l’obbligo di promuovere affari per conto dell’altra (preponente), in una determinata zona e verso corrispettivo.
L’agente è quindi un collaboratore autonomo, il quale svolge un’attività di promozione di affari per conto (cioè nell’interesse) di un’impresa preponente, in modo stabile e organizzato, in un dato ambito geografico, dietro compenso. L’agenzia rientra dunque tra le forme di distribuzione indiretta, nelle quali l’impresa produttrice si avvale di intermediari autonomi per collocare i propri prodotti sul mercato, rimanendo detentore del rischio di rivendita.
Il contratto di agenzia è regolamentato da diverse fonti normative. Accanto alla disciplina contenuta negli artt. 1742 e ss. del Codice civile – la cui attuale formulazione è frutto di una serie di interventi effettuati in attuazione della direttiva CE n. 653 del 18.12.1986 (“Direttiva”) vi sono infatti discipline di fonte diversa, che talvolta si sovrappongono, creando rilevanti problemi interpretativi ed applicativi, ovvero gli accordi economici collettivi (“AEC”).
Gli AEC sono accordi di natura privatistica stipulati tra gli enti sindacali rappresentativi degli imprenditori e degli agenti, per i vari settori merceologici. Essi si distinguono, in funzione del settore di appartenenza del preponente, essenzialmente in:
- AEC per agenti e rappresentanti di aziende commerciali -tra cui spicca per importanza l’AEC del settore commercio, rinnovato nel 2009, al quale si farà sovente riferimento nella presente lezione;
- AEC per agenti e rappresentanti di aziende industriali, rinnovato nel 2014.
Gli AEC hanno due ordini di limiti applicativi:
- sotto il profili oggettivo, essi hanno un rango minore rispetto alle norme di legge (sia comunitarie che nazionali) e quindi non possono derogare, in senso peggiorativo per l’agente, a norme imperative di legge; peraltro tutte le norme codicistiche sull’agenzia, ad eccezione di quelle relative agli obblighi dell’agente e del preponente, sono dispositive, e quindi derogabili dagli AEC;
- sotto il profili soggettivo, gli AEC hanno efficacia privatistica, e quindi si applicano esclusivamente: a) ai contratti intercorrenti tra soggetti che siano entrambi iscritti alle associazioni stipulanti; b) ai contratti le cui parti abbiamo espressamente aderito agli AEC; c) ai contratti le cui parti abbiano implicitamente recepito gli AEC attraverso un comportamento concludente desumibile da una costante e prolungata applicazione delle relative clausole ai singoli rapporti.
Ulteriore fonte molto importante in materia di agenzia è la Direttiva, la cui finalità è quella di armonizzare le legislazioni dei diversi Stati membri, in modo da facilitare la libertà di scambio, la redazione di contratti di agenzia internazionali e la risoluzione di eventuali controversie.
La Direttive non è immediatamente applicabile ed efficace nei singoli stati membri ma si presuppone che ogni Stato membro emani apposite norme di attuazione, al fine di raggiungere gli scopi e gli obiettivi della Direttiva stessa. Peraltro, la Direttiva in alcune materie, anche di non scarsa rilevanza, ha lasciato ai singoli legislatori la possibilità di scelta tra differenti soluzioni alternative, il che ostacola il raggiungimento dell’uniformità di regolamentazione all’interno dei paesi europei.
Inoltre, come per tutte le direttive comunitarie, si applica il criterio interpretativo elaborato dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia CEE, in base al quale il giudice nazionale deve interpretare le norme nazionali, sia precedenti che successive all’entrata in vigore della Direttiva, alla luce della lettera e della ratio di quest’ultima. Tale criterio è importante per interpretare l’esatta portata delle norme del Codice civile sull’agenzia.
L’Italia ha dato attuazione alla Direttiva in un primo tempo tramite il D.lgs. n. 303/1991, che ha modificato numerose disposizioni del Codice civile in tema di agenzia. Tale provvedimento, tuttavia, oltre ad esser stato emanato in ritardo rispetto ai termini previsti dalla Direttiva, non ne ha seguito fedelmente il contenuto. Ciò ha causato l’intervento della Commissione che, nel settembre 1996, ha avviato una procedura di infrazione a carico dell’Italia per l’incompleta attuazione della Direttiva. E’ stato quindi emesso il D.lgs. n. 65/1999, che ha apportato ulteriori modifiche ad alcuni articoli del codice civile. Il legislatore è infine intervenuto ulteriormente con le leggi comunitarie 1999 (L. n. 526/1999) e 2000 (L. n. 422/2000).
Tuttavia, prescindendo dalle (poche) norme imperative e (quindi inderogabili) contenute in tali fonti, la maggior parte della regolamentazione degli obblighi in capo alle parti di un contratto di agenzia proviene dall’autonomia privata, cioè è predisposta dalle parti stesse nel contratto di agenzia. Per tale ragione, è importante predisporre con molta attenzione il contratto di agenzia, rivolgendosi ad un legale esperto in contratti d’impresa.
2. Agente senza potere di rappresentanza
L’agente è di norma estraneo alla fase della conclusione del contratto con i clienti – che avviene direttamente tra preponente e terzo – limitandosi a trasmettere una proposta di acquisto (cd. ordini o commissioni) al preponente. Solitamente, infatti, l’agente svolge la propria attività senza il potere di rappresentanza.
L’ordine che l’agente riceve dal cliente ha quindi solo valore di proposta di contratto, che deve essere accettata dal preponente ai fini del perfezionamento dell’accordo. In questo senso, la clausola «salvo approvazione della casa», spesso apposta nei moduli di proposta contrattuale (c.d. copia commissione), vale solo a riaffermare al terzo che l’agente è sfornito del potere di concludere il contratto, ed è quindi superflua dal punto di vista giuridico.
L’accettazione della proposta inviata dall’agente da parte del preponente può essere sia espressa che tacita, ovvero con l’inizio dell’esecuzione. Nel primo caso, il contratto di perfeziona nel luogo in cui il cliente riceve l’accettazione da parte del preponente, ai sensi dell’art. 1326 c.c.; nel secondo caso, il contratto si perfeziona nel luogo in cui l’esecuzione ha avuto inizio (e quindi in genere la sede del preponente o il luogo in cui si trova il suo stabilimento o magazzino), ai sensi dell’art. 1327 c.c.
3. Agente con potere di rappresentanza
Talvolta (come nel caso ad es. del settore assicurativo) viene invece conferito all’agente, mediante apposita procura, il potere di rappresentanza, cioè il potere di spendere il nome del preponente. In questo caso, l’agente non è soltanto chiamato ad un’attività di cooperazione economica e materiale (consistente nel cercare le condizioni economiche per la conclusione di contratti) ma anche ad un’attività di cooperazione giuridica, cioè a concludere i contratti, compiendo così l’atto giuridico che rappresenta il frutto dell’attività preparatoria da lui svolta.
In tale ipotesi, l’attività dell’agente è affine a quella del mandatario (con rappresentanza), dal quale tuttavia si differenzia in quanto l’agente resta privo di ogni potere di gestione dell’affare, dovendo solo attuare le disposizioni del preponente. Dottrina e giurisprudenza prevalenti escludono quindi che possano applicarsi all’agente, anche se fornito di poteri di rappresentanza, le norme sul mandato, ovvero:
- l’art. 2761 c.c., secondo cui i crediti derivanti dall’esecuzione del mandato hanno privilegio sui beni del mandante che il mandatario detiene per l’esecuzione del mandato;
- l’art. 1721 c.c., secondo cui il mandatario ha diritto di soddisfarsi sui crediti pecuniari sorti dagli affari che ha concluso con precedenza sul mandante e sui creditori di questo.
L’agente munito di potere di rappresentanza impegna il preponente e lo rende responsabile nei confronti dei terzi per il comportamento illecito che lo stesso agente abbia tenuto, nei limiti delle mansioni e facoltà conferitegli. Peraltro, dato che, ai sensi dell’’art. 1393 c.c., il terzo che contratta con l’agente può sempre esigere che questi giustifichi i suoi poteri di rappresentanza, il preponente non potrà essere considerato responsabile nei confronti del terzo qualora l’agente ecceda i limiti dei poteri conferitigli o agisca senza potere rappresentativo. In ogni caso, qualora l’agente non possieda potere di rappresentanza, il preponente non può essere chiamato a rispondere del fatto dolo o colposo dell’agente stesso, salvo che possa invocarsi il principio dell’apparenza.
4. Poteri di rappresentanza ex lege dell’agente
A prescindere dall’ipotesi in cui venga conferita una procura all’agente, l’art. 1745 c.c., riconosce comunque all’agente limitati poteri di rappresentanza ex lege, che non richiedono quindi conferma nel singolo contratto di agenzia.
In primo luogo, l’agente può ricevere le dichiarazioni attinenti all’esecuzione del contratto concluso per suo tramite e i reclami relativo alle inadempienze contrattuali. All’agente possono essere quindi comunicati i vizi relativi alla merce venduta e può essere denunciata la mancanza di qualità del prodotto; la giurisprudenza ritiene tuttavia che l’agente non ha alcun potere di riconoscere l’esistenza dei vizi denunciati, e quindi di far sorgere, con effetto vincolante per il preponente, obblighi derivanti da tale riconoscimento.
In secondo luogo, l’agente ha il potere di chiedere provvedimenti cautelari nell’interesse del proponente o di presentare reclami necessari per la conservazione dei diritti spettanti al preponente. L’agente non è tuttavia legittimato ad agire nel successo giudiziario ordinario, che resta di esclusiva competenza del preponente. Inoltre, l’agente è privo di rappresentanza processuale passiva, per cui sarebbe invalido un atto di citazione nei confronti del proponente, notificato all’agente, anche se a questi sia stata conferita la rappresentanza, la quale è limitata alla conclusione dei contratti.
5. L’obbligo di informativa dell’agente
Ai sensi dell’art. 1746 1° comma c.c., l’agente nell’eseguire il proprio incarico deve tutelare gli interessi del preponente ed agire con lealtà e buona fede. Tale norma è sostanzialmente superflua, dato che la buona fede rappresenta nel nostro ordinamento un principio generale in materia di adempimento delle obbligazioni contrattuali ex artt. 1175 e 1375 c.c., e che dalla stessa deriva l’obbligo per ciascuna parte di salvaguardare gli interessi altrui nei limiti di un apprezzabile sacrificio.
La norma esemplifica poi tale dovere generale disponendo che, in particolare, l’agente deve fornire al preponente informazioni riguardanti:
- le generali condizioni del mercato nella zona assegnatagli (cd. informazioni generiche);
- ogni altra informazione utile per valutare la convenienza di singoli affari (cd. informazioni specifiche).
Le informazioni generiche servono a garantire al preponente una visione globale della situazione del mercato di riferimento, in modo da identificare i mezzi più idonei alla vendita dei prodotti e adottare le decisioni di strategia aziendale più consone. Si tratta di informazioni che il preponente non potrebbe altrimenti facilmente conoscere – come nel caso in cui questi sia una impresa straniera o si trovi a notevole distanza – attinenti le notizie sullo stato del mercato (ad es. la qualità ed alla quantità della domanda, la politica produttiva e commerciale delle imprese concorrenti, l’influenza esercitata da taluni fattori ambientali).
Le informazioni specifiche sono invece finalizzate a mettere il preponente in condizione di valutare la reale convenienza del singolo affare, in relazione alle concrete capacità del contraente di adempiere.
In generale, appare difficilmente configurabile una responsabilità dell’agente per avere inviato al preponente notizie erronee o insufficienti sul mercato, qualora l’agente abbia comunque procurato al preponente una notevole mole d’affari, svolgendo una costante attività lavorativa nella sua zona.
Non può escludersi tuttavia che in certi casi l’omissione delle informazioni e l’inesattezza di quelle fornite possa assumere rilevanza tale da giustificare la risoluzione del contratto e/o il risarcimento del danno in favore del preponente; ciò può accadere quando l’inadempimento di tale obbligo procuri gravi conseguenze negative sull’andamento commerciale dell’impresa preponente. In tal senso, la giurisprudenza ha ad es. ritenuto che integri un’inadempienza grave da parte dell’agente la mancata comunicazione del fatto che il proprio figlio aveva intrapreso nella medesima zona l’attività di agente per un’impresa concorrente, contattando per conto della nuova società tutti i clienti del padre ed utilizzando a tal fine l’elenco, dei clienti, i locali lavorativi, il recapito telefonico del proprio genitore.
La giurisprudenza prevalente ritiene inoltre che all’agente debba richiedersi un certo grado di approfondimento circa le informazioni trasmesse, in rapporto alla propria capacità professionale, esperienza ed organizzazione, ma non possa richiedersi un’attività di indagine circa l’attendibilità delle informazioni stesse, dato che è il preponente generalmente a trovarsi nelle migliori condizioni, dal punto di vista organizzativo, per valutare la serietà dell’informazione trasmessagli.
6. Lo stare del credere
Fino a qualche tempo orsono era relativamente frequente la pattuizione denominata “Star del credere”, con la quale una certa percentuale di rischio circa l’insolvibilità del terzo acquirente veniva posta a carico dell’agente. La funzione di tale accordo è quella di stimolare l’agente ad un atteggiamento prudente ed accorto nello svolgimento della propria attività promozionale, onde evitare al preponente la conclusione di contratti senza la necessaria valutazione di solvibilità del cliente.
L’art. 1746 3° co. c.c., così come modificato dalla L. n. 529/1999, vieta espressamente il patto che ponga a carico dell’agente una responsabilità. anche solo parziale per l’inadempimento del terzo. Tale divieto deve essere inteso nel senso dell’inammissibilità di clausole di responsabilità generale del futuro inadempimento, di impegni a stipulare per il futuro patti di star del credere in relazione ad affari individuati per categorie, ed a maggior ragione di patti in bianco.
La norma subordina la validità della garanzia a carico dell’agente al rispetto di alcuni limiti tassativamente determinati, riconducibili ad una esigenza si specificità della pattuizione. L’art. 1746 c.c. consente infatti soltanto alle parti di pattuire, di volta in volta con riferimento a singoli affari, un’apposita garanzia a carico dell’agente, che non può superare l’importo della provvigione spettante all’agente per il singolo affare e comunque previa corresponsione di un apposito compenso all’agente per l’assunzione della garanzia.
L’oggetto della garanzia deve essere quindi individuato ex post, cioè con riguardo ad affari particolari ed attuali, e non ex ante, cioè con riferimento a categorie e/o generi potenziali di affari. In questo senso, la garanzia può riguardare anche più affari, purché tutti individualmente determinati. La garanzia non può inoltre superare l’importo della provvigione dovuta all’agente per quel singolo affare; si ritiene che la previsione di una garanzia di importo superiore non comporti la nullità del patto ma l’automatica sostituzione della clausola con la norma imperativa di legge ex artt. 1339 e 1419, comma 2 c.c.
7. L’attività promozionale dell’agente
L’agente è tenuto a svolgere la propria attività, oltre che con lealtà e buona fede, con la diligenza e perizia richiesta dalla natura dell’attività esercitata, secondo il criterio cui all’art. 1176 c.c. L’agente dunque, essendo un intermediario indipendente, è libero di organizzare in modo autonomo la propria attività, e quindi può scegliere liberamente come articolare le sue varie visite ai clienti, come gestire il rapporto con gli stessi, con quale frequenza lavorare, etc., purché non tenga comportamenti che contrastino con l’impegno di tutelare l’interesse del preponente. Il comportamento negligente da parte dell’agente nello svolgimento della propria attività dà luogo a responsabilità contrattuale, con conseguente diritto del preponente di risolvere il contratto ed ottenere il risarcimento dei danni.
Il dovere di diligenza misura l’esattezza dell’adempimento dell’agente con riguardo innanzitutto all’attività promozionale. Tale obbligo si concreta in una regolare, continua e stabile visita e contatto con la clientela, finalizzata a provocare o stimolare ordini di acquisto di beni o servizi per conto del preponente, e che si esplica nell’analisi della zona assegnata, individuazione dei possibili interessati, illustrazione dei prodotti dell’impresa preponente, visita periodica ai clienti, conduzione delle trattative, assistenza prevendita etc. L’agente è tenuto a svolgere tutte le attività necessarie ed opportune affinché i contratti a cui l’incarico si riferisce possano essere conclusi e perché l’impresa preponente tragga dalla sua attività il maggior vantaggio economico.
Ne consegue che il preponente può chiedere la risoluzione del contratto ed il risarcimento del danno quando l’agente abbia limitato le prestazioni senza porre in essere un’attività di promozione degli affari quantitativamente e qualitativamente adeguata, soprattutto se sia specificamente previsto un livello minimo di fatturazione – che segna la misura dell’interesse del proponente alla conservazione del vincolo contrattuale – e sia stata pattuita una clausola risolutiva espressa in relazione al mancato raggiungimento di quel risultato.
È altresì negligente l’agente che non tenga una continua, regolare e stabile attività di visita e contatto della clientela, sebbene abbia procurato saltuariamente la conclusione di contratti anche di notevole entità, e persino se abbia raggiunto il volume minimo di affari convenzionalmente stabilito, qualora il preponente dimostri che il volume d’affari avrebbe potuto essere maggiore.
8. Obblighi dell’agente e risultati economici
L’attività dell’agente si sostanzia in una prestazione di fare, che rappresenta, sotto questo profilo, l’adempimento di un’obbligazione di mezzi. La realizzazione del risultato economico sperato dal preponente e/o dall’agente non rappresenta infatti di per sé un indice del fatto che l’agente si sia reso inadempiente rispetto al suo obbligo contrattuale.
È così possibile che l’assenza o la modestia dei risultati dell’attività dell’agente non sia ascrivibile alla mancata o insufficiente diligenza dell’agente e quindi non sia a quest’ultimo ascrivibile a titolo di responsabilità contrattuale, ad esempio perché vi è una contingente crisi di mercato, o perché il prodotto offerto non è di gradimento dei clienti, o perché le imprese concorrenti della preponente hanno effettuato determinate iniziative promozionali o investimenti nel settore, etc.
D’altra parte, la giurisprudenza ha precisato che l’agente non può limitare, a suo piacimento, le proprie prestazioni solamente perché la provvigione è proporzionale agli affari promossi, dovendo invece. attuare un’attività quantitativamente e qualitativamente normale, uniformando a ciò il proprio comportamento. Ne consegue che l’obbligazione principale dell’agente si concreta in un continuo, regolare e stabile contatto con la clientela, nell’intento di promuovere la conclusione di contratti, ed è da considerarsi sia di mezzi, sia di risultato, con riferimento, rispettivamente, allo svolgimento dell’attività promozionale ed al diritto di ottenere la provvigione.
Peraltro, le parti possono definire contrattualmente dei livelli minimi di fatturato, il cui mancato conseguimento da parte dell’agente concretizza lo scarso rendimento dell’agente stesso, consentendo così al preponente di risolvere il contratto per inadempimento, avvalendosi di una clausola risolutiva espressa.
9. L’obbligo di attenersi alle istruzioni del preponente
È riconducibile al dovere di diligenza l’obbligo dell’agente – previsto dall’art. 1746 1° comma c.c. – di conformarsi alle istruzioni del preponente. Queste ultime possono concretarsi in direttive di carattere tecnico (c.d. istruzioni in senso stretto: pensiamo ad esempio a quelle inerenti alle modalità di svolgimento dell’opera promozionale e in particolare; alle tecniche di illustrazione delle caratteristiche, delle qualità e della convenienza dei prodotti offerti), ma possono consistere anche nel vincolare l’agente a partecipare a corsi di formazione ed aggiornamento (c.d. direttive in senso lato).
Tale obbligo trova un limite nell’autonomia operativa dell’agente; il preponente n0n può infatti imporre all’agente specifiche e cogenti istruzioni che contrastino con l’autonomia di quest’ultimo, perché ciò rischierebbe di snaturare il rapporto di agenzia trasformandolo in un rapporto di lavoro subordinato.
Ulteriore obbligo dell’agente è quello- previsto dall’art. 1747 c.c.- di avvisare immediatamente il preponente di non essere in grado di eseguire l’incarico affidatogli. La norma è espressione del principio generale del nostro ordinamento, secondo cui è meritevole di tutela l’interesse del creditore ad essere tempestivamente informato di ogni vicenda riguardante il debitore, e segnatamente della sopravvenuta impossibilità della prestazione, in modo da consentirgli di adeguarsi al mutamento della situazione e limitare i danni derivanti dall’inattività del debitore.
Se, come di regola avviene, l’agente gode del diritto di esclusiva (art. 1743 c.c.) la comunicazione dell’impossibilità di continuare ad eseguire regolarmente l’incarico fa venir meno l’obbligo del preponente di astenersi dal promuovere affari nella zona riservata; il preponente potrà quindi attivarsi con la propria organizzazione evitando che l’impedimento dell’agente causi una riduzione del volume di affari in tale zona.
La norma non apporta alcuna deroga ai principi generali; pertanto:
- se l’impossibilità sopravvenuta è totale e definitiva, si verifica l’estinzione immediata del rapporto di agenzia, senza preavviso né indennità sostitutiva;
- se l’impossibilità è temporanea – ed è a questo caso che l’art. 1747 si riferisce – il rapporto rimarrà sospeso e l’agente sarà esonerato da qualunque responsabilità per il ritardo;
- se l’impedimento dell’agente perdura al punto che il preponente non ha più interesse a ricevere la prestazione, questo può recedere dal rapporto con effetto immediato, ai sensi degli artt. 1256, comma 2, e 1463 c.c. (se si tratta di contratto a tempo indeterminato) e 1464 c.c. (se si tratta di contratta a termine) senza dover rispettare la norma di cui all’art. 1750 c.c.
10. Obblighi accessori dell’agente
Accanto all’obbligo primario consistente nella promozione di contratti, vi sono degli obblighi accessori che gli agenti possono assumere per contratto.
L’AEC commercio 2009 prevede che, qualora l’agente sia incaricato si svolgere attività complementari o accessorie rispetto all’attività di promozione, lo stesso ha diritto ad un compenso aggiuntivo, in forma non provvigionale. La previsione è finalizzata ad evitare che alle provvigioni vengano imputate anche ulteriori attività accessorie. Non è prevista alcuna indicazione in ordine alla concreta entità di tale compenso, che è interamente rimesso all’autonomia delle parti, o, in mancanza, alla determinazione discrezionale del giudice.
L’AEC industria del 2014 concede alle parti ampia facoltà di determinare i compensi per le attività accessorie, sia in forma provvigionale che in forma non provvigionale.
Tra le attività accessorie vi è l’attività di incasso dei crediti del preponente presso la clientela, prevista quale elemento accidentale del contratto di agenzia dall’art. 1744 c.c. La giurisprudenza sottolinea in proposito la necessità del carattere continuativo ed impegnativo di tale attività supplementare dell’agente ai fini del diritto ad un compenso aggiuntivo; soltanto se sussista un obbligo particolare ed ulteriore dell’agente, e non un’attività meramente facoltativa di riscossione, egli avrà infatti diritto alla provvigione d’incasso.
La giurisprudenza ha inoltre precisato che, quando il contratto preveda fin dall’inizio il conferimento all’agente anche dell’incarico di riscossione, deve presumersi che il relativo compenso sia già stato compreso nella provvigione concordata, che viene determinata con riferimento al complesso dei compiti affidati all’agente. Viceversa, l’attività di riscossione deve essere separatamente compensata qualora il relativo incarico sia stato conferito all’agente in corso di rapporto.
Qualora l’agente trattenga gli incassi effettuati presso i clienti, lo stesso si rende responsabile del reato di appropriazione indebita, aggravata ai sensi dell’art. 61 n. 11 C.p. per abuso di prestazione d’opera. In tal caso, il preponente ha diritto alla risoluzione del contratto per inadempimento dell’agente. L’agente può essere esonerato da responsabilità penale se opponga in compensazione un credito per provvigioni, per indennità di preavviso o di fine rapporto, sempre che tale credito sia liquido ed esigibile al momento in cui la compensazione viene opposta.
Altre attività accessorie sono:
- il coordinamento di altri agenti;
- la rilevazione di prezzi presso i punti vendita;
- la verifica del sell in e sell out;
- le attività dedicate al controllo del punto vendita e alla presentazione dei prodotti.
11. Obblighi del preponente
L’art. 1749 comma 1 c.c. e gli AEC prevedono che il preponente ha l’obbligo generale di agire con lealtà e buona fede nei confronti dell’agente. Analogamente a quanto già visto per l’agente, la norma ripropone un principio generale dell’ordinamento in materia di obbligazioni e contratti.
La norma inoltre prevede alcuni comportamenti che il preponente deve tenere, quale espressione di tale dovere generale, allo scopo di agevolare la realizzazione dell’attività promozionale dell’agente:
- mettere a disposizione dell’agente la documentazione necessaria relativa alle merci;
- procurare all’agente le informazioni necessarie all’esecuzione del contratto, e in particolare avvertire l’agente, entro un termine ragionevole, non appena preveda che il volume delle operazioni sarà notevolmente inferiore a quello che l’agente avrebbe potuto normalmente attendersi, per evitare che quest’ultimo promuova affari che poi potrebbero risultare inutili;
- informare l’agente, entro un termine ragionevole, dell’accettazione o del rifiuto e della mancata esecuzione di un affare.
Mancando nella norma in esame un esplicito riferimento alle sanzioni per violazione dell’obbligo di informazione, l’agente può far valere nei confronti del preponente i generali rimedi risarcitori ed eventualmente, se la condotta omissiva appaia particolarmente grave, anche i rimedi risolutivi.
Se siete interessati a scaricare un modello di contratto di agenzia, inviate una mail al seguente indirizzo: info@studio-pandolfini.it.
12. L’obbligo di corrispondere le provvigioni all’agente
Il preponente ha poi l’obbligo di corrispondere all’agente le provvigioni su tutti gli affari conclusi per effetto del suo intervento.
Deve quindi sussistere un nesso di causalità tra l’attività svolta dall’agente per la promozione di quell’affare e la conclusione dello stesso da parte del preponente, ravvisandosi l’identità dell’oggetto nella realizzazione di un uguale risultato economico. Qualora invece il rapporto di causalità sia interrotto, perché l’attività svolta dall’agente non ha avuto seguito o perché comunque essa non ha avuto rilevanza nelle trattative, la conclusione dell’affare non può ricollegarsi all’attività dell’agente, il quale pertanto non ha può avanzare pretesa al percepimento della provvigione.
Non vi è un obbligo del preponente di accettare ogni proposta contrattuale che gli viene trasmessa dall’agente, purché il rifiuto non sia contrario al canone della buona fede, come avviene nel caso in cui sia ingiustificato e assuma carattere sistematico. Se è vero, infatti, che il preponente è libero di accettare o rifiutare le proposte dei clienti che gli vengono inviate dall’agente, come pure di valutare la convenienza dei singoli affari, trattandosi di una scelta imprenditoriale, è anche vero che tale libertà non può spingersi fino al rifiuto sistematico e ingiustificato di ogni proposta che gli venga fatta pervenire. In tal caso si profilerebbe infatti un’ipotesi di responsabilità del preponente e, quindi, il conseguente diritto dell’agente di agire per ottenere il risarcimento dei danni e, laddove ne ricorrano i presupposti, di chiedere la risoluzione del contratto.
La misura delle provvigioni è lasciata alla libera disponibilità delle parti; per cui, al di là dei casi in cui l’importo del compenso stabilito contrattualmente in favore dell’agente sia irrisorio o meramente simbolico, il giudice non può sindacare la congruità della provvigione né ricondurla ad equità.
In mancanza di accordo tra le parti, dato che la regolamentazione collettiva non regolamenta i criteri di calcolo della provvigione, spetterà al giudice determinarla, utilizzando le fonti integratrici di cui all’art. 1374 c.c., cioè le norme suppletive di legge, le tariffe professionali, gli usi del luogo in cui si trova la sede del preponente e, in loro mancanza, l’equità. In ogni caso, non si applica alle provvigioni spettanti all’agente il principio costituzionale relativo al diritto del lavoratore ad una retribuzione proporzionata alla quantità ed alla quantità del lavoro prestato.
La misura della provvigione pattuita contrattualmente può essere modificata, ma solo dalle, parti d’accordo tra loro. Coerentemente, in giurisprudenza si è ritenuta nulla per indeterminatezza dell’oggetto (ex artt. 1346 e 1418 c.c.) la clausola che attribuisca al preponente il potere di modificare unilateralmente le provvigioni, imponendogli esclusivamente un obbligo di preavviso. Tuttavia, gli AEC prevedono, entro determinati limiti e con determinate conseguenze, la facoltà del preponente di variare unilateralmente anche la misura delle provvigioni.
13. Esistenza ed esigibilità del diritto alle provvigioni
L’art. 1748 c.c., nel testo modificato a seguito dell’attuazione della direttiva comunitaria, disciplina la provvigione in favore dell’agente distinguendo il momento in cui il relativo diritto viene ad esistenza da quello in cui esso diviene esigibile.
Con riferimento al momento acquisitivo della provvigione, l’art. 1748 1° co. c.c. prevede che l’agente ha diritto alla provvigione in relazione a tutti gli affari conclusi per effetto del suo intervento. La conclusione del contratto tra preponente e cliente costituisce quindi il fatto costitutivo della provvigione, con conseguente nascita di un diritto di credito in capo all’agente.
Con riferimento invece alla esigibilità della provvigione, l’art. 1748 4° co. prevede che, salvo che diversamente sia pattuito, la provvigione spetta all’agente dal momento e nella misura in cui il preponente ha eseguito o avrebbe dovuto eseguire la prestazione in base al contratto concluso con il terzo. Il diritto dell’agente alla provvigione matura quindi al momento dell’esecuzione della prestazione da parte del preponente (e cioè di norma al momento della consegna della merce, in caso di contratto di vendita), indipendentemente dal pagamento da parte del terzo.
La norma tutela l’agente da un lato contro il rischio dell’inadempimento del preponente, sempre che non si tratti di inadempimento dovuto a forza maggiore o a caso fortuito (cioè a lui non imputabile), e dall’altro contro il rischio che l’inadempimento del terzo sia diretta conseguenza di quello del preponente; ne consegue che quest’ultimo non è libero dai suoi obblighi provvigionali quando il terzo non ha eseguito la sua prestazione perché lo stesso preponente non ha fornito quanto promesso.
Se il contratto viene eseguito solo in parte, e tale parziale esecuzione è conforme al contratto, come nel caso di pagamento rateale o di consegne ripartite, all’agente spetterà la provvigione sulla parte eseguita del contratto. Diversamente, si configura un’ipotesi di inadempimento; quindi, se è il proponente ad eseguire parzialmente la sua prestazione, salvo che l’inadempimento derivi da cause a lui non imputabili, l’agente avrà diritto alla provvigione sull’intero valore del contratto; se invece è il terzo ad eseguire parzialmente la prestazione, nulla sarà dovuto all’agente.
Tuttavia, tale norma è derogabile dalle parti, che possono ad es. posticipare l’esigibilità della provvigione ad un momento successivo all’adempimento del preponente. In tal senso è orientata appunto la prassi contrattuale, che prevede generalmente che l’agente matura il diritto al pagamento della provvigione nel momento in cui l’affare va a buon fine.
In ogni caso, la norma in esame prevede (inderogabilmente) che la provvigione spetta all’agente, al più tardi dal momento e nella misura in cui il terzo ha eseguito o avrebbe dovuto eseguire la prestazione qualora il preponente avesse eseguito la prestazione a suo carico. Quindi non è possibile posticipare l’esigibilità della provvigione dopo il pagamento da parte del terzo.
14. Provvigioni per affari conclusi dal preponente
L’art. 1748 comma 2 c.c. prevede che il diritto alla provvigione spetta all’agente anche per tutti gli affari conclusi dal preponente con i terzi da egli acquisiti in precedenza per affari dello stesso tipo, salvo che non sia stato diversamente stabilito dalle parti (cd. provvigione sugli affari diretti).
Il diritto alla provvigione sugli affari diretti è strettamente connesso all’esclusiva in favore dell’agente, e mira a tutelare l’agente rispetto a possibili invasioni da parte del preponente nella zona di sua pertinenza, finalizzate a sottrarre affari all’agente o ad appropriarsi dei risultati della sua attività promozionale. Dunque, in caso di agente con diritto di esclusiva, allo stesso spettano anche le provvigioni maturate sugli affari conclusi occasionalmente dal preponente nell’ambito della propria zona di esclusiva o con riferimento alla clientela oggetto dell’esclusiva stessa.
Ai sensi della norma in oggetto, per stabilire se un affare debba essere considerato appartenente o meno alla zona di esclusiva occorre stabilire se il contratto è stato concluso dal preponente con un cliente appartenente alla zona di esclusiva riservata all’agente o comunque appartenente ai clienti riservati a quest’ultimo per effetto dell’esclusiva.
Tale criterio può dare luogo a problemi interpretativi qualora il cliente abbia più sedi in zone diverse ovvero abbia sede legale in una zona e sedi operative o commerciali in zone affidate ad agenti diversi. Sul punto la Corte di Giustizia Europea ha affermato che il cliente può dirsi appartenente alla zona di competenza dell’agente se ha la sede di svolgimento delle attività principali nell’ambito di tale zona; se invece il cliente svolga la propria attività in più luoghi o l’agente sia competente per zone diverse, potranno essere prese in considerazione altre circostanze, quali il luogo di svolgimento delle trattative o di consegna della merce (Corte Giust. CE 12.12.1996, causa C-104/95).
Nel caso invece in cui le parti abbiano previsto una deroga all’esclusiva in favore dell’agente, a quest’ultimo spetterà una provvigione solo sugli affari conclusi a seguito dell’effettivo svolgimento dell’attività di promozione. L’agente, dunque, al fine di ottenere il pagamento della provvigione, dovrà dimostrare l’identità tra l’affare oggetto della sua trattativa e quello poi oggetto della conclusione del contratto.
Il diritto dell’agente alla provvigione si estende a tutti gli affari conclusi dal preponente con clienti della zona dell’agente, cioè aventi sede nella stessa zona, indipendentemente dal luogo di esecuzione. La giurisprudenza ritiene che il diritto dell’agente alla provvigione per gli affari conclusi direttamente dal preponente presuppone che l’agente abbia espletato, sia pure in misura minima, l’incarico di promozione; la norma in esame non potrà quindi trovare applicazione nei casi in cui l’intervento del preponente sia stato causato dall’inadempimento dell’agente che non abbia svolto alcuna attività nella zona assegnata.
15. Provvigioni per affari conclusi dopo la cessazione del contratto
L’art. 1748 3° comma c.c. prevede che l’agente ha diritto alla provvigione sugli affari conclusi dopo la data di scioglimento del contratto, solo in due ipotesi alternative tra di loro, e cioè:
- ogni qualvolta la proposta è ricevuta dall’agente o dal preponente prima dello scioglimento del contratto;
- quando, pur essendo la proposta giunta in epoca successiva, il contratto sia stato concluso entro un termine ragionevole dallo scioglimento del rapporto e l’agente provi che l’affare è riconducibile prevalentemente alla sua attività.
La giurisprudenza ha individuato concretamente il termine “ragionevole” in relazione alle circostanze concrete del singolo rapporto, e in particolare alla tipologia di affari che forma oggetto dell’attività di promozione dell’agente. Ad esempio, si è ritenuto che l’agente ha diritto alle provvigioni sugli utilizzi delle carte carburante anche dopo la cessazione del rapporto di agenzia, fino al termine di durata delle carte stesse (Cass. 16.1.2013 n. 894).
Gli AEC commercio prevedono una regolamentazione dettagliata per il riconoscimento all’agente delle provvigioni per gli affari conclusi dopo la cessazione del contratto, così integrando la disciplina codicistica.
L’AEC commercio del 2009 prevede che, in caso di cessazione del rapporto, l’agente ha l’onere di segnalare al preponente le trattative in corso; laddove le trattative e/o gli affari in corso segnalati al momento della cessazione del contratto vengano conclusi nel termine di 6 mesi dalla data di cessazione del rapporto, è garantito il diritto dell’agente alle relative provvigioni. Il termine di 6 mesi è inderogabile a svantaggio dell’agente, ferma la possibilità di prevedere clausole di ripartizione della provvigione tra agente uscente ed agente entrante, entrambi intervenuti per la promozione e conclusione dell’affare.
Secondo l’AEC industria del 2014, l’agente ha diritto alle provvigioni nel caso in cui vadano a buon fine delle trattative iniziate prima di 6 mesi dalla cessazione del contratto e la cui conclusione sia effetto dell’attività dell’agente. Quest’ultimo ha l’obbligo di relazionare dettagliatamente la preponente sulle trattative commerciali in corso alla cessazione del rapporto.
16. Provvigione ripartita tra più agenti
L’art. 1748 3° comma c.c. disciplina il diritto dell’agente di percepire le provvigioni per gli affari conclusi dal preponente dopo lo scioglimento del contratto, prevedendo due distinte fattispecie:
- se la proposta è pervenuta al preponente o all’agente prima dello scioglimento del rapporto contrattuale, l’agente ha diritto alla provvigione solo se il contratto verrà concluso dal preponente;
- negli altri casi, se l’affare è stato concluso entro un termine ragionevole dalla data di scioglimento del contratto e la conclusione è da ricondurre prevalentemente all’attività svolta dall’agente stesso, l’agente avrà diritto solo ad una parte della provvigione, qualora la conclusione dell’affare sia parzialmente attribuibile all’agente che è subentrato successivamente nel rapporto.
E’ controverso cosa debba intendersi per termine ragionevole, ossia quale sia la durata temporale massima affinché possa riconoscersi all’agente il diritto alla provvigione. Sul punto la giurisprudenza non è uniforme; in alcuni casi tale termine è stato fissato in sei mesi (Cass. n. 2824/2006) in altri è stato ritenuto ragionevole un termine biennale (Cass. n. 894/2013). In ogni caso, la ragionevolezza del termine deve essere parametrata anche al settore merceologico in cui l’agente ha operato ed agli usi in vigore in tale rapporto.
Più chiara è la disciplina dell’AEC Industria 2014, che all’art. 6 comma 12 prevede in proposito che l’agente, all’atto della cessazione del rapporto, deve relazionare dettagliatamente la preponente circa le trattative commerciali intraprese, ma non concluse, a causa dell’intervenuto scioglimento del contratto di agenzia; qualora, nell’arco di sei mesi dalla data di cessazione del rapporto, alcune di tali trattative vadano a buon fine, l’agente ha diritto alle relative provvigioni; decorso tale termine, la conclusione di ogni eventuale ordine, inserito o meno nella relazione dell’agente, non potrà più essere considerata conseguenza dell’attività da lui svolta e non viene quindi riconosciuta alcuna provvigione. Il termine di sei mesi è comunque derogabile dalle parti.
17. Mancata esecuzione del contratto
Il quinto comma dell’art. 1748 c.c. considera la possibilità che, dopo la conclusione del contratto, le parti si accordino per non darvi, in tutto o in parte, esecuzione, stabilendo per questa eventualità il diritto dell’agente ad una provvigione ridotta per la parte dell’affare rimasta ineseguita. Pertanto, se il preponente ed il terzo risolvono consensualmente il contratto, in tutto od in parte, ciò giustifica una riduzione del ·compenso dell’agente nella misura determinata dagli usi o, in mancanza, dal giudice secondo equità.
L’art. 1748, sesto comma c.c. prevede infine che l’agente è tenuto a restituire le provvigioni riscosse nell’ipotesi e nella misura in cui sia certo che il contratto non avrà esecuzione per cause non imputabili al preponente (c.d. storno provvigionale). Tale concetto viene inteso dalla giurisprudenza prevalente come comprendente qualsiasi comportamento doloso o colposo del preponente che abbia determinato la mancata esecuzione del contratto, quale ad es. il capovolgimento della politica dei prezzi o la fissazione di prezzi “fuori mercato”.
La norma si riferisce all’ipotesi in cui il preponente abbia accettato l’ordine trasmesso dall’agente, così concludendo il contratto, ma non l’abbia poi eseguito; non riguarda invece il caso in cui l’agente abbia promosso l’affare e il preponente non l’abbia concluso, dato che spetta al preponente il diritto di respingere o rifiutare il perfezionamento di un determinato affare.
In tal caso, secondo l’orientamento della giurisprudenza grava sul preponente l’onere di dimostrare che il contratto con il terzo non ha avuto alcuna esecuzione, per causa non imputabile al preponente stesso (Cass. 30.1.2017 n. 2289).
18. Onere probatorio e transazioni circa la provvigione
In base all’art. 1748 c.c., grava sull’agente l’onere di dimostrare i fatti costitutivi del proprio diritto alle provvigioni, ex art. 2697 c.c.; quindi l’agente dovrà dimostrare in particolare la conclusione dei contratti da lui promossi e il nesso di causalità tra la sua attività di promozione e l’affare concluso.
L’art. 1749, 2° e 3° comma c.c., tutela, nel segno della trasparenza contrattuale, l’agente prevedendo una serie di doveri di informazione contabile a carico del preponente, i quali hanno anche la funzione di agevolare l’onere probatorio in capo all’agente circa la spettanza e l’entità della provvigione. Stabilisce infatti tale norma – che è inderogabile – che l’agente ha diritto di ricevere dal preponente:
- un estratto conto delle provvigioni maturate, entro l’ultimo giorno del mese successivo al trimestre nel corso del quale le provvigioni sono maturate, con indicazione di tutti gli elementi essenziali in base ai quali il conteggio dei compensi è stato effettuato;
- tutte le informazioni necessarie per verificare che l’importo delle provvigioni liquidate sia esatto e che, occorrendo, gli documenti tali informazioni consegnandogli un estratto dei libri contabili.
In sostanza, i documenti sui quali sussiste il diritto di accesso dell’agente sono:
- le fatture di vendita rilasciate alla clientela;
- la copia dei libri iva, le bolle di consegna della merce;
- le ricevute di versamento Enasarco e comunque tutti i documenti necessari per la verifica del singolo affare;
- gli estratti conto provvigionali, riferiti alla zona e al periodo nei quali l’agente ha svolto il proprio incarico.
Secondo la giurisprudenza (Cass. n. 19319/2016) l’agente è titolare di un vero e proprio diritto all’accesso ai libri contabili in possesso del preponente, che siano utili e necessari per la liquidazione delle provvigioni e per una gestione trasparente del rapporto, secondo i principi di buona fede e correttezza. Di conseguenza, il preponente, ove richiesto (anche giudizialmente), ha l’obbligo di fornire la documentazione e le informazioni richieste dall’agente al fine di consentire l’esatta ricostruzione del rapporto di agenzia.
Con riferimento alle transazioni concluse tra preponente ed agente circa la misura della provvigione spettante all’agente, l’orientamento giurisprudenziale prevalente esclude che le provvigioni rientrino tra i diritti indisponibili dell’agente, e conseguentemente ammette l’accordo tra le parti sulla misura delle provvigioni al di fuori dei limiti previsti dall’art. 2113 c.c.
19. Esibizione delle scritture contabili e consulenza tecnica
Se l’agente non ha ricevuto comunicazione dal preponente circa la conclusione e il buon fine degli affari da lui promossi, o non è stato informato circa la conclusione di affari diretti da parte del preponente nella sua zona, spesso gli unici mezzi a disposizione dell’agente per dimostrare il proprio diritto alle provvigioni sono l’esibizione delle scritture contabili del preponente e la consulenza tecnica sulle medesime scritture.
In proposito, la giurisprudenza ritiene che l’’ordine di esibizione e la consulenza possono essere concessi solo se la prova del fatto non è acquisibile aliunde, e comunque quando si tratti di fatti riscontrabili solo attraverso particolari conoscenze tecniche (come nel caso (di registrazioni contabili relative a rapporti assicurativi conclusi direttamente dalla compagnia assicuratrice).
Tali mezzi possono essere inoltre ammessi solo se l’iniziativa non ha finalità meramente esplorative, non potendo l’agente supplire al mancato assolvimento dell’onere della prova con la richiesta di esibizione o di consulenza tecnica, le quali in ogni caso non possono concernere tutti i documenti contabili relativi al rapporto controverso, ma solo documenti specificamente individuati o individuabili.
L’art. 1748 7° comma c.c. prevede infine – conformemente agli AEC – che l’agente ha diritto al rimborso delle spese di agenzia. Le spese si riferiscono sia ai mezzi di locomozione e alle trasferte che alle eventuali spese di organizzazione, in relazione a locali e magazzini, stipendi a dipendenti, provvigioni a subagenti etc.
La giurisprudenza ritiene in linea di massima ammissibile che il preponente corrisponda all’agente un importo mensile a titolo di concorso spese; tuttavia, qualora l’ammontare del rimborso spese sia elevato rispetto alle provvigioni maturate dall’agente, vi è il rischio che lo stesso possa essere considerato come una sorta di compenso minimo garantito, con conseguente riqualificazione del rapporto in lavoro subordinato.
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Avv. Valerio Pandolfini
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