Contratto di agenzia: le provvigioni per gli agenti
Il diritto dell’agente alle provvigioni per lo svolgimento dell’attività di promozione è regolato dall’art. 1748 c.c., il quale prevede che il diritto dell’agente alla provvigione sussiste essenzialmente in tre casi: per gli affari promossi direttamente dall’agente, per gli affari conclusi direttamente dalla preponente senza l’intervento dell’agente, con i clienti appartenenti ad una zona o clientela riservata all’agente, e per gli affari conclusi dal preponente, senza l’intervento dell’agente con clienti procurati in precedenza dall’agente. Correlati al compenso sono poi l’art. 1743 c.c., dedicato all’esclusiva e l’art. 1749 c.c. in tema di obblighi del preponente, tra i quali la consegna di un estratto conto delle provvigioni dovute e i termini massimi per il pagamento delle stesse. Ulteriori disposizioni sono rinvenibili nella contrattazione (AEC 2009 per il settore commercio e AEC 2014 per il settore industria). Esaminiamo la normativa in tema di provvigioni nel contratto di agenzia, alla luce dell’orientamento della giurisprudenza in materia.
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1. Il diritto alla provvigione dell’agente
Ai sensi dell’art. 1742 c.c., nel contratto di agenzia l’obbligo principale per l’agente è lo svolgimento di attività promozionale, su base stabile, per la conclusione di contratti per conto del proponente in una zona determinata e verso retribuzione.
L’onerosità è quindi una delle caratteristiche principali dell’agenzia, con la conseguenza che all’agente è dovuto un compenso per lo svolgimento della propria attività promozionale.
Il compenso, come peraltro previsto espressamente dall’art. 1748 c.c., è in genere costituito da una provvigione, cioè da una percentuale calcolata sul valore dell’affare concluso.
La misura delle provvigioni è lasciata alla libera disponibilità delle parti; per cui, al di là dei casi in cui l’importo del compenso stabilito contrattualmente in favore dell’agente sia irrisorio o meramente simbolico, il giudice non può sindacare la congruità della provvigione né ricondurla ad equità.
In mancanza di accordo tra le parti, dato che la regolamentazione collettiva (AEC) non regolamenta i criteri di calcolo della provvigione, spetterà al giudice determinarla, utilizzando le fonti integratrici di cui all’art. 1374 c.c., cioè le norme suppletive di legge, le tariffe professionali, gli usi del luogo in cui si trova la sede del preponente e, in loro mancanza, l’equità. In ogni caso, non si applica alle provvigioni spettanti all’agente il principio costituzionale relativo al diritto del lavoratore ad una retribuzione proporzionata alla quantità ed alla quantità del lavoro prestato.
Nella prassi, la provvigione può essere prevista in misura fissa, sul fatturato realizzato, o in misura variabile, con applicazioni di percentuali diverse in funzione di scaglioni di fatturato. E’ altresì possibile prevedere un compenso fisso mensile in favore dell’agente, integrato da una provvigione su base percentuale da calcolarsi sul fatturato effettivamente realizzato, in tale ultimo caso, tuttavia, è opportuno evitare che l’importo risultante dall’applicazione della percentuale provvigionale non costituisca una parte minima del compenso globalmente intesa, per evitare che il rapporto possa essere riqualificato come di lavoro subordinato.
Qualora vengano previsti anticipi provvigionali mensili – come peraltro stabilito dagli AEC – è opportuno prevedere conguagli sia in positivo che in negativo, per evitare che possa configurarsi, di fatto, un compenso fisso per l’agente, con conseguente riqualificazione del contratto in rapporto di lavoro subordinato, per mancanza dell’elemento rischio.
La misura della provvigione pattuita contrattualmente può essere modificata, ma solo dalle, parti d’accordo tra loro. Coerentemente, in giurisprudenza si è ritenuta nulla per indeterminatezza dell’oggetto, ai sensi dell’artt. 1346 e 1418 c.c., la clausola che attribuisca al preponente il potere di modificare unilateralmente le provvigioni, imponendogli esclusivamente un obbligo di preavviso. Tuttavia, gli Accordi Economici Collettivi (AEC) prevedono, entro determinati limiti e con determinate conseguenze, la facoltà del preponente di variare unilateralmente anche la misura delle provvigioni.
Oltre alla provvigione, nei contratti di agenzia spesso sono previsti incentivi in favore degli agenti, sotto forma di premi, che di norma il preponente riconosce a sua discrezione in funzioni del raggiungimento di obiettivi specifici. Tali incentivi possono essere contenuti anche in lettere a parte (side letter), caratterizzate da una durata specifica, anche svincolata da quella del contratto di agenzia.
Le spese per l’attività promozionale sono generalmente a carico dell’agente, così come previsto dall’ultimo comma dell’art. 1748 c.c., che esclude espressamente il diritto dell’agente al relativo rimborso. E’ fatta comunque salva la facoltà del preponente, ad esempio nel primo periodo di durata del contratto, di contribuire alle spese dell’agente, nella misura dallo stesso ritenuta più congrua, purché comunque proporzionata alle provvigioni effettivamente maturate dall’agente nell’espletamento della propria attività.
2. Provvigioni per gli affari promossi direttamente dall’agente.
Il primo comma dell’art. 1748 c.c. stabilisce che l’agente ha diritto alla provvigione in relazione a tutti gli affari conclusi durante il contratto, quando l’operazione è stata conclusa per effetto del suo intervento.
Deve quindi sussistere un nesso di causalità tra l’attività svolta dall’agente per la promozione dell’affare e la conclusione dello stesso da parte del preponente. Qualora invece il rapporto di causalità sia interrotto, perché l’attività svolta dall’agente non ha avuto seguito o perché comunque essa non ha avuto rilevanza nelle trattative, la conclusione dell’affare non può ricollegarsi all’attività dell’agente, il quale pertanto non ha può avanzare pretesa a percepire la provvigione.
Non vi è un obbligo del preponente di accettare ogni proposta contrattuale che gli viene trasmessa dall’agente, purché il rifiuto non sia contrario al principio della buona fede, come avviene nel caso in cui sia ingiustificato e assuma carattere sistematico.
Se è vero, infatti, che il preponente è libero di accettare o rifiutare le proposte dei clienti che gli vengono inviate dall’agente, come pure di valutare la convenienza dei singoli affari – trattandosi di una scelta imprenditoriale – è anche vero che tale libertà non può spingersi fino al rifiuto sistematico e ingiustificato di ogni proposta che gli venga fatta pervenire. In tal caso si profilerebbe infatti un’ipotesi di responsabilità del preponente e, quindi, il conseguente diritto dell’agente di agire per ottenere il risarcimento dei danni e, laddove ne ricorrano i presupposti, di chiedere la risoluzione del contratto.
Dato che il diritto dell’agente alla provvigione è subordinato ad un suo effettivo intervento nella conclusione dell’affare, è essenziale stabilire quando si possa ritenere che un affare sia realmente concluso grazie all’intervento dell’agente. Se non vi sono dubbi nel caso in cui l’agente raccoglie direttamente l’ordine dal cliente e lo trasmette al preponente, meno chiaro è il caso in cui all’attività iniziale di contatto posta in essere dall’agente faccia seguito una trattativa condotta dal preponente o da un altro agente.
Non è invece necessario verificare l’intervento dell’agente nella conclusione dell’affare, qualora a questi venga riservata una zona e l’affare venga concluso nel territorio esclusivo dell’agente; in tale ipotesi all’agente sarà comunque riconosciuta una provvigione, salvo il caso che le parti non abbiano contrattualmente deciso di escludere il diritto alle provvigioni sugli gli affari direttamente posti in essere dal preponente (v. par. 3).
Qualora un agente di zona abbia promosso affari con clienti estranei al proprio territorio, si ritiene che in tal caso non maturi alcuna provvigione in favore dell’agente, trattandosi di affari estranei all’ambito di applicazione del contratto di agenzia, tranne il fatto che le parti abbiano convenuto – espressamente o tacitamente – di far rientrare l’attività dell’agente come promozione rientrante nel contratto di agenzia.
Infine, nel caso in cui la promozione e l’esecuzione di un affare interessi zone e/o clienti affidati in esclusiva ad agenti diversi, l’AEC industria 2014 e l’AEC commercio 2009 prevedono che, salvo diverso accordo, la relativa provvigione venga riconosciuta all’agente che abbia effettivamente promosso l’affare.
3. Provvigioni per affari conclusi dal preponente (provvigioni indirette)
L’art. 1748 comma 2 c.c. prevede che il diritto alla provvigione spetta all’agente anche per tutti gli affari conclusi dal preponente direttamente all’interno della zona di esclusiva dell’agente, salvo che non sia stato diversamente stabilito dalle parti, (cd. provvigione indiretta).
Il diritto alla provvigione indiretta mira a tutelare l’agente rispetto a possibili invasioni da parte del preponente nella zona di esclusiva, finalizzate a sottrarre affari all’agente o ad appropriarsi dei risultati della sua attività promozionale. Dunque, all’agente spettano anche le provvigioni maturate sugli affari conclusi occasionalmente dal preponente nell’ambito della propria zona di esclusiva o con riferimento alla clientela oggetto dell’esclusiva stessa.
Il presupposto per il pagamento delle provvigioni indirette è quindi l’esclusiva di zona dell’agente, la quale costituisce, ai sensi dell’art. 1743 c.c. un elemento naturale del contratto e che quindi si presume sussistere nel rapporto contrattuale.
E’ fatto comunque salvo il patto contrario; ciò significa che l’agente non ha diritto alle provvigioni indirette qualora esista un patto espresso che escluda il suo diritto. Nella pratica questo avviene generalmente tramite allegazione al contratto di una lista di clienti esclusi o direzionali, nei cui confronti la casa mandante di riserva di trattare direttamente.
La condotta del preponente è lecita solo qualora la conclusione dei contratti nella zona di esclusiva dell’agente sia occasionale; il riconoscimento all’agente delle provvigioni indirette non legittima infatti la mandante ad operare nella zona di esclusiva dell’agente, direttamente o attraverso procacciatori o altri agenti. Qualora invece il preponente concluda contratti in via sistematica all’interno della zona dell’agente, si ha un inadempimento del preponente, che legittima l’agente a chiedere la risoluzione del contratto e/o il risarcimento del danno, a prescindere dal fatto che l’agente riceva comunque la provvigione indiretta.
Ai sensi della norma in oggetto, per stabilire se un affare debba essere considerato appartenente o meno alla zona di esclusiva occorre stabilire se il contratto è stato concluso dal preponente con un cliente appartenente alla zona di esclusiva riservata all’agente o comunque appartenente ai clienti riservati a quest’ultimo per effetto dell’esclusiva.
Tale criterio può dare luogo a problemi interpretativi qualora il cliente abbia più sedi in zone diverse ovvero abbia sede legale in una zona e sedi operative o commerciali in zone affidate ad agenti diversi. Sul punto la Corte di Giustizia Europea ha affermato che il cliente può dirsi appartenente alla zona di competenza dell’agente se ha la sede di svolgimento delle attività principali nell’ambito di tale zona; se invece il cliente svolga la propria attività in più luoghi o l’agente sia competente per zone diverse, potranno essere prese in considerazione altre circostanze, quali il luogo di svolgimento delle trattative o di consegna della merce (Corte Giust. CE 12.12.1996, causa C-104/95).
Il diritto dell’agente alla provvigione si estende a tutti gli affari conclusi dal preponente con clienti della zona dell’agente, cioè, aventi sede nella stessa zona, indipendentemente dal luogo di esecuzione. Così, se ad esempio un cliente ha sede legale nella zona dell’agente e sedi locali fuori della zona, qualora l’affare concluso dalla mandate con tale cliente debba essere eseguito presso le unità locali, all’agente spetterà comunque la provvigione. Il criterio di imputazione è infatti la sede del cliente e non il luogo in cui debba eseguirsi la prestazione.
La giurisprudenza ritiene che il diritto dell’agente alla provvigione indiretta presupponga che l’agente abbia espletato, sia pure in misura minima, l’incarico di promozione; la norma in esame non potrà quindi trovare applicazione nei casi in cui l’intervento del preponente sia stato causato dall’inadempimento dell’agente che non abbia svolto alcuna attività nella zona assegnata.
Nel caso in cui il cliente (grossista) effettui vendite al pubblico nella zona dell’agente, attraverso i propri punti vendita, la giurisprudenza esclude il diritto dell’agente a conseguire le provvigioni per le tali vendite, posto che l’art. 1748, comma 2, c.c., presuppone che si tratti di vendite concluse da un soggetto (il preponente), in immediato rapporto con la controparte acquirente, nelle quali, cioè, lo scambio fra le prestazioni corrispettive avvenga in maniera immediata e diretta tra le due parti, senza l’intervento di soggetti interposti e senza ulteriori passaggi intermedi.
4. Provvigioni per affari conclusi direttamente dal preponente, con clienti procurati dall’agente
L’art. 1748 comma 2 c.c. prevede che l’agente senza esclusiva, una volta che abbia trasmesso un ordine al preponente per un cliente da lui acquisito, ha diritto anche alla provvigione per gli affari che il preponente conclude in seguito, purché si tratti di affari dello stesso tipo (“affari successivi“) .
La norma è volta a tutelare i rapporti con agenti non esclusivi, ai quali spetta unicamente un compenso per gli affari da lui promossi e quindi evitare che il preponente eluda il diritto dell’agente (non esclusivo) alla remunerazione, mettendosi semplicemente in contatto diretto i clienti da questi acquisiti per affari successivi.
5. Attività accessorie, di coordinamento e di incasso dell’agente
Possono essere assegnate all’agente attività complementari e/o accessorie rispetto a quanto previsto dagli artt. 1742 e 1746 c.c., cioè attività diverse dal tipico incarico di promozione delle vendite.
Tali attività possono essere le più svariate; esempi tipici sono:
- attività di incasso;
- attività di deposito e consegna merce;
- attività di coordinamento di altri agenti;
- assistenza tecnica ai clienti.
Le attività accessorie possono essere oggetto di specifica clausola nel contratto di agenzia, possono essere pattuite con separati atti, lettere o scritture o, infine, possono essere affidate all’agente anche solo in via di fatto.
Secondo la giurisprudenza prevalente, le attività accessorie costituiscono oggetto di un contratto autonomo, ma funzionalmente collegato, con il contratto di agenzia; pertanto, tutte le vicende che riguardano il contratto di agenzia (contratto principale) si trasferiscono anche al contratto di prestazioni accessorie dell’agente (contratto dipendente) (Cass. n. 2287/2017).
Ne consegue che il corrispettivo per le attività accessorie in favore dell’agente non è compreso nelle provvigioni, in quanto il contratto avente ad oggetto le attività accessorie è autonomo (anche se collegato) rispetto al contratto di agenzia. L’agente che abbia svolto le attività accessorie ha quindi diritto a pretenderne il relativo compenso e, in caso di inadempimento da parte del preponente, può chiedere tale compenso in sede giudiziale.
In questo senso, l’AEC industria del 2014 e commercio del 2009 stabiliscono che all’agente deve essere riconosciuto un corrispettivo specifico, in forma non provvigionale.
In mancanza di pattuizione espressa delle parti circa il compenso dovuto all’agente per le attività accessorie, tale compenso viene determinato dal Giudice, ai sensi dell’art. art. 2225 c.c.
Per quanto concerne, in particolare, l’incarico di riscossione in capo all’agente, il diritto al relativo compenso in capo all’agente è subordinato al ricorrere delle seguenti condizioni:
- lo svolgimento continuativo dell’attività di incasso per conto della casa mandante;
- la responsabilità contabile da parte dell’agente, connessa all’attività di incasso;
- l’attività di incasso non deve riferirsi al mero recupero degli insoluti, intendendosi per tali le rimesse non effettuate dai clienti a favore della preponente alle scadenze risultanti dalle fatture.
Con riferimento all’attività di coordinamento di altri agenti, si tratta dell’attività di affiancamento, sostegno e supporto che un agente svolge nei confronti di altri agenti; l’agente si trova così a ricoprire un ruolo intermedio tra la forza-vendita e la direzione commerciale, e si vede generalmente attribuita la responsabilità di una determinata macro-area.
Le attività accessorie – e in particolare l’attività di coordinamento di altri agenti – devono essere svolte dall’agente in via non esclusiva e non prevalente rispetto alla ordinaria attività di promozione della conclusione dei contratti; il superamento di tali limiti comporterebbe infatti il rischio di una possibile riqualificazione del rapporto in termini di lavoro subordinato.
6. Esistenza ed esigibilità del diritto alle provvigioni per l’agente
L’art. 1748 c.c., nel testo modificato a seguito dell’attuazione della direttiva comunitaria n. 653/1986, disciplina la provvigione in favore dell’agente, distinguendo il momento in cui il relativo diritto viene ad esistenza da quello in cui esso diviene esigibile.
Con riferimento al momento acquisitivo della provvigione, l’art. 1748 1° comma c.c. prevede che l’agente ha diritto alla provvigione in relazione a tutti gli affari conclusi per effetto del suo intervento. La conclusione del contratto tra preponente e cliente costituisce quindi il fatto costitutivo della provvigione, con conseguente nascita di un diritto di credito in capo all’agente.
Ha diritto a ricevere la provvigione esclusivamente l’agente che ha promosso l’affare, non anche l’agente della zona in cui la merce è stata consegnata. Come infatti precisato dagli AEC del settore industria (art. 6, comma 10) e e del settore commercio (art. 4, comma 14), in caso di divergenza tra luogo di conclusione e luogo di esecuzione dell’affare, la provvigione deve essere attribuita all’agente che ha effettivamente promosso l’affare, salvo il diverso accordo tra le parti per un’equa ripartizione della provvigione tra l’agente che abbia procurato l’affare e l’agente operante nella zona in cui l’affare sia stato eseguito.
Con riferimento invece alla esigibilità della provvigione, l’art. 1748 4° comma c.c. prevede che, salvo che diversamente sia pattuito, la provvigione spetta all’agente dal momento e nella misura in cui il preponente ha eseguito o avrebbe dovuto eseguire la prestazione in base al contratto concluso con il terzo. Il diritto dell’agente alla provvigione matura quindi al momento dell’esecuzione della prestazione da parte del preponente (e cioè di norma al momento della consegna della merce, in caso di contratto di vendita), indipendentemente dal pagamento da parte del terzo.
La norma tutela l’agente da un lato contro il rischio dell’inadempimento del preponente, sempre che non si tratti di inadempimento dovuto a forza maggiore o a caso fortuito (cioè, a lui non imputabile), e dall’altro contro il rischio che l’inadempimento del terzo sia diretta conseguenza di quello del preponente; ne consegue che quest’ultimo non è libero dai suoi obblighi provvigionali quando il terzo non ha eseguito la sua prestazione perché lo stesso preponente non ha fornito quanto promesso.
In questo senso, l’art. 1748 comma 6 c.c. prevede che l’agente deve restituire le provvigioni riscosse, qualora sia certo che il contratto tra il cliente e il preponente non avrà esecuzione, per cause non imputabili al proponente.
Se il contratto viene eseguito solo in parte, e tale parziale esecuzione è conforme al contratto, come nel caso di pagamento rateale o di consegne ripartite, all’agente spetterà la provvigione sulla parte eseguita del contratto. Diversamente, si configura un’ipotesi di inadempimento; quindi, se è il proponente ad eseguire parzialmente la sua prestazione, salvo che l’inadempimento derivi da cause a lui non imputabili, l’agente avrà diritto alla provvigione sull’intero valore del contratto; se invece è il terzo ad eseguire parzialmente la prestazione, nulla sarà dovuto all’agente.
7. La clausola salvo buon fine
Come si è visto, come regola generale all’agente spetta la provvigione nel momento in cui il preponente esegua la propria prestazione, cioè, consegni la cosa o esegua il servizio oggetto del contratto procurato per mezzo del determinante intervento dell’agente (art. 1748, terzo comma, c.c.).
Tuttavia, tale norma è derogabile dalle parti, che possono posticipare l’esigibilità della provvigione ad un momento successivo all’adempimento del preponente.
La clausola di “salvo buon fine” consente appunto al preponente di posticipare il pagamento della provvigione all’agente sino al momento in cui il cliente ha eseguito o avrebbe dovuto eseguire la prestazione a proprio carico. In sostanza, il salvo buon fine sposta in avanti il termine di esigibilità della provvigione in favore dell’agente al momento dell’esecuzione del contratto da parte del cliente.
L’art. 1748, quarto comma, c.c. stabilisce peraltro che, in ogni caso, la provvigione spetta all’agente, al più tardi, dal momento e nella misura in cui il terzo ha eseguito o avrebbe dovuto eseguire la prestazione qualora il preponente avesse eseguito la prestazione a suo carico. Tale norma è inderogabile.
Nonostante, quindi, che le parti pattuiscano una clausola salvo buon fine, non è possibile posticipare l’esigibilità della provvigione dopo il pagamento da parte del terzo. Pertanto, qualora il mancato adempimento del cliente sia dipeso da inadempimento del preponente (il quale, ad esempio, non abbia consegnato la merce nel termine pattuito), l’agente avrà comunque diritto alla provvigione, anche qualora sia stata prevista nel contratto di agenzia una clausola di salvo buon fine. In sostanza, con questa clausola il preponente evita di pagare provvigioni su affari non eseguiti dai propri clienti.
Quello di spostare in avanti il termine di esigibilità della provvigione non è però l’unico effetto del salvo buon fine; tale pattuizione, infatti, aggiunge agli elementi costituitivi del diritto alla provvigione anche il buon fine dell’affare. Questo significa, in termini pratici, che, qualora l’agente dovesse pretendere in giudizio il pagamento delle provvigioni, dovrà dimostrare, oltre alla conclusione dell’affare, anche il buon fine dello stesso, vale a dire il pagamento da parte del cliente.
Tale pattuizione si accompagna spesso al meccanismo di anticipo provvigionale, per cui fatta salva la liquidazione delle provvigioni solo sull’incassato, il preponente versa mensilmente all’agente un acconto sui compensi. Ciò comporta la necessità di un conguaglio periodico tra le provvigioni maturate e quelle anticipate.
8. Possibilità di variazione delle provvigioni
La giurisprudenza prevalente ritiene lecita la clausola, contenuta nei dei contratti di agenzia, che consente al preponente di variare unilateralmente le condizioni contrattuali, allo scopo di adeguare il rapporto in relazione alle esigenze delle parti, così come si sono modificate durante il decorso del tempo (ad esempio in presenza di un mutamento delle condizioni di mercato, dell’introduzione di nuovi prodotti, o della loro obsolescenza, dell’ingresso sul mercato di concorrenti, dell’avvento di nuove tecnologie produttive, commerciali o distributive, etc.).
In questo senso, gli AEC prevedono a possibilità per il preponente di variare unilateralmente il contenuto economico del contratto – e quindi le provvigioni – in aumento o (come più frequentemente accade) in diminuzione, entro determinati limiti in base alla gravità della modifica proposta. In particolare, gli l’AEC Commercio del 2009 e l’AEC Industria del 2014, distinguono fra:
- variazioni di lieve entità (con modifiche fino al 5%), che possono essere realizzate senza preavviso e sono efficaci sin dal momento della ricezione della comunicazione della casa mandante. L’insieme di più variazioni di lieve entità che siano state apportate in un determinato periodo (un anno per l’AEC commercio, 18-24 mesi per l’AEC industria) si considera come unica variazione;
- variazioni di media entità (con modifiche fra 5% e 20% per l’AEC commercio e tra 5% e 15% per l’AEC industria), che possono essere realizzate previa comunicazione scritta all’agente con un preavviso di almeno due mesi per i plurimandatari o di quattro mesi per i monomandatari;
- variazioni di sensibile entità (con modifiche superiori al 20% per l’AEC commercio e al 15% per l’AEC industria), che possono essere realizzate previa comunicazione scritta all’agente con un preavviso non inferiore a quello previsto per la risoluzione del rapporto. In questo caso, qualora l’agente comunichi, entro 30 giorni, di non accettare le variazioni che modificano sensibilmente il contenuto economico del rapporto, la comunicazione dell’agente costituisce recesso con preavviso dal rapporto di agenzia, a iniziativa del preponente.
Le variazioni unilaterali della misura della provvigione da parte del preponente non possono tuttavia essere ingiustificate e/o eccessive. La giurisprudenza ritiene infatti che una modifica molto rilevante, operata unilateralmente dal preponente, delle condizioni contrattuali è legittima solo qualora ricorra un giustificato motivo – ovvero in presenza di un effettivo e rilevante cambiamento delle condizioni di mercato – e in ogni caso, in osservanza dei principi di correttezza e buona fede (Cass. n. 5467/2000). Qualora invece la modifica della provvigione contrattualmente prevista sia abnorme e ingiustificata, l’agente può recedere immediatamente per giusta causa dal rapporto.
9. Provvigioni per affari conclusi dopo la cessazione del contratto
L’art. 1748 3° comma c.c. prevede che l’agente ha diritto alla provvigione sugli affari conclusi dopo la data di scioglimento del contratto, solo in due ipotesi alternative tra di loro, e cioè:
- quando la proposta sia ricevuta dall’agente o dal preponente prima dello scioglimento del contratto;
- quando, pur essendo la proposta giunta in epoca successiva, il contratto sia stato concluso entro un termine ragionevole dallo scioglimento del rapporto e l’agente provi che l’affare è riconducibile prevalentemente alla sua attività.
La norma è volta ad evitare che il preponente possa correre il rischio di pagare una doppia provvigione: una all’agente uscente ed una a quella entrante. In caso di scioglimento del rapporto, pertanto, l’agente ha diritto alla provvigione:
- se ha inoltrato l’ordine al preponente prima dello scioglimento del contratto, oppure se il preponente lo ha ricevuto direttamente dal cliente di zona (nel caso in cui spetti all’agente la provvigione indiretta);
- negli altri casi, la provvigione è dovuta unicamente se l’affare è stato concluso entro un termine ragionevole dalla data di scioglimento del contratto e la conclusione è da ricondurre prevalentemente all’attività svolta dall’agente.
E’ controverso cosa debba intendersi per termine ragionevole, ossia quale sia la durata temporale massima affinché possa riconoscersi all’agente il diritto alla provvigione. Sul punto la giurisprudenza non è uniforme; in alcuni casi tale termine è stato fissato in sei mesi (Cass. n. 2824/2006) in altri è stato ritenuto ragionevole un termine biennale (Cass. n. 894/2013). In ogni caso, la ragionevolezza del termine deve essere parametrata anche al settore merceologico in cui l’agente ha operato ed agli usi in vigore in tale rapporto.
Gli AEC prevedono una regolamentazione dettagliata per il riconoscimento all’agente delle provvigioni per gli affari conclusi dopo la cessazione del contratto, così integrando la disciplina codicistica.
L’AEC commercio del 2009 prevede l’agente ha l’onere di relazionare dettagliatamente la preponente sulle trattative intraprese e concluse al momento della cessazione del rapporto; tale relazione ha lo scopo di agevolare l’onere probatorio a carico dell’agente con riferimento all’elemento della riconducibilità dell’affare alla sua attività, posto che dallo stato della trattativa relazionata può presumersi il requisito della prevalenza o meno dell’intervento dell’agente cessato.
Laddove le trattative e/o gli affari in corso segnalati al momento della cessazione del contratto vengano conclusi nel termine di 6 mesi dalla data di cessazione del rapporto, è garantito il diritto dell’agente alle relative provvigioni, ferma restando, comunque, la necessità che l’affare sia riconducibile alla prevalente attività dell’agente cessato. In sostanza, l’AEC prevede una sorta di presunzione semplice, in base alla quale se entro 6 mesi dalla cessazione del rapporto la trattativa va a buon fine, l’agente cessato ha diritto alle provvigioni sugli affari conclusi dopo la cessazione del rapporto; decorso il semestre, si presume che la conclusione dell’affare sia imputabile all’agente subentrato e quindi l’agente cessato non ha diritto ad alcuna provvigione. Il termine di 6 mesi è inderogabile a svantaggio dell’agente, ferma la possibilità di prevedere clausole di ripartizione della provvigione tra agente uscente ed agente entrante, entrambi intervenuti per la promozione e conclusione dell’affare.
Simile è la disciplina dell’AEC industria del 2014,secondo cui l’agente, all’atto della cessazione del rapporto, deve relazionare dettagliatamente la preponente circa le trattative commerciali intraprese, ma non concluse, a causa dell’intervenuto scioglimento del contratto di agenzia; qualora nell’arco di sei mesi dalla cessazione del rapporto, alcune di tali trattative vadano a buon fine, l’agente ha diritto alle relative provvigioni; decorso tale termine, la conclusione di ogni eventuale ordine, inserito o meno nella relazione dell’agente, non potrà più essere considerata conseguenza dell’attività da lui svolta e non viene quindi riconosciuta alcuna provvigione. Il termine di sei mesi è comunque derogabile dalle parti.
Nei casi in cui l’agente nel corso del rapporto promuova contratti di durata, il diritto alla provvigione sulle forniture effettuate in esecuzione del contratto procurato successivamente allo scioglimento del rapporto, dipende essenzialmente dalla natura del contratto di durata.
Nel caso in cui il contratto di durata sia un contratto di somministrazione, di subfornitura, ovvero un contratto di vendita a consegne ripartite, l’agente , salvo non sia stato diversamente pattuito, ha diritto alla provvigione su tutte le forniture effettuate anche a seguito dello scioglimento del contratto di agenzia, essendo questi di fatto atti di esecuzione di un contratto concluso nel corso del rapporto.
Qualora invece sia stato promosso dall’agente un contratto quadro, in cui ciascuna fornitura deve formare oggetto di un ulteriore accordo, le singole forniture dovranno essere considerate come contratti di vendita indipendenti, che non danno diritto alla provvigione (salvo che l’agente non riesca a dimostrare che tali affari sono riconducibili alla sua attività di promozione e sono stati conclusi entro un termine ragionevole).
10. Mancata esecuzione del contratto e storno di provvigioni
Il quinto comma dell’art. 1748 c.c. considera la possibilità che, dopo la conclusione del contratto, le parti si accordino per non darvi, in tutto o in parte, esecuzione, stabilendo per questa eventualità il diritto dell’agente ad una provvigione ridotta per la parte dell’affare rimasta ineseguita. Pertanto, se il preponente ed il terzo risolvono consensualmente il contratto, in tutto od in parte, ciò giustifica una riduzione del ·compenso dell’agente nella misura determinata dagli usi o, in mancanza, dal giudice secondo equità.
L’art. 1748, sesto comma c.c. prevede inoltre che l’agente è tenuto a restituire le provvigioni riscosse nell’ipotesi e nella misura in cui sia certo che il contratto non avrà esecuzione per cause non imputabili al preponente (c.d. storno provvigionale).
Affinché dunque il preponente sia autorizzato allo storno delle provvigioni già pagate all’agente occorre che dopo l’accettazione dell’affare da parte della preponente, e quindi dopo la conclusione del contratto con il cliente, il contratto stesso non venga eseguito per cause non imputabili al preponente.
La norma si riferisce all’ipotesi in cui il preponente abbia accettato l’ordine trasmesso dall’agente, così concludendo il contratto, ma non l’abbia poi eseguito; non riguarda invece il caso in cui l’agente abbia promosso l’affare e il preponente non l’abbia concluso, dato che spetta al preponente il diritto di respingere o rifiutare il perfezionamento di un determinato affare. In tal caso, secondo l’orientamento della giurisprudenza grava sul preponente l’onere di dimostrare che il contratto con il terzo non ha avuto alcuna esecuzione, per causa non imputabile al preponente stesso (Cass. 30.1.2017 n. 2289).
L’art. 1748, sesto comma c.c. stabilisce la nullità di ogni pattuizione più sfavorevole all’agente.
Sono quindi considerate nulle le clausole inserite nei contratti di agenzia – in particolare per i servizi di telefonia, fornitura di elettricità, acqua e gas – che prevedono lo storno della provvigione nel caso in cui l’affare procurato dal cliente non raggiunga un minimo di utilità economica per la preponente, sia in termini di fatturato che in termini di durata; in tal caso, infatti, non si verifica una mancata esecuzione del contratto – come previsto dal 6° comma dell’art. 1748 c.c. – ma solo il mancato raggiungimento di taluni obiettivi di politica aziendale (Cass. n. 18664/2020).
11. Onere probatorio e transazioni circa la provvigione
In base all’art. 1748 c.c., grava sull’agente l’onere di dimostrare i fatti costitutivi del proprio diritto alle provvigioni, ex art. 2697 c.c.; quindi l’agente dovrà dimostrare in particolare la conclusione dei contratti da lui promossi e il nesso di causalità tra la sua attività di promozione e l’affare concluso.
L’art. 1749, 2° e 3° comma c.c., tutela, nel segno della trasparenza contrattuale, l’agente prevedendo una serie di doveri di informazione contabile a carico del preponente, i quali hanno anche la funzione di agevolare l’onere probatorio in capo all’agente circa la spettanza e l’entità della provvigione. Stabilisce infatti tale norma – che è inderogabile – che l’agente ha diritto di ricevere dal preponente:
- un estratto conto delle provvigioni maturate, entro l’ultimo giorno del mese successivo al trimestre nel corso del quale le provvigioni sono maturate, con indicazione di tutti gli elementi essenziali in base ai quali il conteggio dei compensi è stato effettuato;
- tutte le informazioni necessarie per verificare che l’importo delle provvigioni liquidate sia esatto e, in particolare, un estratto dei libri contabili.
In sostanza, i documenti sui quali sussiste il diritto di accesso dell’agente sono:
- le fatture di vendita rilasciate alla clientela;
- la copia dei libri IVA, le bolle di consegna della merce;
- le ricevute di versamento Enasarco e comunque tutti i documenti necessari per la verifica del singolo affare;
- gli estratti conto provvigionali, riferiti alla zona e al periodo nei quali l’agente ha svolto il proprio incarico.
Secondo la giurisprudenza (Cass. n. 19319/2016) l’agente è titolare di un vero e proprio diritto all’accesso ai libri contabili in possesso del preponente, che siano utili e necessari per la liquidazione delle provvigioni e per una gestione trasparente del rapporto, secondo i principi di buona fede e correttezza. Di conseguenza, il preponente, ove richiesto (anche giudizialmente), ha l’obbligo di fornire la documentazione e le informazioni richieste dall’agente al fine di consentire l’esatta ricostruzione del rapporto di agenzia. Tale diritto dell’agente può essere soddisfatto anche tramite decreto ingiuntivo.
Con riferimento alle transazioni concluse tra preponente ed agente circa la misura della provvigione spettante all’agente, l’orientamento giurisprudenziale prevalente esclude che le provvigioni rientrino tra i diritti indisponibili dell’agente, e conseguentemente ammette l’accordo tra le parti sulla misura delle provvigioni al di fuori dei limiti previsti dall’art. 2113 c.c.
12. Esibizione delle scritture contabili e consulenza tecnica
Se l’agente non ha ricevuto comunicazione dal preponente circa la conclusione e il buon fine degli affari da lui promossi, o non è stato informato circa la conclusione di affari diretti da parte del preponente nella sua zona, spesso gli unici mezzi a disposizione dell’agente per dimostrare il proprio diritto alle provvigioni sono l’ordine di esibizione delle scritture contabili del preponente e la consulenza tecnica sulle medesime scritture.
In particolare, la consulenza tecnica ha grande rilevanza nel contenzioso avente ad oggetto il diritto alla provvigione, tanto che spesso le parti arrivano alla conciliazione della lite sulla base degli accertamenti del perito ovvero, più spesso di quanto si possa pensare, non appena la CTU venga ammessa ed il quesito sia stato formulato e, quindi, addirittura prima che le operazioni peritali abbiano avuto inizio. Ciò in quanto, una volta assunta la decisione in merito alla perizia, alla ampiezza del quesito e, soprattutto, in merito ai poteri di acquisizione documentale trasferiti al CTU, le parti sono in grado di rappresentarsi l’esito atteso della controversia con una approssimazione tale da rendere inutilmente dispendiosa la prosecuzione del giudizio.
In proposito, la giurisprudenza ritiene che l’ordine di esibizione e la consulenza possono essere concessi solo se la prova del fatto non è altrimenti acquisibile, e comunque quando si tratti di fatti riscontrabili solo attraverso particolari conoscenze tecniche (come nel caso (di registrazioni contabili relative a rapporti assicurativi conclusi direttamente dalla compagnia assicuratrice).
Tali mezzi possono essere inoltre ammessi solo se l’iniziativa non ha finalità meramente esplorative, non potendo l’agente supplire al mancato assolvimento dell’onere della prova con la richiesta di esibizione o di consulenza tecnica, le quali in ogni caso non possono concernere tutti i documenti contabili relativi al rapporto controverso, ma solo documenti specificamente individuati o individuabili.
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Avv. Valerio Pandolfini
Avvocato specializzato in tutela delle aziende dalla concorrenza sleale
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