L’indennità di fine rapporto nell’agenzia
L’art. 1751 c.c. prevede che al momento della cessazione del contratto di agenzia l’agente ha diritto a ricevere dal preponente il pagamento di una indennità di fine rapporto. La finalità dell’indennità di risoluzione del rapporto di agenzia consiste nell’esigenza di compensare l’agente per l’apporto dato alla clientela del preponente e di risarcirlo del pregiudizio subito a seguito della risoluzione, dato dalla perdita di clientela e dalle spese e oneri assunti. L’attuale formulazione della norma è la risultante di due interventi legislativi di attuazione della direttiva CE n. 653/1986. L’art. 1751 c.c. non detta alcun criterio di calcolo circa la determinazione dell’indennità dovuta all’agente al momento della cessazione del rapporto, ma si limita a stabilire un tetto massimo dell’indennità. Ciò ha fatto nascere gravi incertezze circa la determinazione delle somme spettanti all’agente. Inoltre, poiché la disciplina del codice civile è inderogabile a svantaggio dell’agente ed ha natura meritocratica, si è posto il problema della compatibilità della norma con gli AEC di settore. Al giudice è lasciato un ampio margine di discrezionalità circa i criteri di quantificazione dell’indennità di fine rapporto da adottare, con conseguente incertezza operativa che può ostacolare tra l’altro la possibilità per le parti di individuare, prima del contenzioso, soluzioni transattive.
1. L’indennità di fine rapporto: linee generali
L’art. 1751 c.c. prevede che al momento della cessazione del contratto di agenzia l’agente ha diritto a ricevere dal preponente il pagamento di una indennità di fine rapporto. L’attuale formulazione della norma è la risultante di due interventi legislativi di attuazione della direttiva CE n. 653 del 18.12.1986 (“Direttiva”), che hanno stravolto la previgente disciplina codicistica.
La ratio dell’indennità di risoluzione del rapporto di agenzia consiste essenzialmente nell’esigenza di compensare l’agente per l’apporto dato alla clientela del preponente e di risarcirlo del pregiudizio subito a seguito della risoluzione, dato dalla perdita di clientela e dalle spese e oneri assunti.
Infatti, l’attività dell’agente costituisce, in misura ancora maggiore rispetto a quella del lavoratore subordinato, un elemento dell’organizzazione produttiva dell’impresa preponente, che contribuisce al suo incremento patrimoniale. Inoltre, l’agente normalmente sviluppa la clientela del preponente, procurando nuovi clienti, per cui al momento dello scioglimento del contratto può perdere, quanto meno in parte, questa clientela e le provvigioni su affari futuri che lo stesso preponente potrà concludere con la medesima, subendo dunque un danno a seguito della cessazione del rapporto.
2. L’indennità di fine rapporto: la disciplina alla Direttiva
Il testo originario dell’art. 1751 c.c. prevedeva il diritto dell’agente a vedersi riconosciuta, al momento della cassazione del rapporto, una indennità la cui misura era prevista dalla contrattazione collettiva ed il cui importo veniva calcolato sulla base delle provvigioni liquidate e percepite dall’agente stesso in costanza di rapporto. Tale indennità veniva corrisposta solo in caso di rapporto a tempo indeterminato e solo allorché la risoluzione non fosse imputabile a fatto e colpa dell’agente. L’originaria disciplina era dunque affine con quella in tema di indennità di anzianità nel rapporto di lavoro subordinato.
La L. n. 911/1971, con l’obiettivo di dare all’indennità di fine rapporto caratteristiche di retribuzione differita, estese poi il diritto dell’agente a vedersi corrisposto tale emolumento a tutte le ipotesi di scioglimento del rapporto a tempo indeterminato.
Gli AEC successivi al 1971 prevedevano due distinte voci, svincolate da ogni valutazione meritocratica circa l’attività prestata dall’agente:
- l’indennità di risoluzione del rapporto (c.d. FIRR), da corrispondere sempre e comunque alla cessazione del rapporto, con liquidazione a carico dell’Enasarco, presso cui il preponente – anno per anno – doveva accantonare le relative somme da determinarsi in percentuale sulle provvigioni;
- l’indennità suppletiva di clientela, commisurata alle provvigioni liquidate in corso di rapporto e direttamente proporzionale alla durata del rapporto stesso; tale indennità veniva corrisposta solo allorché il rapporto veniva interrotto su iniziativa del preponente e senza che fosse riscontrabile un inadempimento dell’agente che fosse stato causa di risoluzione del rapporto medesimo.
3. La regolamentazione dell’indennità di fine rapporto nella Direttiva: a) i criteri generali
La Direttiva ha regolato l’indennità in modo completamente diverso dalla normativa italiana fino ad allora vigente. L’art. 17 della Direttiva consente agli Stati membri di optare per due soluzioni alternative, ispirate alla normativa tedesca e a quella francese:
- il diritto alla riparazione del pregiudizio causatogli dalla cessazione del rapporto di agenzia (c.d. compensation system: art. 17 3° comma);
- il diritto a un’indennità compensativa dei vantaggi arrecati al preponente nel corso del rapporto e delle provvigioni perse a causa della sua cessazione, nei limiti dell’importo massimo dell’equivalente di un anno di provvigioni (c.d. goodwill indemnity: art. 17 2° comma). In tal caso, la concessione della indennità non priva l’agente della facoltà di chiedere il risarcimento dei danni (art 17, comma 2° lettera c).
Il rapporto tra tali due opzioni è stato chiarito dalla sentenza della Corte di Giustizia del 3 dicembre 2015 (causa C-338/2014, Quenon K. vs Beobank – Metlife), la quale ha affermato che l’art. 17 comma 2° della Direttiva non osta ad una normativa nazionale che dispone che l’agente commerciale abbia diritto, al momento dell’estinzione del contratto, sia ad un’indennità di un importo massimo limitato a un anno della sua retribuzione sia, laddove tale indennità non copra integralmente il danno effettivamente subito, alla concessione di un risarcimento per danni ulteriori.
Tuttavia, la Corte ha precisato che il diritto al risarcimento dei danni non può duplicare quanto già costituisce la base di calcolo per la determinazione dell’indennità, e quindi non può contemplare la perdita di provvigioni in seguito alla cessazione del contratto, ma deve consistere in qualcosa di diverso e ulteriore. La Corte ha inoltre precisato che la Direttiva non subordina l’attribuzione del diritto al risarcimento del danno alla dimostrazione di un illecito imputabile al preponente, che presenti un nesso causale con il danno invocato dall’agente, ma esige soltanto che un danno per l’agente vi sia, che dipenda dalla cessazione del contratto di agenzia e che sia distinto da quello risarcito dall’indennità.
4. La regolamentazione dell’indennità di fine rapporto nella Direttiva: b) i presupposti dell’indennità
La seconda alternativa prevista dalla Direttiva, che è stata poi scelta dal legislatore italiano, prevede il diritto dell’agente ad un’indennità dopo la cessazione del rapporto a condizione che:
- l’agente abbia procurato nuovi clienti al preponente o sviluppato gli affari con quelli esistenti;
- il preponente riceva ancora sostanziali vantaggi derivanti dagli affari con tali clienti;
- il pagamento dell’indennità sia equo in considerazione di tutte le circostanze del caso, ed in particolare delle provvigioni perse dall’agente con riferimento ai clienti apportati o sviluppati.
L’art. 18 della Direttiva stabilisce inoltre che il trattamento di fine rapporto non è dovuto nelle seguenti ipotesi:
- quando il preponente risolve il contratto per un inadempimento dell’agente che giustifichi la risoluzione immediata secondo le normative nazionali;
- quando l’agente recede dal rapporto, tranne il caso in cui il recesso sia giustificato da circostanze attribuibili al preponente o particolari circostanze attribuibili all’agente (età, infermità o malattia), qualora tali circostanze siano tali da non rendere ragionevolmente concepibile la prosecuzione dell’attività; c) quando, a seguito di un accordo intervenuto tra agente e preponente, l’agente cede ad un terzo il contratto di agenzia.
5. La relazione della Commissione Ce del 23.7.1996
La relazione della Commissione Ce del 23.7.1996 sull’applicazione dell’art. 17 della Direttiva prevede che il calcolo dell’indennità debba avvenire nel seguente modo:
- Innanzitutto, occorre accertare il numero dei nuovi clienti e/o di quelli incrementati (clienti del preponente con i quali il fatturato è almeno raddoppiato) che sussistono ancora al termine del rapporto di agenzia.
- Si calcola la provvigione di competenza degli ultimi 12 mesi con tali clienti.
- Si procede ad una stima (di norma si considera un periodo di 2-3 anni, fino a un massimo di 5 anni) della probabile durata futura dei vantaggi che deriveranno al proponente dagli affari con i nuovi clienti e con la clientela intensificata, tenendo conto del settore in cui opera la preponente e della situazione di mercato.
- Prendendo come base la provvigione degli ultimi 12 mesi, si calcola la provvigione che sarebbe spettata all’agente nei successivi anni (variabili da 2 a 5) decurtandola di una percentuale (cd. tasso di migrazione) che tiene conto della quota di clientela che si allontana naturalmente e viene perduta con il passare del tempo.
- L’importo così ottenuto deve essere poi ridotto in considerazione del pagamento anticipato, decurtandolo di una somma pari ai tassi medi di interesse applicati in ciascun paese; infatti se si trattasse di normali provvigioni queste sarebbero riscosse dall’agente non tutte insieme ma in base al periodo di maturazione.
La somma così ottenuta deve poi subire degli aggiustamenti per motivi di equità, sulla base di diversi fattori, quali ad esempio:
- l’eventuale colpa dell’agente;
- la diminuzione del fatturato del proponente;
- l’ampiezza dei vantaggi derivati al proponente;
- l’esistenza del patto di non concorrenza (in questo caso l’indennità sarà più elevata);
- l’andamento del mercato;
- gli investimenti pubblicitari e promozionali del preponente.
L’importo così calcolato deve essere quindi confrontato con quello massimo previsto dall’art. 17 della Direttiva, cioè la media annuale degli ultimi 5 anni.
6. L’attuazione della Direttiva in tema di indennità di fine rapporto
Il legislatore italiano ha provveduto all’attuazione della Direttiva in un primo tempo attraverso il D.lgs. n. 303/1991, che ha sostituito integralmente il testo dell’art. 1751 c.c., adottando la soluzione ispirata alla legge tedesca.
Il nuovo testo era tuttavia contrastante con la Direttiva, in quanto prevedeva in via alternativa le due condizioni dell’apporto e sviluppo di clientela con sostanziali vantaggi per’ il preponente e della rispondenza ad equità, indicate invece dall’art. 17 della Direttiva come necessarie entrambe ai fini del sorgere del diritto all’indennità. Inoltre, il legislatore aveva eliminato il precedente riferimento alla contrattazione collettiva quale fonte per la determinazione dei criteri di quantificazione dell’indennità, non riportando nell’art. 1751 c.c. il generale criterio previsto dall’art. 17 della Direttiva, che indicava la misura delle condizioni necessarie per il sorgere del diritto come metro per la sua quantificazione nel singolo caso concreto.
Nell’intento di colmare la lacuna normativa e garantire all’agente un sistema di maggior favore rispetto alle previsioni di legge, venivano quindi emanati gli AEC 1992 (cd. “accordi ponte”), i quali sostanzialmente confermavano i precedenti AEC, prevedendo la precedente indennità di risoluzione del rapporto, versata all’ENASARCO, e la precedente indennità di clientela. Gli AEC 1992 approntavano quindi una regolamentazione anch’essa non in linea con i criteri previsti dalla Direttiva, in quanto veniva in alcun modo valorizzata la componente meritocratica.
A seguito di una procedura di infrazione aperta dalla Commissione CE nei confronti dell’Italia, per la non corretta attuazione della Direttiva, è stato emanato il D.lgs. n. 303/1999, che ha modificato ulteriormente l’art. 1751 c.c.
7. L’art. 1751 c.c.
La nuova formulazione dell’art. 1751 c.c. intervenuta a seguito del D.lgs. n. 303/1999 ed attualmente in vigore, prevede che il preponente è tenuto a corrispondere all’agente un’indennità al momento della cessazione del rapporto quando ricorrono entrambe le seguenti condizioni (diversamente dal lavoratore subordinato, al quale il TFR è dovuto in ogni caso ex art. 2120 c.c.):
- l’agente deve aver procurato nuovi clienti al preponente o avere sensibilmente sviluppato gli affari con i clienti esistenti (cioè il fatturato) e il preponente deve ricevere ancora sostanziali vantaggi derivanti dagli affari con tali clienti (cioè deve continuare ad intrattenere rapporti commerciali con tali clienti);
- il pagamento di tale indennità deve essere equo, tenuto conto di tutte le circostanze del caso, in particolare delle provvigioni che l’agente perde e che risultano dagli affari con tali clienti.
Il codice civile prevede quindi un’indennità di carattere squisitamente meritocratico, in quanto il diritto alla sua percezione nasce solo qualora l’agente abbia procurato nuovi clienti al preponente (confrontando i clienti del preponente momento dell’inizio del rapporto contrattuale di agenzia con quelli che sono i clienti al momento dello scioglimento), oppure abbia sensibilmente sviluppato gli affari con i clienti esistenti (confrontando il fatturato realizzato dall’agente all’inizio del rapporto con i clienti che erano già propri del preponente, con quello realizzato allo scioglimento del rapporto con gli stessi clienti), sempre che il preponente continui anche dopo la fine del rapporto a trarre vantaggio dalla clientela nuova o intensificata (e quindi sempre che il preponente continui a intrattenere rapporti commerciali con tali clienti, per un apprezzabile lasso di tempo).
In questo senso, dunque, la norma mira a premiare l’agente che abbia conseguito risultati tangibili, significativi e duraturi; il raggiungimento di ottimi risultati in costanza di rapporto non è condizione sufficiente al riconoscimento dell’indennità, come può accadere nel caso, non infrequente, in cui la clientela nuova o sviluppata dall’agente migri con lui all’esito della cessazione del rapporto agenziale seguendolo in un nuovo rapporto con un diverso preponente.
8. L’onere probatorio dell’agente
L’onere di dimostrare l’esistenza dei presupposti dell’indennità di fine rapporto è in capo all’agente, in ossequio all’onere impostogli dall’art. 2697 c.c..
Generalmente, la dimostrazione del requisito attinente alla clientela nuova o sviluppata viene fornita attraverso l’esibizione in giudizio del fatturato sviluppato dall’agente negli anni di collaborazione il preponente, dato che l’andamento in ascesa dello stesso è indice del vantaggioso consolidamento della clientela in capo alla controparte. Solitamente anche la lunga durata della collaborazione è una circostanza idonea a dimostrare (indirettamente) la proficuità della collaborazione tra le parti; se il rapporto non fosse stato, infatti, vantaggioso per il preponente, lo stesso non si sarebbe protratto per un lungo periodo di tempo.
La dimostrazione dell’equità del pagamento dell’indennità viene poi generalmente fornita attraverso l’allegazione di una serie di circostanze, tra le quali, oltre all’ammontare delle provvigioni che l’agente ha perso in seguito alla risoluzione del rapporto, la durata del rapporto, l’esistenza del patto di non concorrenza e le modalità di scioglimento del rapporto; a quest’ultimo proposito è rilevante, nell’ipotesi di recesso dell’agente per giusta causa, il complessivo comportamento del preponente, tale da aver costretto l’agente al recesso per non essere stata possibile la prosecuzione (nemmeno provvisoria) del rapporto.
Viceversa, incide negativamente sul diritto all’indennità l’effettuazione di investimenti pubblicitari da parte del preponente, in misura massiccia o comunque superiore alla media.
Ai sensi dell’art. 1751 co. 5 c.c., l’agente decade dal diritto a percepire l’indennità se non comunica al preponente l’intenzione di far valere i propri diritti entro un anno dallo scioglimento del rapporto. Il diritto all’indennità si prescrive in 10 anni.
9. I casi in cui l’agente non ha diritto all’indennità di fine rapporto
L’art. 1751 co. 2 c.c. prevede – in linea con la direttiva comunitaria – che l’agente non ha diritto all’indennità di fine rapporto nelle seguenti ipotesi.
1) Quando il preponente risolve il contratto per un inadempimento dell’agente che, che, per la sua gravità, non consenta la prosecuzione anche provvisoria del rapporto. La ratio della previsione risiede nell’evitare che l’agente determini, con comportamenti strumentali, l’interruzione del rapporto contrattuale al fine di percepire l’indennità.
Dato che, come si vedrà, il comma 6 dell’art. 1751 prevede l’inderogabilità dell’art. 1751 c.c. a svantaggio dell’agente, non è possibile prevedere contrattualmente, attraverso una clausola risolutiva espressa, casi lievi d’inadempienza dell’agente che legittimano il preponente a risolvere il contratto rifiutando di corrispondere l’indennità. Pertanto, ferma restando la possibilità di risolvere automaticamente il contratto all’operare della clausola risolutiva, ai fini del diritto all’indennità di fine rapporto occorre comunque valutare la gravità dell’inadempimento, non essendo decisiva la valutazione compiuta dalle parti al momento della conclusione del contratto e non essendo comprimibile il diritto dell’agente all’indennità di fine rapporto, al di là dei casi di inadempimento oggettivamente grave.
2) Quando l’agente recede dal contratto di agenzia. Se dunque l’agente pone termine di propria iniziativa alla relazione contrattuale, l’indennità non gli spetta – salvo che in alcuni casi eccezionali – indipendentemente dall’apporto che abbia dato allo sviluppo della rete distributiva e agli affari del preponente. La norma mira ad evitare che l’agente determini l’interruzione del rapporto contrattuale al solo fine di percepire l’indennità.
Il legislatore prevede tuttavia due eccezioni alla regola secondo cui l’agente che recede dal contratto non ha diritto all’indennità di fine rapporto:
- quando il recesso, pur provenendo dall’agente, è giustificato da circostanze attribuibili al preponente, cioè quando ricorrono circostanze anche diverse dall’inadempimento (quali ad es. la precarietà finanziaria del preponente-cessionario d’azienda, o una riduzione del portafoglio-prodotti a disposizione dell’intermediario);
- quando il recesso, pur provenendo dall’agente, è giustificato da circostanze attribuibili all’agente, quali età, infermità o malattia, per le quali non può più essergli ragionevolmente chiesta la prosecuzione dell’attività.
Come chiarito dalla giurisprudenza, l’indennità spetta all’agente nelle sole ipotesi caratterizzate da impedimento assoluto dell’attività, che giustifichi il recesso; qualora invece l’agente receda per avere raggiunto il limite di età per il pensionamento di vecchiaia, non spetta all’agente l’indennità, ferma la possibilità delle parti di modificare la previsione in favore dell’agente.
3) Quando l’agente cede il contratto, previo accordo con il preponente. L’agente – con il consenso del preponente – può sostituire a sé un’altra persona, la quale diventa nuova parte del contratto di agenzia. In tale situazione non spetta all’agente uscente l’indennità di fine rapporto; il contratto viene infatti proseguito da un nuovo agente, il quale – al termine del contratto stesso – avrà diritto all’indennità. Nella prassi spesso l’agente subentrante corrisponde una certa somma all’agente uscente, come “premio” per la possibilità di sostituirlo, e che verrà recuperata una volta che il preponente corrisponderà al secondo agente l’indennità di fine rapporto.
L’art. 1751 c.c. prevede inoltre che l’agente ha diritto, in aggiunta all’indennità, all’eventuale risarcimento dei danni. A quest’ultimo proposito, la giurisprudenza è orientata a ritenere che i danni previsti dalla norma siano diversi ed ulteriori rispetto a quelli che già trovano soddisfazione nell’indennità, e quindi non spettino in ogni caso in conseguenza della cessazione del rapporto negoziale, ma siano connessi, ad es., alla violazione dei doveri informativi, al mancato pagamento dì provvigioni maturate, a fatti di denigrazione professionale, alla ingiuriosità del recesso del preponente, alla induzione dell’agente prima della risoluzione del rapporto a oneri e spese di esecuzione del contratto poi risolto.
10. La determinazione dell’indennità di fine rapporto: a) impostazione del problema
L’art. 1751 comma 6 c.c. prevede che la disciplina del codice civile è inderogabile a svantaggio dell’agente; pertanto, agente e preponente potranno prevedere nel contratto una diversa regolamentazione dell’indennità soltanto qualora ciò comporti per l’agente un trattamento migliore rispetto alla normativa codicistica.
L’art. 1751 c.c. non detta tuttavia alcun criterio di calcolo circa la determinazione dell’indennità dovuta all’agente al momento della cessazione del rapporto, ma si limita a stabilire un tetto massimo dell’indennità, la quale non può essere superiore ad un’indennità annua calcolata sulla base:
- della media annuale delle provvigioni riscosse dall’agente negli ultimi cinque anni, se il contratto è stato stipulato da almeno 5 anni;
- della media di provvigioni nel periodo di riferimento, se il contratto è stato stipulato da meno di 5 anni.
L’indennità di fine rapporto ai sensi dell’art. 1751 c.c. non può quindi superare la media delle provvigioni riconosciute all’agente negli ultimi 5 anni (o nel minor periodo se il rapporto ha durata inferiore). Nel calcolo delle provvigioni non sono comprese le somme corrisposte all’agente a titoli di rimborso spese.
Gli AEC del 2002 – emanati in sede di rinnovo degli Accordi Ponte del 1992 – prevedevano, si aggiunta alle voci già previste in precedenza, una ulteriore indennità, c.d. indennità meritocratica, la quale spettava solo allorché la somma tra la indennità di risoluzione del rapporto e quella di clientela fosse inferiore al tetto massimo previsto dall’art. 1751 c.c. (media delle provvigioni maturate dall’agente nel periodo di riferimento).
Il fatto che l’art. 1751 c.c. non indichi il quantum dell’indennità, precisandone solo il tetto massimo, ha fatto nascere gravi incertezze circa la determinazione delle somme spettanti all’agente. Inoltre, l’inderogabilità in peius delle condizioni previste dall’art. 1751 c.c. e la natura meritocratica assunta dall’indennità a seguito delle modifiche legislative, hanno fatto sorgere il problema della compatibilità del nuovo sistema con gli AEC.
11. Gli orientamenti giurisprudenziali prima della Direttiva
Poiché i calcoli dell’indennità effettuati sulla base degli AEC e dell’art. 1751 c.c. potevano dare luogo a risultati diversi, si era posto il problema di stabilire se l’indennità di fine rapporto prevista dagli AEC fosse migliorativa o meno rispetto alla disciplina del codice civile, perché soltanto in questo caso la prima sarebbe stata applicabile ai rapporti di agenzia, stante il divieto di deroga peggiorativa per l’agente previsto dall’art.1751 c.c. Sul punto si erano delineati in giurisprudenza due diversi orientamenti.
L’orientamento maggioritario, formatosi in epoca antecedente agli AEC del 2002, riteneva che il sistema indennitario previsto dagli AEC fosse legittimo ed applicabile in luogo dell’art. 1751 c.c. e, comunque, maggiormente garantista rispetto a quello previsto da quest’ultima norma. Si evidenziava infatti che l’art. 1751 c.c. limita l’erogazione della indennità di cessazione alla rigorosa e simultanea sussistenza di requisiti c.d. “meritocratici” che spetta all’agente provare; la norma codicistica, inoltre, non prevede un criterio di quantificazione della indennità ma unicamente un limite massimo. Ciò suggeriva che il legislatore avesse inteso rimettere alla contrattazione collettiva la quantificazione dell’indennità senza prevedere che la stessa fosse quantificata sulla base dell’incremento di clientela o degli affari in relazione alla clientela preesistente. Tale orientamento riteneva, inoltre, che la valutazione della disciplina più garantista per l’agente dovesse essere operata ex ante, ovvero all’atto della costituzione del rapporto, confrontando in astratto le due regolamentazioni.
Un secondo orientamento, minoritario, affermava invece l’illegittimità degli AEC, ritenendo maggiormente favorevole l’art. 1751 c.c. in base al rilievo che la norma codicistica tende a riconoscere l’indennità a quegli agenti che abbiano procurato sostanziali vantaggi alla preponente, mentre gli AEC riconoscerebbero, in misura fissa, un trattamento standard anche agli agenti mediocri, ma al pari di quelli meritevoli; la disciplina degli AEC pertanto, potrebbe considerarsi più favorevole solo per gli agenti mediocri, che non avrebbero, cioè, i requisiti di meritevolezza richiesti dalla norma codicistica.
Secondo tale orientamento, il richiamo al principio di equità imporrebbe di operare una valutazione ex post e non già ex ante, facendo riferimento al risultato economico conseguibile in concreto dall’agente al momento della risoluzione del rapporto.
È possibile scaricare esempi e tabelle di calcolo per la determinazione dell’indennità di fine rapporto nell’agenzia, cliccando qui.
12. La determinazione dell’indennità di fine rapporto: b) la sentenza della Corte di giustizia Ce 23.3.2006
Stante il contrasto giurisprudenziale venutosi a creare, la Cassazione, con ordinanza del 14.10.2004, nell’ambito di una controversia derivante dalla cessazione di un contratto di agenzia a seguito del recesso ordinario del preponente, con richiesta dell’agente di un’indennità di fine rapporto pari al limite massimo di cui all’ art. 1751 c.c., ha ritenuto di sottoporre alla Corte di Giustizia CE due questioni pregiudiziali.
La prima questione atteneva all’interpretazione da attribuirsi al testo dell’art. 19 della Direttiva, che prevede l’impossibilità per le parti di derogare, prima della scadenza del contratto, agli artt. 17 e 18 della direttiva stessa a detrimento dell’agente; la Corte doveva in sostanza stabilire se, nonostante il divieto di deroga in peius fissato dall’art. 19, potesse considerarsi legittimo sostituire l’indennità di cessazione del rapporto, così come prevista dalla Direttiva, con un’indennità determinata secondo criteri diversi, in applicazione di un AEC.
Con la seconda questione pregiudiziale, si chiedeva di precisare se i criteri di quantificazione dell’indennità dovessero essere determinati in modo analitico, oppure con un criterio di tipo sintetico, che valorizzasse l’equità, prendendo quale punto di partenza dei conteggi il limite massimo previsto dalla Direttiva.
Con sentenza del 23 marzo 2006 (cd. sentenza Honyvem), la Corte di Giustizia delle Comunità Europee, dopo aver dichiarato che gli Stati membri, con riferimento al criterio dell’equità, possono esercitare il loro potere discrezionale quanto alla scelta delle modalità di calcolo dell’indennità, ha statuito che la Direttiva deve essere interpretata nel senso che l’indennità di fine rapporto non possa essere sostituita, in applicazione di un AEC, da un’indennità determinata secondo criteri diversi da quelli fissati dall’art. 17 della Direttiva stessa, a meno che non risulti provato che l’applicazione dell’AEC garantisca all’agente un’indennità pari o superiore a quella che risulterebbe dall’applicazione della norma comunitaria.
Di conseguenza, ad avviso della Corte, gli AEC sono applicabili solo nella misura in cui il calcolo dell’indennità effettuato sulla base dei criteri previsti dagli stessi non peggiorano la posizione dell’agente rispetto ai calcoli effettuati in base al Codice civile. Qualora invece l’applicazione degli AEC riduca l’ammontare dell’indennità, l’agente ha diritto a chiedere l’applicazione dei criteri fissati dall’art. 1751 c.c.
Se dunque durante l’istruttoria si dimostri che l’agente ha svolto la propria attività con profitto (cioè ha procurato nuovi clienti al preponente o ha sensibilmente sviluppato gli affari con i clienti esistenti e il preponente riceve ancora sostanziali vantaggi derivanti dagli affari con tali clienti), il giudice dovrà valutare se l’indennità riconosciuta in base agli AEC sia equa, tenendo presente i meriti dell’agente e il tetto massimo stabilito dall’art. 1751 c.c.
La Corte, aderendo ai dettami dell’orientamento giurisprudenziale italiano fino ad allora maggioritario, precisa inoltre che deve operarsi una valutazione ex ante in ordine alla maggiore o minore convenienza per l’agente della norma pattizia.
Con riferimento alla seconda questione pregiudiziale, la Corte ha anzitutto osservato che l’art. 17, pur costituendo un regime imperativo, non contiene indicazioni dettagliate riguardanti le modalità per il calcolo dell’indennità. L’assenza di tali indicazioni comporta quindi che i singoli Staiti membri, pur nel rispetto dei criteri previsti dall’art. 17 della Direttiva, godono di un potere discrezionale liberamente esercitabile al fine di stabilire le modalità di calcolo dell’indennità, anche in relazione all’utilizzo del criterio dell’equità, nei limiti del rispetto dei principi stabiliti dall’ art. 17 della Direttiva.
13. La determinazione dell’indennità di fine rapporto: c) la giurisprudenza successiva alla sentenza della Corte di giustizia Ce 23.3.2006
Successivamente alla pronuncia della Corte di Giustizia del 2006, la Cassazione si è più volte pronunciata in merito alla compatibilità con la Direttiva comunitaria dei criteri di quantificazione dell’indennità di fine rapporto previsti dagli AEC precedenti al 2009, affermando che l’indennità, come determinata secondo i criteri della Direttiva comunitaria, non può essere sostituita, in applicazione di un AEC, da un’indennità determinata secondo criteri diversi, a meno che non sia provato che l’applicazione di tale accordo garantisca, in ogni caso, all’agente un’indennità superiore a quella che risulterebbe dall’applicazione di tale disposizione.
La Cassazione ha poi precisato che l’art. 1751 c.c. deve essere interpretato nel senso che il giudice deve sempre applicare la normativa che assicuri all’agente, alla luce delle vicende del rapporto concluso, il risultato migliore; l’inderogabilità a svantaggio dell’agente comporta che l’importo determinato dal giudice ai sensi della normativa legale deve prevalere su quello, inferiore, spettante in applicazione di regole pattizie, individuali o collettive.
La S.C. si è quindi discostata dall’interpretazione proposta dalla corte comunitaria, che imponeva una valutazione in astratto di eventuali deroghe alla disciplina prevista dall’art. 17 della Direttiva, affermando che la valutazione relativa al maggior o minor favore del trattamento di fine rapporto previsto dagli AEC deve essere effettuata con un criterio ex post, che tenga conto del miglior risultato raggiungibile sulla base delle concrete modalità di svolgimento del rapporto, sulla scorta delle circostanze emerse a rapporto concluso.
In sostanza dunque il giudice, una volta verificata l’esistenza dell’apporto e dello sviluppo della clientela, con sostanziali vantaggi per il preponente, dovrà verificare, tenendo conto di tutte le circostanze emergenti dal concreto svolgimento del rapporto, se l’indennità calcolata sulla base dei criteri previsti dalla contrattazione collettiva possa considerarsi o meno equa, cioè compensativa del merito dell’agente, nel limite di cui all’art. 1751, 3° comma, c.c.
Un agente che abbia, in costanza di rapporto, evidenziato ottimi risultati, riscontrabili anche all’esito della cessazione del rapporto e di cui la preponente continui a ricevere benefici in termini di ampliamento e/o sviluppo della clientela avrà interesse a vedersi riconosciuta l’indennità di cui all’art. 1751 c.c. e non già quella di cui agli AEC (sempre che riesca a dimostrare che gli spetti in concreto tale indennità); viceversa, un agente non particolarmente attivo in costanza di rapporto avrà interesse ad invocare la tutela indennitaria di cui agli AEC che non prevede, al contrario della norma codicistica, la sussistenza di tali condizioni di meritevolezza.
La S.C. non ha tuttavia chiarito come debba avvenire nel concreto la comparazione tra la quantificazione dell’indennità secondo i criteri previsti dagli AEC e quella secondo l’art. 1751 c.c., dato che quest’ultima norma non contiene criteri legali per la quantificazione dell’indennità, limitandosi a stabilire un parametro di valutazione che rinvia all’equità. Allo stato, dunque, al giudice di merito è lasciato un ampio margine di discrezionalità circa i criteri di quantificazione da adottare, con conseguente incertezza operativa che può ostacolare tra l’altro la possibilità per le parti di individuare, prima del contenzioso, soluzioni transattive.
14. Le sentenze della Corte di giustizia Ce 26.3.2009 e 28.10.2010
Con la sentenza 26 marzo 2009, la Corte di Giustizia è tornata a pronunciarsi sull’interpretazione dell’art. 17 della Direttiva, stabilendo che tale norma non consente che il diritto dell’agente all’indennità di fine rapporto sia limitato alle perdite di provvigioni risultanti dalla cessazione del rapporto, anche quando i vantaggi mantenuti dal preponente debbano essere ritenuti superiori.
La Corte è pervenuta a tale affermazione precisando che l’art. 17 della Direttiva ha istituito un vero e proprio sistema procedurale, articolato in 3 fasi:
- quantificazione dei vantaggi derivanti al preponente dalle operazioni con i clienti procurati dall’agente;
- verifica dell’equità dell’importo così determinato, in considerazione di tutte le circostanze del caso concreto ed in particolare delle provvigioni perse dall’agente;
- eventuale ridimensionamento dell’importo laddove risulti superiore all’annualità di retribuzioni sulla media di quelle percepite negli ultimi 5 anni o nell’intero contratto, se di durata inferiore.
Le tre fasi procedurali delineate dalla Corte dovrebbero costituire un parametro di riferimento per la giurisprudenza ai fini della quantificazione dell’indennità di fine rapporto certo, e dovrebbero permettere di effettuare una concreta valutazione comparativa di tutti gli ulteriori metodi alternativi elaborati dalla contrattazione individuale e da quella collettiva.
Con un’ulteriore pronuncia in data 28 ottobre 2010, la Corte di Giustizia ha fornito un chiarimento in ordine all’esatta interpretazione dell’art. 18 lett. a), della Direttiva comunitaria, affermando che un agente non può essere privato dell’indennità di clientela qualora il preponente dimostri l’esistenza di un inadempimento di tale agente, verificatosi dopo la notifica del recesso dal contratto mediante preavviso e prima della scadenza di quest’ ultimo, che avrebbe potuto giustificare un recesso immediato dal contratto.
La Corte ha evidenziato che l’art. 18 lett. a) della Direttiva consente di non riconoscere all’agente l’indennità qualora il preponente risolva il contratto per un’inadempienza imputabile all’agente avente determinate caratteristiche di gravità. Per poter escludere il diritto dell’agente all’indennità è necessario riscontrare un nesso di causalità diretta tra l’inadempimento imputabile all’agente e la decisione del preponente di porre termine al contratto.
Tuttavia, dato che la norma comunitaria in questione costituisce un’eccezione alla regola generale relativa al diritto dell’agente ad ottenere un’indennità, laddove il preponente venga a conoscenza di un grave inadempimento dell’agente solo dopo la cessazione del rapporto, non è possibile utilizzare tale norma per escludere il diritto dell’agente all’indennità.
La Corte ha precisato peraltro che l’inadempimento dell’agente, ancorché scoperto dal preponente solo dopo la cessazione del rapporto, può incidere sulla quantificazione dell’indennità da parte del giudice, attraverso l’utilizzo del criterio di equità, e pertanto può produrre un risultato potenzialmente analogo al venir meno del diritto all’indennità.
15. L’indennità di fine rapporto nell’AEC commercio 2009 e nell’AEC industria del 2014: a) il FIRR
A seguito della sentenza della Corte di giustizia del 2006 si è posta l’esigenza di modificare la disciplina delle indennità prevista dagli AEC, per renderla conforme ai criteri indicati dalla direttiva e ribaditi dalla sentenza della Corte di Giustizia e consentirne pertanto una corretta applicabilità al contratto di agenzia. Gli AEC più recenti, introducendo un’indennità “meritocratica”, hanno sanato la discrepanza con i criteri di liquidazione previsti dall’art. 1751 c.c., elevando il tetto economico raggiungibile dall’agente.
In concreto, come si è già visto, alla luce della giurisprudenza prevalente (v. par. 13), ai fini del calcolo dell’indennità di fine rapporto si applica sempre la normativa che assicura all’agente, alla luce delle vicende del rapporto concluso, il risultato migliore. Pertanto, l’indennità prevista dagli AEC è dovuta qualora l’agente non riesca a dimostrare che gli spetta una indennità di importo maggiore sulla base dei requisiti – più rigidi e di difficile prova – previsti dall’art. 1751 c.c. (v. par. 7), rappresentando quindi una sorta di trattamento minimo garantito.
Ciò permesso, gli AEC commercio 2009 e industria 2014 suddividono l’indennità in tre diversi emolumenti:
- L’indennità di risoluzione del rapporto (FIRR):
- L’indennità suppletiva di clientela (ISC);
- L’indennità meritocratica.
Il Fondo Indennità Risoluzione Rapporto (FIRR) è un accantonamento obbligatorio presso la Fondazione Enasarco, a carico delle mandanti e in favore dei propri agenti. Alla cessazione del contratto, Enasarco liquida direttamente all’agente le somme accantonate, indipendentemente da eventuali incrementi di clientela o fatturato, tranne il caso in cui l’agente abbia indebitamente trattenuto somme spettanti al preponente, o abbia commesso atti di concorrenza sleale o abbia violato l’esclusiva.
Il FIRR è calcolato sulla base delle provvigioni maturate e liquidate e delle altre somme eventualmente corrisposte all’agente (a titolo di rimborso spese o premi) fino alla data di cessazione del rapporto, in misure percentuali ed entro limiti massimi specificamente stabiliti, in base al tipo di contratto (monomandatario o plurimandatario) e della durata del mandato in mesi.
FIRR dell’agente monomandatario:
- 4% sulle provvigioni fino a 12.400,00 euro/anno
- 2% sulla quota delle provvigioni tra 12.400,01 e 18.600,00 euro/anno
- 1% sulla quota delle provvigioni oltre 18.600,01 euro/anno
FIRR dell’agente plurimandatario:
- 4% sulle provvigioni fino a 6.200,00 euro/anno
- 2% sulla quota delle provvigioni tra 6.200,01 e 9.300.00 euro/anno
- 1% sulla quota delle provvigioni oltre 9.300,01 euro/anno
La liquidazione del FIRR all’agente è automatica, nel senso che una volta che il preponente abbia comunicato la cessazione del rapporto, l’Enasarco dovrà provvedere al pagamento di quanto dovuto all’agente. Qualora il preponente non provveda ad effettuare la dovuta comunicazione, l’agente potrà attivarsi direttamente inviando all’Ente di Previdenza apposita richiesta. Se il rapporto di agenzia si scioglie per le gravi violazioni contrattuali da parte dell’agente (violazioni che fanno perdere a quest’ultimo il diritto all’indennità) le somme già versate presso l’ENASARCO a titolo di FIRR devono essere restituite.
Alla risoluzione del rapporto, il FIRR maturato nell’ultimo periodo ma non ancora versato all’Enasarco viene erogato direttamente all’agente. Così ad es. viene liquidato all’agente il FIRR dell’anno solare precedente se la cessazione del rapporto avviene prima del 31 marzo o l’indennità maturata in corso d’anno se la cessazione avviene prima della fine dell’anno stesso.
16. L’indennità di fine rapporto nell’AEC commercio 2009 e nell’AEC industria del 2014: b) l’indennità suppletiva di clientela
Il secondo emolumento spettante all’agente, in aggiunta al FIRR, è costituito dall’indennità suppletiva di clientela. Tale indennità è sempre dovuta all’agente, alla cessazione del contratto di agenzia, tranne nell’ipotesi in cui il contratto si sciolga per fatto a lui imputabile o si risolva consensualmente; essa non spetta quindi all’agente che receda volontariamente dal contratto (tranne il caso in cui il recesso sia assistito da giusta causa o dovuto a causa di forza maggiore) o quando la cessazione del rapporto sia dovuto a recesso del preponente per colpa dell’agente che costituisca grave inadempimento e non consenta la prosecuzione del rapporto. Anche l’indennità suppletiva di clientela non è quindi collegata a valutazioni relative all’attività dell’agente connessa allo sviluppo e al mantenimento della clientela nel tempo.
I presupposti per il diritto all’indennità suppletiva di clientela sono unque i seguenti, alternativi tra loro:
- il contratto si scioglie per recesso del preponente e per fatto non imputabile all’agente; rientra in questa ipotesi anche il rifiuto espresso dall’agente alle modifiche della zona, dei prodotti o delle provvigioni che comportino una variazione del fatturato superiore al 20%; in questo caso infatti, qualora l’agente comunichi entro 30 giorni dalla richiesta fattagli dalla mandante non accettare le variazioni che modificano sensibilmente il contenuto economico del rapporto, la comunicazione del preponente costituisce preavviso per la cessazione del rapporto ad iniziativa della casa mandante, e l’agente conserva il diritto alle indennità di cessazione, tra cui la suppletiva di clientela.
- il contratto si scioglie ad iniziativa dell’agente, per circostanze attribuibili al preponente; i fatti imputabili al preponente possono essere anche diversi da quelli che giustificano il recesso dell’agente, e possono anche non riguardare direttamente l’inadempimento del contratto di agenzia da parte del preponente, pur essendo comunque riferibili a quest’ultimo; come ad esempio nei casi di obsolescenza dei prodotti della preponente rispetto a quelli della concorrenza, di incapacità della preponente di dare regolare seguito agli affari procurati dall’agente, o deterioramento della situazione patrimoniale della preponente che possa indurre a ritenere a rischio la continuità aziendale.
- il contratto di scioglie ad iniziativa dell’agente per malattia, infermità per cui non possa ragionevolmente richiedersi la prosecuzione del rapporto; tale ipotesi riguarda solo gli agenti che operano in forma individuale e non quelli costituiti in forma societaria.
- il contratto si scioglie ad iniziativa dell’agente per il raggiungimento dei requisiti per il pensionamento Enasarco o INPS: anche questa ipotesi riguarda solo gli agenti che operano in forma individuale, per cui per gli agenti che svolgano l’attività in forma di società, anche di persone, il pensionamento del socio non dà diritto al percepimento dell’indennità suppletiva di clientela.
- in caso di morte dell’agente: questa ipotesi riguarda solo gli eredi dell’agente costituito in forma individuale e non anche del socio della società titolare del contratto di agenzia.
In linea generale quindi, in caso di recesso dell’agente per motivi personali, l’agente non ha diritto all’indennità suppletiva di clientela. Gli AEC prevedono tuttavia alcune eccezioni rispetto alla perdita del diritto all’indennità suppletiva di clientela in caso di dimissioni da parte dell’agente di commercio.
In particolare, gli AEC Industria del 2014 e Commercio del 2009 prevedono che l’agente mantiene il diritto all’indennità suppletiva di clientela anche nel caso di recesso dovuto a:
- invalidità permanente e totale;
- infermità e/o malattia che non consentano la prosecuzione del rapporto;
- avvenuto conseguimento della pensione di vecchiaia Enasarco o INPS.
Sempre che questi eventi si verifichino dopo almeno un anno di durata del contratto.
L’indennità suppletiva di clientela viene calcolata sull’ammontare globale delle provvigioni maturate – per le quali, quindi, è sorto il diritto al pagamento a favore dell’agente – per l’intera durata del rapporto di agenzia, anche se tali somme non sono state ancora corrisposte al momento della cessazione del rapporto. Nel computo rientrano anche le somme riconosciute all’agente a titolo di rimborso o di concorso spese o di premio.
Gli AEC prevedono un sistema a scaglioni che varia a seconda dell’anzianità di servizio. In particolare, l’indennità è calcolata come segue:
- 3% sulle provvigioni maturate nei primi tre anni di durata del rapporto di agenzia;
- 3,50% dal quarto al sesto anno compiuto;
- 4% sulle provvigioni maturate negli anni successivi.
La somma del FIRR e dell’indennità suppletiva di clientela non incorre nel limite massimo previsto dall’art. 1751 3° co. c.c. (media provigionale annuale); quindi FIRR e indennità suppletiva di clientela sono dovute anche se superano tale limite, separatamente o congiuntamente. Ad esempio, ipotizzando che la media provvigionale annuale dell’agente sia di 30.000,00 E., il FIRR sia pari a 20.000,00 E. e l’indennità suppletiva di clientela sia pari a 25.000,00 E., la somma di tale due ultime voci, pari a E. 45.000,00 verrà corrisposta per intero, anche se eccedente la media provvigionale annuale.
17. L’indennità meritocratica nell’AEC commercio 2009
Il terzo emolumento spettante all’agente è l’indennità meritocratica, che, analogamente a quanto previsto dall’art. 1751 c.c., spetta all’agente, in aggiunta ai primi due emolumenti, se vi è stato apporto e sviluppo di clientela e se sussistono vantaggi sostanziali per il preponente derivanti dagli affari con tali clienti.
I presupposti per il diritto dell’agente a percepire l’indennità meritocratica sono gli stessi di quelli previsti per l’indennità suppletiva di clientela, già esposti (v. par. 16), ovvero:
- il contratto si scioglie per iniziativa della preponente e per fatto non imputabile all’agente;
- il contratto si scioglie ad iniziativa dell’agente per circostanze attribuibili alla preponente;
- il contratto di scioglie ad iniziativa dell’agente per malattia, infermità per cui non possa ragionevolmente richiedersi la prosecuzione del rapporto;
- il contratto si scioglie ad iniziativa dell’agente per il raggiungimento dei requisiti per il pensionamento Enasarco o INPS;
- in caso di morte dell’agente.
l’AEC stabilisce che l’indennità meritocratica:
- può essere corrisposta soltanto se la somma di FIRR e indennità suppletiva di clientela è inferiore al tetto massimo indicato dall’art. 1751 c.c. (media delle provvigioni riconosciute all’agente negli ultimi 5 anni o nel minor periodo se il rapporto ha durata inferiore);
- non può essere maggiore della differenza tra il tetto massimo di cui all’art. 1751 c.c. (media delle provvigioni riconosciute all’agente negli ultimi 5 anni o nel minor periodo se il rapporto ha durata inferiore) e la somma di FIRR e indennità suppletiva di clientela.
Qualora dunque l’agente, dopo una lunga e soddisfacente carriera lavorativa, subisca un calo di provvisioni negli ultimi anni, l’agente maturerà certamente rilevanti importi di FIRR e indennità suppletiva di clientela, ma il tetto massimo ai sensi dell’art. 1751 c.c. (media delle provvigioni riconosciute all’agente negli ultimi 5 anni o nel minor periodo se il rapporto ha durata inferiore) con ogni probabilità sarà inferiore alla somma di questi ultimi due, escludendo di fatto il diritto all’indennità meritocratica.
La misura dell’indennità meritocratica è calcolata in base della durata del rapporto, applicando una percentuale di incremento delle provvigioni maturate nel corso del rapporto stesso. In particolare, il metodo di calcolo dell’indennità meritocratica nell’AEC commercio 2009 è così strutturato.
Deve innanzitutto essere individuato il valore reale dell’incremento del fatturato (intendendo come fatturato il volume delle vendite effettuato dal preponente nella zona o per la clientela affidata all’agente), confrontando un valore iniziale, pari al fatturato iniziale della zona o dei clienti affidati all’agente all’inizio del rapporto, attualizzato con l’applicazione dei coefficienti di rivalutazione Istat relativi al costo della vita per le famiglie di operai e impiegati, con uno finale pari al fatturato al termine del rapporto, da determinarsi a seconda della durata del rapporto, come da tabella riportata nei materiali (vedasi tabella n. 2 nei materiali).
A seconda della percentuale di incremento e della durata del rapporto si ottiene una somma di un importo percentuale variabile dal 25% al 100% sull’indennità massima stabilita dall’art.1751 c.c. (la media provvigionale degli ultimi 5 anni), secondo la tabella riportata nei materiali (vedasi tabella n. 3 nei materiali).
Dalla somma ottenuta deve infine sottrarsi l’importo del FIRR e dell’indennità suppletiva di clientela.
Potete visionare le tabelle per la determinazione dell’indennità meritocratica secondo l’AEC commercio cliccando qui.
18. L’indennità meritocratica nell’AEC industria 2014
L’AEC industria del 2014 prevede invece il seguente metodo di calcolo dell’indennità meritocratica:
- si individua il cd. “periodo di prognosi”, che serve a stimare il periodo durante il quale la preponente continuerà a trarre vantaggi dall’attività del proprio agente;
- si determina il cd. “tasso di migrazione” della clientela, in base alla tipologia di agente e alla durata del rapporto (vedasi tabella n. 2-bis nei materiali);
- si sottrae, per il primo anno del periodo di prognosi, il tasso di migrazione dal valore dell’incremento di provvigioni. Per gli anni successivi del periodo di prognosi, il tasso di migrazione deve essere sottratto dal valore determinato per l’anno di prognosi precedente;
- si diminuisce forfetariamente l’importo così ottenuto di una percentuale pari al: (i) 10% per contratti di agenzia di durata pari o inferiore a 5 anni; (ii) 15% per contratti di agenzia di durata superiore a 5 anni e pari o inferiore a 10 anni; (iii) 20% per contratti di agenzia di durata superiore a 10 anni.
Se l’importo così calcolato è superiore al massimo calcolato ai sensi dell’art. 1751 c.c., allora l’indennità meritocratica sarà pari all’indennità massima ex art. 1751 c.c.
Potete visionare le tabelle per la determinazione dell’indennità meritocratica a seconda l’AEC industria cliccando qui.
19. Le modalità di corresponsione dell’indennità meritocratica nell’AEC commercio 2009
L’AEC commercio del 2009 dispone, rifacendosi in parte alle previsioni di cui all’art. 1751 c.c., che l’indennità meritocratica non è dovuta nelle due seguenti ipotesi:
- in caso di recesso dell’agente, salvo che lo stesso non sia giustificato da circostanze attribuibili al preponente o all’agente, quali età, infermità o malattia, per le quali non può più essergli ragionevolmente chiesta la prosecuzione dell’attività;
- in caso di cessione del contratto da parte dell’ agente a favore di un terzo, previo accordo con il preponente.
Il richiamo delle ipotesi previste nell’ art. 1751 c.c. è solo parziale, in quanto non è menzionata la risoluzione del rapporto su iniziativa del preponente per un inadempimento imputabile all’ agente di tale gravità da non consentirne la prosecuzione, neppure provvisoria.
Come è stato osservato in dottrina, tale lacuna non trova giustificazione, considerato che l’indennità suppletiva di clientela ha quale presupposto lo scioglimento del contratto su iniziativa del preponente per fatto non imputabile all’agente; pertanto, qualora l’indennità suppletiva non risultasse dovuta a fronte della cessazione del contratto per fatto imputabile all’agente, ritenere ciò nonostante riconoscibile l’indennità meritocratica in presenza di aumento di fatturato finirebbe di fatto per vanificare il mancato riconoscimento dell’indennità suppletiva, posto che la meritocratica viene determinata per differenza rispetto a quanto riconosciuto a titolo di FIRR e indennità suppletiva.
Il riconoscimento dell’indennità suppletiva di clientela e dell’indennità meritocratica è subordinato a due condizioni:
- la corresponsione dei relativi importi deve essere effettuata entro 60 giorni dalla cessazione del rapporto, presso la Commissione di conciliazione competente per territorio;
- contestualmente al pagamento deve essere redatto un verbale di conciliazione sindacale, al fine di evitarne l’impugnativa ex art. 2113 C.c., con successivo deposito presso la DPL territorialmente competente ex 410 e 411 C.p.c. Il FIRR è invece dovuto indipendentemente dall’avvenuta sottoscrizione del verbale sindacale.
Pertanto, il riconoscimento dell’indennità suppletiva di clientela e dell’indennità meritocratica è condizionato all’accordo tra le parti in ordine alla quantificazione e alla stipula tra le stesse di un verbale di conciliazione che definisca la vertenza in maniera incontrovertibile. La finalità della duplice condizione è data dall’esigenza di evitare potenziali contenziosi derivante dalla quantificazione dell’indennità, paralizzando, in particolare, la pretesa dell’agente di ottenere la differenza tra quanto già percepito ai sensi degli AEC e la maggior somma che dimostri eventualmente di aver diritto a titolo di indennità ex art. 1751 c.c.
Qualora l’agente rifiuti di sottoscrivere il verbale di conciliazione perde il diritto a percepire l’indennità suppletiva di clientela e l’indennità meritocratica e può agire esclusivamente per ottenere l’indennità prevista dal Codice civile, con tutti i problemi probatori che ciò comporta.
20. Le modalità di corresponsione dell’indennità meritocratica nell’AEC industria 2014
Secondo l’AEC industria 2014, l’indennità meritocratica non è dovuta se il contratto si scioglie per un fatto imputabile all’agente. Non si considera imputabile all’agente il recesso in caso di:
- accertati gravi inadempimenti della preponente;
- invalidità permanente e totale;
- infermità e/o malattia che non consentano la prosecuzione del rapporto;
- conseguimento della pensione di vecchiaia o vecchiaia anticipata Enasarco o INPS.
Nel caso in cui l’indennità meritocratica sia inferiore alla somma del FIRR e dell’ISC, dovranno essere liquidate all’agente esclusivamente queste ultime due indennità. Qualora invece l’indennità meritocratica dovuta sia superiore alla somma del FIRR e dell’ISC, si dovranno liquidare:
- il FIRR e l’ISC in misura integrale;
- l’indennità meritocratica, sottraendo da quest’ultima l’importo dovuto a titolo di FIRR e di ISC.
Pertanto, in tale ipotesi l’agente avrà diritto ad un importo pari all’indennità meritocratica.
Qualora la somma del FIRR e dell’ISC sia superiore all’importo massimo determinato ai sensi dell’art. 1751 c.c., la preponente non dovrà liquidare al proprio agente l’indennità meritocratica. Quest’ultima rappresenta così una voce ulteriore in grado di inglobare le altre indennità di fine rapporto spettanti all’agente (FIRR e ISC).
È possibile scaricare esempi e tabelle di calcolo per la determinazione dell’indennità di fine rapporto nell’agenzia, cliccando qui.
Per approfondire i nostri servizi di assistenza e consulenza in tema di contratti commerciali, visionate la pagina dedicata del nostro sito .
Avv. Valerio Pandolfini
Avvocato specializzato in Diritto commerciale
Per altri articoli di approfondimento su tematiche attinenti il diritto d’impresa: visitate il nostro blog.
Le informazioni contenute in questo articolo sono da considerarsi sino alla data di pubblicazione dello stesso; le norme regolatrici la materia potrebbero essere nel frattempo state modificate.
Le informazioni contenute nel presente articolo hanno carattere generale e non sono da considerarsi un esame esaustivo né intendono esprimere un parere o fornire una consulenza di natura legale. Le considerazioni e opinioni riportate nell’articolo non prescindono dalla necessità di ottenere pareri specifici con riguardo alle singole fattispecie.
Di conseguenza, il presente articolo non costituisce un (né può essere altrimenti interpretato quale) parere legale, né può in alcun modo considerarsi come sostitutivo di una consulenza legale specifica.