Il rapporto di lavoro tra soci e società: socio d’opera, lavoro subordinato, socio di cooperativa
I soci possono prestare attività lavorativa in favore della società principalmente in qualità di soci d’opera, o di lavoratori subordinati. Il tema della coesistenza in capo allo stesso soggetto del ruolo di socio e lavoratore subordinato nella medesima realtà pone numerosi interrogativi. In particolare, il fulcro attorno a cui ruota l’intera tematica è quello della compatibilità tra il vincolo della subordinazione e posizione di socio. In questo articolo, dopo avere analizzato la figura del socio d’opera, esaminiamo le differenze che fra società di persone e società di capitali per ciò che attiene al lavoro subordinato dei soci, soffermandoci in particolare sulla situazione del c.d. socio di cooperativa.
1. Il socio d’opera
Il socio d’opera è colui che si obbliga nei confronti della società, a titolo di conferimento, a svolgere una determinata attività o servizio. (manuale o intellettuale) e quindi di attività lavorativa. Il socio d’opera presta dunque la propria opera a titolo di partecipazione societaria, a tempo determinato o per tutta la durata della società, ed è titolare degli stessi poteri sociali degli altri soci.
La riforma delle società del 2003, modificando profondamente la disciplina previgente, ha reso possibile, così come lo era già per le società di persone, i conferimenti d’opera al capitale delle S.r.l. ed ha previsto per le S.p.A., dove tali conferimenti al capitale sono esplicitamente vietati, la possibilità di emettere, accanto alle azioni con prestazioni accessorie, altri strumenti finanziari con cui si remunera l’apporto da parte dei soci o di terzi anche di opere e servizi (art. 2346 c.c.).
Nel caso del socio d’opera la prestazione lavorativa non viene quindi resa in forza di un contratto di lavoro, ma è prevista dal contratto sociale. Il socio d’opera non è quindi un lavoratore subordinato e non ha diritto al trattamento salariale e previdenziale proprio dei lavoratori subordinati; il compenso per il suo lavoro è rappresentato dalla partecipazione al guadagno della società. Il socio d’opera corre perciò il rischio di lavorare invano, così come il socio che ha apportato capitale rischia di non ricevere alcun corrispettivo per l’uso sociale del proprio danaro.
Nel conferimento d’opera, l’interesse del conferente è quello di diventare socio pur essendo privo dei mezzi finanziari o patrimoniali. Eseguendo la prestazione d’opera il conferente libera la sua quota senza alcun esborso economico. Diversamente, con le azioni con prestazioni accessorie, l’interesse del conferente non può essere quello di diventare socio senza mezzi, in quanto tali azioni devono essere necessariamente liberate da conferimenti in denaro o in natura (art. 2345 c.c.), ma è quello di ricevere una remunerazione aggiuntiva per le prestazioni accessorie che esegue a favore della società.
L’interesse della società conferitaria è invece di tipo organizzativo, in quanto, inserendo i prestatori d’opera nella compagine sociale, si aggregano risorse economiche ed umane nel vincolo del rapporto sociale, a beneficio della produttività dell’impresa, in quanto i prestatori-soci hanno una maggiore motivazione per il buon andamento economico della società. La società emittente, inoltre, si può assicurare le prestazioni dei fornitori legandole allo status di socio e garantendosi maggiormente l’esatto, e continuo, adempimento da parte del socio-fornitore.
Il socio che conferisce la propria opera, dunque, riveste la stessa veste del socio che conferisce capitale, in quanto, alla stregua degli altri soci, contribuisce al conseguimento del risultato comune, partecipa all’organizzazione e alla gestione dell’impresa quale contitolare della stessa, accetta i rischi relativi in proporzione del valore del suo apporto, ponendosi in una posizione incompatibile con la subordinazione
Sul socio d’opera grava inoltre il rischio dell’impossibilità di svolgimento della prestazione, anche per causa a lui non imputabile. Infatti, gli altri soci possono escluderlo “per la sopravvenuta inidoneità a svolgere l’opera conferita” (artt. 2286, 2° comma), restando sotto tale profilo equiparato al socio che ha conferito il godimento di un bene.
In sede di liquidazione della società, il socio d’opera partecipa – in proporzione alla sua parte nei guadagno – solo alla ripartizione dell’eventuale attivo che residua dopo il rimborso del valore nominale del conferimento ai soci che hanno apportato capitali (denaro, beni in proprietà, crediti); non ha invece diritto, salvo diversa pattuizione, al rimborso del valore del suo apporto, ovvero a percepire, in prededuzione, una somma di denaro pari al valore globale dei servizi prestati in società.
2. Il rapporto di lavoro subordinato tra soci e società
L’art. 2094 c.c. definisce il prestatore di lavoro subordinato come colui che si obbliga mediante retribuzione a collaborare nell’impresa, prestando il proprio lavoro intellettuale o manuale alle dipendenze e sotto la direzione dell’imprenditore.
La giurisprudenza ha da tempo chiarito che elemento fondamentale per qualificare il rapporto di lavoro dipendente è la subordinazione, intesa come vincolo di natura personale – configurabile con intensità ed aspetti diversi in relazione alla maggiore o minore elevatezza delle mansioni e alla natura delle stesse – che assoggetta il prestatore di lavoro al potere direttivo e disciplinare del proprio datore, con conseguente limitazione della sua autonomia.
L’elemento della subordinazione è verificabile direttamente, ovvero attraverso una serie di indici caratterizzanti il lavoro subordinato, quali:
- la subordinazione del prestatore di lavoro al poter direttivo, disciplinare e di controllo del datore di lavoro;
- il rispetto di un orario di lavoro fisso e predeterminato;
- la percezione di una retribuzione predeterminata così come le modalità di erogazione della stessa, definita dal CCNL;
- l’assenza del rischio sul risultato della prestazione;
- l’inserimento stabile nell’organizzazione aziendale (organigramma e funzionigramma);
- lo svolgimento della prestazione lavorativa in modo continuativo.
Tali indici devono essere considerati non individualmente bensì globalmente ed unitamente, al fine di stabilire la natura del rapporto di lavoro.
Ciò premesso, lo status di socio di società è astrattamente compatibile con la configurazione di un rapporto di lavoro subordinato tra socio e società; quest’ultimo si configura diversamente a seconda che si tratti di società di capitali o di persone.
2.1 Le società di capitali
Nelle società di capitali (S.p.A., S.r.l., S.a.p.A.). la personalità giuridica autonoma della società rispetto a quella dei soci, e la netta distinzione fra la posizione del socio e quella della società sia sotto il profilo giuridico che economico, rendono possibile configurare lo svolgimento di una prestazione di lavoro subordinato da parte dei soci, laddove prestino attività operativa in favore della società.
In giurisprudenza è infatti consolidato il principio per cui la qualità di socio di società di capitali non sia di per sé incompatibile con la posizione di lavoratore dipendente del socio stesso, purché sia ravvisabile in concreto tra società e socio un effettivo vincolo di subordinazione. Ciò si verifica quando il socio – lavoratore è soggetto al potere organizzativo, direttivo e disciplinare dell’organo preposto all’amministrazione della società (CdA o amministratore unico), caratterizzato dalla emanazione di ordini specifici oltre che dall’esercizio di una assidua attività di vigilanza e di controllo della esecuzione delle prestazioni lavorative (Cass. 19 gennaio 2021 n. 813).
In altri termini, la subordinazione tra socio e società può ravvisarsi soltanto qualora l’organo preposto all’amministrazione della società conservi un potere direttivo nei confronti del socio, libero da condizionamenti provenienti dallo stesso socio – dipendente. In caso contrario, nonostante la formale sussistenza di tutti gli indici presuntivi del rapporto di lavoro subordinato – retribuzione periodica, osservanza di un orario di lavoro, utilizzo di mezzi esclusivamente del datore di lavoro, etc. – non può dirsi esistente un rapporto di lavoro subordinato, per mancanza dell’elemento caratterizzante la fattispecie di cui all’art. 2094 c.c.
Qualora il socio sia titolare della maggioranza del capitale sociale (c. d. “socio egemone”), la giurisprudenza prevalente ritiene che la qualità di socio non sia di per sé ostacolo alla sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato tra socio e società, purché in concreto sia provata l’esistenza di un vincolo di subordinazione almeno potenziale tra lo stesso e l’organo sociale preposto all’amministrazione.
Pertanto, nel caso in cui il socio, attraverso la detenzione della maggioranza del capitale sociale, sia in grado di decidere circa la nomina e la revoca degli amministratori, l’irrogazione di sanzioni disciplinari, l’assunzione de lavoratori ed il loro licenziamento, etc., deve escludersi l’esistenza di un vincolo di subordinazione tra società e socio, data la possibilità di quest’ultimo di interferire con il pieno e libero svolgimento della volontà degli organi amministrativi. In concreto, in tali casi un rapporto di subordinazione tra socio e società può configurarsi solo qualora lo statuto richieda maggioranze qualificate, tali da impedire al socio di maggioranza di conformare le decisioni dell’assemblea, per ciò che attiene in particolare alla nomina e revoca degli amministratori.
La compatibilità tra la figura del lavoratore subordinato e quella di socio della società di capitali è inoltre esclusa qualora:
- la società di capitali sia unipersonale, cioè vi sia un azionista unico;
- il socio lavoratore sia qualificabile come un socio “sovrano”, ovvero colui il quale, in ragione della propria partecipazione rilevante al capitale sociale, abbia la maggioranza assembleare o possa condizionare la nomina di amministratori e sindaci o ancora possa condizionare l’andamento dell’intera società, anche sotto il profilo giuslavoristico, esercitando i poteri direttivo, organizzativo e disciplinare, tipici del datore di lavoro; tale socio non può essere infatti dipendente della società quando di fatto ne abbia assunto l’effettiva ed esclusiva titolarità dei poteri di gestione;
- sia presente il c.d. “socio tiranno”, che può disporre della maggioranza del capitale sociale, rendendo di fatto la società priva della propria personalità giuridica e trasformandola in un bene personale che persegue interessi del socio, anche diversi da quelli che dovrebbero essere propri della persona giuridica.
L’attività, di carattere personale, che il socio può svolgere come prestatore d’opera, si distingue dalle prestazioni accessorie. L’art. 2345 c.c. prevede che l’atto costitutivo di una S.p.A. può stabilire a carico di un socio, oltre all’obbligo dei conferimenti, anche l’obbligo di eseguire prestazioni accessorie non consistenti in danaro. L’atto costitutivo ne deve determinare il contenuto, la durata, le modalità e il compenso. Le prestazioni accessorie possono consistere anche in attività di carattere personale, simili a quelle che potrebbe rendere un prestatore d’opera.
Peraltro, le prestazioni accessorie non possono essere utilizzate in modo fraudolento per occultare un vero e proprio rapporto di lavoro subordinato, allo scopo di eluderne la disciplina imperativa.
2.2 Le società di persone
Nelle società di persone (S.n.c., S.a.s., società semplici), la compatibilità tra rapporto societario e rapporto di lavoro subordinato si può ormai considerare riconosciuta sulla base del principio generale che la società di persone, essendo un soggetto di diritto, dotato di autonomia patrimoniale, anche se non di personalità giuridica, si configura come centro di imputazione di interessi, e, quindi, come tale, può validamente instaurare rapporti giuridici obbligatori con i singoli soci.
Si attribuisce, infatti, alle società di persone una forma di soggettività tale per cui è possibile individuare un rapporto, diverso da quello societario, nel quale la società non soltanto assume la veste di datore di lavoro di un socio, ma anche l’eventuale responsabilità di chi ha agito per essa.
In concreto, gli indici che qualificano il rapporto di lavoro come subordinato sono:
- l’attività lavorativa prestata dal socio deve essere diversa dal conferimento previsto dal contratto sociale;
- il socio deve svolgere l’attività lavorativa sotto la direzione e il controllo di altro socio, munito di effettivi poteri di supremazia, esercitati, non soltanto nei confronti dei terzi, ma anche all’interno della società, o, quantomeno, nei suoi confronti.
La retribuzione non è considerata sufficiente, in sé e per sé, a qualificare il rapporto di prestazione d’opera, potendo costituire soltanto una parziale ed anticipata liquidazione degli utili sociali, anche se si tratta di un emolumento periodico e di ammontare invariabile.
Ciò che occorre verificare è la sussistenza di un legame gerarchico tra il socio e anche soltanto uno degli amministratori, e dimostrare che l’accentramento dei poteri disciplinari e di controllo in capo ad uno o più determinati soggetti, che li esercitano nei confronti di altri, e che, tra l’altro, devono manifestarsi in atti concreti e in ordini specifici, non costituiscano una mera ripartizione dei compiti sulla base della professionalità di ciascun socio per un più efficace perseguimento dell’oggetto sociale, ma un centro autonomo di formazione della volontà imprenditoriale.
Con riferimento a tale ultimo profilo, devono essere richiamati i criteri identificativi della subordinazione e gli indici sussidiari della stessa così come elaborati nel corso del tempo dalla giurisprudenza. In particolare, la giurisprudenza ha chiarito che il potere direttivo deve estrinsecarsi con indicazioni specifiche, non essendo sufficienti le mere indicazioni di carattere programmatico. Il compimento di atti di amministrazione, o la partecipazione alle scelte gestionali della società, non sono invece, in linea di principio, ostative all’esistenza di un rapporto di lavoro subordinato (Cass. 21 giugno 2010 n. 14906).
Per quanto concerne le S.a.s., caratterizzate, come noto, dalla doppia categoria di soci accomandanti e accomandatari, il socio accomandante può essere titolare di un rapporto di lavoro subordinato, qualora sussistano i requisiti della subordinazione sopra esposti, sempre che l’attività prestata dallo stesso non rientri, neanche in parte, nel conferimento previsto dal contratto societario. I soci accomandanti rischiano infatti nell’attività sociale soltanto la quota di partecipazione, alle uniche condizioni di non contravvenire al divieto di compiere atti di amministrazione e di non far comparire il loro nome nella ragione sociale, nel qual caso, dovendo rispondere illimitatamente e solidalmente verso terzi, si troverebbero nella posizione di incompatibilità con quella dei lavoratori dipendenti. Resta altresì fermo che non si può legittimamente instaurare un rapporto di lavoro dipendente qualora l’accomandante risulti titolare della maggioranza del capitale sociale.
Viceversa, per il socio accomandatario, a cui è conferito il potere di amministrazione della società, sussiste incompatibilità con l’istaurazione di un rapporto di lavoro subordinato con la società.
3. Il socio lavoratore di cooperativa
3.1. La società cooperativa di produzione e lavoro
Una distinta e peculiare ipotesi è quella del socio di società cooperativa. La società cooperativa è un modello di società, assimilabile per diversi aspetti a quelle di capitali, in cui assume particolare importanza il rapporto personale dei singoli soci, i quali entrano nella società cooperativa per fini di mutualità.
Lo scopo mutualistico (art. 2511 c.c.) è l’elemento che differenzia la società cooperativa dalle altre tipologie di società. Le società cooperative possono essere a mutualità prevalente o a mutualità non prevalente.
Le prime – che possono essere destinatarie di agevolazioni pubbliche – svolgono prevalentemente attività a vantaggio dei soci, consumatori o utenti di beni e servizi, e per la realizzazione dell’oggetto sociale si avvalgono soprattutto del lavoro dei propri soci. Ai sensi dell’art. 2513 c.c., gli amministratori ed i sindaci devono documentare la condizione di prevalenza nella nota integrativa al bilancio, evidenziando contabilmente i seguenti parametri:
- i ricavi dalle vendite dei beni e dalle prestazioni di servizi verso i soci, che devono essere superiori al 50% del totale dei ricavi delle vendite e delle prestazioni, ai sensi dell’art. 2425, primo comma, punto A1;
- il costo del lavoro dei soci, che deve essere superiore al 50% del totale del costo del lavoro di cui all’art. 2425, primo comma, punto B9 computate le altre forme di lavoro inerenti lo scopo mutualistico (è questo il parametro che riguarda principalmente le cooperative di lavoro);
- il costo della produzione per servizi ricevuti dai soci ovvero per beni conferiti dai soci, che deve essere superiore al 50% del totale dei costi dei servizi di cui all’art. 2425, primo comma, punto B7, ovvero al costo delle merci o materie prime acquistate o conferite, di cui all’art. 2425, primo comma, punto B6 del bilancio di esercizio.
Qualora si realizzino contestualmente più tipi di scambio mutualistico, la condizione di prevalenza è documentata facendo riferimento alla media ponderata delle percentuali delle lettere precedenti.
Nelle cooperative agricole di conferimenti, la condizione di prevalenza esiste quando la quantità o il valore dei prodotti conferiti dai soci è superiore al cinquanta per cento della quantità o del valore totale dei prodotti.
Le società cooperative a mutualità prevalente devono essere iscritte presso l’albo delle società cooperative gestito dal Ministero dello Sviluppo Economico, devono indicare nel proprio statuto le previsioni contenute nell’art. 2514 c.c. e prevedere, altresì, il versamento obbligatorio del 3% dell’utile prodotto ai fondi mutualistici per lo sviluppo della cooperazione.
Ai sensi dell’art. 2522 c.c., per costituire una società cooperativa è necessario che i soci siano almeno nove; può, comunque, essere costituita una società cooperativa da almeno tre soci quando gli stessi sono persone fisiche e la società adotta le norme della S.r.l. Nel caso di attività agricola possono essere soci anche le società semplici. Chiunque, purché in possesso dei requisiti soggettivi richiesti dalla legge o dall’atto costitutivo, può chiedere di essere ammesso come socio nella società, senza alcun limite di numero. Qualora invece, successivamente alla costituzione, il numero dei soci diventa inferiore a quello stabilito, esso deve essere integrato nel termine massimo di un anno, trascorso il quale la società si scioglie e deve essere posta in liquidazione.
Ai sensi dell’art. 2525 c.c., il valore nominale di ciascuna quota o azione non può essere inferiore ad € 25,00, né superiore ad € 500,00. Il limite massimo in termini di quota di partecipazione o numero complessivo di azioni detenibile da ciascun socio è pari a €. 100.000,00.
Ai sensi dell’art. 2519 c.c., la cooperativa può essere costituita secondo il modello di S.p.A. oppure di S.r.l. I soci hanno uguale diritto di voto, indipendentemente dalle quote di partecipazione al capitale sociale. Inoltre, il capitale è variabile in relazione al numero dei soci ed alle decisioni dell’assemblea.
Nella società cooperativa sono presenti sei diverse categorie di soci:
- il socio lavoratore, che riceve un compenso in forma di retribuzione con busta paga o nelle altre forme prevista dalla legge, per le prestazioni lavorative effettuate;
- il socio sovventore, che riceve utili economici in relazione all’apporto di capitale;
- il socio fruitore, che utilizza il servizio fornito, in relazione al capitale versato alla cooperativa (tipico nelle cooperative di consumo ed edilizie o di abitazione);
- il socio volontario, che opera in modo spontaneo e gratuito senza fini di lucro (sono previsti nelle cooperative sociali);
- il socio cooperatore, che partecipa al raggiungimento dello scopo mutualistico all’interno della cooperativa;
- il socio onorario, che è previsto nelle cooperative di produzione lavoro, generalmente ammesso per l’apporto di un contributo particolare.
3.2. Il socio lavoratore
La L. n. 142/2001, che disciplina i rapporti di lavoro tra cooperativa e socio lavoratore, ha lo scopo di ridefinire la posizione del socio lavoratore nell’impresa cooperativa, tutelando altresì lo stesso lavoratore nella sua duplice condizione di socio (il quale partecipa concretamente alle scelte programmatiche, progettuali e gestionali della cooperativa) e di prestatore di lavoro (che gode della tutela contrattuale, previdenziale e dei diritti sindacali).
La legge ha introdotto il c.d. principio del rapporto di scambio ulteriore; accanto al rapporto associativo, si affianca un ulteriore rapporto di lavoro, il quale può assumere forma subordinata, autonoma o altra forma, ivi compresa quella di collaborazione coordinata non occasionale. In sostanza, il socio intrattiene due distinti rapporti con l’ente: quello societario, di natura associativa, e quello di lavoro.
Il rapporto di natura associativa sorge al momento dell’iscrizione in cooperativa. I soci, infatti:
- concorrono alla gestione dell’impresa partecipando alla formazione degli organi sociali e alla definizione della struttura di direzione e conduzione dell’impresa;
- partecipano all’elaborazione di programmi di sviluppo e alle decisioni concernenti le scelte strategiche, nonché alla realizzazione dei processi produttivi dell’azienda;
- contribuiscono alla formazione del capitale sociale e partecipano al rischio d’impresa, ai risultati economici e alle decisioni sulla loro destinazione;
- mettono a disposizione le proprie capacità professionali anche in relazione al tipo e allo stato dell’attività svolta, nonché alla quantità delle prestazioni di lavoro disponibili per la cooperativa.
Il secondo tipo di rapporto è un vero e proprio rapporto di lavoro, che può essere liberamente regolamentato tra le parti, da cui derivano diritti e doveri in relazione alla tipologia del contratto stipulato. L’apporto lavorativo del socio è aggiuntivo rispetto a quello societario e da questi ne è distinto, rappresentando una prestazione accessoria in quanto sia stato previsto nell’atto costitutivo l’obbligo della prestazione lavorativa, oltre agli altri obblighi contrattualmente accettati dal socio al momento dell’associazione alla cooperativa. Al rapporto di lavoro si applicano le norme relative alla tipologia prescelta; pertanto, qualora venga instaurato un rapporto di tipo subordinato, sono applicabili al socio lavoratore tutte le tutele giuslavoristiche tipiche di tale rapporto.
Se il rapporto di lavoro del socio ha natura subordinata, ai sensi dell’art. 2 della L. n. 142/2001 trovano applicazione:
- le tutele previste dallo Statuto dei lavoratori (L. n. 300/1970), con esclusione dell’art. 18 qualora venga a cessare, col rapporto di lavoro, anche quello associativo; inoltre, l’esercizio dei diritti sindacali (Titolo III dello Statuto dei lavoratori) trova applicazione compatibilmente con lo stato di socio lavoratore, secondo quanto determinato da accordi collettivi tra associazioni nazionali del movimento cooperativo e organizzazioni sindacali dei lavoratori comparativamente più rappresentative;
- le disposizioni vigenti in tema di salute e sicurezza sul lavoro.
Qualora, invece, il rapporto di lavoro instaurato non sia di natura subordinata, si applicano le sole disposizioni dello Statuto dei lavoratori afferenti alla libertà di opinione e relativo divieto di indagine, al diritto di costituire associazioni sindacali, nonché al divieto di atti discriminatori (articoli 1, 8, 14 e 15 dello Statuto).
Ai sensi dell’art. 3 comma 1 della L. n. 142/2001, le società cooperative sono tenute a corrispondere al socio lavoratore un trattamento economico complessivo proporzionato alla quantità e qualità del lavoro prestato e, comunque, non inferiore ai minimi previsti, per prestazioni analoghe, dalla contrattazione collettiva nazionale del settore o della categoria affine, ovvero, per i rapporti di lavoro
diversi da quello subordinato, in assenza di contratti o accordi collettivi specifici, ai compensi medi in uso per prestazioni analoghe rese in forma di lavoro autonomo.
L’art. 3 comma 2 della L. n. 142/2001 stabilisce inoltre che ulteriori trattamenti economici possono essere deliberati dall’assemblea ed essere erogati:
- a titolo di maggiorazione retributiva, secondo le modalità stabilite in accordi stipulati tra le centrali cooperative e le organizzazioni sindacali;
- in sede di approvazione del bilancio di esercizio, a titolo di ristorno, in misura non superiore al 30% dei trattamenti retributivi suddetti, mediante integrazioni delle retribuzioni medesime ovvero mediante aumento gratuito del capitale sociale sottoscritto e versato, in deroga ai limiti massimi di partecipazione individuale al capitale sociale, ovvero mediante distribuzione gratuita delle azioni di partecipazione cooperativa, di cui all’art. 5 della L. n. 59/1992.
Le condizioni che disciplinano il rapporto con la società del socio lavoratore sono indicate in un regolamento interno, che le cooperative hanno l’obbligo di redigere e di depositare presso la sede territoriale dell’INL competente per territorio. Sul piano giuslavoristico, in assenza del suddetto regolamento, i soci lavoratori delle cooperative non possono essere inquadrati con un rapporto diverso da quello subordinato.
Il regolamento deve prevedere:
- i contratti collettivi applicabili ai soci lavoratori con rapporto di lavoro di tipo subordinato e la normativa vigente per i rapporti di lavoro diversi da quello subordinato;
- le modalità di svolgimento delle prestazioni lavorative da parte dei soci, in relazione all’organizzazione aziendale della cooperativa ed ai profili professionali dei soci stessi, anche nei casi di tipologie diverse da quella del lavoro subordinato;
- l’attribuzione all’assemblea della facoltà di deliberare, all’occorrenza, un piano di crisi aziendale, nel quale siano salvaguardati, per quanto possibile, i livelli occupazionali, con quanto ne consegue sotto il profilo della riduzione temporanea dei trattamenti economici e del divieto, per l’intera durata del piano, di distribuzione di eventuali utili; in caso di crisi aziendale, l’assemblea può deliberare forme di apporto anche economico, da parte dei soci lavoratori, alla soluzione della crisi, in proporzione alle disponibilità e capacità finanziarie;
- la facoltà per l’assemblea di deliberare un piano d’avviamento alle condizioni e secondo le modalità stabilite in accordi collettivi tra le associazioni nazionali del movimento cooperativo e le organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative.
Fatte salve le fattispecie relative ai piani di crisi e di avviamento delle cooperative, ovvero quelle concernenti le cooperative della piccola pesca, il regolamento non può contenere disposizioni derogatorie in pejus rispetto al solo trattamento economico minimo previsti dai contratti collettivi nazionali. Qualora non venga rispettato tale principio, la clausola difforme è nulla.
Da ultimo, la Legge n. 142/2001 prevede che il rapporto di lavoro del socio lavoratore si estingue:
- in caso di recesso del socio ai sensi dell’art. 2532 c.c. e, pertanto, nei casi previsti dalla legge o dall’atto costitutivo;
- per esclusione deliberata nel rispetto delle previsioni statutarie e in conformità agli artt. 2526 e 2527 c.c., e, quindi, nelle ipotesi previste dall’atto costitutivo o dalla legge, in presenza di gravi inadempimenti agli obblighi sociali.
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Avv. Valerio Pandolfini
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