La liquidazione controllata del sovraindebitato
La liquidazione controllata del sovraindebitato è una procedura di composizione della crisi da sovraindebitamento, disciplinata dal Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza (D. Lgs. n. 14/2019), che può essere disposta anche su domanda dei creditori, diretta alla liquidazione del patrimonio del debitore ed alla ripartizione dell’attivo tra i creditori, nel rispetto della par condicio creditorum. La struttura della procedura è simile a quella della liquidazione giudiziale, in quanto è finalizzata a liquidare il patrimonio del debitore in modo da distribuire l’atto ai creditori. Anche la liquidazione controllata consente al debitore di beneficiare, a determinate condizioni, della esdebitazione, che consente nella liberazione dei debiti rimasti insoddisfatti.
1. Natura, finalità, apertura della procedura di liquidazione controllata
La liquidazione controllata è una procedura di sovraindebitamento, disciplinata dal D. Lgs. n. 14/2019 (Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza, di seguito il “Codice”), entrato in vigore il 15 luglio 2022.
Si tratta di una procedura concorsuale, a carattere non negoziale bensì esecutivo – satisfattivo, finalizzata a liquidare (cioè monetizzare) l’intero patrimonio (o meglio i beni pignorabili) del debitore e ad utilizzare il ricavato per soddisfare i creditori, nel rispetto della par condicio creditorum.
La procedura di liquidazione controllata ha una struttura molto simile a quella della liquidazione giudiziale (ovvero il fallimento), in questa si basa sull’attività di un organo della procedura al quale è attribuito il potere di disposizione ed amministrazione del patrimonio del debitore, al fine della migliore liquidazione e del successivo riparto tra i creditori. A differenza di quanto avviene nelle altre procedure di sovraindebitamento non vi è una proposta, ma solo una liquidazione di tipo forzato del patrimonio del debitore.
Ai pari della liquidazione giudiziale, la liquidazione controllata costituisce lo strumento residuale per la definizione della crisi da sovraindebitamento, aperto all’iniziativa dei terzi creditori. Pertanto, le condizioni di accesso a tale procedura sono meno stringenti rispetto alla ristrutturazione dei debiti del consumatore e al concordato minore, dato che la liquidazione controllata non costituisce un beneficio per il sovraindebitato, bensì un’opportunità di liquidazione collettiva a favore di tutti i creditori.
In particolare, per accedere alla procedura di liquidazione non è necessario il consenso dei creditori né tantomeno deve ricorrere il requisito della meritevolezza, richiesta invece per l’ottenimento dell’esdebitazione del debitore. L’esclusione della malafede del debitore poggia sull’assunto che lo stato di dissesto, al di là di ogni ragionevole dubbio, sia scaturito da avvenimenti inaspettati e sicuramente non prevedibili all’atto della richiesta del credito.
Sotto il profilo soggettivo, la procedura è accessibile da parte di consumatori (ovvero, ai sensi dell’art. 2, comma 1, lett. e) del Codice, persone fisiche che agiscono per scopi estranei all’attività imprenditoriale, commerciale, artigiana o professionale eventualmente svolta), e imprenditori, i quali non superino la soglia di fallibilità (ovvero che, negli ultimi tre esercizi antecedenti la data di deposito dell’istanza, non superino alcuna delle soglie previste dall’art. 2, comma 1, lett. d), relative all’attivo patrimoniale, ai ricavi e ai debiti), imprenditori agricoli (art. 2135 c.c.), start-up innovative, o comunque imprenditori che, al momento di presentazione della domanda, non siano assoggettabili a liquidazione giudiziale, liquidazione coatta amministrativa o ad altre procedure liquidatorie previste dal codice civile o da leggi speciali per il caso di crisi o insolvenza.
Sotto il profilo oggettivo, per accedere alla procedura in oggetto, il debitore deve trovarsi in stato di insolvenza (cioè non essere più in grado di soddisfare regolarmente le proprie obbligazioni) o anche solo di crisi, cioè nella situazione in cui l’insolvenza è statisticamente probabile (in quanto manifestata dall’inadeguatezza dei flussi di cassa prospettici a far fronte alle obbligazioni nei successivi dodici mesi), ma non certa.
Ai sensi dell’art. 268 del Codice, sono legittimati a domandare l’apertura della procedura, oltre al debitore, anche i creditori; dunque, la procedura di liquidazione controllata, diversamente da quella di ristrutturazione dei debiti del consumatore e dal concordato minore, può essere aperta anche in via coattiva, contro la volontà del debitore.
Il debitore, ai fini della scelta in ordine all’eventuale richiesta di apertura di liquidazione controllata, dovrà valutare:
- da un lato, gli effetti di natura patrimoniale che tale procedura determina (c.d. spossessamento: v. par. 2);
- dall’altro lato, la possibilità di beneficiare, sussistendone le condizioni, della esdebitazione.
Per quanto riguarda i creditori, la richiesta di apertura della liquidazione giudiziale a carico del debitore è una facoltà (non un obbligo), da valutare in alternativa alle azioni esecutive individuali; rispetto queste ultime, la procedura presenta:
- vantaggi, costituiti dalla maggiore efficienza dell’esecuzione collettiva rispetto a quella individuale e dall’assenza di costi diretti a carico del creditore procedente, a differenza di quanto avviene nelle esecuzioni individuali;
- svantaggi, costituiti dalla possibile esdebitazione del debitore, con conseguente inesigibilità dei crediti rimasti insoddisfatti nell’ambito della procedura.
I criteri sono legittimati a chiedere l’apertura della procedura anche se sono muniti di titolo esecutivo; a tal fine il Tribunale procede ad un accertamento incidentale sulla sussistenza del credito vantato dal ricorrente, soprattutto nel caso in cui il debitore contesti l’esistenza o l’ammontare del credito stesso.
Tuttavia, la domanda di apertura della procedura può essere presentata dai creditori solo se:
- il debitore è insolvente, non essendo sufficiente che il debitore versi in stato di crisi;
- l’ammontare dei debiti scaduti e non pagati risultanti dagli atti dell’istruttoria deve essere superiore a Euro 50.000,00 (art. 268, comma 2 del Codice);
- l’OCC, su richiesta del debitore, non attesta che non è possibile acquisire attivo da distribuire ai creditori neppure mediante l’esercizio di azioni giudiziarie (art. 268, comma 3 del Codice).
La domanda si propone, sia da parte del debitore che dei creditori, con ricorso, da depositare presso il Tribunale nel cui circondario il debitore ha il centro principale degli interessi. L’apertura della procedura può essere disposta anche per effetto della conversione della ristrutturazione dei debiti del consumatore o del concordato minore, qualora tali procedure abbiano avuto esito patologico (art. 73 e 83 del Codice); in tali casi, l’istanza deve essere presentata davanti al Tribunale innanzi al quale pendeva la procedura precedente.
Se iniziativa è assunta dal debitore, il ricorso può essere presentato anche senza patrocinio di un legale, in quanto l’assistenza è assicurata dall’intervento obbligatorio dell’OCC. Anche in questo caso, l’OCC ha compiti sia di assistenza del debitore che di ausilio del Tribunale.
Nella fase di apertura della procedura, l’OCC deve anzitutto redigere una relazione, da allegare al ricorso del debitore, che esponga una valutazione circa la completezza e attendibilità della documentazione depositata a corredo della domanda e che illustri la situazione economica, patrimoniale e finanziaria del debitore (articolo 269, comma 2 del Codice).
Inoltre, l’OCC, entro sette giorni dal conferimento dell’incarico da parte del debitore, ne dà notizia all’agente della riscossione e agli uffici fiscali, anche degli enti locali, competenti sulla base dell’ultimo domicilio fiscale dell’istante, per consentire a tali enti di tutelare le proprie ragioni creditorie nell’ambito dell’instauranda procedura liquidatoria. Quando invece il ricorso è presentato da un creditore, l’assistenza dell’OCC in questa fase non è necessaria.
Ricevuta l’istanza del debitore o dei creditori, il Tribunale deve valutare l’esistenza dei presupposti e delle condizioni per l’apertura della procedura, ovvero:
- la propria competenza territoriale;
- l’esistenza del presupposto soggettivo e oggettivo;
- la legittimazione dell’istante;
- la regolarità e completezza della documentazione presentata.
Al Tribunale spetta anche il compito di verificare l’assenza di contestuali domande di accesso alla procedura di ristrutturazione dei debiti del consumatore e di concordato minore. Infatti, in caso di proposizione di domande di accesso a diversi strumenti di regolazione della crisi e dell’insolvenza, il Tribunale tratta in via prioritaria quella diretta a regolare la crisi o l’insolvenza con strumenti diversi dalla liquidazione, a condizione che la domanda non sia manifestamente inammissibile, il piano non sia manifestamente inadeguato a raggiungere gli obiettivi prefissati e nella proposta siano espressamente indicate la convenienza per i creditori o, in caso di concordato con continuità aziendale, le ragioni dell’assenza di pregiudizio per i creditori (art. 7 del Codice).
Se quindi la domanda di liquidazione controllata è proposta dai creditori, il debitore può chiedere l’accesso ad una procedura di ristrutturazione dei debiti del consumatore o di concordato minore, chiedendo al Tribunale un termine per poter presentare la relativa domanda, completa di tutta la documentazione necessaria; se il Tribunale concede tale termine, in pendenza dello stesso non può essere dichiarata aperta la liquidazione controllata.
Se, poi, il debitore presenta effettivamente nel termine la domanda di accesso ad una procedura di ristrutturazione dei debiti del consumatore o di concordato minore, e il Tribunale la dichiara aperta, provvede contestualmente a dichiarare improcedibile la domanda di apertura della liquidazione controllata; se invece il debitore non presenta la domanda di accesso a tali procedure nel termine, o in caso di mancata apertura o cessazione di tali procedure, il Tribunale può provvedere sulla domanda di apertura della liquidazione controllata (articolo 271 del Codice).
Il Tribunale, in assenza di domande di accesso alle procedure negoziali e verificati i presupposti e le condizioni, dichiara con sentenza l’apertura della liquidazione controllata (articolo 270 del Codice). Con la sentenza, il Tribunale provvede, tra l’altro:
- alla nomina degli organi della procedura (giudice delegato e liquidatore);
- all’assegnazione del termine entro il quale i terzi devono trasmettere la domanda di restituzione, di rivendicazione o di ammissione al passivo;
- all’ordine di consegna o rilascio dei beni facenti parte del patrimonio di liquidazione.
Avverso la sentenza che dispone l’apertura della liquidazione controllata, così come avverso il decreto che rigetta la domanda di apertura, è ammesso reclamo innanzi alla Corte di appello.
Il liquidatore nella liquidazione controllata è di regola il medesimo OCC che, in caso di domanda presentata dal debitore, ha già prestato assistenza nella fase iniziale. È, tuttavia, consentito al Tribunale, per giustificati motivi (ad es. perché ritiene carente sotto qualche profilo la relazione depositata dall’OCC nella fase introduttiva), scegliere come liquidatore un soggetto diverso nell’elenco dei gestori (art. 270, comma 2, lett. b del Codice).
2. Gli effetti dell’apertura della liquidazione controllata.
L’apertura della liquidazione controllata ha effetti nei confronti del debitore, dei creditori e dei contratti pendenti.
Con l’apertura della liquidazione controllata, il debitore perde il potere di amministrare e disporre del patrimonio liquidabile, che viene attribuito al liquidatore (c.d. spossessamento). Con la sentenza di apertura, il Tribunale ordina al debitore la consegna o il rilascio dei beni facenti parte del patrimonio di liquidazione, salvo che non ritenga, in presenza di gravi e specifiche ragioni, di autorizzare il debitore o il terzo a utilizzare alcuni di essi (art. 270, comma 2, lett. e del Codice).
I beni del debitore vengono quindi gestiti dal liquidatore, il quale provvede alla loro liquidazione e al successivo riparto del ricavato tra tutti i creditori concorrenti, nel rispetto della par condicio creditorum.
Per effetto dello spossessamento, gli atti compiuti dal debitore e i pagamenti da lui eseguiti o ricevuti dopo l’apertura della liquidazione controllata sono inefficaci rispetto ai creditori (art. 144, comma 1 del Codice). Pertanto, ad es.:
- chi ha acquistato un bene dal debitore in forza di un contratto stipulato dopo il prodursi degli effetti dello spossessamento non può pretendere l’esecuzione della prestazione o essere ammesso al passivo per l’importo pagato;
- chi ha ricevuto un pagamento o altra prestazione dal debitore deve restituirla al liquidatore;
- chi ha effettuato un pagamento al debitore deve ripetere il pagamento al liquidatore, salvo che il debitore provveda spontaneamente a consegnare al liquidatore quanto ricevuto.
Lo spossessamento priva il debitore dell’amministrazione e della disponibilità dei suoi beni, ma non anche della proprietà degli stessi, che permane fino a quando i beni non saranno venduti a terzi dal liquidatore nell’ambito della liquidazione controllata. Pertanto:
- se la procedura di liquidazione controllata si chiude senza che i beni siano stati in tutto o in parte venduti dal liquidatore, il debitore rimane proprietario dei beni non venduti, riacquistando anche il potere di amministrazione e disposizione sugli stessi alla chiusura della procedura;
- eventuali atti di disposizione compiuti da parte del debitore durante la procedura, anche se inefficaci nei confronti dei creditori, sono comunque validi e vincolanti tra le parti, e di conseguenza se la procedura si chiude senza che il bene sia stato liquidato, lo stesso diventa di proprietà della controparte che lo ha acquistato in forza di un contratto stipulato con il debitore durante la procedura.
Lo spossessamento comprende tanto i beni del debitore esistenti alla data di apertura della liquidazione controllata, quanto i beni che pervengono al debitore durante la procedura (art. 142, comma 2 del Codice). Tuttavia, mentre per i beni già esistenti alla data di apertura della procedura l’acquisizione avviene al lordo di eventuali costi e obbligazioni eventualmente contratti prima dal debitore (che saranno trattati in sede concorsuale come tutti gli altri crediti anteriori, nel rispetto della par condicio creditorum), per i beni che pervengono durante la procedura devono essere dedotte le passività incontrate per l’acquisto e la conservazione dei beni medesimi, che sono sottratte al concorso con gli altri crediti e devono essere soddisfatte con priorità sul valore dei beni in questione, anche prima rispetto ai crediti prededucibili (art. 142, comma 2 del Codice).
Per tale motivo, può talvolta essere antieconomica l’acquisizione alla massa dei beni sopravvenuti, quando il loro valore è presumibilmente inferiore alle passività incontrate per l’acquisto e la conservazione dei beni medesimi. D’altra parte, anche l’acquisizione dei beni presenti potrebbe essere non economicamente efficiente per la procedura, quando i costi per il mantenimento e la liquidazione appaiono superiori rispetto al presumibile valore di realizzo (si pensi ad es. a un terreno di infimo valore, per il quale il costo di gestione non sarebbe compensato da un valore di realizzo).
Al fine di garantire la migliore soddisfazione dei creditori, pertanto, il liquidatore può rinunciare ad acquisire i beni del debitore, sia quelli presenti al momento dell’apertura, sia quelli che gli pervengono durante la procedura, qualora i costi da sostenere per il loro acquisto e la loro conservazione risultino superiori al presumibile valore di realizzo dei beni stessi (art. 142, comma 3 del Codice). Se il bene non viene acquisito alla massa, lo stesso rimane nella disponibilità del debitore ed i creditori possono avviare individualmente azioni esecutive o cautelari sullo stesso.
Il patrimonio di liquidazione è costituito da tutti i beni e diritti che rientrano nel patrimonio del debitore, ad eccezione dei seguenti beni personalissimi (art. 268, comma 4 del Codice):
- crediti impignorabili;
- crediti aventi carattere alimentare e di mantenimento, gli stipendi, le pensioni, i salari e ciò che il debitore guadagna con la sua attività nei limiti, indicati dal giudice, di quanto occorre al mantenimento suo e della sua famiglia;
- frutti derivanti dall’usufrutto legale sui beni dei figli;
- beni costituiti in fondo patrimoniale e i frutti di essi (salvo quanto disposto dall’art. 170 c.c.);
- beni che non possono essere pignorati per disposizione di legge.
Dal momento dell’apertura della liquidazione controllata, il debitore perde anche la legittimazione processuale per quanto riguarda le controversie, anche in corso, relative a rapporti di diritto patrimoniale, con esclusione dei diritti personali e di quelli non compresi nella liquidazione (art. 270, comma 5 del Codice); la legittimazione processuale è attribuita al liquidatore.
Nel caso di società con soci illimitatamente responsabili, la sentenza di apertura della liquidazione controllata produce i suoi effetti anche nei confronti dei soci illimitatamente responsabili (art. 270, comma 1 del Codice).
Nei confronti dei creditori, con l’apertura della liquidazione controllata si producono i seguenti effetti:
- dal giorno della dichiarazione di apertura della liquidazione controllata nessuna azione individuale esecutiva o cautelare, anche per crediti maturati durante la liquidazione, può essere iniziata o proseguita sui beni compresi nella procedura;
- ogni credito, anche se munito di diritto di prelazione o prededucibile, nonché ogni diritto reale o personale, mobiliare o immobiliare, deve essere accertato nelle forme dell’accertamento del passivo (art. 270, comma 5 del Codice);
- gli interessi per i crediti chirografari sono sospesi a partire dal momento della presentazione della domanda di apertura della procedura (art. 268, comma 5 del Codice).
Si applicano inoltre, pur in assenza di espresso richiamo, le regole dettate per la procedura di liquidazione giudiziale in tema di scadenza dei crediti alla data di apertura, compensazione, trasformazione dei crediti non pecuniari in crediti pecuniari e coobbligati solidali.
Ai sensi dell’art. 270, comma 6 del Codice, i contratti pendenti (cioè i contratti non ancora eseguiti o non completamente eseguiti nelle prestazioni principali da entrambe le parti al momento in cui è aperta la procedura di liquidazione controllata) sono sospesi, fino a quando il liquidatore, sentito il debitore, dichiara di subentrare nel contratto in luogo del debitore stesso, assumendo, a decorrere dalla data del subentro, tutti i relativi obblighi, oppure di sciogliersi dal medesimo (salvo che, nei contratti ad effetti reali, sia già avvenuto il trasferimento del diritto). Il contraente può mettere in mora il liquidatore, facendoci assegnare dal giudice delegato un termine, non superiore a 60 giorni, decorso il quale il contratto si intende sciolto.
In caso di prosecuzione del contratto, sono prededucibili soltanto i crediti maturati nel corso della procedura. In caso di scioglimento del contratto, invece, il contraente ha diritto di far valere nel passivo della liquidazione controllata il credito conseguente al mancato adempimento, senza che gli sia dovuto risarcimento del danno.
L’apertura della liquidazione controllata non produce specifici effetti nei confronti degli atti pregiudizievoli ai creditori compiuti dal debitore prima della procedura. La disciplina delle azioni revocatorie non hai richiamata e non è applicabile in via analogica.
3. L’accertamento del passivo nella liquidazione controllata
Ai sensi dell’art. art. 273 del Codice, nella fase di accertamento del passivo viene stabilito quali creditori e titolari di diritti reali e personali hanno diritto di concorrere sul patrimonio di liquidazione.
I creditori ed i titolari di diritti personali o reali su beni mobili o immobili di proprietà o in possesso del debitore possono presentare domanda di insinuazione al passivo nel termine assegnato con la sentenza di apertura della procedura. Scaduti i termini per la proposizione delle domande, il liquidatore predispone un progetto di stato passivo, comprendente anche un elenco dei titolari di diritti sui beni mobili e immobili di proprietà o in possesso del debitore, e lo comunica agli interessati.
Entro 15 giorni possono essere proposte osservazioni da parte dei creditori e dei titolari di diritti reali e personali, qualora il liquidatore non abbia riconosciuto in tutto o in parte il loro credito o diritto, o non abbia riconosciuto il diritto di prelazione richiesto. Le osservazioni possono essere formulate anche con riferimento alle domande di altri creditori o titolari di diritti reali.
In assenza di osservazioni, il liquidatore forma lo stato passivo, lo deposita in cancelleria e ne dispone l’inserimento nel sito web del Tribunale o del Ministero della giustizia. Quando invece sono formulate osservazioni che il liquidatore ritiene fondate, predispone un nuovo progetto di stato passivo che comunica a coloro che hanno prestato domanda di ammissione al passivo. Avverso questo nuovo progetto di stato passivo, i creditori ed i titolari di diritti su beni mobili o immobili possono a loro volta presentare nuove osservazioni, ma solo con riferimento ai profili modificati dal liquidatore rispetto al precedente progetto.
In presenza di contestazioni che il liquidatore non condivide, lo stesso rimette gli atti al giudice delegato, il quale provvede alla definitiva formazione del passivo con decreto motivato.
Contro il decreto del giudice delegato può essere proposto reclamo innanzi al Tribunale, con il quale possono essere fatte valere tutte le impugnazioni contro lo stato passivo, ovvero:
- l’opposizione, con la quale il creditore o il titolare di diritti su beni mobili o immobili contesta che la propria pretesa non sia stata in tutto o in parte ammessa;
- l’impugnazione, con la quale il creditore o il titolare di diritti su beni mobili o immobili contesta che la pretesa di altro creditore o titolare di diritti sia stata accolta;
- la revocazione, con la quale il liquidatore, il creditore o i titolari di diritti su beni mobili o immobili, decorsi i termini per la proposizione della opposizione o impugnazione chiedono che l’accoglimento o il rigetto vengano revocati qualora essi siano stati determinati da falsità, dolo, errore essenziale di fatto o dalla mancata conoscenza di documenti decisivi che non sono stati prodotti tempestivamente per causa non imputabile all’istante.
Decorso il termine indicato nella sentenza di apertura e, comunque, fino a quando non siano esaurite tutte le ripartizioni dell’attivo della liquidazione, sono ammissibili domande tardive, se l’istante prova che il ritardo è dipeso da causa a lui non imputabile e se trasmette la domanda al liquidatore non oltre sessanta giorni dal momento in cui è cessata la causa che ne ha impedito il deposito tempestivo. Il procedimento di accertamento delle domande tardive si svolge nelle stesse forme di quello delle tempestive.
Quando la domanda risulta manifestamente inammissibile perché l’istante non ha indicato le circostanze da cui è dipeso il ritardo o non ne ha offerto prova documentale o non ha indicato i mezzi di prova di cui intende valersi per dimostrarne la non imputabilità, il giudice delegato dichiara con decreto l’inammissibilità della domanda.
4. La liquidazione, la ripartizione dell’attivo e la chiusura della liquidazione controllata
Il liquidatore deve amministrare e liquidare i beni che compongono il patrimonio di liquidazione, ai fini della loro monetizzazione in denaro.
Entro novanta giorni dall’apertura della liquidazione controllata, il liquidatore compie l’inventario dei beni del debitore e redige un programma in ordine a tempi e modalità della liquidazione avente un contenuto corrispondente, in quanto compatibile, a quello previsto nella liquidazione giudiziale (art. 272, comma 2 del Codice). Il programma è depositato in cancelleria ed approvato dal giudice delegato.
Nell’esercizio dei propri compiti e in conformità alle previsioni del programma di liquidazione, il liquidatore dovrà vendere i beni e incassare i crediti. Il liquidatore, con l’autorizzazione del giudice delegato, deve anche esercitare tutte le azioni risarcitorie e recuperatorie che rientravano già nel patrimonio del debitore o che prima della procedura spettavano ai singoli crediti e che, per effetto dell’apertura della liquidazione, sono attribuite al liquidatore. Si applicano in proposito le disposizioni sulle vendite nella liquidazione giudiziale, in quanto compatibili (art. 275, comma 2 del Codice), al fine di assicurare il rispetto del principio di competitività funzionale al miglior esito della liquidazione.
Ai sensi dell’art. art. 275, comma 2 del Codice, anche le vendite nella liquidazione controllata beneficiano del cd. effetto purgativo, per cui, eseguita la vendita e riscosso interamente il prezzo, il giudice ordina la cancellazione delle iscrizioni relativi ai diritti di prelazione, delle trascrizioni dei pignoramenti e dei sequestri conservativi nonché di ogni altro vincolo. Chi acquista un bene da una procedura di liquidazione controllata lo acquista quindi privo di ogni formalità pregiudizievole.
Terminata l’esecuzione del programma di liquidazione e completata la liquidazione, il liquidatore presenta al giudice il rendiconto (art. 275, comma 3 e 4 del codice). Il giudice verifica la conformità degli atti dispositivi al programma di liquidazione e, se approva il rendiconto, procede alla liquidazione del compenso del liquidatore. Se invece non approva il rendiconto, indica gli atti necessari al completamento della liquidazione ovvero le opportune rettifiche ed integrazioni del rendiconto, nonché un termine per il loro compimento.
Le risorse recuperate dalla liquidazione dei beni devono essere distribuite tra i creditori, rispettando l’ordine di prelazione risultante dallo stato passivo. Pertanto, le somme conseguite con la liquidazione sono distribuite:
- dapprima ai creditori prededucibili;
- dopo l’integrale pagamento dei crediti prededucibili, ai creditori privilegiati, tenendo conto del diverso rango del privilegio e del valore dei beni sul quale grava l’ipoteca o il pegno;
- dopo l’integrale pagamento dei crediti privilegiati, ai creditori chirografari;
- dopo il pagamento dei creditori chirografari, ai creditori postergati.
Alla distribuzione delle somme il liquidatore provvede sulla base di progetti di riparto, parziali o finale (art. 275 del Codice). Il progetto di riparto deve essere comunicato al debitore e ai creditori, con termine non superiore a quindici giorni per osservazioni. In assenza di contestazioni, il liquidatore comunica il progetto di riparto al giudice che, senza indugio, ne autorizza l’esecuzione. Se sorgono contestazioni sul progetto di riparto, il liquidatore verifica la possibilità di componimento e vi apporta le modifiche che ritiene opportune; altrimenti rimette gli atti al giudice delegato, il quale provvede con decreto motivato e reclamabile.
La procedura di liquidazione controllata si chiude con decreto del tribunale (art. 276 del Codice). La chiusura della procedura produce effetti:
- nei confronti del debitore, in quanto viene meno lo spossessamento; il debitore riprende il potere di disposizione e di amministrazione di tutti i propri beni eventualmente residuati dopo la liquidazione, nonché la legittimazione processuale;
- nei confronti dei creditori, in quanto viene meno il divieto di azioni esecutive e cautelari; i creditori, sia anteriori che posteriori all’esecuzione delle formalità pubblicitarie del decreto di apertura, riprendono il libero esercizio dei loro diritti e delle azioni sui beni del debitore per la parte rimasta insoddisfatta dei loro crediti, fermo restando i possibili limiti derivanti dalla esdebitazione.
5. L’esdebitazione nella liquidazione controllata
Anche la liquidazione controllata, come le altre procedure di sovraindebitamento, consente al debitore di potersi liberare dei propri debiti anche se non integralmente pagati, in modo da poter ripartire con una nuova attività al riparo dalle azioni dei creditori anteriori insoddisfatti. La procedura di liquidazione controllata consente, infatti, al debitore di beneficiare, a determinate condizioni, della esdebitazione, che consiste appunto nella liberazione dei debiti e nella inesigibilità del debitore dei crediti rimasti insoddisfatti nell’ambito della procedura stessa.
Nella liquidazione controllata, l’esdebitazione opera nei confronti di tutti i creditori anteriori, cioè di tutti i creditori per fatto o causa anteriori rispetto all’apertura della procedura; tuttavia, nei confronti dei creditori anteriori che non hanno partecipato al concorso, l’esdebitazione opera per la sola parte eccedente la percentuale attribuita nel concorso ai creditori di pari rango (art. 278 del Codice).
Restano esclusi dall’esdebitazione:
- gli obblighi di mantenimento e alimentari;
- i debiti per il risarcimento dei danni da fatto illecito extracontrattuale;
- le sanzioni penali e amministrative di carattere pecuniario che non siano accessori a debiti estinti.
L’esdebitazione non estingue l’obbligazione, ma rende solo inesigibile il credito nei confronti del debitore; restano quindi salvi i diritti vantati dai creditori nei confronti dei coobbligati e dei fideiussori del debitore, nonché degli obbligati in via di regresso.
Tutti i debitori possono accedere all’esdebitazione, siano essi persone fisiche, società o altri enti. Qualora il debitore sia una società o un altro ente, le condizioni per beneficiare dell’esdebitazione devono sussistere anche nei confronti dei soci illimitatamente responsabili e dei legali rappresentanti, con riguardo agli ultimi tre anni anteriori alla domanda cui sia eseguita l’apertura di una procedura liquidatoria (art. 278, comma 5 del codice). Se ne ricorrono le condizioni, l’esdebitazione della società ha efficacia nei confronti dei soci illimitatamente responsabili, con riferimento ai debiti sociali (non ai debiti personali).
Oggetto e ambito di applicazione della esdebitazione nella liquidazione controllata sono gli stessi previsti nella liquidazione giudiziale, si può rinviare per un approfondimento alla trattazione svolta a proposito della esdebitazione nella liquidazione giudiziale.
Ai sensi dell’art. 282 del Codice, nella liquidazione controllata l’esdebitazione opera di diritto; non è pertanto necessaria una specifica istanza del debitore, in quanto il Tribunale provvede d’ufficio, con decreto. I creditori possono proporre entro trenta giorni reclamo innanzi alla Corte di appello.
L’esdebitazione opera qualora:
- venga emesso il provvedimento di chiusura della procedura o anteriormente, decorsi tre anni dalla sua apertura;
- il debitore non sia stato condannato con sentenza passata in giudicato per bancarotta fraudolenta o per delitti contro l’economia pubblica, l’industria e il commercio, o altri delitti compiuti in connessione con l’esercizio dell’attività d’impresa, salvo che per essi sta intervenuta la riabilitazione; se è in corso il procedimento penale per uno di tali reati o v’è stata applicazione di una delle misure di prevenzione di cui al D. Lgs. n. 159/2011, il beneficio può essere riconosciuto solo all’esito del relativo procedimento;
- il debitore non ha distratto l’attivo o esposto passività insussistenti, cagionato o aggravato il dissesto redendo gravemente difficoltosa la ricostruzione del patrimonio e del movimento degli affari o fatto ricorso abusivo al credito;
- il debitore non ha ostacolato o rallentato lo svolgimento della procedura e ha fornito agli organi ad essa preposti tutte le informazioni utili e i documenti necessari per il suo buon andamento;
- il debitore non ha beneficiato di altra esdebitazione nei cinque anni precedenti la scadenza del termine per l’esdebitazione;
- il debitore non ha già beneficiato dell’esdebitazione per due volte;
- il debitore non ha determinato la situazione di sovraindebitamento con colpa grave, malafede o frode.
Non costituisce, invece, una condizione per ottenere l’esdebitazione l’aver soddisfatto almeno in parte i creditori anteriori nell’ambito della procedura di liquidazione controllata.
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Avv. Valerio Pandolfini
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