La delega di funzioni nella sicurezza sul lavoro
La moltitudine di obblighi gravanti sul datore di lavoro, e delle conseguenze in tema di responsabilità, fa sì che gli stessi non possono essere tutti utilmente adempiuti in concreto, soprattutto nel caso di un’attività d’impresa particolarmente complessa e articolata. Di qui la necessità del datore di lavoro di trasferire poteri e delle responsabilità in materia di sicurezza in capo ad altri soggetti, attraverso lo strumento della delega di funzioni. Analizziamo presupposti di validità, limiti e disciplina della delega di funzioni in materia di sicurezza sul lavoro.
1. Gli obblighi del datore di lavoro in tema di sicurezza
Il D.lgs n. 81/2008 (Testo Unico della Sicurezza sul Lavoro, TUS) individua una serie di figure all’interno dell’impresa, cui sono riconnessi rilevanti obblighi e responsabilità in materia di prevenzione nei luoghi di lavoro. Tali obblighi e responsabilità concernono in particolare la predisposizione di idonee misure di sicurezza, tali da impedire il verificarsi di eventi lesivi per i lavoratori, rispetto ai quali tali soggetti sono titolari di posizioni di garanzia.
Tra i soggetti operanti nell’impresa, una posizione di particolare rilievo è rivestita dal datore di lavoro, il quale è il responsabile della sicurezza sul luogo di lavoro in azienda. Spetta infatti al datore di lavoro l’organizzazione e la gestione della sicurezza, in modo da ridurre il verificarsi di rischi, evitare gli infortuni e non pregiudicare la salute dei lavoratori.
Il primo richiamo normativo essenziale per ricostruire gli obblighi del datore di lavoro è l’art. 2087 c.c., che prevede un obbligo generale del datore di lavoro di tutelare l’integrità psicofisica dei propri dipendenti, imponendogli l’adozione di tutte le misure atte, secondo le comuni tecniche di sicurezza, a preservare i lavoratori dalla lesione del bene alla salute nell’ambiente e in costanza di lavoro.
Secondo la giurisprudenza prevalente, la norma prevede in capo al datore di lavoro una forma di responsabilità contrattuale; di conseguenza, spetta al datore di lavoro l’onere della prova della non imputabilità dell’inadempimento, cioè di dimostrare di aver adottato tutte le cautele necessarie ad impedire il verificarsi del danno e che la malattia (o infortunio) del dipendente non è ricollegabile all’inosservanza di tali obblighi.
D’altra parte, al lavoratore non è sufficiente allegare una generica violazione delle norme di sicurezza e la generica riconducibilità del danno all’ambito lavorativo, avendo l’onere di dimostrare che il datore di lavoro ha posso in essere un comportamento contrario a norme inderogabili di legge o alle regole generali di correttezza e buona fede o alle misure che, nell’esercizio dell’impresa, debbono essere adottate per tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro.
Alla norma generale di cui all’art. 2087 c.c., sulla quale si fonda la posizione di garanzia del datore di lavoro nei confronti dei lavoratori, si affiancano i numerosi obblighi previsti in capo al datore di lavoro dal TUS.
L’art. 18 TUS individua i seguenti obblighi di carattere generale che incombono sul datore di lavoro:
- l’obbligo di attuare le misure di sicurezza previste dal TUS;
- l’obbligo di informare i lavoratori sui rischi specifici derivanti dallo svolgimento delle loro mansioni e quello di richiedere l’osservanza da parte dei singoli lavoratori delle norme vigenti e delle disposizioni aziendali in materia di sicurezza e igiene del lavoro;
- l’obbligo di vigilare sull’adempimento degli obblighi di cui agli artt.19, 20, 22, 23, 24 e 25 TUS.
Gli obblighi di informazione, formazione e addestramento del lavoratore in capo al lavoratore sono ulteriormente disciplinati agli artt. 36 e 37 TUS.
Di centrale importanza nell’ambito dei doveri del datore di lavoro in materia di sicurezza è la valutazione dei rischi, che si traduce nella predisposizione del relativo documento di valutazione. L’art. 28 TUS prevede infatti che il datore di lavoro deve procedere alla valutazione di tutti i rischi per la salute e la sicurezza dei lavoratori, ivi compresi quelli riguardanti gruppi di lavoratori esposti a rischi particolari.
La valutazione del rischio è quindi strumento essenziale della politica della sicurezza e operazione funzionale all’obbiettivo prevenzionistico; nel documento di sicurezza sono individuati i rischi connessi all’attività in azienda e indicate le misure di prevenzione e protezione idonee a tutelare i lavoratori rispetto a tali rischi, nonché il programma per garantire nel tempo il miglioramento dei livelli di sicurezza.
Infine, compete al datore di lavoro l’obbligo di vigilanza e controllo sull’effettiva osservanza da parte dei lavoratori delle disposizioni di sicurezza impartite. Piu in generale, come si specificherà meglio più avanti (v. par. 7), spetta al datore di lavoro un generale obbligo di vigilanza sull’attuazione complessiva del sistema di sicurezza e sull’attività svolta dai soggetti delegati.
2. Definizione e individuazione del datore di lavoro
L’identificazione della figura del datore di lavoro non sempre è una questione di facile soluzione in quanto, specialmente all’interno di aziende con strutture complesse, si possono individuare diversi soggetti deputati a soddisfare la posizione di garanzia in capo a colui che, ai sensi del TUS, assume la qualifica di datore di lavoro.
Nel nostro ordinamento emergono due differenti nozioni di datore di lavoro: una in senso civilistico/ giuslavoristico e una in senso prevenzionistico; non sempre tali due nozioni conducono all’identificazione dello stesso soggetto.
In sede civile, il datore di lavoro, secondo l’art. 2082 c.c., è il soggetto titolare del rapporto di lavoro, ovvero il rappresentante legale dell’impresa
In ambito prevenzionistico, invece, ai sensi dell’art. 1 lett. b) TUS, il datore di lavoro è il soggetto titolare del rapporto di lavoro con il lavoratore o, comunque, il soggetto che, secondo il tipo e l’assetto dell’organizzazione nel cui ambito il lavoratore presta la propria attività, ha la responsabilità dell’organizzazione o dell’unità produttiva, in quanto esercita i poteri decisionali e di spesa.
A differenza della nozione di datore di lavoro in senso civilistico, tale definizione collega il concetto di datore di lavoro non solo al soggetto titolare del rapporto di lavoro subordinato, ma a chi detiene il potere decisionale e di spesa, ovvero colui il quale possiede effettivamente il potere organizzativo e di spesa per adempiere agli obblighi previsti dal TUS in materia di sicurezza, a prescindere da una investitura formale.
Tale principio è confermato dall’art. 299 TUS, secondo cui la posizione di garanzia spettante al datore di lavoro grava anche sul soggetto che, pur sprovvisto di regolare investitura, eserciti in concreto i poteri giuridici ad esso spettanti. Il legislatore pone quindi l’accento, ai fini dell’individuazione della figura del datore di lavoro, non tanto sulla titolarità del rapporto di lavoro, quanto sull’esistenza, di fatto, di poteri decisionali circa l’organizzazione e gestione dell’impresa e dei lavoratori.
Ne consegue che non sempre il legale rappresentante (datore di lavoro in senso civilistico) coincide con il soggetto in grado di esercitare l’effettivo potere di organizzazione dell’azienda e del lavoro dei dipendenti (datore di lavoro in senso prevenzionistico), specialmente nelle imprese di medio e grandi dimensioni.
Il TUS adotta infatti una nozione ampia di datore di lavoro, intesa in un’accezione sia formale che sostanziale; in altri termini, il soggetto datoriale è individuato non solo tenendo conto della titolarità formale del rapporto di lavoro, ma anche dell’effettivo e del concreto esercizio di poteri gestionali.
Tale definizione è finalizzata a scongiurare forme improprie di imputazione di responsabilità in capo a chi sia datore di lavoro, solo perché formalmente parte contrattuale, anche in assenza dell’attribuzione delle necessarie prerogative.
Si possono, dunque, enucleare due definizioni di datore di lavoro:
- il datore di lavoro in senso formale, ossia colui che ha stipulato il contratto di lavoro con il lavoratore ai sensi dell’art. 2082 c.c., vale a dire l’imprenditore;
- il datore di lavoro in senso sostanziale, ossia colui che assume in concreto la responsabilità dell’organizzazione di un’azienda o di un’unità produttiva di essa ed esercita i poteri decisionali e di spesa.
Tali qualifiche, di norma, si sommano nel medesimo individuo, ma è possibile che all’interno della stessa struttura aziendale coesistano più soggetti che ricoprono distintamente il ruolo di datore di lavoro in senso formale e in senso sostanziale. Ciò avviene più frequentemente nelle imprese costituite in forma societaria e in quelle articolate in più unità produttive.
In tale contesto, si è posto il tema relativo alla prevalenza dell’una o dell’altra qualifica in caso di dissociazione tra il datore di lavoro titolare formale del rapporto e il responsabile dell’organizzazione. La soluzione a tale questione può essere ricavata dalla lettera dell’art. 2 TUS; l’avverbio «comunque» attribuisce infatti preminenza alla dimensione sostanziale della figura del datore rispetto a quella formale.
Si rende, dunque, necessaria una ricerca atta ad individuare colui che, all’interno dell’azienda, assume in concreto le decisioni e impiega le risorse, ai fini dell’adempimento dell’obbligo di sicurezza.
Sul piano applicativo, il criterio formale è sufficiente per identificare il soggetto responsabile nel caso in cui l’imprenditore sia una persona fisica; qualora, invece, titolare del rapporto di lavoro sia una società o un ente collettivo, prevale il criterio sostanziale.
In questo articolo prenderemo in considerazione il datore di lavoro nel suo significato prevenzionistico, ai sensi dell’art. 1 lett. b) TUS.
3. Il datore di lavoro nelle società di persone e di capitali
Nelle società di persone (Società semplici, S.n.c., S.a.s.), la giurisprudenza ha costantemente ritenuto che la qualifica di datore di lavoro – con gli annessi doveri in materia di sicurezza sul lavoro – gravi su ciascun socio l’obbligo di prevenzione, purché non risulti un’espressa delega a soggetti di particolare competenza nel settore della sicurezza.
Nelle società di capitali (S.r.l., s.p.a., s.a.p.a.), invece, la qualifica di datore di lavoro e i relativi obblighi di prevenzione gravano, a seconda dei casi, sull’amministratore unico, o, qualora vi sia un CdA, indistintamente su tutti i componenti del CdA, a meno che il Cda non deleghi ad uno dei suoi membri la responsabilità e la gestione dell’impresa in materia di sicurezza ed igiene del lavoro, ai sensi dell’art. 2381 comma 2, c.c.
In quest’ultimo caso, l’attribuzione dei poteri all’amministratore delegato avviene ai sensi dell’art. 2381 comma 2, c.c., il quale prevede appunto che, qualora lo statuto o l’assemblea lo consentano, il CdA può delegare proprie attribuzioni ad un comitato esecutivo composto da alcuni dei suoi componenti, o ad uno o più componenti.
Pertanto, in questo caso, non siamo in presenza di una delega di funzioni (v. par. 5) ai sensi dell’art. 16 TUS, ma di una delega gestoria, cioè del trasferimento vero e proprio della posizione di garanzia, poiché, attraverso la delibera del CdA, all’amministratore delegato viene trasferito l’obbligo di adottare le necessarie misure antinfortunistiche e di vigilare sulla loro corretta applicazione. Quindi, il membro del CdA che ha ricevuto la delega è considerato datore di lavoro a tutti gli effetti, parimenti all’amministratore unico o ad esempio al socio accomandatario.
Tuttavia, il trasferimento della posizione di garanzia al consigliere delegato ai sensi dell’art. 2381 co. 2 c.c. non lascia gli altri consiglieri esenti da responsabilità; la delega di garanzia ad un consigliere, infatti, non esclude totalmente la responsabilità degli altri membri del CdA, i quali sono responsabili qualora abbiano omesso di vigilare o, essendo a conoscenza di atti pregiudizievoli per la società o dell’inidoneità del delegato, non siano intervenuti (sul punto si veda l’approfondimento in un altro articolo.
Pertanto, il mancato intervento del delegante in caso di mancata osservanza dei doveri da parte del delegato, può comportare il sorgere in capo al delegante stesso di una responsabilità per concorso nel reato doloso o cooperazione nel reato colposo. Il delegante inoltre può essere considerato responsabile quando venga meno il principio dell’autonomia decisionale e di spesa del delegato a causa delle ingerenze dello stesso delegante, poiché in tal caso il delegante manifesta la sua intenzione di annullare gli effetti della delega o di restringere l’ambito di applicazione e pertanto riacquista la sua posizione originaria e la relativa responsabilità.
In una stessa impresa è, quindi, possibile che più soggetti possano essere contemporaneamente individuati quali datori di lavoro, su ciascuno dei quali ricadono le responsabilità, civili e penali, proprie del datore di lavoro.
In sintesi, dunque, il datore di lavoro, a seconda della tipologia della società, può essere così individuato:
- nelle n.c., tutti i soci (salva l’espressa rinuncia a poteri di amministrazione attiva);
- nelle a.s., il socio accomandatario;
- nelle società di capitali (S.p.A., S.r.l., S,a.p.a.), con amministratore unico, l’amministratore unico;
- nelle società di capitali (S.p.A., S.r.l., S,a.p.a.), con consiglio d’amministrazione (CdA), tutti i membri del CdA, a meno che non vi sia una specifica delibera che affida la posizione di garanzia (cioè la delega in materia di sicurezza: v. par. 5) ad un singolo amministratore.
4. Il datore di lavoro nei gruppi di società
Il gruppo è un’aggregazione di imprese dotate di autonomia patrimoniale, ma collegate sul piano organizzativo, nel cui ambito la società capogruppo esercita nei confronti delle altre un’attività di direzione e coordinamento, secondo quanto previsto dagli artt. 2497 e ss. c.c..
In ambito giuslavoristico, in mancanza di una regolamentazione specifica del rapporto di lavoro all’interno di un gruppo d’imprese, in linea generale il rapporto di lavoro intercorre tra lavoratore e singola società facente parte del gruppo, in virtù della formale separazione soggettiva fra le società facenti parte del medesimo gruppo. In questo senso, l’art. 31, comma 3 del D.lgs. n. 276/2003 specifica che il titolare delle obbligazioni contrattuali e legislative rimane la singola società del gruppo datrice di lavoro.
Pertanto, in linea generale ciascuna società del gruppo è titolare esclusiva dei rapporti di lavoro subordinato con i propri dipendenti, senza che i relativi obblighi si estendano alle altre società del gruppo.
Diverso è il caso in cui di fatto la società capogruppo eserciti le prerogative del datore di lavoro, anche quando il contratto è formalmente intestato ad altra società del gruppo. In tale ipotesi, infatti, nonostante la distinta soggettività giuridica tra le diverse società del gruppo, la concreta ingerenza della capogruppo nella gestione del rapporto di lavoro dei dipendenti delle società del gruppo, che ecceda il ruolo di direzione e coordinamento generale alla stessa spettante sul complesso delle attività delle società controllate, determina l’assunzione in capo alla società capogruppo della qualità di datore di lavoro. In altri termini, qualora la società controllante governi e utilizzi la prestazione del lavoratore della controllata, la titolarità del rapporto di lavoro spetta a questa, e non alla controllata, in capo alla quale il rapporto con il lavoratore risulta solo formalmente costituito.
Può altresì accadere che un lavoratore svolga distinte prestazioni lavorative per diverse imprese, pur appartenenti al medesimo gruppo, suddividendo il tempo di lavoro con contratti a tempo parziale, che siano compatibili con i distinti rapporti di lavoro e, quindi, senza che si realizzi quell’unico centro d’imputazione, che porterebbe a configurare un unico rapporto in capo al gruppo. O ancora è possibile che del risultato, che consegue alla prestazione di lavoro, tragga beneficio un’impresa diversa da quella con la quale il prestatore ha stipulato il contratto di lavoro.
In taluni casi, tuttavia, non è sempre chiaro se, al di là della distinta personalità giuridica, sussista una reale separazione tra le diverse società appartenenti ad un medesimo gruppo o, piuttosto, sia configurabile un’unica impresa tra le stesse.
In proposito, la Cassazione, con un orientamento adottato a partire dalla fine degli anni ottanta, ha stabilito che occorre stabilire se in concreto sussista o meno di un unico centro d’imputazione nell’ambito di un gruppo d’imprese, sulla base di alcuni indici. In particolare, secondo la giurisprudenza un gruppo di società realizza un’unicità d’impresa – con conseguente esistenza di un unico centro di imputazione del rapporto di lavoro- quando ricorrono i seguenti requisiti:
- unicità di struttura organizzativa e produttiva;
- integrazione tra le attività esercitate dalle varie imprese e correlativo interesse comune;
- coordinamento tecnico- produttivo e finanziario tale da far individuare un unico soggetto direttivo che faccia confluire le diverse attività delle singole imprese verso uno scopo comune;
- utilizzazione contemporanea della prestazione lavorativa da parte delle varie società del gruppo, nel senso che la stessa sia svolta in modo indifferenziato contemporaneamente in favore di vari imprenditori.
In tale ipotesi, si è in presenza di unicità di impresa, e pertanto si configura un solo rapporto di lavoro fra il lavoratore e la pluralità di società, legate insieme dal vincolo della solidarietà.
5. La delega di funzioni in materia di sicurezza
La moltitudine di obblighi gravanti sul datore di lavoro, e delle conseguenze in tema di responsabilità, da sì che gli stessi non possono essere tutti utilmente adempiuti in concreto, soprattutto nel caso di un’attività d’impresa particolarmente complessa e articolata. E’ quindi pressoché inevitabile, ai fini di una corretta gestione preventiva e tutelante della salute e della sicurezza dei lavoratori, trasferire la gestione del rischio su figure professionali competenti e formate nella specifica disciplina tecnica di settore.
Affinché la delega della funzione di datore di lavoro da parte del CdA, ai sensi dell’art. 2, comma 1, lett. b) TUS sia efficace, devono essere rispettati i seguenti requisiti:
- lo statuto deve prevedere la facoltà per il CdA di delegare proprie attribuzioni ad uno o più dei suoi componenti;
- la delibera del Cda deve attribuire al consigliere delegato, ai sensi dell’art. 2381, comma 2, c.c., tutti i poteri concernenti l’organizzazione, la gestione ed il controllo dell’impresa in materia di sicurezza del lavoro, e, in particolare, i poteri di organizzazione e di scelta delle misure igieniche ed antinfortunistiche, con piena ed illimitata facoltà di spesa in relazione a tutto ciò che è necessario per dotare l’impresa dei mezzi idonei per la tutela dell’incolumità e della salute dei lavoratori e dei terzi;
- il consigliere delegato deve partecipare alla seduta del CdA, approvare la delega di attribuzioni in suo favore – senza, cioè, astenersi – ed accettare espressamente la delega stessa;
- la delibera del CdA deve essere iscritta nel Registro delle imprese;
- il documento di valutazione dei rischi e l’atto di nomina del responsabile del servizio di prevenzione e protezione (RSPP) devono essere sottoscritti dal consigliere delegato (non da altri amministratori né dal Presidente del CdA);
- deve essere redatto un apposito organigramma aziendale – da consegnare a richiesta degli organi di vigilanza – nel quale al vertice della piramide è collocato l’amministratore delegato – datore di lavoro.
La delibera del CdA può stabilire che il consigliere delegato possa delegare a sua volta specifiche funzioni tra quelle attribuitegli in materia di salute e sicurezza sul lavoro a soggetti preparati e competenti nel rispetto di quanto previsto dall’articolo 16 TUS (v. par. 6).
Non è invece riconducibile all’istituto della delega di funzioni:
- la nomina del dirigente o preposto; in tal caso non si è infatti in presenza di un passaggio di responsabilità da un garante originario ad uno derivato, ma della semplice attribuzione di un incarico, da cui deriva il conferimento dei poteri tipicamente previsti nella qualifica, come disciplinata dalla legge;
- la nomina del RSPP; tale figura infatti non ha poteri decisionali ma ha una funzione di ausilio e consulenza, diretta a supportare e non a sostituire il datore di lavoro nell’individuazione dei fattori di rischio nella lavorazione, nella scelta delle procedure di sicurezza e nelle pratiche di formazione ed informazione dei dipendenti, per cui gli obblighi di vigilanza e di controllo gravanti sul datore di lavoro non vengono meno con la nomina del RSPP.
6. La delega di funzioni ai sensi dell’art. 16 D.lgs. n. 81/2008
Qualora il datore di lavoro, come sopra individuato, intenda designare il responsabile della sicurezza (da non confondersi con il responsabile del servizio di prevenzione e protezione – RSSP), si ha una delega di funzioni, conferita ai sensi dell’art. 16 TUS; il delegato così nominato assume a tutti gli effetti la qualifica di delegato del datore di lavoro.
La delega di funzioni è appunto il mezzo con il quale il datore di lavoro trasferisce poteri e doveri per legge connessi al proprio ruolo ad un altro soggetto, che diventa così garante a titolo derivativo. Essa non deve quindi essere considerata un semplice scarico di responsabilità, bensì ma uno strumento organizzativo mediante il quale il datore di lavoro, ovvero il titolare dei poteri decisionali e di spesa all’interno della propria azienda, interviene per migliorare l’organizzazione attraverso il trasferimento delle proprie funzioni ad altro soggetto capace e competente, al fine di meglio assolvere le proprie responsabilità.
La titolarità del potere rimane in capo al datore di lavoro-delegante, sul quale incombe un obbligo di sorveglianza nei confronti del delegato affinché questi adempia puntualmente quanto previsto (v. par. 7). Per effetto della delega, in sostanza, il ruolo del datore di lavoro non è più quello di assolvere direttamente gli adempimenti imposti dalle norme in materia di sicurezza e salute sui luoghi di lavoro, ma di vigilare sull’adempimento delle funzioni delegate, mentre viene individuata una autonoma posizione di garanzia in capo al soggetto delegato.
Secondo l’art. 16 TUS, il datore di lavoro può delegare ad un terzo le funzioni di datore di lavoro, fatta eccezione per gli obblighi del datore di lavoro non delegabili, ai sensi dell’art. 17 TUS, ovvero:
- la valutazione di tutti i rischi con la conseguente elaborazione del documento di valutazione dei rischi (DVR), previsto dall’art. 28 TUS;
- la designazione del responsabile del servizio di prevenzione e protezione dai rischi (RSPP).
Ai sensi dell’art. 16 TUS, la delega di funzioni per essere efficace deve possedere alcuni specifici requisiti. L’esame di tali requisiti è importante in quanto, ad avviso della giurisprudenza, soltanto una delega correttamente e validamente conferita è idonea a produrre, a favore del delegante, un effetto liberatorio dalle responsabilità che all’esercizio di quelle funzioni sono connesse.
In primo luogo, la delega deve risultare da atto scritto avente data certa (quindi deve essere effettuata con scrittura privata autenticata da un notaio o atto pubblico); tale requisito è previsto per garantire la necessaria anteriorità dell’atto di delega rispetto al verificarsi dell’infortunio, scongiurando falsificazioni da parte di terzi, interessati a far valere una data diversa da quella effettiva di redazione.
In secondo luogo, il soggetto delegato deve possedere tutti i requisiti di professionalità ed esperienza richiesti dalla specifica natura delle funzioni delegate, in relazione al concreto ambito di attività dell’impresa e allo specifico settore.
Il requisito dell’idoneità tecnica del delegato deve essere accertato ex ante dal giudice, essendo escluso che l’inadeguatezza venga verificata a posteriori della stessa violazione realizzata; inoltre, secondo i principi generali in tema di responsabilità colposa, l’idoneità deve essere riconoscibile dal datore di lavoro sul quale grava l’onere di fornire «la prova rigorosa di aver delegato ad altre persone tecnicamente qualificate l’incarico di seguire lo svolgimento delle varie attività» e affidato alla competenza del delegato. Nel caso in cui la carenza di determinate.
Nel caso in cui la carenza di determinate condizioni e requisiti determini la verificazione di eventi dannosi, può sorgere una responsabilità del delegante per culpa in eligendo, ossia per i danni recati nell’esercizio delle funzioni a cui è adibito, che può aggiungersi, nel caso, ad una responsabilità dello stesso delegato basata su di una “colpa per assunzione”, e cioè la colpa di colui che cagiona un evento dannoso, avendo assunto un compito che non è in grado di svolgere secondo il grado di diligenza richiesto.
In terzo luogo, al delegato devono essere attribuiti tutti i poteri di organizzazione, gestione e controllo richiesti dalla specifica natura delle funzioni delegate; il datore di lavoro deve quindi fornire al delegato tutti gli strumenti tecnici ed i poteri necessari affinché possa assolvere alle funzioni cui è preposto, ovvero:
- strumenti di conoscenza, intesi come possibilità di libero accesso ai luoghi di lavoro in qualunque momento dell’attività produttiva, di dialogare con i lavoratori o con persone estranee, di informarsi leggendo i documenti aziendali attinenti le scelte da effettuare in materia di prevenzione degli infortuni sul lavoro;
- strumenti di intervento nella scelta delle attrezzature, nella collocazione dei macchinari, nell’individuazione dei mezzi di protezione, nella modifica delle condizioni di lavoro, delle fasi e dei tempi del processo lavorativo;
- strumenti di coordinamento tra i vari comparti aziendali.
In quarto luogo, il delegato deve agire in piena autonomia decisionale e di spesa, compatibilmente e coerentemente con i compiti a lui delegati; il delegato deve quindi avere disponibilità dei mezzi finanziari necessari per l’espletamento dei poteri attribuitigli, senza dover essere autorizzato ogni volta dal delegante in caso di necessità di impiego delle somme stanziate per l’adempimento degli obblighi prevenzionistici
Al requisito dell’autonomia finanziaria può accompagnarsi un obbligo di rendiconto annuale del delegato al delegante, per consentire al delegante un controllo sullo svolgimento delle funzioni delegate.
L’autonomia finanziaria del delegato non deve peraltro essere necessariamente illimitata, essendo invece sufficiente che la stessa sia congrua rispetto ai poteri attribuiti. E’ dunque possibile prevedere limiti di spesa nella delega.
Sul delegato grava in ogni caso l’obbligo di non accettare la delega qualora la stessa non preveda i fondi necessari per svolgere le funzioni delegate, e di segnalare al delegante eventuali esigenze di intervento qualora esse eccedano i limiti imposti alla sua autonomia di spesa; se quindi il delegato accetta una delega che prevede un budget palesemente inadeguato allo svolgimento delle funzioni delegate, oltre a non esonerare il delegante, ciò comporta una responsabilità del delegato in caso si verifichi un evento lesivo in danno dei lavoratori.
Infine, la delega deve infine essere accettata dal delegato per iscritto, contestualmente o con atto successivo, a carattere recettizio, redatto con le modalità richieste per la delega, da comunicarsi al delegante.
Il comma 2 dell’art. 16 TUS specifica, inoltre, che alla delega deve essere data adeguata e tempestiva pubblicità. La delega deve essere quindi adeguatamente diffusa nell’ambito dell’organizzazione aziendale, di modo che possano essere immediatamente riconoscibili, per coloro che operano all’interno dell’organizzazione e per i terzi che vengano a contatto con la stessa, i soggetti preposti a determinate funzioni. Sotto tale profilo, il datore di lavoro può perseguire tale obiettivo con le modalità che riterrà più opportune, quali, ad esempio, l’iscrizione della delega nel registro delle imprese e la sua diffusione nel luogo di lavoro tramite circolari o nel sito web dell’impresa.
Si ritiene inoltre, sebbene l’art. 16 TUS non menzioni nulla a riguardo, che la delega, per essere efficace, debba indicare specificamente i poteri effettivamente conferiti.
Pertanto, qualora la delega abbia i requisiti di cui sopra, la stessa ha l’effetto da un lato di trasferire sul delegato l’obbligo di garanzia in senso tecnico, ovvero il dovere di impedire che la salute dei lavoratori subisca delle offese, e dall’altro lascia residuare in capo al delegante un dovere di vigilanza, cioè un dovere di verificare l’osservanza delle regole comportamentali e organizzative da parte del delegato.
Diversamente dalla delega gestoria di cui all’art. 2381, comma 2, c.c. ai sensi dell’art. 16 TUS possono essere devolute le funzioni datoriali in materia di sicurezza anche a dirigenti estranei al CdA, ivi compresi terzi non incardinati nella struttura organizzativa dell’ente (ad es. un consulente esterno), purché vengano dotato dei poteri decisori e di intervento. Non sembra, invece, possibile la delega di funzioni datoriali ad un soggetto in posizione puramente esecutiva (come ad es. un operaio o un impiegato di basso livello), il quale non è munito di un potere di comando sufficiente ad impartire ordini ai soggetti da tutelare.
7. Gli obblighi di vigilanza sull’operato del delegato
Ai sensi del comma 3 dell’art. 16 TUS, in caso di delega di funzioni il datore di lavoro ha l’obbligo di vigilanza in ordine al corretto espletamento da parte del delegato delle funzioni trasferite.
Il datore di lavoro non può quindi, delegando, disinteressarsi delle problematiche della sicurezza, ma deve informarsi, nella fase attuativa, sulla gestione della delega e intervenire in via sostitutiva, ogni qual volta ciò sia richiesto dal mancato o inidoneo esercizio dei poteri-doveri oggetto di trasferimento.
L’obbligo di vigilanza non si esaurisce in una mera attività di controllo, ma richiede anche che il delegante intervenga qualora il delegato non osservi i propri doveri. Il delegante, infatti, se da un lato non deve intromettersi nelle scelte del delegato, dall’altro ha il dovere di intervenire in sua vece ogni qual volta si renda conto di una colpevole inerzia nell’attuazione delle incombenze trasferite.
L’attività di vigilanza ai sensi dell’art. 16 comma 3 TUS non consiste, peraltro, in un controllo quotidiano e sulle singole operazioni del delegato, ma in una sorveglianza sintetica e periodica sullo stato generale della gestione della sicurezza, e segnatamente sui profili implicati nell’attuazione della delega. In particolare, il controllo sull’esercizio dei poteri trasferiti potrà (e, nella maggior parte dei casi, dovrà, per risultare rispondente a parametri di diligenza) essere esercitato, anziché direttamente e personalmente dal delegante (privo del tempo e delle conoscenze necessarie), mediante un’adeguata organizzazione, e cioè istituendo efficaci presidi di controllo interni all’ente o ricorrendo a strutture esterne specializzate.
D’altra parte, al netto dei compiti non delegabili, il delegante, una volta rilasciata la delega, deve astenersi dall’esercizio di poteri diversi e ulteriori rispetto a quelli di vigilanza sull’adempimento della delega; in caso contrario, di fatto, risulterebbe corresponsabile con il delegato.
Ai sensi del comma 3 dell’art. 16 TUS, l’obbligo di vigilanza si considera adempiuto qualora la società abbia adottato ed efficacemente attuato il modello organizzativo di cui all’art.30 comma 4 TUS.
La norma introduce, pertanto, una presunzione legale di adempimento del dovere di vigilanza ove sia stato adottato e – soprattutto – efficacemente attuato il sistema di controllo previsto nell’ambito del Modello organizzativo ai sensi del D.lgs n. 231/2001. In sostanza, dalla prova dell’adozione e concreta implementazione del sistema di verifica e controllo la legge consente di inferire anche l’avvenuto assolvimento dell’obbligo di vigilanza del delegante.
L’art. 30 del TUS prevede una serie di requisiti specifici del modello di organizzazione e gestione, la cui adozione ed efficace attuazione fonda l’esonero da responsabilità per l’ente. Tra i requisiti del modello in questione, il quarto comma stabilisce la previsione di un idoneo sistema di controllo sull’attuazione del modello e sul mantenimento nel tempo delle condizioni di idoneità delle misure adottate. Il rinvio operato dall’art. 16, comma 3, all’art. 30, comma 4, comporta che l’adozione ed efficace attuazione di tale modello, oltre ad essere rilevante ai fini dell’esonero della responsabilità da reato dell’ente, produce effetti importanti sul piano della responsabilità individuale del soggetto delegante.
Qualora, dunque, il datore di lavoro abbia delegato alcune sue proprie funzioni prevenzionistiche e abbia adottato ed efficacemente attuato il modello di verifica e controllo di cui all’art. 30, quarto comma TUS, si configura l’esenzione da responsabilità penale. Nel caso in cui, invece, non sia stato predisposto e attuato un idoneo modello organizzativo, ma il datore di lavoro, delegante, abbia assolto correttamente l’obbligo di vigilanza, di cui all’art. 16 comma 3 TUS, egli non sarà comunque chiamato a rispondere penalmente.
L’organo di vertice dell’ente conserva, peraltro, piena discrezionalità in merito ai metodi organizzativi mediante cui soddisfare le esigenze di sorveglianza sul corretto espletamento delle funzioni trasferite; potrà quindi avvalersi del sistema di controllo sull’attuazione del modello organizzativo (nel qual caso potrà giovarsi anche dello statuto probatorio privilegiato ad esso normativamente collegato), ovvero ricorrere a strumenti diversi parimenti efficaci (es. l’affidamento a soggetti esterni qualificati di attività periodiche di audit, accompagnato dalla previsione di obblighi di reportistica e rendicontazione del delegato e dalla previsione di riunioni periodiche; o perfino – specie nelle realtà minori – forme di sorveglianza diretta).
8. La subdelega
Il delegato, secondo quanto previsto dall’art. 16 comma 3 bis TUS, può a sua volta delegare specifiche funzioni in materia di sicurezza sul lavoro.
Le condizioni di ammissibilità della c.d. subdelega sono le stesse in precedenza analizzate per la delega (v. par. 6). Sono tuttavia previsti alcuni ulteriori requisiti, più stringenti, volti ad evitare un’eccessiva dispersione degli obblighi di sicurezza e delle relative posizioni di garanzia.
In primo luogo, è richiesta la previa autorizzazione da parte del datore di lavoro. Oggetto dell’ulteriore trasferimento, inoltre, possono essere solo specifiche funzioni; è quindi vietata una subdelega di carattere generale, che non lasci residuare alcun obbligo in capo al delegato primario. Infine, per evitare una eccessiva dispersione e di slittamento verso il basso delle responsabilità, il delegato secondario non può a sua volta trasferire le funzioni delegate.
La subdelega non esclude l’obbligo di vigilanza (v. par. 7) in capo al sub-delegante in ordine al corretto espletamento delle funzioni trasferite; anche il subdelegante, quindi, come il delegante primario, è gravato dall’obbligo di vigilanza. Come per il primo delegante, deve ritenersi sufficiente la predisposizione di presidi organizzativi in grado di assicurare una sorveglianza di carattere generale e principalmente a consuntivo sulla gestione della subdelega.
E’ possibile scaricare un modello di delega funzioni in materia di sicurezza del lavoro, cliccando qui ,con l’avvertenza che è necessario procedere alle opportune modifiche in rapporto alle specificità del singolo caso.
Per approfondire i nostri servizi di assistenza e consulenza in tema di compliance aziendale, visionate la pagina dedicata del nostro sito .
Avv. Valerio Pandolfini
Per altri articoli di approfondimento su tematiche attinenti il diritto d’impresa: visitate il nostro blog.
Le informazioni contenute in questo articolo sono da considerarsi sino alla data di pubblicazione dello stesso; le norme regolatrici la materia potrebbero essere nel frattempo state modificate.
Le informazioni contenute nel presente articolo hanno carattere generale e non sono da considerarsi un esame esaustivo né intendono esprimere un parere o fornire una consulenza di natura legale. Le considerazioni e opinioni riportate nell’articolo non prescindono dalla necessità di ottenere pareri specifici con riguardo alle singole fattispecie.
Di conseguenza, il presente articolo non costituisce un (né può essere altrimenti interpretato quale) parere legale, né può in alcun modo considerarsi come sostitutivo di una consulenza legale specifica.