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rapporti bancari

Rapporti bancari e pratiche commerciali scorrette

23 Novembre 2022/in Compliance, News

Le pratiche commerciali scorrette, quando riguardano l’offerta di beni e servizi bancari in senso lato – ovvero il credito al consumo e il credito immobiliare o ipotecario, i servizi di pagamento (tramite carte di credito, bancomat, libretti assegni) e i servizi di cassa (gestione depositi in c/c, esecuzione e riscossione bonifici) – sono particolarmente pericolose. La casistica sulle pratiche commerciali scorrette nel settore bancario è molto vasta. L’AGCM, è intervenuta numerose volte per sanzionare aziende di credito e società finanziarie per pratiche commerciali scorrette, in particolare in materia di conti correnti bancari e mutui.

Indice

1. Le pratiche commerciali scorrette nei rapporti tra banca cliente

Le pratiche commerciali scorrette , quando riguardano l’offerta di beni e servizi bancari in senso lato – ovvero il credito al consumo e il credito immobiliare o ipotecario, i servizi di pagamento (tramite carte di credito, bancomat, libretti assegni) e i servizi di cassa (gestione depositi in c/c, esecuzione e riscossione bonifici) – sono particolarmente pericolose.

Numerosi prodotti e servizi distribuiti dal canale bancario sono assai diffusi tra il pubblico e, per un’ampia fascia di clientela, sono anche indispensabili. Al contempo, tali prodotti e servizi sono generalmente oggetto di offerta scarsamente diversificata e comunque difficile da valutare dal punto di vista qualitativo. I corrispondenti contratti sono spesso così complessi che neppure il consumatore assai istruito, avveduto e consapevole riesce a padroneggiarli in corso di svolgimento e a valutarli – per qualità e convenienza – in fase di scelta.

Per tali ragioni, tra imprese bancarie e consumatori spesso intercorrono relazioni commerciali fortemente squilibrate e per ciò stesso ad elevato rischio di strumentalizzazione da parte del professionista. Ciò spiega perché l’AGCM consideri il contrasto delle pratiche commerciali scorrette nel settore bancario come una priorità dell’azione amministrativa in difesa dei consumatori.

In sintesi, l’intervento dell’AGCM sulle condotte commerciali scorrette poste in essere nel settore bancario è volta ad accrescere il livello di protezione garantito al consumatore della normativa sui contratti bancari. Per raggiungere questo risultato, l’Autorità ha effettuato alcune precise scelte interpretative in relazione ad entrambi gli elementi costitutivi della fattispecie delle pratiche commerciali scorrette , ovvero la contrarietà alla diligenza professionale e l’idoneità a falsare il comportamento del “consumatore medio”.

In relazione al primo elemento, l’AGCM ha stabilito che si deve esigere dalla banca un elevato standard di diligenza professionale nei rapporti con la clientela, e comunque non inferiore a quello che la stessa deve adottare internamente per perseguire gli scopi dell’attività bancaria.

In particolare, l’AGCM ha stabilito che la diligenza professionale che i consumatori possono attendersi dalle imprese bancarie è quella di volta in volta in grado di “proteggerli”, ovvero di neutralizzare i rischi commerciali commessi al forte squilibrio che caratterizza il rapporto. La diligenza del professionista bancario deve essere dunque tanto più elevata quanto più elevata è l’asimmetria informativa in cui versa il consumatore, in relazione alla complessità del rapporto interessato dalla pratica e alla frequenza con cui il consumatore ricorre ad alcuni servizi o prodotti.

Di conseguenza, secondo l’Autorità, la diligenza professionale che il consumatore può aspettarsi dall’operatore bancario si determina in base al parametro della legalità specifica dell’attività esercitata, ma non si esaurisce nell’osservanza delle prescrizioni di settore, se e quando queste sono in grado di “sterilizzare” i rischi di asimmetria. Alcune decisioni dell’AGCM arrivano a configurare in capo al professionista oneri di diligenza professionale tanto elevati da includere una consulenza tecnica sulla normativa tecnica sulla normativa applicabile alla prestazione. È stata infatti considerata come pratica commerciale vietata, nel settore bancario, anche l’attività di orientamento delle scelte del consumatore “in direzione diversa dai suoi interessi e dagli obiettivi perseguiti dal legislatore”.

Con riferimento al secondo parametro, l’AGCM ha commisurato il giudizio di scorrettezza della pratica esaminata alla sua idoneità a falsare le scelte economiche del “consumatore medio” a cui essa si rivolge, in quanto soggetto debole e influenzabile. Il consumatore di riferimento del settore bancario, secondo l’AGCM, è definito dunque dal contesto economico e di mercato nell’ambito del quale si trova ad agire, quando questo, come nel caso del credito o degli altri servizi bancari, è caratterizzato da asimmetria informativa particolarmente elevata.

In relazione a tale requisito, l’AGCM ha chiarito che, nel settore bancario, l’influenzabilità del consumatore e gli effetti pregiudizievoli delle pratiche commerciali scorrette sono amplificati da due fattori:

  • la vulnerabilità della clientela bancaria che, per esigenze di finanziamento e quindi per necessità di denaro, di rivolge all’azienda di credito;
  • la manipolabilità della clientela bancaria, che si trova nell’impossibilità di decodificare l’informazione relativa al prodotto o servizio che domanda, o che è portata a fare un uso incontrollato e inconsapevole dello strumento del credito.

Data l’elevata influenzabilità del “consumatore medio” a cui si rivolge, l’AGCM esige dall’operatore particolare accortezza nella pubblicità informativa di prodotti e servizi bancari, e più, in generale, elevata diligenza e attenzione in ogni fase del rapporto con il consumatore.

La casistica sulle pratiche commerciali scorrette nel settore bancario è particolarmente vasta. La condotta degli operatori bancari ha infatti costituito oggetto di numerosi interventi da parte dell’AGCM, la quale ha contestato e accertato a carico di numerose aziende di credito e società finanziarie appartenenti a gruppi bancari svariate pratiche commerciali vietate, irrogando numerose sanzioni amministrative pecuniarie, spesso di importo elevato.

Nella prassi, le violazioni contestate con maggiore frequenza ai professionisti del settore bancario riguardano l’omesso rilascio di informazioni o la fornitura di informazioni inesatte o incomplete, riguardanti soprattutto conti correnti bancari e i mutui.

 2. I rapporti tra AGCM e Autorità indipendenti

L’art. 11, par. 1, della Direttiva 2005/29/CE attribuisce ad ogni Stato membro la scelta del soggetto cui affidare i poteri di “enforcement” in materia di pratiche commerciali scorrette. In sede di attuazione della Direttiva, l’ordinamento italiano, prediligendo un meccanismo di “public enforcement”, ha individuato, all’art.  27, comma 1, C. Cons., nell’AGCM l’organo preposto alla repressione delle pratiche commerciali scorrette, deferendo alla competenza esclusiva del giudice amministrativo il giudizio di impugnazione delle decisioni emanate dall’AGCM.

Si è posto tuttavia il problema del riparto di competenze tra l’AGCM e altre Autorità di settore, tra le quali, per ciò che interessa in questa sede, la Banca d’Italia, alla quale il D.lgs. n. 385/1993 (Testo Unico delle leggi in materia bancaria e creditizia – TUB) attribuisce il compito di assicurare la trasparenza e la correttezza delle relazioni tra intermediari e clienti.

Il problema del riparto di competenze tra AGCM e le altre Autorità di settore a sua volta è connesso alla ricostruzione dei rapporti tra la normativa generale in tema di pratiche commerciali scorrette e le regolamentazioni di settore.

In proposito, l’art. 3 par. 4 della Direttiva dispone che le altre norme comunitarie che disciplinano aspetti specifici delle pratiche commerciali sleali prevalgono e si applicano a tali aspetti specifici solo a condizione di un contrasto con le disposizioni della Direttiva stessa. Inoltre, il considerando 10 della Direttiva precisa che la stessa si applica soltanto qualora non esistano norme di diritto comunitario specifiche che disciplinino aspetti specifici delle pratiche commerciali sleali, come gli obblighi di informazione e le regole sulle modalità di presentazione delle informazioni al consumatore.

Nell’ordinamento interno, la norma comunitaria è stata trasposta nell’art. 19, comma 3 C. Cons., ai sensi del quale «in caso di contrasto le disposizioni contenute in direttive o in altre disposizioni comunitarie e nelle relative norme nazionali di recepimento che disciplinano aspetti specifici delle pratiche commerciali scorrette prevalgono sulle disposizioni del presente titolo e si applicano a tali aspetti specifici».

Pertanto:

  • in forza del criterio della specialità, le norme del C. Cons. in tema di accertamento e repressione delle pratiche commerciali scorrette non si applicano qualora sussistano nelle discipline di settore norme contrastanti volte a disciplinare aspetti specifici;
  • si applica la disciplina generale del C. Cons. qualora le discipline di settore intervengano a regolamentare aspetti specifici, con riguardo ad altri elementi.

Il Consiglio di Stato, nel 2008 in sede consultiva e nel 2012 in sede giurisdizionale, aveva applicato il principio di specialità fornendo una interpretazione estensiva alla menzionata norma di cui all’art. 19, comma 3, C. Cons. L’interpretazione fornita originariamente dalla giurisprudenza a tale principio aveva comportato, in un primo momento, la compressione dei poteri sanzionatori dell’AGCM, operata attraverso la devoluzione degli stessi – per quanto concerne la materia delle pratiche commerciali scorrette – in capo alle autorità di settore.

Tale orientamento aveva provocato nel 2013 l’avvio, da parte della Commissione Ue, di un procedimento di infrazione nei confronti dello Stato italiano per violazione della Direttiva. Secondo la Commissione, l’art. 3, par. 4, della Direttiva escludeva la possibilità di disapplicare la disciplina in essa contenuta per il sol fatto che esistesse una legislazione più specifica in un determinato settore; la prevalenza della disciplina settoriale sussisteva solo in presenza di norme basate su discipline europee ed in misura circoscritta agli aspetti da esse delineati. La limitazione dei poteri inibitori e sanzionatori dell’AGCM, operata attraverso l’interpretazione giurisprudenziale del principio di specialità, si traduceva quindi in un’ingiusta restrizione della tutela dei consumatori.

A fronte dell’avvio della procedura di infrazione, il legislatore nazionale è intervenuto con il D.lgs. n. 21/2014 – attuativo della a direttiva 2011/83/Ue sui diritti dei consumatori – il quale, inserendo il nuovo comma 1-bis all’art. 27 C. Cons., ha riconosciuto la competenza dell’AGCM in materia di pratiche commerciali scorrette anche nei settori regolati.

In particolare, la norma individua un criterio generale di ripartizione preventiva, stabilendo la competenza dell’AGCM nell’ipotesi in cui il comportamento del professionista, contrario alla regolazione di settore, costituisca una pratica commerciale scorretta, e una competenza residuale delle singole Autorità di settore. Queste ultime devono accertare la violazione solo nell’ipotesi in cui il comportamento non costituisca una pratica commerciale scorretta.

Viene così data prevalenza all’accertamento delle pratiche commerciali scorrette da parte dell’AGCM rispetto alla analoga attività svolta da parte delle altre Autorità di regolazione nei rispettivi settori, in modo da garantire che un medesimo comportamento, pur integrando una doppia violazione, non riceva una doppia sanzione.

Tale criterio è tuttavia risultato carente, non risultando chiaro se il parere dell’autorità di settore avesse natura vincolante o non vincolante; tale lacuna rischiava di tradursi in probabili e ricorrenti eccezioni in sede giurisdizionale, sollevate di volta in volta dalle parti processuali interessate, nel caso in cui l’AGCM avesse irrogato una sanzione disattendendo il parere sfavorevole dell’autorità di settore.

Investita sul punto dal giudice amministrativo di primo e secondo grado, la Corte di giustizia Ue, con la sentenza 13 settembre 2018 (cause riunite C-54/17 e C-55/17) ha quindi chiarito che l’art. 3, par. 4, della Direttiva trova applicazione non già in presenza di un contrasto tra norme nazionali, bensì a fronte di un conflitto tra le disposizioni della Direttiva stessa e le altre norme europee che disciplinano aspetti specifici delle pratiche commerciali sleali. In tale ipotesi, prevale la disciplina speciale. La Corte ha quindi ritenuto che la legittimazione attiva all’esercizio dei poteri sanzionatori spetti all’AGCM, anche laddove il settore economico di riferimento sia regolamentato.

3. Il Protocollo d’intesa tra AGCM e Banca d’Italia

Il 22 febbraio 2011 l’AGCM e la Banca d’Italia hanno siglato il Protocollo di intesa in materia di tutela dei consumatori nel mercato bancario e  finanziario, regolamentando i rispettivi poteri in materia di contrasto alle pratiche commerciali scorrette e di trasparenza e correttezza nei rapporti tra banche e clienti. Il Protocollo è finalizzato a realizzare un coordinamento tra le due Autorità – nel rispetto dei reciproci poteri – in modo da instaurare un tempestivo scambio di informazioni in merito ai procedimenti di natura amministrativa avviati, con la possibilità, contestualmente, di formulare osservazioni da ambo le parti.

Il Protocollo prevede che l’AGCM informi tempestivamente la Banca d’Italia circa l’avvio di un’attività istruttoria diretto a verificare l’esistenza di pratiche commerciali scorrette poste in essere da uno o più intermediari. La Banca d’Italia, ricevuta l’informativa, trasmette all’Antitrust gli eventuali provvedimenti sanzionatori adottati per violazione delle disposizioni sulla trasparenza e correttezza con riferimento ai fatti segnalati. Si prevede inoltre che la Banca d’Italia possa formulare osservazioni con riguardo ai profili   connessi alla interpretazione della normativa dalla stessa emanata, nonché agli orientamenti dell’Arbitro Bancario Finanziario.

La Banca d’Italia, viceversa, nel caso di avvio di un procedimento volto all’adozione di un provvedimento sanzionatorio o di un provvedimento particolare per violazione delle disposizioni sulla trasparenza e correttezza da parte di uno o più intermediari, informa tempestivamente l’AGCM che, a sua volta, trasmette alla Banca d’Italia gli eventuali provvedimenti adottati in materia di pratiche commerciali scorrette con riferimento ai fatti segnalati. Anche in questo caso l’AGCM può formulare osservazioni con riguardo ai profili connessi all’interpretazione delle disposizioni disciplinanti le pratiche commerciali scorrette.

La definizione della collaborazione e del coordinamento tra le Autorità rappresenta un importante tassello nel panorama delle collaborazioni tra autorità di vigilanza, costituendo, pertanto, non solo uno strumento di raccordo, coordinamento ed integrazione dell’attività ispettiva e di controllo propria di entrambe in vista della maggior tutela dei consumatori, ma anche un’opportunità per gli intermediari di contenere gli oneri derivanti dall’esercizio dell’attività di vigilanza. Tale collaborazione ha infatti permesso di sviluppare orientamenti comuni alle due Autorità, e di individuare best practices alle quali gli intermediari devono uniformare policy, operatività e modulistica contrattuale.

4. Gli strumenti di ADR e la tutela davanti all’ABF

Nel settore bancario, i rimedi amministrativi e giurisdizionali previsti in materia di pratiche commerciali scorrette possono risultare inadeguati a soddisfare il bisogno di giustizia della clientela nei confronti delle banche e degli altri intermediari finanziari. I tempi lunghi e i costi spesso insostenibili della giustizia finiscono infatti inevitabilmente con l’accentuare la situazione di disparità tra il piccolo cliente e la banca, spesso la sola parte a disporre realmente dei mezzi e dell’esperienza necessaria per affrontare il giudizio. Tale situazione grava soprattutto sui piccoli risparmiatori, costretti    in molti casi a rinunciare a far valere i propri diritti o peggio a sostenere perdite economiche anche di molto superiori rispetto al danno concretamente subito.

Per ovviare alle criticità della tradizionale tutela giurisdizionale, sono state introdotte diverse forme di risoluzione alternativa delle controversie (ADR – Alternative Dispute Resolution) che, nel tempo, anche grazie all’azione di impulso dell’Unione europea, hanno acquisito un crescente rilievo nei vari ordinamenti giuridici quale strumento per la protezione del consumatore, anche per quanto riguarda l’ambito delle controversie relative a servizi bancari e finanziari.

In questo senso, l’art. 140 comma 2 C. Cons. prevede che le associazioni dei consumatori di cui all’art. 139 c. Cons. e il professionista al quale sia stata chiesta la cessazione del comportamento lesivo dei diritti dei consumatori possono promuovere una procedura di conciliazione dinanzi alla camera di commercio, nonché dinanzi agli altri organismi di composizione extragiudiziale per la composizione delle controversie in materia di consumo, ai sensi dell’art. 141 C. Cons.

La procedura di conciliazione costituisce uno strumento alternativo di composizione delle controversie, più celere e meno oneroso di un ordinario giudizio di cognizione. Si tratta in ogni caso di uno strumento facoltativo. Nel caso in cui la conciliazione abbia esito positivo, viene redatto e sottoscritto un verbale di conciliazione che sarà depositato ai fini dell’omologazione nella cancelleria del tribunale. Il legislatore, al fine di rendere efficace il ricorso alla conciliazione, ha espressamente previsto che il verbale di conciliazione omologato costituisca titolo esecutivo.

Nel 2009, ai sensi dell’art. 128-bis del Testo Unico Bancario (TUB), allo scopo di rendere più completa la tutela del cliente anche dal punto di vista dell’enforcement, è stato istituito l’Arbitro Bancario e Finanziario (ABF), che ha assunto quelle che un tempo erano le competenze dell’Ombudsman in materia di controversie relative ad operazioni e servizi bancari e finanziari.

L’ABF è un sistema di risoluzione stragiudiziale delle controversie che insorgono tra i clienti e le banche (e gli altri intermediari finanziari) in materia di operazioni e servizi bancari e finanziari, che permette di risolvere le controversie di tipo bancario al di fuori del giudizio civile, in maniera efficace, semplice, rapida ed economica, a causa dell’indipendenza e l’imparzialità di tale organo, della snellezza formale e procedurale della procedura, nonché del fatto che non è prevista la necessità di assistenza legale da parte di un avvocato.

L’ABF ha il pregio di incentivare il rispetto dei principi di trasparenza e correttezza nelle relazioni con la clientela e di migliorare la fiducia nei confronti di banche e intermediari finanziari, costituendo un utile presidio dei rischi legali e reputazionali, a beneficio sia della stabilità degli intermediari stessi che del sistema finanziario nel suo complesso.

Può rivolgersi all’ABF chiunque abbia (o abbia avuto) rapporti contrattuali – o sia anche soltanto entrato in relazione – con una banca o un intermediario per operazioni o servizi bancari e finanziari, e ritenga di aver subito un comportamento scorretto o non trasparente. L’ABF è competente a decidere su tutte le controversie che hanno ad oggetto i servizi bancari e finanziari (quali ad esempio mutui, conti correnti, prestiti personali, ecc.) fino a 200.000,00 Euro, se oggetto della controversia è la richiesta una somma di denaro.  Non vi sono invece limiti di importo, se viene chiesto soltanto l’accertamento di diritti, obblighi e facoltà (ad esempio, la mancata consegna della documentazione di trasparenza o la mancata cancellazione di un’ipoteca dopo aver estinto un mutuo).

Non rientrano invece nella competenza dell’ABF le controversie che:

  • hanno ad oggetto servizi e attività di investimento (ad es., operazioni su strumenti finanziari derivati);
  • hanno ad oggetto beni o servizi diversi da quelli bancari o finanziari (ad es., difetti di beni oggetto di vendita tramite operazioni di credito al consumo);
  • sono già all’esame dell’Autorità Giudiziaria, di arbitri o conciliatori;
  • riguardano operazioni o comportamenti anteriori al 1° gennaio.

Per quanto riguarda l’ambito soggettivo di applicazione della normativa in esame, le controversie in oggetto sono quelle insorgono tra “clienti” ed “intermediari”. Questi ultimi sono i soggetti iscritti negli albi e negli elenchi tenuti dalla Banca d’Italia e, in particolare:

  • banche;
  • intermediari finanziari iscritti nell’elenco di cui all’art. 106 del TUB che operano nei confronti del pubblico;
  • istituti di moneta elettronica (IMEL);
  • Poste Italiane in relazione all’attività di Bancoposta;
  • banche ed intermediari esteri che svolgono in Italia, nei confronti del pubblico, operazioni e servizi disciplinati dal titolo VI del TUB;
  • banche ed intermediari esteri che operano in Italia e che non siano sottoposti ad un sistema stragiudiziale che fa parte della rete europea Fin-Net.

Gli intermediari sono espressamente tenuti ad aderire all’ABF, e hanno l’obbligo di fornire ai clienti adeguata informativa in merito alla possibilità di ricorrere all’ABF e alla relativa procedura (art. 2, comma 7, Delibera CICR n. 275/2008), affinché questi possano agevolmente esercitare il proprio diritto di ricorrere ai sistemi di risoluzione stragiudiziale delle controversie. Tale diritto non può formare oggetto di rinuncia da parte del cliente; l’eventuale rinuncia, così come un accordo derogatorio eventualmente contenuto nel contratto bancario, è privo di effetto.

L’ABF è un organismo indipendente e imparziale nello svolgimento dei propri compiti e nelle decisioni da adottare, sostenuto nel suo funzionamento dalla Banca d’Italia. Esso è costituito da un Organo decidente, che si articola sul territorio nazionale in tre Collegi (Milano, Roma e Napoli). Ciascun Collegio è composto da cinque membri, tutti in possesso di requisiti di esperienza, professionalità, integrità e indipendenza: il Presidente e due membri sono scelti dalla Banca d’Italia, un membro è designato dall’associazione rappresentativa degli intermediari e un altro ancora dalle associazioni che rappresentano i  clienti.

 Presupposto essenziale per la presentazione del ricorso all’ABF è l’aver tentato preventivamente di risolvere la controversia attraverso l’invio di un reclamo scritto  alla banca o all’intermediario; pertanto, prima che l’ABF si attivi deve necessariamente essere intercorso un tentativo di soluzione della controversia direttamente tra le parti, nella forma di un reclamo presentato dal cliente, rispetto al quale la banca o l’intermediario sono tenuti a prendere posizione. Solo in caso di mancata risposta (entro trenta giorni dalla ricezione del reclamo) o di risposta insoddisfacente è possibile rivolgersi all’ABF, nel termine di dodici mesi dalla presentazione del reclamo.

In via generale, l’ABF decide sui ricorsi entro sessanta giorni dal ricevimento delle controdeduzioni dell’intermediario (termine che, tuttavia, può essere superato laddove vi siano ragioni inerenti la procedura, come ad es., nel caso in cui la Segreteria abbia necessità di chiedere alle parti l’integrazione delle documentazione presentata), o dalla scadenza del termine per la presentazione delle stesse. L’accertamento dei fatti è esclusivamente documentale, non essendo prevista alcuna udienza in cui possano intervenire le parti o eventuali testimoni. Se il ricorso è accolto, anche solo in parte, il Collegio fissa un termine entro il quale l’intermediario deve adempiere a quanto disposto nella decisione, compreso il pagamento, in favore del cliente.

Le decisioni dell’ABF, a differenza delle pronunce giurisdizionali, non hanno efficacia vincolante (e quindi non possono essere oggetto di esecuzione forzata); tuttavia, il mancato rispetto delle stesse da parte degli intermediari, fa sì che il comportamento inadempiente di questi ultimi venga reso pubblico, con un conseguente danno all’immagine. Nonostante le decisioni dell’ABF non siano vincolanti – neppure per l’autorità giudiziaria che dovesse essere adita successivamente – nella prassi gli intermediari adempiono a tali decisioni nella quasi totalità dei casi.

In ogni caso, il ricorso all’ABF non pregiudica per il cliente il ricorso agli altri mezzi di tutela previsti dall’ordinamento.

 Avv. Valerio Pandolfini

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Le informazioni contenute nel presente articolo hanno carattere generale e non sono da considerarsi un esame esaustivo né intendono esprimere un parere o fornire una consulenza di natura legale. Le considerazioni e opinioni riportate nell’articolo non prescindono dalla necessità di ottenere pareri specifici con riguardo alle singole fattispecie. Di conseguenza, il presente articolo non costituisce un (né può essere altrimenti interpretato quale) parere legale, né può in alcun modo considerarsi come sostitutivo di una consulenza legale specifica.

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