Il nome a dominio (domain name): cos’è, come è regolamentato, come è tutelato
Il nome a dominio (domain name) è l’indirizzo in formato alfabetico di un sito web, cioè un luogo virtuale posizionato nella rete Internet. Si tratta di un insieme di simboli alfanumerici che compongono un nome, seguito da un’estensione definita dalle singole Registration Authorities, capace di associarsi in modo univoco a un DNS (Domain Name System), cioè un sistema che permette di convertire un nome a dominio ad un indirizzo IP. Il nome a dominio, quindi, può identificare un’impresa che offre on-line i propri prodotti o servizi. La registrazione di un domain name è operata in base a un criterio di priorità cronologica della richiesta (“first come first served”), senza una indagine per verificare se il registrante abbia o meno un effettivo titolo a vedersi assegnato il dominio prescelto. Inoltre, in fase di registrazione l’Autority non compie alcuna indagine sulla confondibilità del nome a dominio con altri segni distintivi d’impresa. Ciò rende possibile a chiunque registrare come nome a dominio anche un marchio o altro segno distintivo altrui. Nei confronti di tale attività illecita le imprese possono tuttavia tutelarsi. Infatti, il Codice della Proprietà Industriale (D.lgs. n. 30/2005) ha esplicitamente annoverato i nomi a dominio tra i segni distintivi autonomi, sia pure atipici, sancendo il divieto di adottare come nome a dominio aziendale un segno uguale o simile ad un marchio altrui.
1. Cosa sono i nomi a dominio
L’era di Internet e la rivoluzione digitale hanno reso molto più semplice e veloce lo scambio di dati e informazioni, estendendo la propria influenza anche all’ambito commerciale. Manifestazione di questo processo di globalizzazione informatica è rappresentata dai nomi a dominio, una nuova tipologia di beni immateriali che attribuiscono al proprio titolare un fascio di diritti a garanzia della proprietà industriale cui si riferiscono.
Il nome a dominio (o domain name) è l’indirizzo in formato alfabetico di un “sito web”, cioè un luogo virtuale posizionato nella rete Internet. Ad ogni elaboratore collegato ad Internet viene attribuito in automatico un indirizzo IP (internet protocol address) composto da numeri; per facilitare l’indirizzamento ad un sito prescelto dall’utente, al numero identificativo IP viene agganciato un nome, ovvero appunto il nome a dominio.
Il dominio su Internet è quindi un insieme di simboli alfanumerici che compongono un nome, seguito da un’estensione definita dalle singole Registration Authorities, capace di associarsi in modo univoco a un DNS (Domain Name System), cioè un sistema che permette di convertire un nome a dominio ad un indirizzo IP. Digitando il nome alfanumerico (nella sua interezza o anche con parole chiave o abbreviazioni, attraverso motori di ricerca), l’utilizzatore può raggiungere un determinato indirizzo, cui corrisponde uno specifico sito web.
Il nome a dominio, quindi, può identificare un’impresa che offre on-line i propri prodotti o servizi, ovvero qualsiasi altra persona fisica o organizzazione, anche non economica, che si serve della rete Internet per le proprie comunicazioni agli utenti finali.
Il nome a dominio è costituito da tre componenti, separate da un punto:
- il prefisso (World Wide Web), che indica un sito Internet ed è un suffisso convenzionale creato in automatico dal fornitore del servizio di hosting;
- un Top Level Domain (TLD), o dominio internet di primo livello, posizionato alla fine del nome a dominio, che identifica il tipo di attività svolto sul sito; a sua volta il TLD può essere nazionale, cioè usato da uno stato o con dipendenza territoriale (ad esempio: .it in Italia, .eu in Europa, etc.), o generico, utilizzato da enti commerciali, non profit, pubblici o individui (ad esempio: .com- sito web commerciale; .org -organizzazioni non a scopo di lucro; .net – privati o aziende quando il .com non è più disponibile; .info – siti web di informazione e news, ecc.); ovvero identifica un determinato ambito territoriale (es.: .it – aziende europee che vogliono marcare l’identità italiana o il collegamento con l’Italia; .eu– utilizzato da individui, aziende o organizzazioni che devono risiedere o avere sede nell’UE, etc.);
- un Second Level Domain (SLD)posizionato nella parte centrale del nome a dominio, che identifica il titolare del sito, svolgendo una funzione tipicamente distintiva per chi vuole proporre e promuovere sul mercato i propri prodotti o servizi e che può diventare elemento di valorizzazione per l’affidabilità, la serietà e la rinomanza di un’impresa.
Il dominio di primo livello (TLD) è assegnato dall’ICANN (Internet Corporation for Assigned Names and Numbers) ente privato e no-profit, mentre quello di secondo livello (SLD), prescelto dall’utente, è assegnato dall’Autority nazionale.
L’SLD è gestito da appositi fornitori di servizi (“Registrars”), organizzazioni che svolgono un’attività di “vendita al dettaglio” ai soggetti richiedenti la registrazione di nomi dominio (“Registrants”) talvolta offrendo anche servizi di hosting dei relativi siti web. Essi sono, dunque, gli interlocutori del mercato per la registrazione, la modifica o la cancellazione delle informazioni sui domain name.
L’SLD, scelto strategicamente dal richiedente e modificabile su sua richiesta, manifesta il carattere distintivo del nome a dominio e la conseguente valorizzazione economico-patrimoniale dello stesso. Il domain name in tal modo selezionato svolge un ruolo essenziale tanto nell’identificazione dell’impresa all’interno della rete web, consentendo all’imprenditore di posizionarsi su uno o più specifici mercati quanto nella riconoscibilità dei prodotti da parte dei consumatori, consentendo una maggiore commercializzazione degli stessi e un’ampia fidelizzazione della clientela.
2. La Registrazione di un nome a dominio e le possibili attività illecite
L’organizzazione internazionale ICANN (Internet Corporation for Assigned Names and Numbers) è deputata all’amministrazione dei domini tematici TLD e fissa i criteri generali per la registrazione, che viene demandata ai singoli Stati. In Italia il nome a dominio viene assegnato dalla Registration Autority Italiana, che dà attuazione al “Regolamento di assegnazione e gestione nomi a dominio elaborato dalla “Commissione per le regole e le procedure tecniche del Registro del Country Code TLD (ccTLD) “.IT”.
Il sistema di assegnazione dei nomi a dominio si basa su due principi fondamentali:
- First come, first served(criterio di priorità cronologica): in base a tale principio, l’assegnazione del dominio avviene esclusivamente in base alla priorità cronologica della richiesta;
- Principio di unicità del nome a dominio: in base a tale principio, non possono esistere due indirizzi internet identici (ossia con il medesimo SLD), per cui una volta assegnato un nome a dominio, nessun altro potrà usufruirne.
Da tale meccanismo discendono le principali problematiche connesse ai nomi a dominio. Infatti, la registrazione di un domain name è operata in base a un criterio di priorità cronologica della richiesta (“first come first served”), senza una indagine di merito volta a verificare se il registrante abbia o meno un effettivo titolo a vedersi assegnato il dominio prescelto. Inoltre, in fase di registrazione l’Autority non compie alcuna indagine sulla confondibilità del nome con altri segni distintivi d’impresa, e quindi non effettua un sindacato paragonabile a quello svolto presso gli uffici di proprietà intellettuale. Ciò rende possibile a chiunque registrare come nome a dominio anche un marchio o altro segno distintivo altrui.
Il c.d. “cybersquatting” (o “domain grabbing”) consiste nell’accaparramento speculativo, in mala fede, di determinati segni o denominazioni da parte di soggetti terzi – rispetto a chi possa legittimamente vantarvi diritti di proprietà intellettuale ovvero altri diritti (e.g., diritto al nome) -mediante la relativa registrazione come domain name, con l’obiettivo di monetizzare e/o di sfruttare altrimenti “l’esclusiva” ottenuta sul piano tecnico. I cybersquatters approfittano quindi della regola “first come, first served” per registrare determinati domini da rivendere poi ad un prezzo molto maggiore ai titolari dei relativi marchi.
Altre condotte illecite possibili sono il c.d. “typosquatting”, ossia la registrazione di domini che richiamano marchi famosi ma che contengano un “typo”, cioè un piccolo errore, e il c.d. “punycode”, che consiste nell’utilizzo di simboli grafici nel nome a dominio che richiamano l’alfabeto latino, simulando in modo artefatto il nome del dominio che si vuole imitare.
3. La regolamentazione giuridica del nome a dominio
I nomi a dominio hanno carattere e il valore proprio dei segni distintivi dell’impresa, in quanto svolgono funzioni di differenziazione, di pubblicità, di raccolta della clientela, di tutela della concorrenza e fondano la loro validità sul rispetto di determinati requisiti, quali la novità, l’uso, la notorietà, ma soprattutto la capacità distintiva.
Il Codice della Proprietà Industriale (D.lgs. n. 30/2005), all’art. 22 ha esplicitamente annoverato i nomi a dominio tra i segni distintivi autonomi, sia pure atipici, sancendo il divieto di adottare come nome a dominio aziendale un segno uguale o simile all’altrui marchio.
La giurisprudenza, ancora prima dell’entrata in vigore della norma ora richiamata, ha affermato più volte il principio della equiparazione di Internet al mondo reale, affermando che l’uso di un nome a dominio che riproduca un marchio registrato da un terzo integra la fattispecie della contraffazione del marchio, in quanto comporta l’immediato vantaggio, per l’utilizzatore, di ricollegare, nel giudizio del pubblico, la propria attività a quella del titolare del marchio. Pertanto, soltanto il titolare di un marchio registrato ha il diritto esclusivo di servirsene nella comunicazione di impresa e, quindi, anche in Internet o all’interno di un sito specifico, o come domain name.
La registrazione di un nome di dominio che riproduce o contiene il marchio denominativo altrui si sostanzia quindi in una contraffazione del marchio stesso, in quanto permette di ricollegare parassitariamente l’attività di chi, senza avere alcun diritto sul marchio, ha registrato tale dominio – e la sua offerta commerciale – a quella del titolare del marchio.
Il divieto di registrare come nome di dominio un marchio registrato altrui è condizionato al rischio che, per identità o anche solo affinità tra l’attività di impresa dei titolari del marchio e quella di coloro che hanno registrato il dominio possa determinarsi un rischio di confusione per il pubblico; rileva dunque il fatto che i due soggetti operino nel medesimo settore merceologico.
Dunque, in caso di marchi non rinomati, vale il principio base che sottende la registrazione dei domini, ovvero quello della tempestività della registrazione, risultando il nome di dominio di proprietà di chi per primo lo ha registrato (first come, first served); con il limite, tuttavia, che l’uso che di tale dominio farà il più “tempestivo” dei titolari dei marchi identici non sia tale da pregiudicare i legittimi diritti assicurati all’altro imprenditore dalla registrazione dell’identico marchio denominativo nella classe merceologica della sua attività.
Nel caso si tratti invece marchi rinomati la tutela del titolare del marchio è più estesa: il divieto per i terzi di registrare nomi di dominio uguali o simili al marchio registrato si ha anche nel caso in cui il titolare del dominio commercializzi prodotti o servizi non affini a quelli del titolare del marchio ma a condizione che tale uso da parte del terzo sia finalizzato a trarre indebito vantaggio dal prestigio del marchio rinomato registrato o rechi pregiudizio al medesimo.
Il titolare del marchio rinomato potrà quindi sì vietare ai terzi l’uso, come nome di dominio, di una denominazione identica o simile al proprio marchio ma avrà l’onere di provare, oltre che la rinomanza dello stesso – ovvero che si tratta di marchio conosciuto nel settore di riferimento – anche che l’indebito vantaggio che ne trae il terzo e il pregiudizio che deriva a sé.
Inoltre, il nome a dominio è protetto anche nei confronti degli atti di concorrenza sleale. L’art. 2598 n.1, c.c. stabilisce che compie atti di concorrenza sleale chiunque usa nomi o segni distintivi idonei a produrre confusione con i nomi o con i segni distintivi legittimamente usati da altri, o imita servilmente i prodotti di un concorrente, o compie con qualsiasi altro mezzo atti idonei a creare confusione con i prodotti e con l’attività di un concorrente.
4. La tutela del nome a dominio
La prima tutela del nome a dominio è di tipo preventivo, attraverso una attività di monitoraggio della rete, finalizzata al monitoraggio delle registrazioni effettuate, dell’eventuale esistenza di domini simili, nelle aree geografiche di riferimento e nelle categorie commerciali nelle quali l’impresa opera.
Qualora si scopra che è stato registrato un dominio affine al proprio che potrebbe confondere il bacino di utenti a cui ci si rivolge, il titolare del domain name può anzitutto agire in via cautelare. L’art. 133 CPI prevede infatti la possibilità per l’autorità giudiziaria adita di disporre, in via cautelare, oltre all’inibitoria per l’uso del nome a dominio aziendale illegittimamente registrato, anche il suo trasferimento provvisorio, subordinato, se ritenuto opportuno dal giudice, alla prestazione di idonea cauzione.
A tal fine, è essenziale che sussistano due requisiti:
- identità o somiglianza del marchio con il domain name;
- identità o affinità dei prodotti o servizi offerti.
A tali misure possono aggiungersi dei rimedi accessori, quali la fissazione di una penalità di mora per ogni violazione contestata successivamente e per ogni ritardo nell’esecuzione del provvedimento (ex art. 131, comma 2, c.p.i.) e/o la pubblicazione dell’ordinanza cautelare che inibisce in via d’urgenza l’utilizzo dell’altrui marchio come domain name (art. 126 c.p.i.), che può avvenire anche all’interno del sito contestato.
È inoltre possibile agire per ottenere il risarcimento del danno, subito a seguito della violazione dei diritti di proprietà industriale sul domain name, ai sensi dell’art. 125 CPI e/o dell’art. 2598 c.c..
Infine, può essere promossa nei confronti dello cybersquatter anche denunzia penale per contraffazione, l’alterazione o l’uso di marchi o segni distintivi altrui, ai sensi dell’art. 473 C.p..
In alternativa alla soluzione giudiziaria, è possibile ricorrere alla procedura di riassegnazione UDRP (Uniform Domain-Name Dispute Resolution Policy). Si tratta di una procedura che deve essere necessariamente predisposta da tutti i registrar, cioè le organizzazioni che forniscono servizi di registrazione del nome a dominio, accreditati presso l’ICANN (Internet Corporation for Assigned Names and Numbers; l’ente internazionale di gestione del sistema dei nomi a dominio), grazie alle quali è data la possibilità ai titolari dei marchi di ottenere la cancellazione o il trasferimento dei nomi a dominio contestati.
Questo rimedio offre il vantaggio di una procedura agile e meno costosa rispetto a quella giudiziale – al tempo stesso non pregiudicandovi il ricorso, posto che per l’effetto quest’ultima potrebbe essere sospesa – prescindendo dalla località del Registrant-cybersquatter, piuttosto che del reclamante ovvero del Registrar, oltre a rendere le decisioni pubbliche (il che può rappresentare un deterrente per i cybersquatters).
Ai fini del trasferimento o cancellazione del nome a dominio contestato, devono sussistere tre presupposti:
- l’identità o confondibilità del nome a dominio con il marchio;
- l’assenza di diritti o interessi legittimi da parte del resistente con riguardo al nome a dominio;
- la registrazione e l’utilizzo del nome a dominio in mala fede.
In sintesi, la procedura in questione si articola nelle seguenti fasi:
- attivazione da parte del ricorrente tramite il deposito di un “Complaint” presso l’organismo arbitrale prescelto, che notifica l’atto ricevuto all’ente di registrazione del nome a dominio e al resistente;
- intervento e difesa del resistente, al quale è data facoltà di replicare all’atto del ricorrente, entro venti giorni; in caso di mancata replica, la procedura prosegue comunque, in contumacia del resistente e produce effetti nei suoi confronti;
- nomina dell’arbitro (o di un Panel di più arbitri, a seconda delle scelte del ricorrente), che entro breve (le regole prevedono, salvo circostanze eccezionali, un termine di quattordici giorni) deve emanare la propria decisione, contro la quale le parti hanno dieci giorni di tempo per adire l’autorità giudiziaria; in mancanza di eventuali azioni, l’ente di registrazione è tenuto a dare esecuzione alla decisione arbitrale.
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Avv. Valerio Pandolfini
Avvocato Contrattualistica d’Impresa
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